«Fermatevi a riflettere». L’appello, rivolto ai promotori del referendum per l’estensione dell’articolo 18, è di Sergio Cofferati. Ed è un appello preoccupato. Per quello che potrà accadere sul piano dei rapporti politici, nella sinistra e nel sindacato. E per quello che potrà accadere sul terreno stesso dei diritti. Perché una cosa non è in discussione: l’obiettivo finale. «Noi - dice l’ex leader della Cgil a Massa Marittima, dove si celebra il centenario della nascita del sindacato dei minatori - dobbiamo lavorare per dare garanzie alle persone che non le hanno». Tanto che - sottolinea tra gli applausi - «bene ha fatto la Cgil a promuovere la raccolta di firme su una legge di iniziativa popolare per riformare gli ammortizzatori sociali e dare prospettive a chi non ne ha». Ma la consultazione, quella, potrebbe complicare le cose.
«Ritengo che il referendum - dice Cofferati - sia un errore politico, lo credo fermamente». Non è questione di buona fede. «La bontà delle intenzioni dei proponenti è fuori discussione». Il punto è un’altro. Il referendum «è un atto che rischia di dividere ciò che con tanta fatica abbiamo progressivamente unificato nel corso di questi mesi».
L’alternativa, allora, è quella già annunciata: la legge. Anche se «il percorso legislativo è più difficile e faticoso di quello referendario» che è invece più rapido. «Ho speso un bel po’ della mia energia - afferma l’ex leader della Cgil - per convincere molti riottosi che il tema dei diritti è fondamentale in questo Paese e che la loro estensione è importante. Ma con la stessa determinazione credo di poter dire che la via più efficace sia quella dell’atto legislativo». E la stessa difficoltà della strada potrebbe rivelarsi utile. «Se percorsa con convinzione da tutti - spiega - rappresenterebbe il primo atto che ci permetterebbe di unificare il nostro fronte e di arrivare con tutta probabilità a risultati che oggi appaiono a molti insperati. Quando abbiamo cominciato in splendida solitudine la battaglia per i diritti molti se ne sono accorti strada facendo». Conclusione, niente da rimproverare a nessuno, ma cercare di stare insieme e, insieme, «fare un passo avanti, presupposto per poterne fare un altro domani nella direzione giusta». Ogni ipotetica fuga in avanti, insomma - conclude Cofferati - ogni atto generoso, che però non determina unità rischia di essere paradossalmente un errore.
Anche Vincenzo Vita, portavoce della sinistra Ds, è per la via legislativa. «Sarebbe un errore - dice - rassegnarsi all’eventuale impossibilità di varare una legge che raccolga la sostanza del quesito referendario».
Sul versante opposto, quello degli imprenditori, che l’articolo 18, specie negli ultimi tempi, l’hanno visto come fumo negli occhi, ieri è sceso in campo Antonio D’Amato. Per il presidente di Confindustria il risultato del referendum - «che difficilmente sarà evitabile» - dovrebbe essere scontato. «Non credo sia pensabile - spiega - portare l’Italia indietro, ai tempi del Medioevo». Anche se non dice quale Medioevo. Visto che quello conosciuto da tutti non brillava certo per estensione e qualità dei diritti. Secondo D’Amato, comunque, con il referendum si è aperta una questione «che mette in campo due visioni completamente diverse della società e del mondo del lavoro. Da una parte un estremo di rigidità, direi medioevale, e con il rischio di mortificare ogni possibilità di competere, soprattutto per le piccole imprese. Dall’altra, una visione più riformista che cerca di dare spazi maggiori per la crescita dell’occupazione, dello sviluppo e del lavoro emerso». Conclusione. L’iniziativa sull’articolo 18, per il numero uno di viale dell’Astronomia, è «una vera provocazione fatta a sinistra, che mette in luce le contraddizioni della sinistra alle quali però la parte migliore della sinistra sta rispondendo con uno scatto di maggior pragmatismo e minor ideologismo, schierandosi per il “no” con evidente buon senso».
In sostanza, par di capire, dichiarazioni che suonano come un “no” ad ogni disponibilità a studiare soluzioni, legislative, alternative. Per le quali, a sinistra, già si comincia ad entrare nel merito. Da chi (è il caso della Uil, dell’ex segretario Cisl, Pierre Carniti, del giuslavorista Pietro Ichino) vedrebbe con favore il modello tedesco - che demanda al giudice il potere di dirimere le controversie in materia di licenziamento - a chi (è il caso del responsabile lavoro Ds, Cesare Damiano) quel modello non vede invece con particolare favore. E pensa a soluzioni diverse. A chi (è il caso dell’ex ministro, Tizano Treu, Margherita) sull’articolo 18 una proposta di legge l’ha già presentata.
Ieri intanto, a Torino, è stato costituito il primo comitato provinciale per il “sì”.