Tra le proposte di legge regionali sul famigerato “piano casa”, quella della Regione Campania è davvero la più strampalata e perniciosa, se stamane anche gli ordini professionali di ingegneri e architetti, di solito non pregiudizialmente ostili al “pianificar facendo”, prendono pubblicamente le distanze, denunciando sulle pagine napoletane di Repubblica che “… sulla Campania incombe il rischio di speculazioni e di deregulation nella pianificazione edilizia”, reclamando per bocca del presidente degli ingegneri di Salerno Armando Zambrano la restituzione ai comuni “del ruolo di programmazione territoriale, per mediare tra l’interesse pubblico e quello privato”, per mettere la Campania “ al sicuro da una nuova ondata di speculazioni edilizie”.
A scatenare tanta apprensione è soprattutto l’articolo 5 del disegno di legge che, al comma 4, liberalizza di fatto la riconversione abitativa di edifici non residenziali, svincolandola da ogni atto di pianificazione e programmazione.
Il risultato immediato, secondo la denuncia degli ordini, è che “il valore di mercato delle aree dismesse è immediatamente triplicato”.
In effetti, nell’attuale formulazione, il disegno di legge si presenta non già come un incentivo alla riconversione di aree dismesse, quanto piuttosto alla cessazione anticipata delle attività manifatturiere in essere. Questo perchè gli imprenditori sono perfettamente in grado di valutare i vantaggi della rendita edilizia che un simile provvedimento artificialmente crea, rispetto ad un reddito d’impresa mai come di questi tempi incerto.
Davvero un buon risultato per un provvedimento il cui impegnativo titolo è quello di “Misure urgenti per il rilancio economico e la riqualificazione del patrimonio esistente”!
Resta da capire, pensando ai nuovi carichi insediativi che in questo modo atterreranno liberamente e dovunque su un territorio già sofferente e congestionato, chi provvederà agli standard, agli spazi e attrezzature pubbliche, alle misure di inserimento ambientale dei nuovi quartieri che nasceranno, agli indispensabili interventi di riqualificazione dei contesti. Ma è vano sperare che simili preoccupazioni possano aver presa su un centrosinistra locale tutto impegnato nella difficile riconquista del consenso malamente dilapidato.
Eppure, una strada decente ci sarebbe per attuare una politica efficace di riconversione delle aree dismesse, e sarebbe quella di impiegare gli strumenti già previsti dal Piano territoriale regionale approvato con legge nel 2008, che lega questo tipo di interventi alla predisposizione di piani attuativi e di accordi di pianificazione di iniziativa pubblica, garantendone soprattutto la coerenza con i carichi insediativi programmati a scala regionale e provinciale.
Ma sembra essere una irresistibile inclinazione del centrosinistra, specie quello campano, quella di non riuscire a mettere in atto e valorizzare nemmeno la parte buona di un lavoro amministrativo che pure è stato fatto.