Dal 28 settembre a metà dicembre sarò a Nairobi, Kenia. Da qui mi propongo di inviare agli amici degli appunti di viaggi. Penso che sia utile innanzitutto spiegare perchè sono qui, e a questo dedicherò i miei primi appunti.
Sono qui per affrontare da vicino il caso studio della mia ricerca di dottorato, che ha un titolo lungo e “potente”: Hegemonic imaginaries of the cities of the South. Semiotic and material practices of the discourse of multilateral aid organizations (Tesi di dottorato in Progettazione urbanistica, Facoltà di architettura, Università di Firenze).
Cerco di sentitizzarne gli obiettivi. In ultima analisi vorrei cercare di capire quali interessi, economici, politici e sociali sono sottesi all’idea di città auspicata dalle più influenti agenzie multilaterali di sviluppo. Lo farò attraverso l’analisi e la comparazione dei discorsi sulla città prodotti dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite. Le domande che mi pongo sono sostanzialmente quattro:
1. Come si costituisce il “discorso” sulla città e quali sono i discorsi nodali che emergono?
2. Quale immaginario emerge e diventa oggi dominante?
3. In che modo, e attraverso quali attori, istituzioni, e circostanze, la produzione di egemonia si realizza?
4. Quale relazione esiste tra la realtà e gli immaginari?
Parto dalla considerazione che attraverso appellativi diversi (sustainable, livable, ecc.) e diversamente elaborati da ciascuna agenzia, la città diventa il contenitore di particolari strategie, che sanciscono o proibiscono determinate espressioni e modi individuali e collettivi. E lo fanno soprattutto attraverso la produzione di “sapere” che viene veicolato attraverso il discorso, e tramite il meccanismo dell’aiuto allo sviluppo, che è un complesso sistema di principi, regole, pratiche, procedure che si è sviluppato a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.
Il titolo vorrebbe riassumere in poche parole questi concetti:
- l’egemonia (una forma di potere che si realizza senza la forza ma attraverso il consenso, usando lo strumento potente dell’ideologia) si manifesta anche attraverso la produzione di spazio, che sia esso materiale o semiotico;
- la dimensione semiotica dello spazio - cioè il modo in cui esso è rappresentato, problematizzato, normato, progettato, ecc. - ha un ruolo determinante nel legittimare un particolare modo di concepire lo spazio e la società attuale e quella futura, diventando la fonte e la base di riferimento non solo dei discorsi successivi, ma anche delle politiche e degli interventi delle organizzazioni governative e non, delle agenzie e delle imprese private internazionali operanti nel settore urbano dei paesi del sud del mondo;
- l’ideologia è connessa all’organizzazione delle istituzioni dominanti, al potere e alla realtà sociale che esse descrivono, rappresentano e modificano.
Ho trascorso i primi 3 anni del dottorato ad analizzare i documenti e le pubblicazioni riguardanti la città o settori di essa (l’housing in particolare) che queste due agenzie hanno emanato dagli anni ’70 del secolo scorso ad oggi, e soprattutto a comprendere il contesto storico nel quale questa produzione discorsiva si origina e si sviluppa.
Se non fosse altro, da questa tesi certamente ricavo una migliore comprensione del mondo in cui vivo, soprattutto a livello di sistema globale: i libri di storia e di economia politica hanno dovuto diventare il mio pane quotidiano, insieme a quelli sulle relazioni internazionali, e non ultimi quelli di urbanistica.
L’altro grosso sforzo che ho dovuto fare è stato quello di dotarmi di strumenti concettuali (come l’analisi critica del discorso e la sociologia della conoscenza) necessari per comprendere quello che andavo studiando e quello che avrei analizzato durante il caso studio. Questo è stato certamente il percorso più difficile, ma anche più soddisfacente e ricco. Oggi, a distanza di tre anni, mi sento intellettualmente più aperta, più profonda, più attenta alle sfumature, e più dubbiosa. Ritornerò su alcuni elementi di questo apparato concettuale strada facendo.
Forse l’unico aspetto su cui mi sento di avere meno dubbi è quello del dove posizionarmi nel fare ricerca, perchè sento di avere più consapevolezza non solo del where I stand (“dove sto”) , ma soprattutto del what I stand for (“per cosa”).
Oggi più di ieri sono consapevole che:
"There is no area of our lives including the very boundaries of our imagination which is not affected by the way that society is organised, by the whole operation and machinery of power: how and by whom that power has been achieved; which class controls and maintain it; and the ends to which the power is put" (Thiongo’o wa Ngugi – uno scrittore keniota marxista di cui sto leggendo un bellissimo romanzo Petals of blood).
Sempre più credo che la mia ricerca debba essere rivolta a sostenere e “liberare” nel modo che a me è più congeniale, cioè con l’analisi, coloro che sono oppressi da una delle tante e variegate forme che l’oppressione può avere. Il contributo che vorrei dare è quello di individuare altre possibili letture per comprendere la realtà che ci circonda e quindi incominciare a cambiarla, nell’obiettivo di una società migliore per tutti e soprattutto più giusta.
Credo che questo spieghi il perchè di una tesi così poco “urbanistica” e molto “politica”, e del perchè le questioni del potere mi interessino particolarmente.
La ragione per cui sono a Nairobi sarà forse più chiara dopo qualche racconto sulla città, del suo funzionamento, del modo in cui la si vive, dei meccanismi che determinano le trasformazioni e di chi in questo “game” ci guadagna e chi ci perde.
Il fatto che a Nairobi ho degli amici, e che è una città nella quale ho già vissuto, sia pure brevemente, è un’altra ragione dell’essere qui. Mi sarebbe stato impossibile studiare in un paio di mesi Nairobi se non ne avessi già almeno intuito le problematiche, e se non avessi già allacciato contatti e stabilito rapporti.