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Corrado Augias
Cambiano i costumi, diamoci del tu
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Dalle lettere a Corrado Augias, su la Repubblica del 4 marzo 2004.

Caro Augias, l'uso del tu confidenziale va sempre più diffondendosi. Fino a poco tempo fa quasi tutti si davano del lei. Ora si danno del tu i colleghi di lavoro e i coetanei, anche se vecchi, anche se si conoscono appena. Si danno del tu gli occasionali compagni di viaggio, i vicini di casa, i compagni di partito e i compagni di briscola, talora i clienti e i camerieri (più spesso il cliente al cameriere). Gli extracomunitari poi danno del tu a tutti, e non mi pare affatto offensivo perché così la lingua diventa più semplice e meno difficile da apprendere. Credo che succeda un po' per tutti gli idiomi in tutto il mondo e non ci trovo nulla di riprovevole. Ben vengano le semplificazioni. Non le scrivo per questo. L'altro giorno, in una triste occasione, ho rivisto alcuni vecchi amici d'infanzia. Mi hanno detto solo: «Ciao, tu come stai?». Una frase banale, ma ho sentito che il loro «tu» era diverso da quello degli altri: era carico di affetto. Dunque è proprio vero che si può dare del tu a tutti (i Romani lo davano all'imperatore, gli uomini lo danno ai santi). Noi potremmo tranquillamente darlo - faccio per dire - a un eventuale giudice imparruccato che ci sta giudicando. Tanto non tutti i «tu» sono uguali: alcuni possono portare con sé un distacco più severo di un compassatissimo «lei».

Giovanni Sessa

Magenta g.sessa@tin.it

È vero che ci si dà del tu con molta più facilità e frequenza d'una volta. Del resto si è sempre dato del tu non solo ai santi ma anche a Dio, unico modo possibile di rivolgersi alla divinità. Restano però le diversità tra le lingue. In francese il passaggio al tu offre resistenze psicologiche più forti che in italiano. In inglese l'unico pronome "you" assume connotato familiare solo quando è accompagnato dal nome proprio della persona cui ci si rivolge oppure da un'intonazione dalla quale si capisca che si è passati a un ipotetico tu. Un paragone vicino è con lo spagnolo dove il ricorso al tu è frequente come da noi. Del resto noi siamo gli unici a poter scegliere fra tre pronomi, se vogliamo considerare anche l'antiquato voi che il fascismo cercò invano di imporre e che oggi sopravvive in particolari rapporti e in poche zone soprattutto al Sud. I giovani il tu se lo sono sempre dato. Cassola: «E smettetela di darvi del lei esclamò Ilio. Mi fate ridere, con questo lei. Tra i giovani il lei non usa». Il lei può denotare affettazione, ma un tu precoce può creare imbarazzo dal momento che passare al tu dev'essere decisione che sgorghi da un sentimento di reciproca familiarità. Giosuè Carducci: «Ve n'ha, ve n'ha di questi lustrissimi novelli/sbicati su dà cenci, sorti da' caratelli,/ che la passano liscia co' poveri plebei:/ gente a la buona e semplice che non sa dar di Lei/ a quelli con cui prima andavano a braccetto,/ scherzando, cicalando fumando il sigaretto». Del lei ha fatto uso altezzoso e spesso ridicolo la piccola borghesia rimpannucciata che lo esigeva da coloro che riteneva "inferiori". Non so francamente se dobbiamo dolerci del dilagare del tu, ennesimo mutamento del nostro costume relazionale. Denota certo un ulteriore abbandono delle forme. Ma rispetto a quello che succede, in quanto ad abbandono delle forme, mi sembra con tutta franchezza il minore dei mali, ammesso che un male sia.

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