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Paul Krugman
Detroit, la nuova Grecia
29 Luglio 2013
Post 2012
Un articolo finalmente tradotto in italiano dal blog del premio Nobel per l'economia, ribadisce la natura complessa della bancarotta nell'ex capitale dell'auto: metafora della crisi finanziaria e della cattiva governance attraverso la quale si crede (o si vuol far credere) di uscirne.

Un articolo finalmente tradotto in italiano dal blog del premio Nobel per l'economia, ribadisce la natura complessa della bancarotta nell'ex capitale dell'auto: metafora della crisi finanziaria e della cattiva governance attraverso la quale si crede (o si vuol far credere) di uscirne. La Repubblica, 29 luglio 2013, postilla (f.b.)

QUANDO Detroit ha dichiarato fallimento, o quanto meno ha cercato di farlo – la situazione si è complicata dal punto di vista legale – , so di non essere stato l’unico economista ad avere avuto una sensazione sconfortante sul probabile impatto che ciò avrà sul nostro dibattito politico. Saremo di nuovo punto e daccapo come la Grecia? Naturalmente, ad alcuni piacerebbe che accadesse una cosa del genere. Quindi cerchiamo di orientare questa conversazione nella direzione giusta, prima che sia troppo tardi.

Di che cosa sto parlando? Come forse ricorderete, alcuni anni fa la Grecia è precipitata nella crisi fiscale. Si è trattato di un evento negativo, ma avrebbe dovuto avere effetti limitati sul resto del mondo. L’economia greca, dopo tutto, è alquanto piccola (in effetti è una volta e mezzo circa quella dell’area metropolitana di Detroit). Purtroppo, molti politici e policy maker hanno sfruttato proprio la crisi greca per fare cambiare direzione al dibattito, cambiando l’oggetto dalla creazione di posti di lavoro all’integrità fiscale.

Beh, in verità quello della Grecia era un caso molto speciale, dal quale si potevano trarre pochi insegnamenti, forse nessuno, per la politica economica nel suo complesso. E perfino in Grecia i deficit di bilancio erano soltanto una parte del problema. Ciò nondimeno, per qualche tempo il dibattito politico in tutto il mondo occidentale è stato completamente “ellenizzato”: tutti erano la Grecia. Tutti stavano come minimo per trasformarsi nella Grecia. E questa errata convinzione ha inferto enormi danni alle prospettive di una ripresa economica.

Quindi ora gli irascibili del deficit hanno un nuovo caso da fraintendere. Non conta che la prevista crisi fiscale statunitense abbia ripetutamente mancato di materializzarsi; che il brusco calo nei previsti livelli di indebitamento degli Stati Uniti e il modo col quale buona parte della ricerca che gli irascibili utilizzavano per legittimare i loro rimproveri abbiano perso completamente credito… continuiamo pure a ossessionarci per i budget municipali e gli obblighidi spesa per le pensioni statali! Oppure, anzi, lasciamo perdere.

Le sventure di Detroit sono la soglia oltre la quale inizia la crisi nazionale delle pensioni pubbliche? No. Le pensioni statali e locali indubbiamente sono sotto-finanziate, e gli esperti del Boston College stimano che la carenza complessiva di finanziamenti sia nell’ordine dei mille miliardi. Ma molti governi stanno prendendo vari provvedimenti per far fronte a quelle carenze. Questi sforzi, tuttavia, non sono ancora sufficienti. Le stime del Boston College indicano che quest’anno i contributi complessivi per le pensioni saranno inferiori di circa 25 miliardi di dollari rispetto a quello che dovrebbero essere. In un’economia da 16mila miliardi di dollari, tuttavia, questa cifra non è esorbitante, e anche se si facessero stime ancora più pessimistiche, come alcuni contabili – ma non tutti – dicono che si dovrebbe fare, continuerebbe a non essere una cifra abnorme.

Ma allora, Detroit è stata soltanto irresponsabile? Ancora una volta no. Detroit sembra aver avuto una governance particolarmente cattiva, ma in linea di massima la stragrande maggioranza della città è stata soltanto vittima innocente delle forze del mercato.

Come? Le forze di mercato fanno vittime? Naturale. Certo. Dopo tutto, i fanatici del libero mercato adorano citare Joseph Schumpeter quando parla dell’inevitabilità della “distruzione creativa”, ma sia loro sia l’opinione pubblica che dà loro retta immutabilmente si dipingono come distruttori creativi, non come creativamente distrutti. Beh, indovinate un po’! C’è sempre qualcuno che finisce coll’essere l’equivalente moderno di un produttore di frustini per calessi, e quel qualcuno potreste essere voi.

Talvolta i perdenti di un cambiamento economico sono individui le cui competenze diventano superflue. Talaltra sono aziende che servono nicchie di mercato che vengono a sparire. E qualche altra volta ancora sono città intere, che hanno perso il posto che occupavano nell’ecosistema economico. Il declino può accadere. Certo, nel caso di Detroit la questione pare essere stata notevolmente aggravata dall’inefficienza politica e sociale. Una delle conseguenze di questa inefficienza è stato il grave caso di irregolarità nello sviluppo dei posti di lavoro nell’area metropolitana, con alcuni posti di lavoro che abbandonavano il cuore urbano anche quando l’occupazione cresceva nella Detroit più ampiamente intesa, e anche quando altre città assistevano a una sorta di rinascita del centro città. Meno di un quarto dei posti di lavoro disponibili si trovano nell’area metropolitana di Detroit in un raggio di sedici chilometri dal tradizionale quartiere centrale degli affari. Nell’intera area di Pittsburgh, altro colosso industriale del passato i cui giorni di gloria sono ormai alle spalle, il numero corrispondente di posti di lavoro in centro è di oltre il 50 per cento. E la relativa vitalità del nucleo centrale di Pittsburgh può contribuire a spiegare perché l’ex capitale dell’acciaio stia dando segni di rinascita, mentre Detroit continua a sprofondare.

Di conseguenza, cerchiamo in tutti i modi di discutere seriamente di come le città possono gestire la transizione quando le loro tradizionali forme di vantaggio concorrenziale vengono meno. Cerchiamo anche di discutere con altrettanta serietà dei nostri obblighi, come nazione, nei confronti dei nostri concittadini che hanno avuto la sfortuna di trovarsi a vivere e a lavorare nel posto sbagliato nel momento sbagliato, perché, come ho già detto, il declino può accadere, e alcune economie regionali finiranno col contrarsi, forse anche drasticamente, a prescindere da quello che faremo.

La cosa più importante è non lasciare che questa discussione sia dirottata, come nel caso della Grecia. Ci sono molte persone influenti e autorevoli che vorrebbero farvi credere che il tracollo di Detroit è in primo luogo dovuto all’irresponsabilità fiscale e/o all’avidità dei dipendenti pubblici. Non è così. In grandissima parte, è soltanto una delle cose che accadono, ogni tanto, in un’economia in costante cambiamento.

Traduzione di Anna Bissanti © 2013, The New York Times

postilla

Val la pena subito richiamare come quella dell'inefficienza della gestione pubblica (pensioni, servizi ecc.) sia stata immediatamente la tesi dei commentatori della destra Repubblicana e dei liberisti a oltranza, ripresi del tutto acriticamente anche dal vicedirettore e corrispondente dagli Usa per il Corriere della Sera, Massimo Gaggi, che non ha fatto un bel servizio all'informazione presentando la bancarotta di Detroit secondo una prospettiva parziale e faziosa. Purtroppo questo contributo di Krugman è solo uno dei tanti che ha dedicato all'argomento, ma pur se solo accennati in coda i motivi della grave crisi urbana sono ribaditi: dispersione insediativa, frammentazione circoscrizionale (se ne ricordino gli entusiasti abolitori nostrani delle Province), e naturalmente il sistema fiscale, che applica in forma abbastanza estrema certe idee molto in voga anche da noi, delle “tasse che devono restare sul territorio”. In pratica è successo che lo sprawl suburbano ha portato fuori dai limiti amministrativi della città le famiglie e le imprese che pagano le tasse, lasciando invece abbondanza di vuoti urbani e poveracci nullatenenti. L'eventuale inefficienza pubblica al massimo peggiora la situazione, non la crea. Sbagliato anche lo slogan (usato in un titolo da Krugman e rilanciato anche qui da noi) secondo cui è “colpa dello sprawl”: no, a Houston per esempio non sarebbe successo, per via della circoscrizione amministrativa più ampia che consente sia di disperdersi, sia di continuare a versare le tasse nei medesimi forzieri. Insomma prima di spararle grosse bisognerebbe pensare, anche se non è tanto di moda (f.b.)

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