In questo mese di ottobre 2014, nelle Province italiane si insediano i primi consigli provinciali non eletti da parte dei cittadini, come voluto dalla Legge 56/2014, cosiddetta Legge Del Rio. Consigli un po' malinconici, senza presenze di pubblico (i cittadini non li hanno votati), solo qualche fotografo e i sindaci del territorio, loro grandi elettori di secondo grado. Questi sono i primi consigli non eletti direttamente dal popolo dalla nascita della Repubblica, in cui anche i nuovi componenti e i funzionari pubblici presenti manifestano un po' di disagio, un qualche imbarazzo, come dei sopravvissuti loro malgrado ad una altra epoca.
E allora, viene un tarlo nel pensiero: ma prima della nascita della Costituzione Repubblicana, prima della guerra e della Resistenza, come erano questi consigli provinciali? E quindi, anche ai pensierosi segretari e funzionari pubblici delle assemblee, viene in mente di andare a cercare, nella memoria degli studi giovanili, qualche aiuto, qualche spiegazione: per esempio, nel bellissimo libro di Ernesto Ragionieri, Politica e amministrazione nella storia dell'Italia unita, ed Riuniti, 1976.
Come era questa amministrazione provinciale nel periodo preunitario?
Partendo dal 1859, la legge Rattazzi sull'ordinamento comunale e provinciale del 23 ottobre 1859 prevedeva dei consigli provinciali elettivi, riservati al limitato suffragio del tempo, e cioè l'elettorato era riservato ai soli cittadini benestanti, maschi e che pagavano le tasse (elettorato per censo). Le varie leggi che si susseguono, come la legge Lanza del 1865 o Crispi, del 1888, (che istituisce la Giunta Provinciale amministrativa, definita dallo storico Merlino «una vera oligarchia che ha nelle sue mani tutte le libertà e i principali interessi della provincia" pag.174 , Ragionieri cit.), propendono per accentuare il decentramento burocratico piuttosto che il decentramento amministrativo, ma comunque i consigli provinciali continuano ad essere elettivi, fino al...».
Fino a che, con la legge maggioritaria Acerbo del 1923, e con le successive elezioni politiche del 1924, il Governo Mussolini,ormai solidamente padrone del Parlamento, con il pretesto della riforma della legge elettorale, (anche allora le cose erano strettamente legate) non rinvia le elezioni dei consigli provinciali che dovevano tenersi appunto nel 1924. Un rinvio prolungatosi sine die, perché allora i consigli provinciali furono sostituiti da Commissioni regie provvisorie, le province affidate a Presidi e Direttori di nomina governativa, e quindi inglobate nell'organizzazione dello stato fascista. Con la legge del 1926 il fascismo abolisce il carattere elettivo delle amministrazioni locali come spiega bene anche Domenico Gallo, nel suo bel libro Da sudditi a cittadini ed Abele, 2013.
Dunque, i consigli provinciali attuali, non eletti a suffragio universale del 2014, in qualche modo celebrano a distanza di 90 anni, la fine dei pur timidi e limitati Consigli provinciali del 1924, soppressi tacitamente dal Fascio. Una ricorrenza storica, i 90 anni della non elettività a suffragio universale, che deve far riflettere. Curiosamente, ci dice il Ragionieri, dal 1929 il regime fascista blocca anche le assunzioni nel pubblico impiego, realizzando così prima l'invecchiamento della burocrazia, e contemporaneamente la sua fascistizzazione. Corsi e ricorsi della storia, su cui Ragionieri, da grande storico quale è, ci fa riflettere con queste parole: «perciò il problema dell'ordinamento amministrativo dello stato, specchio e indice dei rapporti di classe e di potere (...) verrà riproposto ad ogni svolta e crisi decisiva della società italiana» (pag. 164).
Sonia Soldani, già Segretario comunale, è attualmente Vice Segretario della Provincia di Prato