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Teri Karush Rogers
Ciao Ciao, Sobborghi
20 Agosto 2006
Articoli del 2006-2007
Campionario di errori di valutazione: i "sopravvissuti" a brevi esperienze suburbane. The New York Times, 7 gennaio 2006 (f.b.)

Titolo originale: Goodbye Suburbs – Traduzione di Fabrizio Bottini

Per molte famiglie di New York City, gennaio è il mese più crudele. È il momento in cui si diventa gravemente claustrofobici in un appartamento stipato di bambini e del fitto sottobosco di plastica in cui prosperano. È anche il momento, per molti, di ponderare sull’assurdità (o impossibilità) di pagare migliaia e migliaia di dollari per la scuola privata, di cui si avvicina la rata del semestre.

Ma chi sta progettando una rapida fuga verso il suburbio (spazio! scuole! spazio!) forse possono prendere in considerazione l’esperienza di altri che l’hanno fatto prima di loro, sono per tornarsene indietro nel giro di un anno.

”Non me ne andrò più dalla città; sono terrorizzata dall’idea di lasciare la città” dice Anna Hillen, 42 anni, riassumendo il sentimento che prevale fra i rimpatriati sentiti per questo articolo.

La signora Hillen, il marito, Gerry McConnell, 42 anni, e il figlio Duncan, che aveva un anno all’epoca, hanno lasciato libero il loro loft di TriBeCa nel dicembre 2001, poco dopo gli attentati di settembre. Hanno acquistato una “McMansion” apppena costruita di 500 metri quadrati su oltre un ettaro di terreno nell’enclave di lusso semirurale di Westchester a Pound Ridge, New York, non lontano dalle case di campagna che avevano già affittato.

”Era uno spazio gigantesco, riecheggiante” dice la signora Hillen, e aggiunge “Era magnifico avere tutto quello spazio, ma non l’abbiamo mai usato”, salvo per radunare la famiglia allargata durante le vacanze.

Una volta sistemati, la signora Hillen, mamma a tempo pieno, ha tentato una infruttuosa caccia alla ricerca di compagnia. “Là fuori, bisogna faticare per stare con la gente” dice. “In un anno, sono riuscita un sola volta a trovare un compagno di giochi per il bambino. Ci siamo iscritti al Newcomers Club, ma hanno richiamato solo quando avevamo già messo in vendita al casa. Si cerca una biblioteca per leggere e non ce n’é”. Commenta, “Sei una solitaria casalinga disperata senza niente da fare”.

Anche gli spazi da gioco erano desolatamente vuoti. “E nelle rare occasioni in cui c’era qualcuno e si tentava di attaccare discorso – racconta – letteralmente se ne andavano. E non incoraggiavano i bambini a giocare insieme. Siamo rimasti scioccati”.

Passava in città tutti i mercoledì. A casa, si teneva occupata col giardinaggio. Ma, racconta, “si può far giardinaggio solo per un certo numero di ore al giorno. E Duncan: voglio dire, non si pensa in genere che a meno di due anni abbiano una personalità, ma ce l’hanno. Non voleva uscire. Era estate, stavo fuori ad aspettarlo con un ghiacciolo per andare ‘Su, tesoro, ti do il ghiacciolo se vieni fuori’, ma lui se ne stava sulla porta”.

Dopo nove mesi, ha convinto il marito – che si stava godendo il suo pendolarismo ridotto al lavoro nei servizi finanziari a Greenwich, Connecticut – a vendere al casa. “L’estate era venuta e andata, e io pensavo a un altro inverno da passare completamente sola” dice, ricordando tra le altre preoccupazioni le frequenti interruzioni di corrente, insieme ai ristoranti così così e alla mancanza di consegne a domicilio delle provviste. “È stato molto comprensivo, pover’uomo”.

Entro dicembre 2002la casa era stata venduta in perdita, i mobili messi via, e la famiglia di nuovo sistemata nel vecchio appartamento da 150 metri quadrati, due camere, tre bagni a TriBeCa, che non avevano venduto.

Val la pena notare che i sobborghi sono popolati da innumerevoli ex cittadini soddisfatti, con pochi o nessun ripensamento. Le coppie intervistate, che si aspettavano di aggiungersi a quei ranghi, raccontano come il motivo per muoversi era legato alla vaga idea che si trattasse di una cosa necessaria per crescere dei bambini: un normale passaggio da una fase della vita a un’altra, nel quale avrebbero trovato compagnia in abbondanza.

”Tutti dicono che quando hai un bambino te ne vai dalla città” dice Ronn Torossian, 31 anni, presidente e direttore della 5W Public Relations a Manhattan. In luglio, insieme a sua moglie Zhana – e alla figlia di un anno – ha venduto il grande monolocale all’angolo fra West 68th Street e Broadway per trasferirsi in una casa da oltre 300 mq su due livelli a Englewood Cliffs, New Jersey, vicino a degli amici. Aiutati da Ilan Bracha, broker alla Prudential Douglas Elliman, che aveva venduto il loro appartamento sulla West 68th, in dicembre sono tornati ad abitare in affitto un isolato più a sud da dove erano partiti.

”È come essere morti, là fuori” racconta con la sua parlata veloce il signor Torossian, nativo del Bronx che ha anche resistito ai ritmi relativamente tranquilli, come le consegne a domicilio che chiudono alle 9 di sera, o il giornale consegnato alle 7,30 del mattino.

”Non posso aspettare 15 minuti in una panetteria per avere due panini” dice. “non è possibile che ci sia gente che mi guarda come se fossi impazzito se entro e metto una moneta sul tavolo per uscirmene col giornale. Vado a casa e c’è gente che falcia il prato ogni cinque minuti. Sembrano persone normali, ma davvero passano ore su quel prato”.

Quello che gli ha fatto rifare il gran salto alla fine, dice, è il “dramma” degli spostamenti in auto per andare al lavoro a Midtown. Alle cinque del mattino, quando normalmente Torossian si spostava per evitare il traffico, ci volevano anche solo 17 minuti. Ma tornare richiedeva tre o quattro volte tanto (due ore o più col tempo cattivo), in parte a causa dell’ingorgo nel parcheggio a Midtown. “Chiamare prima non serve perché tutti escono alla stessa ora” dice. “Se non si da’ una mancia ai ragazzi, si devono aspettare 15-20 minuti per la consegna della macchina”. Dice di aver speso cento dollari in una settimana, in mance.

Tutti i suoi fumi sono svaporati dal ritorno in città lo scorso mese. “Mi sento come se stessi camminando sull’acqua” dice. “È un livello di stress completamente eliminato dalla mia vita. Esco molto di più, mi rimane più tempo da passare con mia figlia, è meno stressante al lavoro. È fenomenale”.

Altri di ritorno sottolineano come oltre i confini della città i posti non siano quello che sembrano.

”Si va in queste piccole cittadine che sembrano affascinanti e dolci, con tutti i piccoli bei negozi” racconta Brian Lover, che ha rimesso in vendita la sua casa di West Orange, New Jersey solo tre mesi dopo essersi trasferito lì. “Ma credo che quando si sta a tempo pieno in queste zone, i negozi non appaiono più tanto carini. E quei ristoranti nei paraggi che sembravano grandiosi, adesso si sa quanto siano cattivi, in realtà”.

Lover, 42 anni, vicepresidente al Corcoran Group, e sua moglie, Kristina Rinaldi, 41 anni, decoratrice di interni, hanno deciso di lasciare il monolocale in affitto sulla West 55th Street quando hanno avuto la figlia, Tallulah. Volevano abitare a Montclair, New Jersey, luogo che attira molti aspiranti all’esurbio. Sconfitti nella battaglia delle offerte al rialzo, hanno ampliato la ricerca alla vicina West Orange. Lì si sono fatti istupidire da “una vecchia casa Tudor inglese con un tetto a falde, con un certo carattere, e mezzo ettaro di terreno” ricorda Lover, che all’epoca lavorava come direttore pubblicitario della rivista Esquire.

Nel luglio 2001 comprarono la casa a 480.000 dollari; aveva un’aura di sogno. “Tutti i giorni arrivavo a casa e mi dicevo sono davvero un re, e questo è il mio castello, come mi sento?”.

Portandosi la bambina, la coppia frugava parchi e circoli sportivi nella vicina Montclair, immaginando “qui troveremo la gente di città e i genitori simpatici” racconta Lover. “Ma non c’era nessuno con cui avessimo qualcosa in comune. Sono conoscenze superficiali”. E la gente dalla città che speravano di incontrare? “Non erano più gente di città” dice. “Il suburbio in qualche modo ti succhia fuori la città”.

Gli avvenimenti dell’11 settembre hanno dato la spinta finale. “Ci sentivamo un vuoto allo stomaco, perché era la nostra città, e noi non stavamo coi nostri amici che ci abitavano” dice. La coppia ha preso in affitto un loft da 130 mq senza divisioni interne a Nassau Street, vicino a ground zero.

”Abbiamo perso qualche soldo” dice Lover del ritorno a territori familiari. “A molte persone potrebbe sembrare piuttosto tortuoso. Per quanto riguarda noi, non mi interessavano i soldi. Volevo indietro la mia vita”.

A poca distanza da Montclair lungo la Garden State Parkway sta Ridgewood, New Jersey, considerato da molti come una delle cittadine per pendolari più desiderabili dello stato.

È decisamente un sogno per qualcuno; ma non il nostro” dice Andrew McCaul, fotografo di 37 anni che è tornato da Ridgewood a Carroll Gardens, Brooklyn, in giugno: esattamente un anno dopo ave comperato per 580.000 dollari una casa da tre stanze in stile coloniale olandese, raggiungibile a piedi dalla cittadine, insieme a sua moglie Sarma Ozols, 36 anni, e al figlio Aidan, che ora ne ha 2.

Il loro soggiorno suburbano è iniziato in modo promettente nel giugno 2004. “È stato come una luna di miele, una sensazione come quella di avere una casa di campagna per l’estate” ricorda McCaul. Ma dopo tre mesi “è cominciata la vita reale”.

Per cominciare c’era lo spostamento pendolare. “Ci si autoconvince che spostarsi sia più facile di quanto non sia” dice McCaul, che è riuscito solo occasionalmente a prendere il treno espresso per lo spostamento diretto da 40 minuti. “Ho passato molte serate deprimenti alla stazione di Hoboken” continua, aspettando più di mezz’ora per una coincidenza.

”Se si esce a bere qualcosa con gli amici, si sta sempre a guardare l’orologio” dice. Aggiungendo il danno al fastidio, McCaul è passato attraverso una versione suburbana della sindrome Freshman 15 [ gli adolescenti che ingrassano nel primo anno di college n.d.t.], aggiungendo 5-7 chili al suo fisico normalmente asciutto, di cui da’ colpa ad uno stile di vita principalmente non-pedonale.

Anche se la coppia trovava simpatici i vicini, la signora Ozols, fatografa part-time a casa col bambino, ricorda di essersi sentita tagliata fuori. “Mi mancava un gruppo di mamme, e immagino che l’avrei trovato se mio figlio fosse stato più grande e fosse andato a scuola” dice. “Non è tanto facile come a Brooklyn dove inizi a chiacchierare al campo giochi e trovi sempre qualcuno”.

Poi ha anche scoperto che lo spazio a cui non era abituata – la casa era ampia se paragonata ai 70 metri quadri in affitto lasciati – “mi pesava addosso”. E ha sviluppato una insolita, sgradevole mania per le attività domestiche. “Il giorno del Ringraziamento più o meno mi sentivo di dover essere una specie di Martha Stewart, con tutti i piatti adatti eccetera” racconta.

Hanno fatto un’inserzione per la casa e l’hanno venduta a 60.000 dollari in più di quanto l’avevano pagata. Ora la coppia, che ha avuto un altro bambino da quattro mesi, Julian, sta completando le procedure di un appartamento in condominio da due camere e due bagni su 100 metri quadrati a Carroll Gardens West. “Molto più piccolo, ma è tutto quello che ci serve” dice la signora Ozols.

Melanie Williams, 40 anni, ha deciso che più piccolo può anche essere meglio. Nel febbraio 2004, ha cambiato il suo appartamento in affitto bloccato a 950 dollari al mese in un “decrepito” edificio a Hell’s Kitchen con uno spazioso da quattro stanze da 1.350 dollari a Riverdale, zona di ambiente suburbano nel Bronx, in parte per via delle buone scuole disponibili per la figlia Dorothy, che ora ha 5 anni.

”È un po’ terra di nessuno dal punto di vista umano” dice la signora Williams, proprietaria di Plain Jane, negozio di arredamento per bambini nello Upper West Side. “Non si incontra mai nessuno. C’è una piccola strada con un mercato delle carni. Strana ma bella”.

I vandalismo preoccupava. L’auto di famiglia fu danneggiata parecchie volte quando era parcheggiata sulla strada: una triste necessità, dice, perché i garages erano pieni. E nei nove mesi successivi, racconta, insieme al marito attore/falegname Andrew Finney, 44 anni, scoprì che nonostante si fossero trasferiti “la nostra vita era ancora a New York”.

Nel novembre 2004, hanno affittato un loft da 80 metri quadrati nel quartiere finanziario, nell’apprezzato distretto scolastico 234, che costa un terzo in più dell’appartamento a Riverdale. “Non importa” dice. “Dovevamo uscire da lì”.

Molte coppie tornate a precipizio in città concedono che le cose avrebbero potuto mettersi in modo diverso se avessero avuto bambini in età scolastica, a fungere da legame più solido con la comunità.

”Per noi è stato un po’ prematuro, dato che non abbiamo figli” dice Sara Mendelsohn, del trasferimento insieme al marito Brian, in un appartamento in condominio da una camera a Great Neck, Long Island, la scorsa primavera. I ventisettenni neo-sposi hanno comperato questo alloggio ristrutturato dopo aver deciso che i soldi a disposizione non sarebbero bastati per Manhattan.

Le cose in un primo tempo sono andate bene. “Abbiamo comprato un’automobile e ci piaceva davvero avere questo tipo di libertà” racconta la Mendelsohn, che lavora come business planner alla Marc Jacobs. “Avevamo sempre passato le vacanze estive da quelle parti nelle case delle nostre famiglie”. Ma non sono riusciti a integrarsi nella comunità. Soprattutto perché non sono riusciti a trovarla.

”Tornavamo a casa a piedi dal treno sino all’appartamento, e non c’era mai nessuno per strada dalle 7 alle 10 di sera” dice. “Si ha la sensazione di essere soli. Si esce col cane, e non c’è nessuno”. Insieme al marito, che lavora nelle vendite per il settore comunicazione, hanno offerto l’appartamento da ottobre a 299.000 dollari; ora sono in contatto con Barbara Haynes a Bellmarc e Lauren Cangiano a Halstead per trovare un posto, in affitto o da comprare, in città.

Con una dura esperienza, ripetuta due volte, Mary A. Sweeney, infermiera diplomata dello Upper East Side, si è spostata avanti e indietro e poi ancora avanti e indietro verso Poughkeepsie (la prima fase, cominciata nel 2000, è durata quasi due anni; da’ la colpa della seconda puntata, di tre mesi nel 2003 quando era appena incinta del terzo bambino, a “mancanza di ossigeno al cervello”).

La signora Sweeney, 36 anni, ricorda i vari punti in cui ha scoperto che la realtà si scostava dalle fantasie.

”C’era questo bellissimo spazio verde di quasi un ettaro per far giocare i bambini, ma eravamo terrorizzati dalla malattia di Lyme” dice la Sweeney. “Stavamo in una strada residenziale a cul-de-sac ed era magnifico, ma se si usciva da lì in bicicletta si entrava sulla strada di campagna tutta curve e non era tanto sicuro pedalarci. Abbiamo capito che era molto meglio andare a Central Park, giocare coi bambini e farci il picnic, soprattutto d’estate”.

Lei stava soprattutto a casa, mentre il marito, Azeddine Yachkouri, 43 anni, faceva il pendolare per il lavoro da direttore di sala all’albergo Mandarin Oriental di Manhattan. “Era magnifico per lui guidare sin qui dove c’ero io coi bambini, e poi tornare in città il giorno dopo, e lavorare, e socializzare” ricorda. “Ma per me, con questo isolamento a fare da vita quotidiana, era diventato tutto monotono e banale”.

In città, “Posso uscire con le ragazze quando mio marito fa tardi al lavoro o non ho voglia di cucinare” racconta. “Possiamo entrare in un ristorante di tipo familiare con tante chiacchiere e atmosfera”

Anche se la casa degli Sweeney era parecchie volte più grande del loro vecchio appartamento a due stanze, aveva un invisibile effetto di zavorra. “Improvvisamente saltavano fuori tantissime cose da fare in casa” dice. “È qualcosa che ti tiene dentro più di quanto penseresti”.

Continua: “Abbiamo guardato in altri posti – Scarsdale eccetera – ed era la stessa cosa. Belle case, su belle strade, ma appena i bambini erano andati a scuola si poteva sentire uno spillo che cadeva per terra, in strada. L’unica vita erano gli uccelli che cinguettavano. Preferisco avere rapporti col portinaio o il tizio all’angolo della strada dove si compra il giornale o un caffè”.

Chi se ne è andato e poi è tornato qualche volta scambia opinioni con amici che stanno pensando di fare la stessa cosa. “Quando la gente ci dice che ci sta pensando, la mia idea è, non fatelo” dice la signora Ozols. “Ma ciascuno deve sperimentarlo da solo. Se non si prova, resta sempre da qualche parte nella testa. Forse li consiglierei di affittare, invece”.

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