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Nello Ajello
È morto Cederna l' uomo che voleva fermare il cemento
3 Ottobre 2006
Scritti su Cederna
Sono 10 anni che Antonio Cederna non è più tra noi. Pubblicheremo diverse cose sue, e su di lui. Iniziamo con questo articolo col quale la Repubblica (28 agosto 1996) ricordava la sua scomparsa.

Avrebbe compiuto 75 anni a ottobre. È morto dopo una lunga malattia Per tutta la vita ha denunciato i maltrattamenti che il nostro patrimonio storico, paesaggistico e monumentale ha subito ad opera di incompetenti retori e speculatori Le sue battaglie per una Italia diversa Personaggio antico, un eroe o un poeta infuriato E l’Urbe si sviluppava a macchia d’olio santo

È scomparso l’uomo che voleva sconfiggere il cemento. Antonio Cederna stava per compiere settantacinque anni, e la sua contesa con una forza più potente della ragione e della storia - la Costruzione che diventa Distruzione - durava da quasi mezzo secolo. Ora che s'è interrotta, ripensando alla sua vita si può tracciarne un bilancio amaro: Cederna non ha vinto. Non poteva vincere. Era un'antiretorica, la sua, che coalizzava contro di sé interessi, convenzioni, mitologie bugiarde, seducenti demagogie: lo sviluppo, il lavoro, l’avvenire contrapposto al passato, l’asfalto delle autostrade confrontato ai sassi delle vie consolari, edifici sontuosi capaci di ridicolizzare gli umili tessuti urbani lavorati dal tempo. Una coalizione di interessi e di pretesti che avrebbe scoraggiato chiunque.

Antonio Cederna non si lasciava né intimorire né sedurre. Studiava. S'informava. Si documentava "sul campo" con la destrezza di un segugio e la passione di un missionario. Paragonava questa nostra Italia sventata a tanti paesi europei meno favoriti dall’arte ma più attenti a non offenderla. Nella redazione del Mondo, il settimanale che lo scoprì, fioccavano per lui i nomignoli. Lo chiamavano "l’Indignato speciale", l’"Appiomane", il "piccolo Borgese", con allusione alla sua discendenza, per parte di madre, dal celebre scrittore Giuseppe Antonio Borgese. Scherzi che nascondevano una grande stima per quel giovane don Chisciotte e le sue "campagne".

Il primo articolo di Cederna lo lessi nella primavera del 1950. S' intitolava "Via degli Obelischi". Era l’Anno Santo, e Roma lo festeggiava a modo suo: inaugurando via della Conciliazione con i suoi ventotto obelischi, disegnati dagli architetti Piacentini e Spaccarelli. Uno sconcio storico. Storico era anche il legame che in quell’occasione si stabilì, o si confermò, tra fascismo e Repubblica italiana. Già Mussolini aveva infatti progettato lo sventramento della "spina di Borgo", un modesto tessuto edilizio costruito nei secoli, che si apriva all’improvviso sullo scenario berniniano. Ora l’opera si completava, sommando al danno estetico il disastro ecologico. Dopo lo sventramento, migliaia di persone che abitavano quelle vecchie case vennero sbattute altrove. Antonio Cederna, allora ventinovenne, si scatenò.

Quello che uscì dalla sua penna era un intervento critico. Ma era soprattutto un’invettiva. Accorata. Sdegnata. Furente. Dopo quell’esordio, lungo sedici anni, il settimanale di Pannunzio ospitò più di quattrocento note, servizi, inchieste di Cederna. Tema: i maltrattamenti che il nostro patrimonio storico, paesaggistico e monumentale subisce ad opera di incompetenti, retori e speculatori. Antonio, poco più d’un ragazzo, sembrava un personaggio antico, un eroe o un poeta infuriato. Anche se diventò ben presto un maestro di giornalismo, il suo mestiere di partenza era un altro. Lombardo, si trovava a Roma per caso. S'era laureato in archelogia a Pavia e ora frequentava nella Capitale una scuola di perfezionamento, oltre a partecipare a certi lavori di scavo a Carsoli, in Abruzzo. Erano le sue mansioni di studioso. Al Mondo affidava le sue denunzie di cittadino. E con grande efficacia. Nei suoi scritti cultura e giornalismo coincidevano.

Gli anatemi del giovane archeologo toccavano nervi scoperti dell’intellighenzia italiana. Agivano su una minoranza, ma in profondità. Comunicavano sdegno. Creavano allarme nei colpevoli. Se ora penso alle battaglie combattute da Cederna, mi trovo di fronte a un’ininterrotta sequenza di titoli. Alla "Via degli Obelischi" seguono "I vandali in casa". È il 1951. Il delirio distruttivo dell' Italia repubblicana prosegue. Il Comune di Roma rispolvera ancora un progetto di sventramento, compreso nel piano fascista del 1931, che dovrebbe spaccare il centro storico fra piazza di Spagna, il Babuino, via del Corso e l'Augusteo. Vogliono picconare le vecchie case sostituendole con palazzoni in uno stile "littorio ritardato". Chi potrebbe trattenere l’archeologo-urbanista? Anatema, anatema! Un altro titolo: "I gangsters dell’Appia". Cederna era stato raggiunto da decine di telefonate capaci di sconvolgerlo: si tenta di distruggere l’Appia antica. Nel suo appassionato talento semplificatorio, Antonio sceneggiò il destino di quella strada veneranda: stavano privatizzando i monumenti, i paesaggi, i tramonti di fronte ai quali Goethe, Gibbon, Gregorovius, Byron, Stendhal, De Brosse, Mommsen erano venuti a meditare sulla fine del mondo antico, l’invidia del tempo e la varietà della fortuna. Cinematografari, prelati, generoni anelavano a costruirsi la villa. Proprio lì. Cederna si scatena di nuovo. E lo seguono, nella sua ira, urbanisti insigni come Luigi Piccinato e Ludovico Quaroni, mentre gli architetti di regime soffrono di fronte a questa intromissione nei loro progetti per la Roma del futuro.

C'è sempre un futuro in nome del quale sembra urgente disonorarsi. In Campidoglio governano sindaci che si chiamano Rebecchini e poi Cioccetti, nomi passati in proverbio anche per merito dell’"Indignato Speciale". A questo punto Antonio Cederna non è più un archeologo e neppure più soltanto un giornalista. È, a seconda di chi lo giudica, uno spauracchio o una provvidenza. Diventa un centro di raccolta per le novità, spesso agghiaccianti, che si profilano in materia di speculazione edilizia a Roma. La battaglia per la difesa del centro storico è vinta, o quasi. Ma, appena fuori, la città si sviluppa secondo i desideri delle grandi proprietà, titolari di migliaia di ettari a ridosso delle strade consolari, Tiburtina, Prenestina, Tuscolana, Aurelia, Portuense. Una dilatazione incontrollata e irresponsabile. Immobiliare, Torlonia, Gerini, Scalera, Lancellotti sono i nomi segnati nel taccuino di Cederna, il reporter dello scempio. La vicenda reca impresso lo stemma del Vaticano.

"L’Urbe si sviluppa a macchia d’olio santo", scrive Mino Maccari sotto le sue vignette. I titoli-slogan di Cederna maturavano a grappolo. "La città Eternit" (sui nefasti della baraccopoli romana) l'inventò Flaiano, che del Mondo era allora caporedattore. "Mirabilia urbis" era un’immagine riesumata dallo stesso Cederna spulciando le antiche guide turistiche di Roma. E poi "Napoli città omicida", "La morte a Venezia", "Palermo decomposta", "La caduta di Milano", "Il turco a Bologna", "Cremona sventrata", "Urbino in pericolo", "Ravenna al macello". Il Mondo morì nel 1966. Per la cultura italiana fu una sconfitta, ma Cederna non aveva fallito. I suoi temi diventavano di dominio comune. Era nata Italia Nostra, uno strumento di vigilanza, denunzia, intervento in campo urbanistico. In materia di tutela ambientale, la periferia rispondeva agli appelli emanati dal centro. Cederna fungeva da terminale per un enorme flusso di segnalazioni, suggerimenti, memoriali, proposte provenienti da ogni angolo d’Italia. Dighe fasulle al servizio di un'agricoltura che non c' è più, autostrade inutili, scempi di edifici storici, musei inagibili, parchi nazionali che stentano a nascere. I giornali accolgono queste campagne.

Ma a Cederna non basta mai. Dopo un breve flirt con L' Espresso, ecco la sua firma sul Corriere della sera, in una fase in cui su quelle pagine influisce Giulia Maria Crespi, assai sensibile ai temi cederniani. Antonio lavora con tre direttori, Alfio Russo, Spadolini e Ottone. Poi, dal 1980, comincia a collaborare alla Repubblica. I suoi libri sono ormai dei classici: ai Vandali in casa e a Mirabilia urbis si affiancano La distruzione della natura, Mussolini urbanista, Brandelli d' Italia. I lettori non sono più soltanto una pattuglia nobile e unanime. Crescono di numero. E Cederna agita le sue campagne anche in sedi politiche. Eletto consigliere comunale e poi deputato come indipendente nelle liste del Pci, si scontra, nella sua materia, con antiche sordità. C'è da lavorare e da litigare. Anche a sinistra, lungo buona parte degli anni Ottanta, l'abusivismo edilizio viene protetto o tollerato perché lo si considera un'arma nella mani dei poveri. Il ricatto "occupazionale" domina.

Eppure, nella vicenda dell'Indignato Speciale non manca qualche trionfo della ragione. Il suo candore mette a segno punti insperati. Contribuisce a impedire (e siamo alla fine degli Ottanta) che nella piana occidentale di Firenze la Fiat e la Fondiaria piantino milioni di metri cubi di cemento: è la "Grande Firenze", che non si fa, anche per l' opposizione del Pci. Va in fumo il progetto Venezia Expo, così caro a Gianni De Michelis. Vanno a buon fine, almeno sulla carta, la legge su Roma capitale e quella sull' istituzione di parchi e riserve naturali. Uno degli ultimi progetti sul quale si sia accalorato il tenace Cederna riguarda i Fori imperiali. Si tratta di portare alla luce una delle illustri zone archeologiche del pianeta, da piazza Venezia ai piedi dei Castelli romani. L’urbanista raccoglie consensi importanti: quello, ad esempio, del sindaco di Roma, Luigi Petroselli. Ma gli ostacoli sono imponenti, il disegno rivoluzionario. Armato d’una vecchia macchina per scrivere, lui non demorde. Lo assiste la convinzione, o almeno la fiducia, di guadagnare ogni giorno qualcuno di più alla sua causa.

Gli articoli più recenti, usciti sulla Repubblica, parlano della nascita del Gran parco sul Litorale romano, in zona Maccarese; della creazione del Porto di Traiano, a Fiumicino; della sistemazione di piazza Augusto Imperatore, a Roma. L’elegia più sferzante, quando cadde la cupola della cattedrale di Noto, portava la sua antica firma. L’Indignato speciale non aveva cessato di esserlo. Adesso, pensando al Giubileo, ci domandiamo come faremo a sopportarlo senza ispirarci alle sue angosce e alle sue speranze.

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