Caro Eddyburg, hai ragione: nella foga di denunciare il rischio di un ritorno della Mantini-Lupi, ho mancato di esprimermi nel merito del progetto di legge proposto. L'ho solo scorso celermente e mi riprometto di tornarci sopra con valutazioni più meditate dopo averlo letto più attentamente.
Una prima impressione: non mi pare che vi si affermi con la necessaria chiarezza l'obbligo delle regioni di prevedere nelle proprie legislazioni urbanistico-pianificatorie una fase strutturale a tempo indeterminato e una fase operativa quinquennale, come previsto a suo tempo nella proposta di articolato avanzata dall'INU nel 1995. E' vero che la situazione istituzionale è mutata dopo la modifica costituzionale del titolo V approvata nella penultima legislatura dal centro-sinistra, ma le regioni stanno tutt'ora procedendo in modo disordinato e divergente: la Lombardia, ad esempio, con la LR 12/05 ha scelto di fare solo piani operativi quinquennali- denominati Piani di Governo del Territorio (PGT) - sui quali è pressoché impossibile fare una seria Valutazione Ambientale Strategica (VAS), che necessariamente comporta una visione di lungo periodo. Anche la Super5 della Toscana, che pure prevede i piani strutturali, mi dicono abbia seri problemi a garantire un' effettiva coerenza tra piani operativi e piani strutturali. La legge quadro nazionale dovrebbe imporre strumenti e procedure che garantiscano tale corrispondenza.
Ma soprattutto mi pare che il progetto di legge non affronti il problema di chiudere definitivamente la stagione della cosiddetta "programmazione negoziata" apertasi coi PII dell'art. 16 della 179/92 (il cosiddetto emendamento Botta/Ferrarini) e dilagata coi vari PRU, PRUSST e via denominando in un'urbanistica occasionale che non mi pare tanto diversa dalla deprecata stagione delle "convenzioni" senza piano generale disastrosamente vissuta prima della legge Ponte del 1967. Come diceva Keynes, in economia la moneta cattiva scaccia quella buona: ecco, anche in urbanistica quella cattiva scaccia quella buona. Se continuerà a convivere con la "programmazione negoziata", una ripresa del progetto pubblico e condiviso di città e territorio continuerà a rimanere una pia illusione.
Sulla prima questione che poni (la distinzione della pianificazione in due componenti, una strutturale e una programmatica). Molti di noi ritengono che l’applicazione che è stata fatta di un principio giusto in se sia così confusa, e spesso discutibile, da non rendere opportuno imporre alle legislazioni regionali di adottare un simile modello di pianificazione. Ciò anche a prescindere dalle limitazioni che le modifiche al titolo V della Costituzione pongono alla capacità della legge nazionale di incidere, in materia, su quelle regionali. Io non escludo affatto che sulla questione si possa e si debba tornare, ma prima di farlo in via di proposta legislativa credo che si debba farlo a livello culturale. Perchè non prendi l0’iniziativa di organizzare un seminario sull’argomento? Eddyburg parteciperebbe con entusiasmo. Secondo me occorrerebbe ragionare a tutto campo: partendo dalle proposte iniziali di "articolazione della pianificazione in due componenti" (circa 1983), proseguendo con le proposte dell'INU, esaminando le legislazioni regionali e la loro applicazione.
Per quanto riguarda la seconda questione (gli strumenti della “programmazione negoziata”). È sembrato a noi che il vizio dei deprecati “strumenti urbanistici anomali”,avviati dalla Botta-Ferrarini e proseguiti negli anni successivi, sia nella loro capacità (vorrei dire genetica) di derogare alle procedure ordinarie. In tal senso interviene, nella nostra proposta, l’articolo 12, 2°comma, sugli accordi di programma, che sono lo strumento perverso grazie al quale si sono moltiplicati gli istituti e le occasioni di negoziazione derogatoria. Obbligando a stipulare gli accordi in conformità “alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente” contiamo di aver risolto il problema alla radice.
Ti riungrazio.