Norberto Bobbio ovvero il significato di essere laico. È difficile frenare l’emozione per la morte di un uomo che, protagonista storico della vita intellettuale e morale di un Paese e voce fra le più grandi della cultura europea di mezzo secolo, è anche una persona cui ci legano affetti, ricordi, momenti di vita vissuta, il debito per la chiarezza con cui ci ha aiutati a trovare e a percorrere con più sicurezza la nostra strada. Norberto Bobbio ci lascia a un’età veneranda, in cui la morte rientra nella grande legge delle cose contro la quale è querulo protestare, ma ci lascia in un momento in cui il nostro Paese e il clima culturale in genere avrebbero bisogno della sua chiarezza, ancor più che in passato.
Bobbio è un grande laico, non nel senso stupido e scorretto in cui viene correntemente usata questa parola, quasi significasse l’opposto di credente o religioso. Bobbio ha insegnato che laicità non è un credo filosofico specifico, ma la capacità di distinguere le sfere delle diverse competenze, ciò che spetta alla Chiesa da ciò che spetta allo Stato, ciò che appartiene alla morale da ciò che deve essere regolato dal diritto, ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che è oggetto di fede, a prescindere dall’adesione o meno a tale fede.
Pochissimi come Bobbio hanno testimoniato la laicità quale attitudine critica ad articolare le proprie idee, religiose o irreligiose, secondo principi logici non condizionati da alcuna fede; la cultura - anche quella cattolica - è sempre laica, così come la dimostrazione di un teorema anche se fatta da un santo della Chiesa obbedisce alle leggi della matematica e non ai paragrafi di un catechismo. Bobbio incarna questa laicità intesa quale dubbio rivolto pure alle proprie certezze, capacità di aderire a un’idea senza restarne succubi, libertà dalla smania di idolatrare come di dissacrare, moralità umanistica che si oppone sia al fazioso moralismo inacidito sia alla pacchiana disinvoltura etica; laicità che distingue il pensiero e l’autentico sentimento - sempre rigoroso - dal fanatismo ideologico e dalle viscerale reazioni emotive, ancor più funeste del dogmatismo.
Tutto questo Norberto Bobbio l’ha vissuto, testimoniato e difeso sui fronti più diversi: con i suoi memorabili studi filosofici e giuridici, che fanno di lui un raro maestro, un vero classico, di cui altri parleranno a fondo con la dovuta competenza; col suo insegnamento universitario in quella nostra grande Torino che è stata capitale di una possibile Italia più civile; con la sua milizia etico-politica e la sua presenza generosa e creativa nella vita culturale. Si potrebbero citare molti esempi di questo suo servizio. Vorrei ricordarne due, apparentemente minori rispetto a tante battaglie di cinquant’anni e più di storia italiana. Uno è la sua testimonianza appassionata e lucida - da vero laico, in un clima di intollerante faziosità abortista - della realtà della vita nascente e dei conseguenti diritti del nascituro.
Un altro è la ferma, malinconica e impopolare chiarezza con la quale - in un momento in cui il caso di una bambina adottata o affiliata irregolarmente e contesa da famiglie diverse aveva scatenato una psicosi collettiva di sentimentalismo insofferente della legge - aveva rivendicato, contro la marea vincente dell’enfasi strappalacrime, la necessità di rispettare la legge, con tutti i prosaici e talora gretti limiti che ciò spesso comporta. Ma andrebbero ricordate tante altre battaglie, ad esempio la difesa della scuola pubblica contro gli indecenti favori a quelle private.
La sua lucidità concettuale, scolpita nel profilo grifagno, si nutriva di un cuore sensibile e generoso, tanto capace di affetto, di amicizia e di ironia. Proprio per questo egli ha difeso i «valori freddi» della democrazia - l’esercizio del voto, le formali garanzie giuridiche, l’osservanza delle leggi e delle regole, i principi logici - sapendo che sono essi a permettere agli uomini, a ogni individuo in carne ed ossa, di coltivare personalmente, liberamente i propri valori e sentimenti «caldi», l’amicizia, gli affetti, l’amore, le passioni e le predilezioni d’ogni genere. Questi valori caldi sembrano e sono più concreti del suffragio universale, della divisione dei poteri o degli articoli di un codice, ma devono all’osservanza di quei principi la possibilità di essere completamente coltivati e vissuti.
Oggi c’è più che mai bisogno di personalità come Norberto Bobbio, in una temperie culturale assai poco laica, in cui si confondono e pasticciano politica, morale, diritto e pappa del cuore e trionfa una sgrammaticatura linguistica, concettuale ed etica, che mette spesso il soggetto all’accusativo e il complemento oggetto al nominativo, scambiando così i ruoli tra le vittime ed i colpevoli; in cui non ci si scandalizza di chi scambia il governo della cosa pubblica col perseguimento dell’interesse privato, regredendo ad una barbarie premoderna e cancellando secoli di civiltà liberale, che aveva lavorato controlli e garanzie per impedire abusi di potere.
Non è laico fare una guerra - giusta o sbagliata, opportuna o inopportuna - senza dichiararla né trasformarla in una specie di guerra morale o religiosa, scandalizzandosi d’incontrare, in questo intervento armato, resistenze che in un ottica di guerra è legittimo cercare di stroncare ma di cui in un’ottica di guerra è curioso stupirsi. Non è laico confondere le colpe morali o i delitti degli avversari con le loro responsabilità politiche, che sono altra cosa, né con quelle penali e civili, che sono ancora un’altra cosa. Mai come oggi è necessaria la parola di un maestro come Bobbio, maestro nell’individuare i rapporti e le distinzioni fra diritto e morale, e fra morale e politica, la cui confusione - che porta così spesso ad aberranti ingiustizie - sembra essere sempre più coltivata.
Quando Ceausescu, il satrapo romeno, cadde, poteva essere comprensibile che qualcuno ritenesse necessaria, in quel momento, la sua eliminazione, ma assumendosi allora la responsabilità di questa terribile sospensione del diritto, anziché stimolare una tragicomica legalità come il processo farsa in cui il suo avvocato difensore chiede per lui la pena di morte. Uomini come Norberto Bobbio aiutano a resistere a questo crescente analfabetismo concettuale e morale, che somma litri a chili e ragiona o meglio induce a ragionare con le viscere anziché con la testa.
Bobbio non ha combattuto il fascismo con le armi in pugno, come un Valiani, non era un eroe, ma non si è mai atteggiato a tale e la sua lezione morale di chiarezza non è per questo minore. Ha avuto, com’è inevitabile e fisiologico, delle critiche, quando l’egemone cultura antifascista - di cui egli era uno dei più alti rappresentanti e che ha avuto la sua grandezza ma anche certi limiti - è entrata in crisi dinanzi a una realtà italiana radicalmente cambiata. Che nel clima spesso becero-giulivo di questi nostri anni ricevesse anche dei cachinni era prevedibile. Non sarebbe da laici darvi troppa importanza.