In tre articoli, alcune facce dell’incuria che provoca disastri. Il territorio è una realtà complessa, e solo un sistema complesso di regole (la sua pianificazione ) può garantire la sopravvivenza delle specie che lo abitano. La Nuova Venezia, 5 agosto 2014
Prosecco e colline.Guerra sulle regole
Nessuno tocchi il prosecco. Da queste parti, circondati dalla Grande Bellezza delle colline dove nasce il vino più trendy del momento, sono ammessi i pesticidi ma vietato l’uso improprio nel nome prosecco. Eppure è proprio grazie al nome del prosecco che la tragedia del Molinetto della Croda ha sfondato il muro dei grandi media nazionali. «Dite pure ai vostri colleghi - si è infervora il governatore Luca Zaia – che magari scrivono nei grandi giornaloni italiani, che prima di attaccare l’economia d’eccellenza del nostro territorio, quella appunto del prosecco, vengano a conoscere la realtà». E accompagna personalmente le grandi testate giornalistiche a «gustare» il paesaggio. Luca Zaia fa parte del tessuto connettivo di questo territorio: vi è nato e cresciuto, lo vive e ne respira l’essenza, lo chiamano per nome. A questi piccoli paesi ha restituito orgoglio e dignità. Chi tocca il prosecco, dunque, tocca Luca Zaia. Non è solo questione di cuore: quand’era ministro delle Politiche Agricole, nel 2009, ha regalato a questo territorio la più grande opportunità post industriale, quella della denominazione protetta del prosecco. Docg nella zona «storica» di Conegliano e Valdobbiadene (e Asolo) e Doc in nove province venete e friulane. Così è stato arginato il timore del prosecco cinese e delimitato la zona di produzione, facendo diventare il prosecco il primo concorrente dello Champagne e il primo distretto vitinicolo nazionale con oltre 300 milioni di bottiglie. Logico che una tragedia di queste proporzioni - ed ogni accostamento sull’uso del territorio e sulla monocoltura del prosecco - lo metta di cattivo umore. Adesso questa parte del Veneto è tra le più ricche d’Italia. E un ettaro di terreno agricolo vitabile vale il doppio di un terreno industriale. Insomma, Zaia ha fatto ricchi i contadini del prosecco, che lo adorano. Le isolate voci che si distinguono non hanno molta fortuna. Perché se è vero che aver ragione nel momento sbagliato non porta lontano, la storia dell’umanità – dal Vajont in poi - è lastricata di uomini e donne dalla parte del torto che hanno trovato ragione postuma.
A Feltre sta nascendo un gruppo di acquisto solidale di terreni per scongiurare la «prosecchizzazione» del territorio. Il numero due dei geologi italiani, Paolo Spagna, non si tira indietro: «Le colline dell’Alta Marca trevigiana, geologicamente giovani e poco resistenti, sono rese ancor più fragili dall’azione intensiva dell’uomo». E Tiziano Tempesta, docente di estimo all’Università di Padova, avverte: «Vedo cose, nelle colline del prosecco, che gridano vendetta. Attenti, perché stiamo andando nella direzione opposta a quella giusta: la monocoltura del prosecco può far molto male non solo all’assetto del territorio ma anche al territorio stesso». «Ma questa fama planetaria è un bene o piuttosto un rischio?», si chiede nel suo eremo di Santo Stefano di Valdobbiadene Miro Graziotin. «Non rappresenta forse anche un problema? Perché alla crescita impetuosa non è seguita un’altrettanta crescita sulle regole, sulle strategie e sul futuro di questo prezioso regalo della natura».
L'ingegner Napol
«La colpa? L’incuria dei boschi»
«La colpa non è dei vigneti, ma della mancata opera di manutenzione dei boschi. E prima di tutto di un evento eccezionale, perché una precipitazione piovosa come quella di sabato scorso non capitava da almeno 60-70 anni». Gian Pietro Napol – ingegnere civile di Vittorio Veneto, 61 anni, sposato, con due figli, titolare dello studio omonimo a Vittorio, e oggi presidente del Foiv, federazione degli ingegneri dell’Ordine del Veneto, dopo esserne stato vicepresidente per 8 anni – non mette sotto accusa i filari di Prosecco, ma gestione e manutenzione complessiva del territorio, dalla cura dei boschi a quella dei corsi d’acqua. «Un tempo d’inverno i contadini tenevano curati i boschi e soprattutto il sottobosco, raccoglievano il fogliame per approntare le lettiere delle mucche nelle stalle, tagliavano le piante morte, o in assetto precario, e facevano una costante manutenzione di scoline, fossi e corsi d'acqua», rileva Napol , «ma oggi tutto questo non avviene più, in quanto ritenuto economicamente non conveniente».
Il geologo Barazzuol
«Basta sbancamenti e più rispetto»
Doveva esserci anche lui, alla festa sotto il tendone al Molinetto della Croda. Ma un impegno improvviso lo ha indotto a rinunciare: ha vissuto ore d’ansia per gli amici, sabato. Si sono salvati. Ci è tornato subito dopo, poi domenica mattina, e ancora lunedì, come geologo incaricato dal Comune di Refrontolo di monitorare l’area della tragedia, compiere sopralluoghi e rilievi utili capire le ragioni del disastro. Diego Barazzuol (in foto), 55 anni, geologo di Farra di Soligo, non si dà pace. Destino e professione gli hanno preparato un copione pazzesco, sabato. «È incredibile, ho lo studio a due passi dal Lierza, sono nato qui, credo di conoscerlo metro per metro. In qualche estate è secco, e di solito non supera i 35-40 centimetri. Ma sabato è stata una cosa mai vista...» Lei è un tecnico. Proviamo a spiegare cos’ è accaduto? «Una pioggia incredibile, in un’ora e mezza è caduta l’acqua di un mese. Altro che secce reverse, come dicevano i nostri vecchi. L’ondata che ha spazzato via tutto era alta 4-5 metri, su un fronte di 18: ha fatto il salto di 20 metri, poi ha viaggiato a 15 chilometri all’ora. Sono 300 metri cubi al secondo di acqua e fango. Immane». Ma c’è stato l’effetto diga, sopra il molinetto? «Era un’ipotesi plausibile per spiegare una simile cascata d’acqua, ma ci siamo dovuti ricredere. Acqua e solo acqua, con l’effetto Venturi dovuto al restringimento del fronte sopra il molinetto, che ha alzato a dismisura il livello». Allora è responsabile la pioggia? I suoi colleghi accusano l’espansione delle coltivazioni del Prosecco, che indeboliscono le colline «Bisogna fare chiarezza. La pioggia è stata eccezionale, ma tutto è stato aggravato dal fatto che la terra era già pregna e satura dopo le piogge di venerdì. Non ha ricevuto nulla. L’acqua è tutta scivolata giù, in 15-20 minuti si è creata l’enorme massa poi precipitata dal molinetto. Le frane ci sono, ma anche in zone di bosco. E se è vero che le radici della vite sono deboli, nel giro di pochi anni crescono anch’esse». Prosecco innocente, dunque? «Non si può affrontare la questione nemmeno in questi termini. Il Prosecco si può piantare, ma non ovunque, perché le colline sono fragili da sempre. Non certo sui piani inclinati, dove le marne sottili, di natura argillosa, non contribuiscono alla stabilità. E non si può piantare prosecco con sbancamenti selvaggi». Ma ci sono regole? «Qualcuna sì, e ora si fanno strada principi di precauzione e norme più attente. In zone di forte pendenza, meglio rendere trattorabile un filare ogni 3 o 4, e calibrare i terrazzamenti. In ogni caso, mai raddrizzare dorsali: rispettiamo le curve delle colline, impluvi e dorsali». Tra boschi rasati e filari che spuntano ovunque, si è parlato di assalto alle colline da parte degli imprenditori del vino. «Sono un tecnico, queste definizioni non mi appartengono. Il prosecco è anche un prodotto che oggi “tira” e traina l’agroalimentare. Cinquant’anni fa c’erano più vigneti, poi c’è stato un abbandono, adesso è boom. Su queste colline non si deve esagerare». Paolo Spagna, presidente veneto dei geologi, parla di pericoli per chi vive sulle colline. E chiede monitoraggi della Pedemontana e un piano di protezione civile. «È doveroso, proprio per la fragilità di queste colline, che vanno rispettate, non sbancate. E le autorità devono assicurare risorse e fondi» Come geologi chiedete l’istituzione del geologo di zona, una sorta di superesperto che valuti ogni intervento sul territorio. «Sarebbe la soluzione per impedire scelte sbagliate in zone delicate, e risparmiare tanti soldi di interventi dopo i disastri. Ma gli vanno garantiti mezzi e poteri»