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Erasmo De Angelis
Dissesto, Italia a pezzi in attesa di una firma
10 Febbraio 2014
Post 2012
Ancora una denuncia dei risultati di decenni di malgoverno del territorio. Peccato che si cerchino le soluzioni nei pannicelli caldi, e che nel proporre le risorse necessarie si dimentichino possibili cespiti come la riduzione delle spese militari e il prelievo dei plusvalori delle rendite finanziarie e immobiliari.

Ancora una denuncia dei risultati di decenni di malgoverno del territorio. Peccato che si cerchino le soluzioni nei pannicelli caldi, e che nel proporre le risorse necessarie si dimentichino possibili cespiti come la riduzione delle spese militari e il prelievo dei plusvalori delle rendite finanziarie e immobiliari. l'Unità, 10 febbraio 2014

Diciamoci una molto scomoda verità: mai come in questi mesi inseguiamo i disastri senza avere a disposizione,come ormai da quattro anni, leve per gestire le emergenze e azionare quella politica di prevenzione che servirebbe da decenni al nostro Paese. Frane e alluvioni hanno messo in ginocchio centinaia di migliaia di italiani, migliaia di aziende, infrastrutture fondamentali, siti archeologici; bloccano linee ferroviarie verso la Francia, l’Austria, e in diverse Regioni dalla Porrettana alla Siena-Grosseto alle ferrovie calabresi. Gli eventi si aggiungono e si sovrappongono ai precedenti disastri con effetti drammatici: dal 1950 ad oggi abbiamo contato 5.459 vittime, 88 morti l’anno, e oltre 4.000 fenomeni idrogeologici devastanti, ma solo negli ultimi 12 anni hanno perso la vita 328 persone e dai 100 eventi l’anno registrati fino al 2006 siamo passati al picco di 351 del 2013 e ai 110 nei primi venti giorni del 2014.

Il danno economico per lo Stato è una voragine: dal dopoguerra ad oggi, stacchiamo ogni anno un assegno di circa 5 miliardi per riparare i danni e senza fare un passo avanti per prevenirli, anzi con incredibili salti indietro visto il consumo del suolo da record mondiale che ha reso i nostri territori talmente fragili che franano, crollano e si allagano con un ritmo impressionante e direttamente proporzionale al livello di dissesto. Il riscatto della politica doveva e poteva passare dalla Legge di Stabilità 2014, ma l’obiettivo è fallito miseramente fra troppe disattenzioni e la scure della Ragioneria di Stato e del Ministero delle Finanze, con il Parlamento che dal piano di 900 milioni l’anno proposto dal ministro Orlando, scesi a 500 proposti all’unanimità dalla Commissione Ambiente della Camera presieduta da Ermete Realacci, ha fatto crollare l’investimento più utile e urgente ad appena 30 milioni per l’anno in corso più altri 50 per il 2015 e altri 100 per il 2016.

Il nulla, di fronte al dissesto nell’81,9% dei 6.633 Comuni, dove vivono 5,8 milioni di italiani (il 9,6% della popolazione nazionale, con 1,2 milioni di edifici, decine di migliaia di industrie e un patrimonio storico e culturale inestimabile). È questo il momento di crederci e fare sul serio. Abbiamo il dovere morale prima che politico di far partire finalmente quel piano di difesa del suolo, ma nelle prossime settimane e mettendo la parola fine all’incuria cronica e al dominio della burocrazia che vede nemmeno il 4% degli interventi anti-dissesto finanziati negli ultimi 4 anni conclusi e 1675 interventi sul territorio italiano con 1.100 cantieri fermi. Mentre l’Italia cade a pezzi si aprono tavoli, concertazioni e spesso si aspettano firme, timbri e progettazioni.

Ci sono tutte le condizioni per crederci e stabilire un programma serio e coraggioso, in cima al patto di governo, per portare sicurezza a milioni di italiani guardando ai rischi futuri del global warming con scenari non più sottovalutabili, avviando uno sforzo gigantesco e quasi da New Deal. Ci sarebbe anche un motivo economico e di risparmio: un euro speso in prevenzione fa risparmiare fino a 100 euro in riparazione dei danni.

Come è possibile? Intanto con una nuova definizione istituzionale delle competenze per sbloccare le opere ferme con competenze di cassa e dire finalmente basta alla fitta giungla burocratica di 3600 enti e soggetti e centri decisionali spesso sovrapposti e contrapposti che si occupano a vario titolo di dissesto idrogeologico, alle prese con 1300 norme leggi e regolamenti statali e regionali emanate dopo la legge quadro del 1989. È diventato un altro argine alla prevenzione. Si può agire con modalità diverse: costituendo un Fondo nazionale e dedicando allo scopo una robusta Struttura di Missione come quella esistente (ed efficiente) del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, e inserendo tutte le opere in Legge Obiettivo per snellire le procedure (anche di VIA), agevolando progettazioni e direzioni lavori anche attraverso i Provveditorati alle Opere Pubbliche; creando una Agenzia nazionale o utilizzando la stessa Protezione Civile che negli ultimi anni è stata largamente depotenziata. Sarebbe persino possibile gestire risorse fuori dal Patto di stabilità per la prevenzione. Anzi, i vincoli potevano già essere sforati ma il tema non è mai stato oggetto di negoziazione con l’Europa, disposta a darci una mano e frenata dal governo tecnico di Monti, come conferma l’ex ministro Clini.

L’Europa, infatti, dovrebbe permetterci di sforare in presenza di un progetto serio, con procedure attentamente vigilate dall’Europa per evitare nuove cricche e vergognosi scandali. Altre due leve da azionare subito sono poi quelle dei Fondi europei 2014-2020 per ritagliare una quota dei 57 miliardi co-finanziati e l’utilizzo del Fondo Revoche (di opere e interventi fermi e non realizzabili).

Si può anche discutere seriamente sul prelievo di una quota di scopo aggiuntiva dalle tariffe idriche visto che le aziende sono tutte di proprietà e controllate dai Comuni: basterebbero solo 2 euro in più a bolletta per garantire circa 1 miliardo l’anno. È l’ora di introdurre anche un’assicurazione obbligatoria per la copertura dei rischi, e rafforzare il divieto di ogni uso del suolo nelle zone classificate a rischio idrogeologico molto elevato. L’unica certezza è che non possiamo più né star fermi, né rinviare, né piangere lacrime di coccodrillo. Perché nessun Comune è oggi in grado di misurarsi da solo con eventi che un tempo avevano cadenza duecentennale e oggi sono disastri ordinari.

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