Ampliamento del 20% (articolo 3); uni-bi familiare, volume massimo 1000 metri cubi, non più alta di 7 metri: sono questi i requisiti dell'edilizia esistente che godrà in Campania della cementizia manna governativa. Questo tipo edilizio, in Lombardia, nel Veneto, in Friuli, è assai diffuso: è la villetta dei "cumenda" brianzoli, del varesotto, della brembana, che sistematico sostegno assicurano ai partiti di maggioranza (e vanno sì premiati). Villette disegnate nei piani regolatori di quei territori come edilizia sparsa. In Campania invece è quell'edilizia che ha devastato il territorio in decenni di attività abusive, che la legge recepita talquale dalla giunta regionale la norma governativa di indirizzo premia con ulteriori possibilità edificatorie. E se del condono ancora non hanno fruito, in quanto edificate (tante, in Campania) dopo i termini previsti dalla leggi di sanatoria, ecco come legittimarle. Anche in deroga ai piani paesistici: a Ischia come a Cuma o a Massalubrense, o sulle pendici del Vesuvio o del Faito e altrove ancora.
Sostituzione edilizia con ampliamento del 35% (articolo 4). Anche in deroga ai piani paesistici: a Ischia, a Cuma, a Massalubrense, sulle pendici del Vesuvio, del Faito... stavolta la preesistenza edilizia può non avere limiti dimensionali di sorta e per tutti indistintamente il premio è del 35%. E così anche le Masserie della Piana del Sele potranno diventare, una volta demolite, bei condomini di cemento armato.
Riqualificazione aree urbane degradate (articolo 5). A definire il significato del termine aree urbane stavolta non è la Regione, ma sono incaricate le amministrazioni comunali. Esse, se vorranno intendere la norma in tal senso, potranno anche definire i centri storici come aree urbane degradate. Mentre infatti negli altri casi (articoli 3 e 4 della legge) i centri storici sono espressamente fatti salvi, l'articolo 5 rinvia in maniera assai ambigua al 4, lasciando ampi spazi di interpretazione.
Una ad una, le regioni, predisponendo le rispettive leggi, si apprestano a rinunciare al governo pubblico del territorio, accettando supinamente (o convenientemente) l'ordine del governo centrale. È la sublimazione dell'estemporaneità, dell'improvvisazione: l'esatto contrario della pianificazione. Allineata a tante altre, la Campania rinnega anni di lavoro e di discussioni democraticamente sviluppate sul territorio, che hanno portato solo qualche mese fa all'approvazione del suo primo Piano territoriale.
In sostanza, la giunta propone al Consiglio di gettare a mare il lavoro fin qui svolto, riconoscendo nel nuovo testo normativo, una più congeniale risposta ai fabbisogni.
Il Ptr, pur discutibile in quanto ancora privo di norme attuative, ancora non calibrato sulla dimensione concreta del paesaggio, ancora privo di un confronto adeguato con la seria pianificazione paesistica vigente disegnata dal ministero per i Beni culturali, merita una sintesi sui temi del disagio abitativo, del recupero delle aree industriali in dismissione, della sicurezza del patrimonio edilizio, della salvaguardia dei centri storici e delle aree rurali, mirata allo snellimento delle procedure necessarie per concretizzare tali obiettivi e alle forme di incentivi necessarie per il coinvolgimento dei privati.
La nuova disciplina regionale non contiene il paesaggio: anzi, contrasta con il decreto legislativo numero 627/08 che ha modificato il Codice dei Beni culturali prescrivendo che i piani paesistici non possano essere più redatti, modificati, né a maggior ragione derogati dalle Regioni. Recependo le indicazioni della Corte costituzionale, lo Stato da appena un anno è tornato a impossessarsi dell'obbligo costituzionale della tutela del paesaggio, rammentando che alle regioni ne è invece affidata la valorizzazione. La novità del Codice è pure che gli stessi centri storici debbano essere soggetti a tutela. Il disegno di legge regionale pecca pertanto di un gravissimo e palese vizio di incostituzionalità.
L’autore è segretario regionale di Italia Nostra Campania