Vi è “il pericolo di un meticciato archiettonico”. Gli architetti stranieri ci stanno invadendo. “La risorsa culturale italiana “ rappresentata dagli architetti nativi “non può essere ulteriormente vanificata e ignorata”. L’Italia “ha accumulato ritardi” mentre nei loro paesi, gli architetti stranieri hanno realizzato “grandi opere di interesse sociale”. I maggiori responsabili di questa situazione sono “i sovrintendenti, al cui diritto di veto bisogna porre fine, per limitarne il potere totalmente autonomo che ha privato l’Italia di molte opere significative rimaste sulla carta”. A firmare l’appello, di cui da notizia sul Corriere della sera del 7 settembre Pierluigi Panza, non sono certo degli emarginati, ma notissimi e plurincaricati architetti di casa nostra: Vittorio Gregotti, Paolo Portoghesi, Aimaro Isola e Ettore Sottsass, tra gli altri. Gente che ha costruito e continua a costruire opere notevoli. Peccato che spesso si tratti di opere assai discusse: basti pensare al Quartiere Zen a Palermo di Gregotti o al teatro comunale di Portoghesi a Catanzaro, che qualcuno ha definito il teatro più brutto del mondo. Di Gregotti non si può non ricordare l’Università della Calabria, a Rende-Cosenza, un’opera immensa, che per molti sarebbe stata la realizzazione della vita e che invece il noto architetto milanese ha abbandonato al suo destino ai primi dissensi con l’impresa costruttrice. E oggi, dopo oltre mille miliardi spesi, è già il momento di una sostanziale riqualificazione.
Chissà se i firmatari, che vorrebbero che i poteri di approvazione dei (loro?) progetti fosse trasferito alla Direzione architettura del Ministero dei Beni culturali (in questo modo il potere decentrato e totalmente autonomo dei sovrintendenti sarebbe sostituito da un “centralismo pluralistico”), si rendono conto che non hanno scelto il momento migliore per attaccare i sovrintendenti. Forse il 23 agosto non hanno avuto l’opportunità di leggere l’appello di Adriano La Regina, ripreso da Eddyburg, che parla di un ministero ormai allo sfascio e da ricostruire.
Ma credo abbiano dato un taglio davvero egoistico al loro pensiero. Forse non sanno che uno dei motivi strutturali della disoccupazione “architettonica”, quella vera, non certo la loro, dipende dal fatto che nel nostro Paese ci sono ben 135 mila architetti iscritti all’Ordine, contro i 30 mila di Francia e Spagna. E poiché alla cecità non c’è rimedio, forse ignorano, ed è ben strano, visto che in maggioranza insegnano nelle nostre università, che da noi ci sono operanti ben 77 corsi di laurea che abilitano futuri progettisti edili. Ah, gli architetti italiani…
Vittorio Gregotti ha preso le distanze dell' appello, in un commento pubblicato il giorno dopo sul Corriere della sera. Torneremo sull'argomento, perché il ruolo degli architetti nella costruzione della città non è marginale, e molti loro atteggiamenti recenti sono preoccupanti. Come del resto lo stesso Gregotti osservava in un recente articolo.