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Giorgio Bocca
Dall’abusivismo alla deregulation
23 Marzo 2009
La barbara edilizia di Berlusconi
“Un esercito di servi che nega il regime mentre lo serve, e le domande angosciose degli onesti: che ne sarà dei nostri figli in questo paese senza decenza e senza pudore?” La Repubblica, 14 marzo 2009

Tutte le potentissime voci del partito del fare annunciano il piano casa del premier Silvio Berlusconi e del suo avvocato di fiducia Niccolò Ghedini. Si tratta, come dicono quelli che sanno di economia e di finanza, di una "deregulation", vale a dire di una liberazione dai lacci e lacciuoli che soffocano la libera iniziativa privata.

Per quel che ne so delle precedenti deregulation all’italiana esse non hanno vie di ritorno: se fanno dei guasti sono irreparabili.

Mi provo a ricordarne alcune. Nei lontani anni Sessanta come cronista feci un’inchiesta sulle vacanze dei milanesi, andai a vedere cosa facevano nel golfo del Tigullio e usai un neologismo che ebbe la consacrazione dei dizionari: "rapallizzazione". Per dire un’urbanizzazione senza regole e misura, banchi compatti di case e casoni che dal mare risalivano le valli e coprivano gli oliveti. L’inizio della distruzione delle due Ligurie di Levante e di Ponente lungo le quali oggi si corre su un’autostrada da cui il mare è invisibile tra cartelloni pubblicitari e antisuono. Un’altra esperienza di deregulation all’italiana la feci dopo l’alluvione del Polesine. Cercai di capire le cause e mi dissero che i corsi d’acqua, anche i più piccoli, devono avere la loro "fascia di pertinenza" o di "divagazione", ma che migliaia di sindaci democraticamente eletti, per guadagnare o conservare i consensi popolari, per non opporsi al partito del fare, avevano riempito di case e di fattorie le terre di esondanza fra gli argini e che il guasto era irreparabile perché nessuno era in grado di assumersi l’onere della distruzione delle costruzioni abusive.

Poi vennero gli anni del miracolo economico e della industrializzazione trionfante e andai a vederne gli effetti a Torino, dove per costruire fabbriche, magazzini, mercati, strade il terreno tra il Po e la Dora era stato coperto da uno strato impermeabile di cemento e asfalto, per cui l’acqua non scendeva nel terreno ma si riversava nei fiumi e, come nel gioco del domino, per cementificazioni successive si arrivava fino al mare in una catena inevitabile di sciagure.

Mi sono occupato del popolo del fare e della sua tendenza ad agire alle spalle della comunità quando il ministro Ruffolo cercò di dare il via alla bonifica della valle del Lambro e di altri fiumi e fiumiciattoli dove gli operosi imprenditori "deregolati" versavano i loro veleni. Ne ricordo uno ad Agrate Brianza che diceva di aver inventato il modo per ricavar benzina dai rifiuti industriali e invitava i giornalisti a visitare la sua fabbrica piena di alambicchi giganteschi. Poi si seppe che faceva i soldi liberandosi per conto dei fabbricanti della zona dei rifiuti versandoli nei canali d’irrigazione o in una cisterna che perdeva sugli asfalti stradali. Oggi nel bacino del Lambro l’inquinamento arriva a trentadue metri di profondità. Irrecuperabile.

Con l’odierna deregulation, ci informa il governo, «si semplifica l’attività edilizia con l’abolizione dei permessi di costruzione sostituiti da un certificato di costruzione firmato dal progettista, il quale, sotto la sua responsabilità, deve accertarsi della piena regolarità delle opere». Se abbiamo capito bene il rigoroso controllo dell’edilizia pubblica e privata verrebbe affidato proprio a chi è esposto alle tentazioni del facile guadagno e della corruzione, a chi in ogni occasione mostra la sua avversione per lo stato di diritto, per la giustizia eguale per tutti. A Berlusconi non si può disconoscere il coraggio dell’impudenza e il gusto della provocazione. Se non si possiedono come si fa decentemente a proporre un controllo dell’edilizia, cioè di una parte importantissima dell’economia, a un ceto dirigente che ha praticamente accettato le mafie come forma di governo? Come è possibile offrire il controllo della nostra economia, una sorta di autogoverno, a chi ogni settimana riempie le cronache criminali e giudiziarie: giudici che conducono una guerra per bande per assicurarsi il controllo di un palazzo di giustizia, professori universitari che violano le leggi per questioni di potere, operazioni di salute pubblica come lo sgombero dell’immondizia nelle grandi città possibili solo con la complicità della Camorra, ai prezzi che essa richiede. Interi governi regionali in Abruzzo, in Sicilia, in Calabria, nelle Puglie coinvolti nel malgoverno, uso demenziale del pubblico denaro per opere faraoniche come il ponte sullo stretto, o come la dissipazione senza fondo della Salerno-Reggio Calabria, il continuo rifacimento di opere sbagliate o di materiali scadenti. Un esercito di servi che nega il regime mentre lo serve, e le domande angosciose degli onesti: che ne sarà dei nostri figli in questo paese senza decenza e senza pudore?

Il piano casa come una sanatoria di fatto di tutte le violazioni passate, come premio ai disonesti. Dicono che gli italiani non abbiano il senso dello stato. E come potrebbero averlo se questi sono i governi?

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