Le questioni poste da Giovanni Valentini con il suo articolo su “Repubblica” del 29 agosto a proposito del Piano per la gestione dei rifiuti in Sicilia (o meglio, del piano degli inceneritori di Cuffaro) meriterebbero risposte puntuali che non è facile riassumere.
Tra le tante cose sagge che dice, Valentini incappa però in qualche inesattezza:
Il Consiglio di Stato, intanto, non ha dato alcun via libera (tant’è che i lavori di sbancamento nei siti sono tuttora sospesi) ma ha riformato l’ordinanza del TAR Catania laddove questo sospendeva anche i lavori preparatori che non comportano la modifica dei luoghi (e quindi progettazioni, piani finanziari, ecc.).
Per evitare poi che dalla lettura dell’intervento di Valentini si tragga l’impressione che in Sicilia – se pur con qualche contraddizione – il commissario-presidente Totò Cuffaro stia operando per il meglio e che sono gli ambientalisti e le popolazioni colpite dalla “sindrome Nymby” ad ostacolare una corretta gestione della problematica dei rifiuti, provo a riportare sinteticamente i motivi dell’opposizione di Legambiente e di altre associazioni, motivi esposti in decine di documenti, denunce, ricorsi.
Il piano regionale, palesemente, non è conforme né alla normativa nazionale né a quella europea. Se questa affermazione è fondata lo dirà, speriamo presto, la Commissione Europea a cui Legambiente e WWF hanno presentato una denuncia d’infrazione. Intanto l’ha detto con chiarezza l’ex ministro Edo Ronchi, intervenendo a Palermo ad un convegno organizzato da Legambiente.
Per affrontare il problema dello smaltimento dei rifiuti l’Europa s’è dotata di una politica detta delle 4 R: riduzione (della produzione di rifiuti), raccolta differenziata, riciclaggio, recupero di energia. Non si tratta d’una disorganica elencazione di obiettivi, né di fattori il cui ordine può essere cambiato arbitrariamente, quanto piuttosto dei punti essenziali d’una strategia costruita su precise priorità. Bisogna dare prevalenza alle politiche di riduzione dei rifiuti e contestualmente riciclare il maggior numero di materie, sempre con l’obiettivo di risparmiare risorse (materie prime ed energia necessarie per produrre beni che poi si trasformerebbero in rifiuti). Il recupero di energia dai rifiuti (attraverso la combustione) è solo l’ultimo dei sistemi in ordine di priorità e deve riguardare esclusivamente quella frazione dei rifiuti che sfugge alla raccolta differenziata o che non può essere riciclata.
Il piano regionale inverte le priorità indicate dalla UE dando precedenza e centralità al sistema della termovalorizzazione che dovrebbe smaltire almeno il 60% dei rifiuti prodotti dai siciliani, mentre il conseguimento della quota del 35% di raccolta differenziata – obiettivo obbligatorio per tutti dal maggio 2003 e già raggiunto nel 2002 da quelle regioni italiane che, come la Sicilia, erano in emergenza negli anni ‘90 – viene rimandato al 2008 senza, fra l’altro, prevedere alcuna misura che ne assicuri il rispetto. Se poi si confronta il piano con l’ordinanza n° 333 che ha dato il via libera al sistema della termovalorizzazione, ci si trova davanti ad una realtà ancora peggiore: le quantità che la Regione s’è impegnata a conferire alle quattro Associazioni Temporanee di Imprese che dovranno trattare i rifiuti sono praticamente pari al totale di quelli prodotti in Sicilia, con l’esclusione della piccola quota di raccolta differenziata che attuano i comuni e che, notoriamente, non supera il 6%. La capacità d’incenerimento degli impianti è addirittura superiore al totale dei rifiuti prodotti in Sicilia. Per essere ancora più chiari, il sistema è stato studiato per consegnare nelle mani delle imprese per i prossimi vent’anni, a partire dal 31 marzo 2004 o da quella data in cui verranno superate tutte le difficoltà insorte nel frattempo, l’intero settore dello smaltimento – dal trasporto alla discarica e all’incenerimento. E tutto ciò prevedendo a favore delle imprese garanzie più che straordinarie. Per esempio:
a) la tariffa viene ritoccata al rialzo anche se diminuisce il quantitativo dei rifiuti conferiti – paradossalmente, più differenziata fai e più ti aumenta la tariffa;
b) un impegno della Regione assolutamente acritico affinché “ le aree di interesse dell’Operatore Industriale siano rese disponibili, unitamente a tutte le autorizzazioni e permessi necessari alla realizzazione del Sistema e permettere il corretto svolgimento delle attività su tali aree senza impedimenti ed entro i termini previsti”. Un impegno che già faceva presagire il rigetto di qualunque fondata obiezione dei cittadini e delle collettività locali sulla scelta dei siti già fatta in splendida solitudine dall’Operatore Industriale e che ha prodotto pareri favorevoli a difettose Valutazioni d’Impatto Ambientale;
c) nessuna penalità per il fermo impianti (basterà dire che si tratta di manutenzione), neppure a seguito di un eventuale sequestro della Magistratura;
d) la promessa che quando l’Operatore si sarà stufato di continuare l’attività o (solitamente dopo dieci anni) non troverà conveniente rinnovare il termovalorizzatore, la Regione subentrerà nella proprietà degli impianti acquistando i ferrivecchi o pagando il canone di locazione;
e) un organismo di vigilanza nominato dal Commissario delegato ma pagato dall’Operatore Industriale.
È forse per farci dimenticare tutto ciò – compreso il fatto che sembra si sia decretata la fine di ogni programma per una decente raccolta differenziata – che la struttura commissariale si è data ad una frenetica ricerca di un’impossibile legittimazione ed ha promosso una massiccia campagna volta a convincere i siciliani che il problema dei rifiuti è ormai risolto con la realizzazione di quattro mega-inceneritori? Si assicura che così spariranno le discariche ma si omette di dire che comunque bisognerà smaltire, in discarica, quel famoso 37% di umido (circa un milione di tonnellate l’anno) che non sarà mai un compost di qualità, come dimostra l’analogo sistema di selezione meccanica in funzione in Campania per produrre le ingestibili eco-balle. E sempre in discarica dovranno finire 400mila tonnellate l’anno di rifiuti speciali (ceneri e residui di combustione) prodotti dagli inceneritori.
A proposito di “scelte di civiltà”, inoltre, bisognerebbe ricordare che a Copenhagen, a Vienna, a Parigi – ed in tutte le città straniere che ci vengono portate come moderno esempio di compatibilità tra inceneritori e centri urbani – la raccolta differenziata è ben oltre il 50%; si brucia meno roba e molto ben selezionata. La scelta fatta in Sicilia dal commissario-presidente Cuffaro, in violazione delle leggi nazionali e comunitarie, è invece quella di bruciare la maggior parte dei rifiuti “tal quale” (si leggano i decreti autorizzativi), direttamente dal cassonetto al forno. Sul piano etico, ambientale e sanitario una decisione barbara e inaccettabile; sul piano economico una manna per chi gestirà gli impianti incassando almeno 80 euro per ogni tonnellata di rifiuti che gli verranno consegnati, oltre al lauto contributo CIP6 per ogni chilowattora prodotto. È un affare grosso quanto quello per il famigerato Ponte sullo Stretto che si tenta di far passare nel silenzio. Per quale ragione non si rendono pubbliche le convenzioni che sono state stipulate con le A.T.I. e non si dice chiaramente quanto costerà a ciascuno questo sistema?
Non meno grave infine che tutti gli impianti siano ubicati in prossimità o addirittura all’interno di aree SIC e ZPS. Paradossalmente l’inceneritore di Augusta verrebbe costruito sulla stessa area della centrale Enel già contaminata da diossina, accanto al sito archeologico di Megara Iblea. La scelta dei siti non è stata fatta dalla struttura commissariale o da organi istituzionali, bensì lasciata agli stessi operatori industriali ai quali è stato affidato l’appalto. La Commissione Europea ha poi avviato una procedura d’infrazione, tramutatasi in deferimento alla Corte, nei confronti dell’Italia per come in Sicilia si è affidato il settore ai privati in violazione delle norme sugli appalti.
Sul versate della salubrità, al di là del ruolo di testimonial affidato al prof. Veronesi, il danno sanitario accertato, per esempio ad Augusta, è già fin troppo noto ed i continui dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità non sono però finora serviti a modificare la scelta dei siti.
Ci sembra urgente comprendere la portata, sul piano della tutela dell’ambiente e del rispetto della legalità, di ciò che si sta mettendo in moto in Sicilia. E cioè:
1) Di fatto, si affida il delicatissimo settore dei rifiuti a quattro A.T.I., le quali si serviranno di altre aziende private che – da troppo tempo e con molte ombre – gestiscono la raccolta e le discariche in Sicilia. Avete sentito qualcuno protestare per essere stato escluso dal business?
2) Alle imprese vengono garantite per vent’anni condizioni e tariffe vantaggiosissime per loro ma estremamente sfavorevoli per i cittadini utenti, un introito certo di alcune centinaia di milioni di euro l’anno per lo smaltimento e altrettanti dall’energia elettrica prodotta dagli inceneritori e pagata dagli utenti con la tariffa CIP6.
3) Pur di accontentare tutti, i rifiuti viaggeranno da un capo all’altro dell’isola. Per esempio quelli di Catania, Siracusa, Enna e Ragusa ad Augusta; quelli di Messina a Catania. Il biglietto, ovviamente, lo pagheremo noi.
A ben pensarci tornano in mente le pagine di storia siciliana che parlano delle esattorie: si esigeva male per il pubblico ma i privati incassavano aggi favolosi. Che il servizio fosse efficiente non importava a nessuno, tutto però era funzionale al mantenimento del potere.
Spero sia chiaro a tutti che queste questioni, o altre ancora su chi sono mai i soci locali della Falck (può a aiutare a capirlo l’articolo di Gian Antonio Stella sul “Corriere della Sera” del 24.11.04), non possono essere tenute dietro la cortina (fumogena, è il caso di dire) degli edifici disegnati dalla buonanima di Kenzo Tange.
Enzo Parisi / Legambiente Sicilia