«Nelle ultime settimane diversi impianti di trattamento sono andati a fuoco. Un caso o una strategia per fare affari?» il Fatto Quotidiano, 7 luglio 2017 (p.d.)
A chi giovano i roghi dei rifiuti?
6 aprile, La Loggia (To) La Cmt, piattaforma di trattamento e stoccaggio dei rifiuti appartenente al Gruppo San Germano al 100%, si incendia per la terza volta negli ultimi quattro anni. Il gruppo San Germano detiene Pluricart al 65% tramite CMT e la Tirreno ambiente Spa per una quota pari al 2%. La Tirreno ambiente Spa è detenuta per un 10% dalla Gesenu (incendiatasi nel 2015) appartenente alla galassia Cerroni e per un 3% dalla A2A. Il gruppo San Germano ha sede a Mazzarà Sant’Andrea (Messina) e il suo ex presidente Giambò è stato condannato per associazione mafiosa. Procedimenti penali per reati contro la Pubblica amministrazione sono in corso a carico di amministratori, presenti o passati, della Tirreno ambiente Spa.
12 aprile, Grosseto Incendio impianto trattamento rifiuti di Futura Spa alle Strillaie, tra Grosseto e Marina di Grosseto. A fuoco i rifiuti destinati a diventare combustibile da rifiuti.
16 aprile, Follo (Sp) Un vasto incendio scoppia all’interno dell’azienda Ferdeghini, l’impianto di trattamento rifiuti che si occupa della selezione, del recupero e dello stoccaggio di materiali pericolosi e non, situato a Cerri, nel Comune di Follo. Già il 5 luglio 2015 l’azienda aveva preso fuoco nonostante gli abitanti vicini avessero presentato una diffida per l’enorme accumulo di rifiuti nei giorni precedenti l’incendio.
5 maggio, Pomezia (Rm) Scoppia l’incendio della Eco X, presso cui risultavano stoccate ingenti quantità di rifiuti. Caso ampiamente trattato dalla stampa nazionale e su cui sono in corso indagini della Procura di Velletri.
24 maggio, Bedizzole (Bs) Incendio alla Faeco già interessata da simili episodi nel luglio 2013, e nel marzo 2017. L’incendio èavvenuto nell’area sottoposta a sequestro due mesi prima.
25 maggio, Malagrotta (Rm) Le fiamme hanno interessato un deposito di combustibile prodotto con i rifiuti che poi viene mandato nei termovalorizzatori.
5 giugno, Casale Bussi (Vt) Incendio nell’impianto di trattamento rifiuti di Casale Bussi, a Viterbo. La Procura della Repubblica di Viterbo ha aperto un fascicolo per incendio doloso.
7 giugno, Fusina (Tv) Incendio alla Eco Ricicli Veritas, il più grande centro comprensoriale del Conai Corepla in Italia con oltre 2500 tonnellate al mese di multimateriale che poi vengono aggiudicate mediante asta Corepla per divenire combustibile da rifiuti, conferito ad impianti nei 300 km di distanza. Eco ricicli Veritas conferisce rifiuti a Montello spa e a Idealservice. Quest’ultima azienda nel 2015 ha subito un incendio.
11 giugno, Battipaglia (Sa) A Battipaglia si sviluppa un incendio presso la Sele Ambiente, già precedentemente posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria, per il coinvolgimento in una inchiesta su un vasto giro di smaltimento illecito tra la Campania e la Puglia.
14 giugno, Villacidro (Ca) A fuoco la discarica Villaservice di Villacidro, discarica di servizio del Tecnocasic, altro impianto fuori uso per un incendio da fine aprile.
19 giugno, Angri (Sa) A fuoco l’impianto di trattamento dei rifiuti speciali non pericolosi di Sea Srl, con sede legale a Scafati.
Certo, tutto è possibile: incidenti, autocombustione, intimidazioni locali ecc. Ma, francamente, così tanti incendi, in tre mesi, in impianti di trattamento rifiuti sembrano un po’troppi. Tanto più che questa epidemia di incendi sembra ricorrente, e proprio quando la stagione calda e le alte temperature possono giustificare gli incendi con l’autocombustione.Sorge, quindi, spontaneo il sospetto che almeno alcuni di questi incendi servano a risolvere situazioni divenute ingombranti o pericolose per le stesse imprese andate a fuoco. Tanto più che, come abbiamo visto, spesso l’incendio è collegato ad altre attività del settore che hanno subito o un’ispezione o un sequestro o un altro incendio e fanno capo a persone già note per illegalità connesse al trattamento e alla raccolta dei rifiuti.
In questo quadro, le motivazioni più probabili sono quelle collegate al profitto derivante dal contributo economico erogato dai consorzi obbligatori di settore, per cui le imprese “riceventi” possono trovare più conveniente incamerare il contributo e disfarsi in qualche modo del materiale senza sostenere i costi che la sua lavorazione/smaltimento legale comporterebbero. Emblematico in tal senso è il caso del consorzio nazionale tedesco degli imballaggi, il DSD, il quale, nella seconda metà degli anni 90, inviava in tutta Europa rifiuti di plastica, spesso di scarsissima qualità e quindi difficilmente riciclabili, accompagnati da un sostanzioso contributo economico. Molti furono allora i casi, anche in Italia, di imprese che, incassati i contributi e riempiti capannoni spesso affittati ad hoc, trovarono più conveniente “chiudere la pratica”appiccando il fuoco piuttosto che affrontare i costi necessari per tentare ardue e in certe operazioni di riciclo o di smaltimento.
Un incendio, in particolare, può servire a evitare controlli su combustibile da rifiuti prodotto al di fuori delle specifiche di legge, per cui l’impresa ha, tuttavia, già percepito contributo all’ingresso del rifiuto. O a evitare che si scopra che l’impresa ha ricevuto contributi per rifiuti non idonei o non autorizzati fatti figurare in ingresso con falsi codici. Non a caso, la termovalorizzazione viene incentivata a 220 euro alla tonnellata mentre per il riciclo l’incentivo è di 170 euro.
E probabilmente questi incendi sono aumentati da quando la Cina ha stretto i freni sulla qualità dei rifiuti italiani che prima accettava senza problemi. Peraltro, incendiare un rifiuto significa trasformarlo in rifiuto pericoloso che deve essere smaltito in apposite discariche, spesso di proprietà delle stesse imprese da cui deriva. Ma la conseguenza più grave riguarda, ovviamente, la salute e l’ambiente, per la produzione di diossina e altri inquinanti altamente pericolosi. Proprio per scoraggiare questi eventi, nel 2013 un decreto legge ha stabilito finalmente che chi appicca il fuoco a rifiuti rischia la reclusione da 2 a 5 anni con aumento da 3 a 6 anni se i rifiuti sono pericolosi.
Tuttavia, questa pena si applica solo se si tratta di rifiuti “abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata”. Trattasi di una specificazione veramente singolare e poco comprensibile, perché un incendio di rifiuti stoccati ordinatamente produce gli stessi effetti dannosi di un incendio di rifiuti abbandonati. E potrebbe portare addirittura alla conclusione che questo delitto non può applicarsi a chi appicca il fuoco, appunto, a rifiuti non abbandonati ma depositati non in modo incontrollato nel suo impianto.
Forse sarebbe il caso di intervenire al più presto per correggere questa evidente stortura legislativa invece di dedicarsi, coma fa il governo nel recente decreto legge sul Mezzogiorno, a “graziare” rifiuti fino a oggi ritenuti pericolosi, con palese violazione del principio di precauzione.