Come si studia anche a scuola, o almeno si dovrebbe studiare quando ci si prepara in discipline del territorio, una delle particolarità dell’urbanistica americana è quella di avere profonde radici naturali. A differenza della tradizione europea di intervento socio-sanitario per migliorare le condizioni abitative delle masse inurbate, o di quella specificamente italiana di dialettica fra città antiche e vita moderna, oltre oceano esiste il contributo fondante e fondamentale della landscape architecture, da Andrew Jackson Downing attraverso Frederick Law Olmsted Sr. fino a John Nolen e all’interdisciplinarità di Clarence Stein, Lewis Mumford, Benton MacKaye.
Ce lo ribadiscono spesso mostrandoci i percorsi sinuosi delle stradine a cul-de-sac che si inoltrano fra dune erbose, siepi, alberature, dove le case unifamiliari paiono solo un comodo guscio per proteggere la famiglia dalle intemperie, in un ambiente che pur fortemente artificioso tenta il più possibile di rispettare o riprodurre uno spazio naturale. E non si capisce poi benissimo come mai il famoso progetto di Seaside in Florida, quello che ha lanciato nel firmamento archistar lo studio DPZ di Andrés Duany dopo essere stato usato come sfondo del film The Truman Show, si distingua da tutti gli altri. In fondo il modello sembrerebbe identico, salvo qualche dettaglio.
E invece no: a Seaside c’è qualcosa che è silenziosamente ma quasi totalmente sparito dalla produzione corrente di planned communities, ovvero i quartieri suburbani chiavi in mano dove abita una quota maggioritaria dei cittadini Usa, cioè un certo rapporto con la natura. Altrove, questo rapporto è del tutto finto e anzi di pura aggressione, dagli scarichi delle auto indispensabili per fare qualunque cosa, alla materia prima stessa di cui quei simil-villaggi sono fatti, inclusa terra e piante. Per capirlo con un impressionante colpo d’occhio, basta guardare questa serie di immagini su AtlanticCities. (f.b.)