Le critiche più incisive alla moderna democrazia rappresentativa sono state rivolte per un verso dal liberalismo conservatore e per l´altro dal comunismo. Queste correnti hanno condiviso il considerare una mera ideologia e un pregiudizio privo di fondamento la concezione della democrazia come «forma di governo» di «tutti i cittadini». Per entrambe la democrazia era invece il movimento delle masse diseredate diretto contro i possidenti per assumere da ultimo il potere. Sennonché per la sinistra rivoluzionaria la «democrazia» delle masse ? volta a diventare «dittatura» sui possidenti - era una benedizione, la vera democrazia; per i liberali conservatori una maledizione, in quanto destinata a produrre la «tirannide della maggioranza».
Alla critiche rivolte da tali opposte scuole all´idea di una democrazia esercitata da tutti i cittadini attraverso le istituzioni rappresentative e alla concezione della democrazia come potere delle masse si collega decisamente Luciano Canfora nel suo libro La democrazia. Storia di un´ideologia (Laterza, pagg. 421, euro 20), che parte della Grecia per arrivare alla nostra epoca. La tesi dell´autore è chiara e semplice: fin dall´Atene di Pericle la democrazia era sentita dai suoi avversari come «un sistema liberticida» in quanto attentava alla libertà e alle proprietà dei ricchi, con cui si poneva in antitesi; sennonché in effetti già allora essa diede luogo non già ad un governo popolare, ma ad «una guida del "regime popolare"» da parte di una frazione dei ricchi che accettava e sfruttava il sistema. Così nell´Atene antica, e così più che mai oggi, mutatis mutandis, nelle democrazie di matrice liberale. La democrazia è sempre stata e può essere una sola: la lotta di coloro che mirano a stabilire l´eguaglianza contro il predominio delle oligarchie fautrici della diseguaglianza. E perciò Canfora insiste che la democrazia «non è una forma, non è un tipo di costituzione»; che essa è presente nelle «più diverse forme politico-costituzionali», dove e quando si fa sentire con efficacia l´azione della parte popolare. Il che aveva capito Croce, il quale «aveva ben chiaro che "democrazia" non è un regime politico, ma un modo di essere dei rapporti di classe sbilanciato in direzione della "prevalenza del demo", per dirla con Aristotele».
Impostata in questi termini la questione, Canfora traccia una storia della democrazia assai poco interessata alla ricostruzione delle dottrine democratiche e dei grandi dibattiti a queste legate. Quel che piuttosto per lui conta ? e il richiamo ad Arthur Rosenberg è insistente - è la ricostruzione di una serie di capitoli esemplari dei conflitti tra le classi dominanti e le classi subalterne volta a mostrare come la teoria della democrazia intesa quale eguaglianza formale di tutti nella legge, formazione della volontà comune mediante la rappresentanza delle diverse parti sociali nelle istituzioni parlamentari sia in effetti una «ideologia» in senso marxiano a beneficio delle minoranze al potere. Nella ricostruzione di questi capitoli egli appare sovrabbondante, mentre assai ridotti o soffocati sono i richiami a coloro che del significato della democrazia in epoca moderna discussero «classicamente» non solo sul versante liberale ma anche marxista. Basti dire che non compare il nome di Kelsen e che la grande controversia tra Kautsky e i leader bolscevichi è assente. L´attenzione poi è pressoché tutta eurocentrica e all´America sono dedicati cenni. I riferimenti a Bobbio il quale sostiene che «l´egualitarismo è l´essenza della democrazia» riescono fuorvianti, poiché svincolati dal contesto della sua tesi centrale che la democrazia può basarsi unicamente sull´individualismo e che quella dei moderni è e deve essere la «democrazia di tutti i cittadini».
Ma non si comprende lo spirito del libro di Canfora se non si coglie il suo rammarico per il fatto che «il "punto di vista" comunista è quasi del tutto svanito» nel contesto di sinistre europee nella grande maggioranza integratesi nel sistema dominante. Riesce evidente l´intenzione di Canfora di ricostruire la buona memoria di quel punto di vista. E a sostegno della memoria da non perdere Canfora dedica pagine significative alla tradizione comunista. Grandi le lodi a Togliatti, ad aspetti esemplari della costituzione staliniana del 1936 e persino apprezzamento della via «leninista» seguita da Stalin nello stringere il patto con i nazisti nel 1939. Certo, egli non può non cogliere tutta la portata del naufragio del comunismo; sennonché è per lui pur sempre il naufragio della parte che ha in prima fila incarnato nel nostro secolo la battaglia per la democrazia: e perciò di questa battaglia l´autore rivendica tutto il valore. Ma la sua analisi sui progetti di una democrazia di classe pervenuti alla dittatura di nuove oligarchie impostesi in primo luogo sulle masse lavoratrici non dà risposta alla questione: può una forza intesa ad affermare una «democrazia di classe» non finire per promuovere un potere dispotico?
La conclusione di Canfora è che nel mondo occidentale «ha vinto la libertà» come libertà dei ricchi e che la democrazia - ormai «inesistente», ma sempre «indispensabile» - è «rinviata ad altre epoche», affidata «altri uomini», «forse non più europei». La democrazia della parte popolare - secondo l´autore rimasta viva come aspirazione ma senza ancoraggio nel mondo sviluppato - è così da lui stesso ridotta ad un´"utopia" che non ha più un soggetto in grado di farsene portatore efficace nella realtà presente. A me sembra che l´impostazione di Canfora vada rovesciata. La democrazia attuale nel mondo occidentale tradisce largamente le sue promesse, soggiace alle più pesanti deformazioni e la libertà dei ricchi tende a soffocare quella degli altri. Ma da ciò non segue che la partita sia chiusa e da rinviarsi ad un futuro e a luoghi indeterminati. La partita è tanto più aperta quanto più difficile. Niente di peggio può accadere agli strati poco o non difesi che cedere allo strapotere delle oligarchie per le disillusioni causate dalle vicende del comunismo.