Nel corso dell’Ottocento è successo spesso che città fortificate abbiano scoperto che la loro fisionomia, da sempre condizionata da attrezzature molto specializzate, poteva – chissà, forse – cambiare pure radicalmente. Con le perplessità sui modi di riusare (se sbarazzarsi) di strutture apparentemente inconvertibili ad altre funzioni.
Quelle comunità hanno vissuto con preoccupazione la fine dell’economia di guerra. E il mantenimento dello stato di fatto si è protratto a lungo, magari per la necessità di continuare a comunicare, simbolicamente, la capacità di resistenza della compagine edilizia nata e cresciuta sulle vecchie fortificazioni.
Ma molte di quelle opere, come insegna la storia dell’architettura, sono state comunque sacrificate alla crescita, spesso solo per scacciare i brutti ricordi evocati da figure inquietanti e anche molto degradate.
Anche in Sardegna le città munite sul mare si sono trovate a fare i conti con questa transizione. A considerare la possibilità di riusare bastioni e pezzi di fortezze, a pensare, con preoccupazione, come mettere a frutto le stanze lasciate libere dai soldati.
I processi di conversione di luoghi urbani dismessi sono sempre molto lenti. A La Maddalena, si fanno oggi i conti con la necessità di dare una destinazione a quanto resterà di queste basi militari. E c’è fretta: si guarda alla sorte dei lavoratori impiegati in quelle strutture. Si è detto che ciò che rimane nell’arcipelago di questi paradossali pericolosi trascorsi dovrà produrre vantaggi all’economia locale, dovrà servire per risarcire il maltolto, perché ha ragione chi dice che la storia di questa città senza quel vincolo sarebbe diversa.
Ciò che resta di impianti che hanno condizionato finora la vita di quel luogo dovrà servire alle attese della comunità. Si pensi a ciò che resta dell’arsenale della marina italiana: 15 ettari in un nodo di rilevante complessità e in grado di accogliere funzioni importanti, come in casi analoghi con esiti diversi (l’arsenale di Venezia, 40 ettari, ospita parte della Biennale; quello di Taranto, 60 ettari, ha un futuro incerto da anni).
Occorre la stessa tempestività che servirebbe, nei processi di deindustrializzazione che pongono problemi analoghi.
Ecco, il tema del riuso – una nozione presente nel progetto politico del governo regionale che prende forma nel piano paesaggistico – potrà consentire una sperimentazione importante in questo caso. Serve però prudenza, che non dovrà venire meno per i tempi stretti, e soprattutto servono molte risorse.
E’ bene che si sviluppi rapidamente un’attività di pianificazione che tenga insieme tutte le questioni aperte per evitare che si disperda il senso unitario di uno dei paesaggi più importanti del Mediterraneo. Non a caso il G8 si svolgerà qui (fa comodo la condizione insulare doppia e lo spettacolo splendido assicurato dal colore del mare eccetera.).
Il G8 complica le cose. Qualsiasi persona di buon senso pensa che gli incontri dei Grandi, da qualunque parte si svolgano, siano manifestazioni dissennate, esibizioni orride e anche ridicole, si direbbe, se non fosse che ne ricordiamo i risvolti tragici, i delitti commessi per farlo il G8 ultimo.
Se si riuscisse a impedirlo, come tante altre manifestazioni inutili di questo Mondo, ci sarebbe da fare festa.
Ma così non sarà. Il G8 si farà e porterà denari, molti denari, che potranno essere usati male o bene in un ambiente che ormai vive di turismo e poco altro.
Vivere solo di turismo non è una bella cosa. Possiamo immaginare e vogliamo immaginare altre prospettive per quest’isola, ma i tempi non saranno brevi e dobbiamo ammettere che il turismo sarà nei prossimi anni la speranza per i disoccupati che non decideranno di andarsene nel frattempo, si spera: perché La Maddalena senza i suoi abitanti non avrebbe senso.
Il progetto potrà essere quello di consegnare le chiavi dell’isola a Ligresti o ad altri imprenditori, o provare una buona volta a investire in un processo di sviluppo partecipato e sostenibile nel senso di rendere finalmente protagonista la comunità locale.
Se il movimento che si opporrà al G8 conserverà un po’ di energie, dovranno essere investite per provare a volgere a proprio vantaggio questo evento, quanto più è possibile. Ad esempio per chiedere la bonifica del luogo da agenti patogeni radioattivi di cui si parla da tempo con inammissibili incertezze. Di sicuro per evitare che saltino, sotto le pressioni dei tempi da rispettare, le regole che presiedono all’uso di un territorio che è ancora Parco nazionale (e credo che le forme di tutela dei parchi nazionali siano una garanzia). Neppure sono ammissibili improprie e ingorde trasformazioni di volumetrie specie se si tratta di beni culturali.
Noi nel frattempo, ancora noi, possiamo continuare a darci da fare per dimostrare che un mondo diverso è almeno auspicabile: per questo l’idea di avviare un dibattito che si concluda nei giorni dello svolgimento del G8, per temi, in diverse località della Sardegna, è una bella idea da mettere a punto nei prossimi mesi.