«Quando si deve parlare di scuola», dice Tullio De Mauro a un certo punto del suo libro-intervista intitolato La cultura degli italiani, che uscirà a giorni da Laterza a cura di Francesco Erbani (pagg. 244, euro 10), «i leader politici spariscono tutti. Hanno sempre cose più urgenti da fare». E´ una sorta di epigrafe per un libro duro, polemico, tagliente. L´intervistato, che è il massimo linguista italiano ed è stato ministro della Pubblica Istruzione nel governo presieduto da Giuliano Amato, sfoga qui le amarezze e i furori accumulati durante quell´esperienza. Dalla quale uscì rafforzato nella sua diagnosi sulla inadeguatezza dell´intera classe dirigente italiana di fronte ai problemi dell´Istruzione. Perché la sua denunzia risulti più efficace, l´autore si sveste dei panni accademici. Gli accenni - che pure nel libro non mancano - alla sua ricca biografia intellettuale sono intesi in funzione di questa requisitoria in difesa della scuola. E lì sfocia anche la sua specializzazione di studioso: non è possibile parlare della lingua, di quella italiana in specie, se non partendo dalla scuola, dove essa si impara (o dovrebbe impararsi).
L´istruzione pubblica riflette il livello culturale d´un paese: nel nostro, è lo specchio fedele di una grave minorità rispetto al resto dell´Europa. E i dati che De Mauro esibisce sono perentori. Da noi, gli analfabeti completi sono più di due milioni, ma ad essi vanno aggiunti quasi quindici milioni di semianalfabeti. Altri quindici milioni di cittadini rischiano di diventarlo. E´ vero che, mentre negli anni Cinquanta le persone che non avevano completato la scuola elementare erano il 59 per cento, oggi sono percentualmente il 6. Ma è una consolazione illusoria, perché le competenze acquisite fra i banchi, se non vengono esercitate, regrediscono in una misura pari a cinque anni di scuola. «A un paleo-analfabetismo, eredità del passato», dice De Mauro, «si è cumulato un neo-analfabetismo fisiologico nei paesi industriali e di alto livello consumistico».
I confronti sono presto fatti. In Italia possiede il diploma di scuola superiore il 42 per cento della popolazione adulta di fronte a una media europea del 59 per cento. Solo il 9 per cento degli italiani adulti possiede una laurea, di fronte a una media europea del 21 per cento. Da un´indagine che un istituto specializzato, il Cede, ha condotto presso un campione della popolazione risulta che il 5 per cento dei nostri connazionali adulti non sa leggere il primo e più semplice dei questionari che gli vengono proposti. Il testo, per la precisione, consta di tre parole, tipo «il gatto miagola». Ma c´è ancora un 33 per cento che arretra di fronte a frasi appena un po´ complicate («il gatto miagola perché vorrebbe il latte»). Come meravigliarsi, allora, che i due terzi della popolazione italiana non leggano mai né un libro né un giornale?
Ecco il terreno sul quale la scuola italiana è chiamata a muoversi, tentando di dissodarlo. Ne ha la forza? Riescono a dargliela le classi dirigenti? Il linguista risponde di no, con veemenza. Sull´attualità, sui guasti provocati dal ministro Letizia Moratti («una persona poco competente in fatto di scuola», la definisce) il suo giudizio è perfino scontato. «Veri e propri errori di grammatica» commette la responsabile di viale Trastevere appena s´intrattiene sulle materie che concernono il suo ministero. Ha parlato ad esempio del «crollo» della nostra scuola elementare, quando è noto e confermato che essa è «una delle più buone del mondo, per giunta in ulteriore miglioramento». La sua mannaia si abbatte su istituzioni create dai governi precedenti, come le direzioni regionali dell´Istruzione. E´ riuscita a peggiorare ancora quell´esame di maturità che già «dal 1970 in poi si era trasformato in una burla». Ha tagliato i finanziamenti alla scuola per l´infanzia e al tempo pieno. Ha ridotto il sostegno ai portatori di handicap. Ha imposto che a tredici anni «ragazzini e ragazzine scelgano il loro "profilo professionale"». Ha sancito la divaricazione fra scuole di serie A e scuole di avviamento alla professione. Ha «ridotto all´asfissia» i centri per l´educazione degli adulti.
Ma non è qui il peggio. La scuola di base e la stessa scuola superiore sono - osserva De Mauro - corpaccioni immani, capaci di sopportare qualche ferita: «due, tre anni della Moratti fanno danno, ma il danno, se non si prolunga oltre, si può riparare». Diverso è il discorso per i centri di ricerca e per le università, organismi assai più delicati, paragonabili a cellule cerebrali della cultura d´un paese. La formazione dell´alta ricerca si gioca in tempi stretti. «Cinque anni di questi ministri di centro-destra annientano due, tre generazioni di ricercatori... Se non riusciamo a liberarcene, i danni per ricerca e università li pagheremo per decenni».
La requisitoria di De Mauro non contempla frontiere politico-parlamentari. Mentre egli loda più volte, come «grande ministro della Pubblica Istruzione», la democristiana Franca Falcucci, e si dice d´accordo con vari provvedimenti scolastici che prese a suo tempo Margaret Thatcher - rivolge alla sinistra impetuosi rimproveri. Ne mette in luce le storture teoriche, facendo risalire per esempio a Giorgio Amendola la convinzione in base alla quale «se i figli degli operai avessero preso tutti il diploma della media superiore e fossero andati all´università, nessuno poi avrebbe fatto l´operaio». Rileva la persistente tendenza a considerare la cultura come «una sovrastruttura di natura intellettuale», estranea alla vita sociale vera. Ricorda come furono faticosi, quarant´anni fa, i tentativi di sensibilizzare il Pci sul tema della scuola media unificata, una vera conquista civile. Durante la sua esperienza, prima come assessore alla Cultura della Regione Lazio e poi come ministro, ha avvertito «vari scricchiolii, che poi sono diventati una voragine» nella sensibilità scolastica degli esponenti del Pci e poi dei Ds sui temi a lui cari (con le eccezioni di Veltroni e di Prodi).
Racconta come siano state fatte deperire, e infine troncate, alcune iniziative importanti, e di sinistra, come la rivista Riforma della scuola e i «Libri di base», la più fortunata collana degli Editori Riuniti. Sostiene che sia Fassino che Rutelli provano imbarazzo quando si parla di scuola, per poca confidenza con il tema. Altri non sono più ferrati in materia ma si mostrano più energici. Quando, a causa di un incidente giornalistico, venne fuori che il ministro De Mauro aveva definito «di fame» gli stipendi degli insegnanti - ma lui assicura di aver usato soltanto l´aggettivo «infami» - ecco insorgere Sergio Cofferati, per il quale il proposito di ritoccare i compensi nel campo della scuola avrebbe innescato «una spirale retributiva nel pubblico impiego». Non sarà stato il caso del segretario della Cgil, ma De Mauro ha notato nella sinistra al governo «una scarsa considerazione», e in qualcuno «persino disprezzo», per gli insegnanti, considerati «ignoranti e pelandroni». (Anche a destra, d´altronde, si lamenta che essi «sono troppi e costano troppo». E´ uno stato d´animo «bipartisan» che l´ex ministro considera ingeneroso).
Per Luigi Berlinguer, che lo precedette come ministro, De Mauro professa rispetto. Considera un «grande progetto» quello che portò il suo nome. Ma anche a lui rivolge delle critiche. La prima è di aver «preso di petto» l´intera architettura dell´istruzione, con il risultato di «coalizzare contro di sé tutte le forze» e di venir isolato anche nel suo partito. La seconda è di non aver discusso la riforma con gli insegnanti, già umiliati dalla «gogna dei quiz» (denominati, al singolare, «il quizzone»), strumento alquanto rudimentale per valutarne il livello culturale e le capacità didattiche.
Con molti universitari suoi colleghi, anche se di sinistra, De Mauro non si mostra tenero. Gli è anzi sembrato, a un certo punto, che l´intera cultura di sinistra prendesse posizione contro la politica del centrosinistra in materia di istruzione. Ci fu una sollevazione in difesa della cultura umanistica, e in particolare del liceo classico, quasi che fosse intenzione del ministero boicottarla e deprimerla. Fra i contestatori annovera gli storici Lucio e Rosario Villari, Girolamo Arnaldi, Giovanni Sabbatucci, Chiara Frugoni, Luciano Canfora, il filologo Cesare Segre, il matematico Lucio Russo, lo storico dell´arte Cesare De Seta. Li elenca con rammarico o con acredine; e se la prende anche con «il club degli opinionisti» che avrebbe spalleggiato la rivolta.
Un complesso di persecuzione? Sembra di ascoltare la risposta di De Mauro: la vera perseguitata è la scuola, questa «tragedia italiana».