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«Caro Bottini, dannatissime cittadelle, hai ragione»
13 Aprile 2012
Lettere e Interventi
Lodo Meneghetti

Caro Bottini, dannatissime cittadelle, hai ragione. Ma sorprende, nella proposta di Renzo Piano, la banalità e la falsa novità della soluzione urbanistico-tipologica. Ma come! Gli esperti di organizzazione ospedaliera, subito seguiti da certi architetti, da decenni hanno lamentato l'inefficienza del sistema insediativo a padiglioni bassi, appunto disposti ragionevolmente in spazi a giardini alberati, e perorato le soluzioni a monoblocco, a volumi alti, magari a grattacielo, ad ogni modo secondo densità ultra-urbane paragonabili a quelle di complessi per uffici, tutti funzionanti esclusivamente "da dentro", privi di qualsivoglia necessità di rapporto benefico con l'esterno. Piano sembra attribuire a sé una mirabile invenzione. Non sa che a Milano i vecchi ospedali erano (e in parte sono) come sembra volerli lui ora? Basta ricordare quattro casi. La sede centrale, addirittura "antica", del Policlinico fra Via Sforza (Cerchia del Naviglio) e Via Commenda. Ora massacrata dall'inserimento di sopralzi e nuovi volumi sproporzionati ma una volta costituita da edifici di due, tre, poi quattro piani, i più vecchi e bassi con paramento di mattoni a vista e di gusto neoromanico; ben distaccati fra loro, con aiuole e viali alberati. La sede di Niguarda, nientemeno che opera di Giovanni Muzio, famoso esempio, sia per ordinamento planimetrico che per controllo volumetrico degli edifici a media altezza, di compromesso fra Novecento e Razionalismo; sorta quasi come un ampio quartiere residenziale con giusto rapporto fra edificato e ampi spazi verdi alberati. L'Ospedale Sacco per malattie infettive in zona Roserio (N/W), a suo tempo incentrato su palazzetti come fossero abitazioni e oggi, nonostante i pesanti inserti, notevole per la quantità e il rigoglio delle alberature. Lo stesso si potrebbe dire per Villa Turro, fra viale Monza e via Padova (N/E), in origine casa di cura per malattie nervose, poi distaccamento del San Raffaele. Queste brevi osservazioni mi preme di trasmetterti, benché possano suonare di tonalità minore rispetto alla tua postilla in maggiore.

Per nulla marginali, queste tue osservazioni rafforzano l’idea di un approccio complessivamente poco meditato alla funzione, se il progettista può presentarli come pensata del tutto propria e non interpretazione di una domanda collettiva e pluridisciplinare, come in fondo erano i progetti di città sanitaria orizzontale a cavallo fra i due secoli scorsi. Così, messo in secondo piano l’aspetto socioeconomico e di servizio, quello territoriale metropolitano, anche quello delle scelte di organizzazione spaziale interna della “cittadella” pare rispondere a logiche lontane dai bisogni reali. Una corrispondenza tutta da recuperare, problema di cui forse si sta accorgendo anche la stampa di opinione: c’è qualche fondata speranza

(f.b.)

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