Le Associazioni qui rappresentate hanno più volte denunciato il processo di manomissione, di cementificazione e di imbruttimento dei paesaggi italiani, pur in presenza di taluni atti (le demolizioni dell’ex Hotel Fuenti e di Punta Perotti, l’approvazione del Codice per i beni culturali e paesaggistici) che sembravano aprire una fase di rinnovata, consapevole e condivisa tutela di questo bene fondamentale. Esse rivolgono ora un pressante appello al governo, al parlamento, al presidente della Repubblica affinché il programma per l’edilizia enunciato non venga, anzitutto, approvato nella forma sbrigativa del decreto legge con cui si impone alle Camere di ratificare un provvedimento tanto complesso senza, di fatto, discuterlo. Mentre, trattandosi di principi fondamentali nella materia di governo del territorio (oggetto di legislazione concorrente di Stato e Regioni), si deve escludere che ricorra il caso straordinario di necessità ed urgenza che legittima il Governo all’assunzione di potestà legislativa. Tanto più se fossero previste modifiche peggiorative al Codice dei beni culturali e del paesaggio (in materia dunque che ha copertura nell’art. 9 della Costituzione) con la più volte annunciata esclusione della efficacia vincolante del parere rimesso alle Soprintendenze sugli interventi in aree vincolate.
Osserviamo nel merito che la semplificazione delle procedure edilizie non può spingersi fino all’abolizione del permesso di costruire (garanzia insopprimibile di legalità nell’edilizia) e alla sua sostituzione con una spicciativa autocertificazione del progettista, mentre agli uffici tecnici comunali sono date limitatissime facoltà di contestazione. Contro il principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione e in un evidente squilibrio di forze fra gli uffici comunali e chi rappresenta corposi interessi privati.
Molto rischioso, nella stessa direzione, anche l’ulteriore allargamento della già discutibile Dichiarazione Inizio Attività (DIA), nonché l’inclusione di ogni sorta di interventi fra le opere di “conservazione” e l’ammissione ai benefici della nuova legge dei Comuni ancora privi di strumenti urbanistici i quali semmai vanno, in vario modo, sollecitati a dotarsene. Mentre del tutto improponibile è la prevista assoluta liberalizzazione delle opere interrate, accessorie alla residenza, e nella elevatissima misura del 20 per cento del volume dei fabbricati esistenti, quando invece l’edificazione sotterranea esige rigorosi controlli di fattibilità e sicurezza e, specie nelle aree urbane storiche, verifiche preventive di compatibilità con la tutela archeologica. La quale va mantenuta salda e forte, in capo alle Soprintendenze e non disarticolata con continui commissariamenti (vedi Pompei, ed ora Roma, addirittura l’intera sua Provincia) per ragioni di “protezione civile” che svuotano le Soprintendenze stesse e rimandano nel mondo l’immagine di un’Italia disastrata.
La ristrutturazione e il recupero di fabbricati e la riqualificazione di interi quartieri semi-periferici e periferici precariamente edificati nell’ultimo dopoguerra possono essere attuati soltanto con piani pubblici, attenti e rigorosi, elaborati d’intesa fra Regioni e Comuni, col controllo degli organismi della tutela. Piani i quali tengano conto non del solo mercato ma di una domanda di alloggi popolari e sociali sin qui largamente insoddisfatta, con un intervento pubblico precipitato all’1 per cento.
Tali piani di recupero possono prevedere, in sede regionale, anche premi in cubatura ma non certo nella misura preventivata del 20 per cento. Allo stesso modo un premio generalizzato pari al 10 per cento non può venire regalato indiscriminatamente a chiunque voglia aggiungere altra edilizia nelle zone agricole già tanto invase e di per sé preziose come bene primario, con l’ulteriore effetto di grave alterazione nelle tipologie delle superstiti architetture rurali di tradizione.
Il Paese ha bisognodi una legge-quadro la quale ponga le Regioni in condizione di legiferare in modo snello e insieme rigoroso, valorizzando il paesaggio, i centri storici, i parchi nazionali e regionali (minacciati invece da nuove norme a favore della caccia e a danno dell’avifauna), riqualificando le nostre periferie, potenziando il trasporto locale su rotaia, dando risposte serie ad una nuova domanda di edilizia economica e sociale anche attraverso il recupero attento del patrimonio esistente ed evitando il più possibile ogni nuovo consumo di suoli liberi, agricoli e forestali. Che si stanno infatti diffusamente impoverendo, con danni irreversibili al bene primario del paesaggio: dalla collina veneta, all’Agro Romano (dove la superficie agro-forestale è stata più che dimezzata fra il 1961 e il 2000), alla costa siciliana.
Assotecnici, Ass. R. Bianchi Bandinelli, Comitato per la Bellezza, eddyburg, Italia Nostra, Legambiente