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Francesco Erbani
Addio a Paolo Ravenna anima di Italia Nostra
14 Novembre 2012
Padri e fratelli
Se n'è andato l'ispiratore dell'"addizione verde" di Ferrara, il grande parco tra le mura e il Po: uno degli episodi più alti delle politiche urbane dell'Italia degli anni della speranza.

La Repubblica, 13 novembre 2012

Paolo Ravenna aveva 86 anni, se n’è andato domenica sera. Da qualche giorno era tornato a casa sua a Ferrara, in via Palestro, si era seduto dietro la scrivania dello studio. Non ne poteva più. Ci mancava dal terremoto di maggio. Poi un infarto, l’ospedale e il respiro si è spento. Ravenna era un avvocato, ma il suo mestiere era la memoria. Non una memoria colta con lo sguardo all’indietro, bensì tenendo sempre di mira l’indomani.

Famiglia della borghesia ebrea, il padre podestà fascista fino alle leggi razziali, poi la tragedia. Tutti i Ravenna muoiono ad Auschwitz: Margherita, Alba, Gino, Bianca si spegne nascosta a Roma sotto falso nome, i loro figli, tranne Eugenio, detto Gegio. Paolo e il padre Renzo si salvano, vengono internati in Svizzera. Tornato a Ferrara, Paolo porta con sé l’incarico di raccontare ogni cosa dei suoi. Senza commozione, con l’energia che un dolore sordo trasforma in vitalità. Raccoglie carte, lettere, fotografie e ogni tanto pubblica un piccolo libro. Gli fa compagnia, nel ricordo, Giorgio Bassani. Lo ha conosciuto nel ’38, quando lo scrittore dei Finzi-Contini fa lezione a casa sua per i ragazzini espulsi dal liceo Ariosto. Il cugino Gegio, sopravvissuto ad Auschwitz, è raffigurato da Bassani nel Geo Josz di Una lapide in via Mazzini.

Geo torna a Ferrara dove nessuno lo riconosce e dove incalza la fretta di dimenticare. Ravenna non ha mai fatto politica attiva, ma se Ferrara esprime una qualità urbana molto al di sopra della decenza, lo deve al suo culto per la memoria e all’esuberanza dei suoi progetti. Nel campo d’internamento conosce Antonio Cederna e, nel 1955, Ravenna è in Italia Nostra. Con Cederna mette a punto il restauro delle mura che Biagio Rossetti realizzò per la città. D’accordo con loro è Bruno Zevi. Ma il restauro è il primo passo di un programma più ambizioso: i 1200 ettari che dalle mura arrivano al Po, l’area che gli Estensi chiamavano il Barco e che è il luogo della naturale espansione di Ferrara. Ma un’espansione, un’addizione verde. Fino a quando le gambe glielo consentono, Ravenna gira con una macchina fotografica nel loden per beccare il minimo abuso.

Immagina solo proiezioni future. Il Museo della Shoah, un’idea alla quale lavora per anni, pensando persino a un edificio d’architettura contemporanea dentro il Barco. E poi una sistemazione fra arte e natura per la tomba di Bassani, nel cimitero ebraico. E poi i libri, l’ultimo sulla sinagoga di Ferrara. O quello, un’esilarante delizia, con le caricature vergate durante le riunioni di Italia Nostra – Cederna, burbero e sornione, Antonio Iannello, scamiciato e spettinato, e di nuovo Bassani. Negli ultimi anni gli occhi non lo assistono. Silvia, la segretaria, legge per lui, gl’insegna l’informatica. Ma quante idee gli brillino dentro è difficile conteggiare. Ogni tanto annuncia di volersi ritirare, ma è solo il preludio per ripartire. Era riuscito a sistemare l’archivio di casa. Aveva in calendario un libro sugli incontri di una vita. Troppo breve, la sua vita, per contenere tutta quella memoria.

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