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Vittorio Emiliani
Addio Lucio Gambi, geografo democratico
20 Gennaio 2007
Altri padri e fratelli
Nel vergognoso silenzio dei media, un suo amico ricorda il grande intellettuale scomparso, maestro di una disciplina essenziale per il governo del territorio, su l’Unità, 24 settembre 2006

“Lucio Gambi è il più grande geografo italiano, il primo dell’Italia democratica”, così me lo definì, molti anni fa, un addetto ai lavori qual era Francesco Compagna, direttore di “Nord e Sud”. Ebbene, questo scienziato di straordinario valore è scomparso senza che i grandi giornali, in tutt’altre faccende affaccendati, gli abbiano dedicato, a quanto ne so, una riga di ricordo. Così va l’Italia. Eppure Gambi, legato ai geografi francesi, curatore dei volumi sulla megalopoli americana di Jean Gottmann, impresse ai nostri studi di geografia umana un’autentica svolta, a partire dagli anni ’50. “La polemica che da vari anni sto conducendo contro le impostazioni tradizionali di una geografia calcificata in un antiquato schematismo…”, scrisse nei primi anni ’60 parlando delle trasformazioni di Ravenna dove era nato nel 1920. Nemico quindi di una geografia come “disciplina puramente descrittiva e misurativa di oggetti e fenomeni”.

Lucio – posso chiamarlo così per aver avuto lunga consuetudine con lui – veniva dall’esperienza formativa della Resistenza alla quale aveva partecipato come azionista. Di lui si ricorda, prima che s’incamminasse verso gli alti studi, la creazione in Romagna di una radio popolare che seguiva in diretta i processi ai gerarchi fascisti. Un impegno politico che, sia pure espresso in termini culturali, non venne mai meno. Negli anni cruciali e febbrili del Movimento, dopo il ’68, Gambi fu, con Marino Berengo e Franco Catalano, il docente che più si espose, alla Statale di Milano, nel partecipare al tentativo di dare un altro senso all’Università sin lì “baronale”, con la cattedra lontana, a volte lontanissima, dagli studenti.

Poi – pur mantenendo sempre casa a Firenze - tornò nella sua terra, cioè in Emilia-Romagna avendo cattedra a Bologna. Dove fu anche il primo presidente dell’Istituto Regionale dei Beni Culturali, che negli intendimenti dei fondatori doveva essere un organismo di alta qualità scientifica al servizio della programmazione e della pianificazione regionale. Uno dei dati di fondo della vita e del magistero di Lucio Gambi, fra l’altro oratore suadente e lucido scrittore, rimase sempre la visione larga, planetaria, dei problemi della geografia umana e, insieme, l’interesse puntato sui problemi della storia e dell’esistenza, individuale e collettiva. Convissero in lui gli studi sulla megalopoli e quelli sulla casa rurale dell’Appennino o della pianura, la vasta monografia sulla Calabria, oppure il lavoro di gran mole su Milano (una delle fatiche più recenti) e la partecipazione al convegno locale, per esempio sulla marineria romagnola, adriatica in generale, dal quale, grazie anche alla sua regìa, doveva poi scaturire, a Cesenatico, il solo museo galleggiante dedicato alla gente del mare, alle sue barche con le vele giallo ocra e rosso scuro, a losanghe, coi simboli di famiglia.

Una volta disse che “difronte alla complessità della realtà umana, la ricostruzione di un paesaggio topografico è poco più di un elementare schizzo”. Un’idea, quest’ultima, che riprese mentre componeva il magistrale affresco della introduzione alla Storia d’Italia di Einaudi. Un modo laico di porsi di fronte alla storia. Lucio Gambi aveva speso molte delle proprie energie nello studio del paesaggio umano, osservandolo, studiandolo in una fase di trasformazione tanto profonda - per esempio, la estirpazione della “piantata” di pianura, risalente agli Etruschi e ai Celti - da prefigurarne la scomparsa. Specie in quella pianura resa dalle macchine sempre più piatta e pelata. Era uomo di improvvise accensioni, con gli umori tipici delle sue origini. Un anno, al premio Cervia per l’Ambiente, dove lui era in giuria, dopo la cerimonia nel piccolo, delizioso teatro della città delle saline e delle pinete, proprio in un enorme magazzino dei “pignaroli”, alla Bassona, si tenne una cena affollatissima. Siccome faceva già un freddo autunnale, il sangiovese corse generosamente. Alla fine, insomma, un coro intonò la famosa canzona degli “scariolanti” ravennati, i braccianti della bonifica, che già nella notte si avviano al lavoro con le carriole (“A mezzanotte in punto/ si sente un gran rumor”) e, nell’attacco, il noto geografo Lucio Gambi, alzatosi in piedi, esibì, da solista, una nitida voce tenorile.

Nota: Di Lucio Gambi, su eddyburg_Mall un contributo sul tema delle circoscrizioni amministrative (f.b.)

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