Buio a Mezzogiorno
Cacace, Nicola
Un’analisi chiara e preoccupata delle tendenze dell’occupazione dei lavoratori in Italia, da l’Unità del 3 novembre 2004
L’occupazione cala ma, grazie a 700mila immigrati regolarizzati fa finta di crescere. L'indagine Istat sull'occupazione nel secondo trimestre del 2004 segnala un aumento “statistico” di occupazione di 163mila unità rispetto all'anno precedente che, considerando la regolarizzazione di alcune centinaia di migliaia di immigrati clandestini, corrisponde ad una crescita zero.
O ad un calo di occupazione dopo 7 anni di crescita costante ed uniformemente distribuita sul territorio. L’indagine mostra anche tre Italie diverse, un Centro che si salva grazie al forte effetto trainante di Roma (il Lazio con 118mila nuovi occupati si appropria di 3/4 dell'aumento nazionale “statistico” di 163mila unità), un Nord stagnante che mostra tutte le rughe dell'invecchiamento ed un Mezzogiorno che, ormai abbandonato a se stesso, affonda inesorabilmente. Dato l'aumento della popolazione residente (+567mila, grazie soprattutto agli immigrati) cala per la prima volta da anni anche il tasso di occupazione (occupati sulla popolazione 15-64 anni) in tutta Italia, nel Nord e nel Mezzogiorno.
Questa rilevazione segnala molti cambiamenti strutturali che val la pena esaminare:
a) Dopo 7 anni di crescita occupazionale a tassi dell'1,3% annuo il processo si ferma malgrado una crescita 2004 del Pil intorno all’1,2%. L'Italia se non è in declino mostra una grossa paura di declino.
b) Dopo sette anni di crescita occupazionale percentualmente uniforme nelle tre aree geografiche, Nord, Centro e Mezzogiorno, nel 2004 l'andamento è assai differenziato, un Centro in crescita occupazionale sostenuta (+3,2%), trainato da un Lazio, che significa Roma semplicemente esplosiva (+6%), un Nord quasi stazionario, un Mezzogiorno in calo (-0,2%).
c) Dopo 50 anni si invertono tendenze storiche di trasformazione strutturale, comuni a tutti i paesi industriali, che duravano dal dopoguerra, con agricoltura in calo continuo e servizi in crescita continua. Nel 2004 sono invece aumentati sia l'occupazione agricola che il peso dell'occupazione agricola (dal 4,0% al 4,2%), mentre si è ridotto il peso dei servizi (dal 65,2% al 65,0%), con un peso dell'industria immutato grazie solo al buon andamento dell'industria delle costruzioni.
d) Gli occupati indipendenti, che nei sette anni precedenti erano cresciuti a tassi nettamente inferiori a quelli dei dipendenti, tra il 2004 ed il 2003 sono addirittura cresciuti a ritmi quasi doppi, 1,1% contro 0,6%. Segno di aumento della precarietà dei lavoratori dipendenti pagati come indipendenti.
e) Per la prima volta il Nord Est non è più la testa del vagone Italia, ma, con una crescita zero dell'occupazione, passa in coda seguito solo dal Mezzogiorno (-0,2%). Il vagone di testa nel 2004 diventa il Centro, il cui tasso di occupazione, ancora inferiore a quello del Nord, è tuttavia l'unico ad aumentare nelle tre aree.
f) Altre considerazioni interessanti possono farsi sui dati regionali, alcuni di conferma di una crisi strutturale, come quella della Liguria, unica regione del Nord in calo occupazionale significativo (-2,2%), altre, come l'Abruzzo, che con un calo occupazionale superiore al 4% ci dice come questa regione stia reagendo male alla fine degli incentivi che la collocava nelle aree depresse.
Premesso che bisogna aspettare la prossima rilevazione Istat per avere conferme di queste tendenze, alcune vere e proprie inversioni di rotta come si può concludere questo breve commento?
La crescita occupazionale che nell'ultimo settennio aveva risentito favorevolmente dei provvedimenti di flessibilizzazione del lavoro avviati bene dal ministro Treu e conclusi male dalla recente Legge 30 sul lavoro, almeno sul piano quantitativo (su quello qualitativo è stato alto il prezzo pagato dai giovani flessibilizzati senza gli ammortizzatori previsti dal prof. Biagi) si è fermata, malgrado una crescita del Pil intorno all1,2%.
Il Nord comincia a risentire pesantemente del dimezzamento delle nascite iniziato nel 1975 ma mentre il N.Est sente il peso negativo oltre che del fattore demografico, di vincoli culturali, ambientali e logistici in conseguenza di radici più deboli ed una crescita più tumultuosa, l'asse Milano-Torino reagisce meglio allo shock della deindustrializzazione con uno sviluppo più equilibrato, una agro pastorizia di qualità, una terziarizzazione avanzata e l'avvio di industrializzazione Hi Tech legata alle Università meglio che nel resto del paese. La Liguria continua nella sua retromarcia, condannata anche dal record negativo di nascite che dura da trent'anni e dalle crisi dell'acciaio e delle ex Partecipazioni Statali.
La Sardegna, dopo l'Abruzzo, è la regione meridionale che, anche grazie al suo record negativo di natalità (che divide con la Liguria), non se la passa bene: nel 2004 ha ancora ridotto l'occupazione e in percentuale superiore alla media del Mezzogiorno.
In questo quadro negativo si salvano le 4 regioni del Centro, Toscana, Umbria, Marche e Lazio che oltre ad aumentare l'occupazione in tutti i settori aumentano anche il tasso di occupazione. Nel 2004, in barba agli obiettivi di Lisbona (l'Italia dovrebbe aumentare di almeno 5 punti il suo tasso di occupazione, addirittura di 10 punti secondo Berlusconi), il tasso di occupazione 15-64 anni si è ridotto in Italia, nel Nord e nel Mezzogiorno, aumentando solo al Centro dal 60,2% al 61,2%. Forse il carattere più terziario delle economie di queste regioni, forse le politiche più attente allo sviluppo delle autorità regionali e soprattutto il grande successo che il Logo Roma sta avendo in molte iniziative a carattere nazionale ed internazionale hanno avuto effetti positivi sull'economia e sull'occupazione, effetti che andrebbero meglio esplorati, anche alla luce delle tendenze mondiali in atto alla “smaterializzazione” delle attività produttive.