Ho raggiunto Ilaria il 17 gennaio, dopo otto ore di tranquillo volo da Brusselles, e starò qui, per ora, fino al 28 febbraio. Ilaria ha spiegato le ragioni per cui lei è qui (vedi “Diario n.1 Inizio di una nuova vita”). Per ora è indaffaratissima con l’università e le complicazioni della vita quotidiana a Kigali, quindi integro io questa serie di note che completeranno il suo diario.
Qui per me è tutto molto strano, molto diverso dalle consuetudini europee.
Intanto, vi racconto il posto dove abitiamo. E' una villetta di cui inserisco una immagine (ma nel .pdf allegato troverete molte immagini di più). E’ carina e abbastanza confortevole, tenuta in modo minimale e un po’ disordinato dai suoi occupanti. Questi sono attualmente: una canadese Kristine, che lavora come free lance progettando website e svolgendo attività odi volntariato, parla un americano incomprensibile non solo a me ma anche a Ilaria; un simpatico americano Zach, giovane e bellino, che insegna inglese in una scuola qui, impegnandosi molto nel suo lavoro; una coppia belga, giovanissimi, Ruben e Arlène, lui lavora in una ONG e sta facendo un rapporto sull'amministrazione della giustizia in Rwanda, lei insegna fiammingo in una scuola elementare, molto carini e simpatici. Eccetto Kristine, stanno tutto il giorno fuori. Poi c'è un giardiniere che sta fisso qui tutto il giorno, un ruandese che si chiama Abdul. Una giovane signora ruandese, Jeanne, viene tre volte alla settimana a pulire e lavare.
La cosa un po’ sgradevole è che, come tutte le costruzioni “ricche”, il lotto è recintato da un muro coronato da cocci di bottiglie e fermamente chiuso da un portone di ferro, sempre rigorosamente sbarrato. Il pomeriggio, al di là del muro e del cancello, un gruppo costante di bambinetti giocano. Quando Ilaria torna a casa la sera si assiepano, le fanno coro quando mi chiama (“Eddy!!!”) perchè le apra, occhieggiano quando entra, pieni di curiosità, ed è una pena chiudere loro in faccia il portone di opaca lamiera. La “protezione” non è dovuta tanto, credo, al timore di veri rapinatori (che supererebbero i cocci di vetro semplicemente gettandovi sopra una pezza, e del resto in Ruanda la criminalità è inesistente rispetto a quella, per esempio, di Nairobi) ma per i bambini. La segregazione è un dato endemico là dove ci sono estese situazioni di povertà. Ma ormai si sta estendendo in tutto il mondo: perfino a Venezia si parla di chiudere le corti a unico accesso!
La casa è costituita da quattro stanze da letto, molto piccole, un grande soggiorno-ingresso-pranzo, due bagni (uno per ciascuna coppia di stanze da letto), una cucina piccola (con un fornello a 2 soli fuochi!), un portico d’ingresso e una loggia verso il giardino.
Il giardino è molto bello, ne inserisco qualche immagine. Tutte le case qui hanno un giardino (grande o piccolo a seconda della ricchezza dei proprietari), e soprattutto un orto.
Noi abbiamo una stanzetta piccolissima: circa 3,5 x 3,0; è arredata da un letto, due sedie che fanno da comodino, un piccolissimo armadio a scaffali: i vestiti sono, per ora, su grucce attaccate a chiodi che Ilaria ha messo sul muro. Mi sono impossessato di una scrivania in soggiorno dove lavoro, quando non vado nella loggetta sul giardino, dove mangiamo alle 8 e alle 12 (quando, come nel weekend, Ilaria lavora qui a casa, col computer sul letto o sul tavolo da pranzo in soggiorno). Le due immagini che vedrete nel .pdf le ho riprese dalla mia scrivania.
La nostra casa è appena sotto il crinale di una collina dalla quale si ha la vista su una parte di Kigali: Nyakabanda, una vastissima estensione di terreno, sulle pendici del monte Kigali, disseminata di case e casette. E' una zona abitata da molti arabi, quindi si sente - alle scadenze rituali - la voce del muezzin. E nor-malmente ne sale il normale vocio di un’area molto abitata.
Sul prato davanti alla loggetta vi sono, tra l’altro, alcuni grandi alberi di avocado, carichi di frutti che nella buona stagione vengono raccolti in abbondanza ma che, in questa stagione, cadono e rapidamente marciscono. Abdul li getta col rastrello giù nell’orto. Ma a volte (è successo stamattina) un’aquila dalle grandi ali scende e sta sul prato finchè non ha finito di spolpare un frutto, poi vola via, senza alcun timore di chi, a pochi metri, sta prendendo il caffè, la fetta di torta e il succo di frutta, chiaccherando e fotografando (ma mancando di fotografare il momento dello svolo!).
Ecco una immagine del panorama visto dalla loggetta. In quell’area c’è sempre un po’ di foschia, forse perché il fondo valle ospita una delle zone palustri residue.
Il sito dove sta la casa è molto comodo, perché è vicino sia all'università (che Ilaria raggiunge a piedi) che al centro commerciale. In questa città la questione delle distanze è molto importante. E’ una città a densità bassa, distesa su un terreno collinare con notevoli dislivelli. Inoltre gli isolati (cioè i gruppi di lotti recintati circondati da strade percorribili) sono molto estesi: se sbagli strada devi camminare a lungo per tornare sui tuoi passi.
La casa, come ho detto, è piccola e tenuta un po’ disordinatamente (sono tutte persone molto giovani, abituate a vivere in modo promiscuo e “studentile”), e nell’appartamento non c’è una stanza per gli ospiti, e insomma non è l'ideale. Ilaria cercherà un’alternativa; ma è facile trovarne solo in zone più lontane, che renderebbero obbligatorio l’acquisto di un’automobile.
Comunque stare in giardino, o seduti nella loggetta dove spesso mangiamo è veramente una goduria. E i trilli variegati degli uccelli sono stupefacenti. L’immagine della loggetta è qui sotto, e accanto uno scorcio del giardino visto da là.
Come fanno gli stranieri ad abitare a Kigali? Essi sono parecchi, e in aumento: docenti di università e di scuole private, volontari e funzionari delle ONG (organizzazioni non governative della cooperazione internazionale), organismi internazionali ufficiali (ONU, Banca mondiale ecc.), funzionari di ambasciate e di aziende private (l’Africa continua a essere terra di conquista). Le capacità di spesa sno anch’esse variabili: dai funzionari internazionali, ai docenti delle varie scuole (quelle statali sono poverissime), ai volontari.
La cosa funziona così. In genere una persona che appartiene a quel mondo prende in affitto una villa, più o meno grande (la nostra è tra le più piccole). Firma il contratto con il proprietario (persona benestante, del mondo rwandese o straniero) e assume nei suoi confronti ogni responsabilità di gestione e manutenzione; assume, e comunque paga, il personale (il giardiniere, il guardiano, la persona che viene a fare le pulizia e a lavare i panni, il cuoco). Poi subaffitta ad altre persone, single o coppie, ciascuna delle quali ha una stanza e utilizza i servizi comuni, che in genere sono molto ricchi. Il costo a persona/coppia oscilla tra i 400 e i 700 $.
Si possono trovare anche appartamenti in edifici a più piani, ma in questa città la cosa bella è stare all’aperto, in mezzo ad alberi, piante e animali, magari con una bella vista.
Giovedì sera Ilaria ha organizzato una cena con alcuni suoi nuovi amici, che insegnano con lei alla facoltà di Architecture and Environmental Design del KIST (Kigali Institute of Science and Technology). Un irlandese, Kilian, che lavora nel laboratorio con Ilaria, una catalana, Nerea, che ha ospitato Ilaria i primi giorni e sta organizzando con Ilaria un corso che terranno nel secondo semestre (sulla gestione dell’emergenza); un italiano di Castelfranco Veneto, Zeno e un’italiana di Padova, Alice, che insegnano al primo e al secondo anno e con cui Ilaria ha fraternizzato molto. Tutti molto simpatici. Abbiamo mangiato pesce del lago Vittoria con patate e birra: due enormi pescioni, arrostiti alla brace, che si mangiavano con le mani, spolpandoli dal piatto unico. Grande ristorante all’aperto, con vista sul wetland (zona umida con fiumiciattolo), ma era buio; a ogni angolo un catino alimentato da un bidone di acqua tiepida e bombolette di sapone, per lavarsi le mani prima e dopo il pasto. Prezzo: 7.000 franchi, circa 9 €: Ilaria dice che è abbastanza caro. Per raggiungere il ristorante Ilaria Kilian ed io siamo arrivato col mototaxi (gli altri erano autonomi), il mio era straordinariamente veloce. Si arrampicava audacemente sulla strada sterrata, facendo tremare di paura per me Ilaria che ci seguiva.
Sabato mattina siamo andati al mercato di Nymiarambo. Una cosa incredibile. Un intrico di decine e decine di micronegozietti dove vendono di tutto: donnette che offrono ortaggi nei microbanchetti della parte coperta (di lamiere e altri materiali di risulta), oppure accoccolate all'aperto, ciascuna con la sua cestina con due dozzine di pomodori, qualche peperone, erbe, cipolle, banane. E poi pentole, casalinghi d'ogni specie, cestini, scarpe, cinture, attrezzi sportivi, giocattoli, gioiellini, pezze variopinte (e ottime sarte che in poche ore e pochi soldi ti cuciono un vestito identico al modello che le porti), telefonini e schede, materassi e cuscini, vestiti usati. Il tutto su un parterre di terra scavato dai rivoli e torrenti delle grandi piogge. Ai margini, sotto una vecchia tettoia di mattoni e tegole, mucchi di farina, grano e altri cereali, fagioli d'ogni tipo,
Bisogna mercanteggiare per ogni cosa. Ho comprato una cinta molto normale, usata, di pezza, cercata a lungo (per la lunghezza) in un mucchio di migliaia; mi hanno chiesto 6000 franchi, ne ho proposti 2000, me l'hanno data per 4000 (l'equivalente di 5 €: 800 franchi = 1 €).
A quel mercato siamo arrivati con un matatu: furgoncino dotato di una decina di posti, che segue itinerari preordinati e si ferma molto spesso, e in cui si assiepano più persone dei posti. Costa circa 100 franchi (pochi cm di €). L'altro mezzo di trasporto è il mototaxi: la città è percorsa di sciami di ragazzini, su motociclette molto agili, tutti con giubba pubblicitaria di una compagnia di telefoni, con casco in testa e casco per il cliente, che fermi con un gesto e ti portano per un prezzo di 300 franchi all’interno della centro (0,40 €). Sono autonomi: prendono in affitto una modoclilcetta e si mettono sulla strada; in un paio d’anni riescono a mettere da parte i soldi per comprare un mezzo proprio. Oltre ai mototaxi e ai matatu ci sono anche autobus simili ai nostri, che costano un po’ di più.
Non ho ancora visitato la città e i suoi dintorni, e sia dal matatu che dalla motocicletta si vede poco. I caschi hanno la visiera trasparente spesso rabberciata alla meglio, e non vedi un gran che. Comunque colpisce la compresenza di costruzioni di qualità e forma molti differenti (dai palazzoni international style delle aree centrali alle ville e villette e palazzine del periodo coloniale, molte scuole nelle zone centrali; nelle aree più popolari di quelle nelle quali sono passato case basse, ciascuna con le bottegucce a piano terra. Molta varietà anche nelle persone, numerosissime, che incontri: dai vestiti eleganti secondo il modello internazionale prevalente, fino agli abiti sgargianti della tradizione africana e agli abbigliamenti più semplici. Volti in prevalenza nerissimi con grandi occhi curiosi e smaglianti bocche sorridenti.
Una singolarità che Ilaria mi ha fatto osservare è che nessuno mangia per strada, né si vedono chioschi o botteghe dove si comprino cose da mangiare in piedi e in pubblico. Nella loro cultura il pranzo (e in genere il mangiare) è una cosa del tutto privata
Per ora ho girato poco, e non ho neppure lavorato molto. Purtroppo ci sono problemi con la connessione. Per varie ragioni non siamo riusciti a trovare un sistema non troppo caro che funzioni da casa. Quindi il metodo che sto usando è di andare una volta al giorno: o, nei giorni feriali, all'università, da Ilaria, dove la connessione è facile (sebbene spesso si interrompa); oppure, nel weekend, quando la connessione al KIST è disattivata, a un centro commerciale, dove sedendomi in un caffè ho l’accesso gratuito alla rete.
Da lì scarico le e-mail e dai giornali on-line, gli articoli che mi interessano per eddyburg; dopo un paio d'orette torno a casa, preparo i pezzi da inserire in eddyburg, leggo la posta e rispondo off-line; il giorno successivo invio le e-mail, carico gli articoli su eddyburg e scarico quello che nel frattempo è arrivato.
Eddy, 23 gennaio 2012