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Anche la Curia - che pure non aveva mancato di criticare, perché giudicate sconvenienti, quelle che appaiono su San Simeon Piccolo - si «converte» alle maxipubblicità per finanziare i suoi restauri. Tra pochi giorni, sui ponteggi delle due facciate del Seminario Patriarcale che si affacciano sul Canal Grande e sul Canale della Giudecca, appariranno, pur più sobrie, quelle dell’Eni.

Il cane a sei zampe dell’azienda che con la sua Fondazione è già main sponsor dei Musei Civici, potrebbe portare in dote - per circa un anno di «apparizione» - circa un milione di euro, considerando che il Comune incassa circa 50 mila euro al mese per le maxipubblicità di Palazzo Ducale. Scontato il placet di Soprintendenza e Ca’ Farsetti ai tabelloni pubblicitari della Curia - nonostante il formale divieto di pubblicità lungo il Canal Grande - proprio perché sono stati i primi a usare questa forma di finanziamento applicata alle facciate monumentali nell’area marciana. A procacciare gli sponsor pubblicitari al Patriarcato per finanziare parzialmente il restauro delle due facciate del Seminario è stata la società Sri Group Italia, che per la Chiesa ha portatio avanti un’iniziativa analoga anche a Piazza san Pietro. Ma il grosso dei finanziamenti per l’intervento del Patriarcato arrivano dalla Regione, attraverso i fondi della Legge Speciale destinati al disinquinamento lagunare. Proprio poco prima delle elezioni, la Regione ha stanziato l’ultima tranche di circa 7 milioni euro di fondi per il restauro del Seminario e di altri luoghi di culto. L’intervento complessivo in corso, che dovrebbe costare circa 28 milioni di euro, eseguito dalla Sacaim, comprenderà, in particolare, la nascita di una moderna e grande biblioteca accanto a quella antica, di circa 200 mila volumi, che sarà aperta, oltre che a seminaristi e frequentatori dei corsi dello Studium Marcianum, agli stessi veneziani. Al suo fianco, la Cappella della Trinità, completamente ripensata nell’ambientazione architettonica e religiosa, che farà da contraltare, per le funzioni di culto, alla stessa Basilica della Salute. Ancora, prevista la creazione di una pinacoteca - con i capolavori del fondo artistico del Patriarcato, ora in buona parte nei depositi - a cui, al piano superiore, realizzato con un moderno ballatoio, si aggiungerà uno spazio per mostre temporanee. Il fondo artistico del Seminario comprende circa duecento opere di arte antica, tra cui dipinti di Cima da Conegliano, Alvise Vivarini, Filippino Lippi, opere di Antonio Canova. Il meglio finirà nella pinacoteca, ma altri pezzi verranno esposti nel grande cortile all’aperto, a fianco della Basilica. Ma ci sarà spazio anche per la ricettività dei nuovi ospiti dello Studium e posti-letto per visiting professors e borsisti saranno ricavati nello stesso palazzo longheniano del Seminario.

Postilla

Senza tregia pèrosegue la commercializzazione della città. Poco male, se cià non comportasse la distruzione graduyale della sua bellezza. Distruggere per vendere le reliquie di qualcosa che si fa tramutare da presente vivo a passato è un vizio bipartisan (comincò la giunta guidata da Massimo >Cacciari), e non solo laico. Se poi domani, 19 maggio, si dovesse decidere che le Olimpiadi si fanno a Venezia...

Ecco qualche immagine dei monumenti mercificati.

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VENEZIA. Sta crescendo come un fungo gigantesco il nuovo pontile Actv ai Giardinetti Reali non ancora finito, nonostante il termine fissato al 18 marzo il cui impatto sull'area marciana è impressionante. Ormai inservibili i cannocchiali fissi sulla riva perché la gigantesca struttura nasconde alla vista San Giorgio da una parte e Punta della Dogana e chiesa della Salute dall'altra. Anche in città cresce l'indignazione per le dimensioni e le caratteristiche del pontile Actv nell'area più preziosa e delicata della città sul piano monumentale e si sta già pensando a una raccolta di firme contro l'intervento che aveva già il parere favorevole della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e che non è mai stato esaminato dalla Commissione di Salvaguardia, perché autorizzato con i poteri del commissario al moto ondoso dopo che era stato tra i primi il rettore dell'Iuav Amerigo Restucci a sollevare il caso dei nuovi maxipontili dell'azienda di trasporto acqueo, portando la questione anche all'attenzione del Ministero dei Beni Culturali con la consegna di un dossier, senza però finora ottenere risultati. La stessa Italia Nostra ha annunciato iniziative contro l'intervento. Il target dei nuovi pontili Actv realizzati da Pmv, l'azienda che si occupa della logistica del trasporto acqueo e affidati per la progettazione agli architetti Pierpaolo Fugali e Luca Gasparini è sostanzialmente lo stesso, e privilegia le grandi dimensioni per fare fronte alla domanda turistica crescente, oltre che l'uso di materiali come il cemento e l'acciaio. Ma una delle caratteristiche delle strutture ormai evidente, anche per l'enorme copertura che le sormonta come un condor, sostenuto da piloni in lega d'acciaio e zinco è quella di nascondere alla vista il paesaggio circostante, senza porsi, evidentemente, il problema del rapporto con gli edifici monumentali che le circondano sia visti da terra, sia dall'acqua nonostante la Soprintendenza abbia seguito da vicino l'operato dei progettisti. Così, nel caso del maxipontile in costruzione al Lido, dal Gran viale e da Santa Maria Elisabetta non si vede più San Marco. Da quello della Pietà già in funzione non si vede pi San Giorgio. E da quello ai Giardinetti Reali, come detto, sono sparite alla vista, tra le altre, Punta della Dogana e la Basilica della Salute. I nuovi maxipontili sono invece difesi a spada tratta dall'Amministrazione comunale. «L'impatto è nullo ha dichiarato il sindaco Massimo Cacciari, in occasione dell'inaugurazione di quello della Pietà, i lavori di qualità. Ogni polemica è stupida perché quest'opera è sotto gli occhi di tutti. Anche se purtroppo gli occhi che vedono le cose fatte bene sono soltanto il 5-6 per cento del totale». Miopi e presbiti evidentemente per abbondano in città, perché sono molti, sia pure finora silenziosamente, quelli che giudicano negativamente caratteristiche e impatto dei maxipontili sull'immagine della città, senza mettere in discussione la necessità di rinnovarli. Ma il problema di un vero codice dell'arredo urbano tra maxipontili, distributori automatici e megapubblicità che imperversano in città sarà forse uno dei compiti di cui dovrà occuparsi il nuovo sindaco, prima che le trasformazioni selvagge dell'immagine di Venezia, di cui ormai anche molti visitatori si lamentano, abbiano raggiunto il punto di non ritorno.

Postilla

La moneta cattiva del turismo ha cacciato quella buona dei residenti. La moneta cattiva della commercializzazione ha cacciato quella buona delle attività legate alla cultura e alla storia della città. La moneta cattiva della falsa modernizzazione sta cacciando quella buona della tutela delle qualità accumulate nei secoli meno infelici nelle pietre della città che era la più bella del mondo. E la tendenza all’omologazione (e al trionfo delle metropolitane sub lagunari, delle Tessera City e Veneto City, della svendita e cementificazione delle aree libere al Lido) è bipartisan: sul terreno della mercificazione e omologazione della città e del suo territorio quelli che contano hanno gli stessi pensieri.

Nelll'icona il simbolo inventato dal sindaco (all'epoca Paolo Costa, tra due Massimi Cacciari) per vendere meglio Venezia

«Venezia ha perso appeal, Venezia piace molto meno al turista internazionale, che sceglie di soggiornare nelle capitali europee. Vienna, per dire attrae più della nostra Laguna».

Sembra una provocazione venata di eccessivo pessimismo, ma Francesca Bortolotto, Chairman & President dell’hotel Bauer, fa sul serio. E denuncia, senza mezzi termini, che il centro storico più bello del mondo perde i pezzi. «E soprattutto la sua identità», dice. «E adesso vogliono persino mettere i distributori di Coca Cola accanto alle chiese...».

Parla a un piccolo gruppo di giornalisti dal salotto di una delle suite dell’albergo, con vista sul Canal Grande. Di fronte, c’è Punta della Dogana e, sullo sfondo, l’isola di San Giorgio. «Le bellezze vanno assaporate, bisogna entrare nell’anima della città; non si può farlo in uno o due giorni scarsi e poi filar via veloci». L’allusione è a quel turismo mordi e fuggi, più volte denunciato. Che porta tanta gente, troppa, ma non aiuta a tenere alti gli standard qualitativi. Ed anche alla fascia economicamente più elevata che riduce al minimo i soggiorni in Laguna. «Fino a pochi anni fa Venezia era ai primi posti nella classifica dei desideri del viaggiatore. Dal settimo è retrocessa al 14° - spiega la titolare del Bauer - Certo, la crisi internazionale ha dato un duro colpo al turismo, tuttavia altre capitali hanno retto meglio, poiché non hanno i nostri problemi».

Francesca Bortolotto, a Venezia, rappresenta il nucleo familiare più forte dell’hotellerie. Negli ultimi anni ha investito molto nei suoi alberghi di prestigio (Bauer, Palazzo Bauer e Palladio alla Giudecca), considerando la qualità come carta vincente. «Avrei potuto vendere, ho tenuto duro. Ma fino a quando?». Dice che la situazione «è disperata» e che gli alberghi lavorano, mediamente, al 50 per cento delle disponibilità. «Anche perché l’offerta in pochi anni è aumentata vertiginosamente. La politica di cambio di destinazione d’uso (palazzi venduti per essere trasformati in hotel) è corrente. La domanda cala, l’offerta cresce troppo. Che senso ha?».

La conferma viene da Claudio Scarpa, direttore dell’Ava (Associazione Veneziana Alberghi), che partecipa all’incontro e presenta i dati del settore. «I posti letto nel centro storico sono triplicati - afferma -. Adesso sono circa 13.000. Ad ogni angolo c’è un albergo, una locanda, un bed&breakfast. Chi ha un buco a disposizione fa l’affittacamere. Questa non è più Venezia». Francesco Bortolotto riprende, con un carico da novanta: «L’offerta culturale è insufficiente, le grandi mostre, rare. Tutti hanno parlato della città in gran spolvero per la Biennale? Un granello di sabbia. La Fenice? Viene ricordata più per l’incendio che ha subito che per le stagioni liriche. I ristoranti non hanno saputo rinnovarsi. Stendiamo un velo pietoso sullo shopping: qualche griffe a San Marco e tanta paccottiglia. È mai possibile che gli striscioni dei saldi siano così evidenti da deturpare i palazzi?». «Non ho ricette - conclude - ma penso che si debba prendere coscienza fino in fondo del valore di Venezia e di ciò che può ancora esprimere. Smettiamo di svenderla, se vogliamo riconquistare il turismo di qualità».

É il puzzle che nessuno ha ancora ricomposto. Tessere singolarmente abbozzate, progetti disegnati, delibere-quadro dal punto di vista amministrativo. Eppure la Venezia del futuro dietro l'angolo galleggia sulle scelte urbanistiche di quadranti essenziali quanto ancora da plasmare con un'identità definita.

Waterfront rimane il profilo di una città unica al mondo, ma fra la terraferma di Mestre e la spiaggia del Lido si applica sempre l'orizzonte che riconduce al sistema immobiliare. In gioco, la metamorfosi della Serenissima nello specchio che dalla laguna riflette la «porta» del Veneto metropolitano che si allunga fino a Treviso e Padova. Così servono nuovi simboli, suggestioni economiche, idee che camminino di pari passo con gli affari.

Il faraonico Mose viaggia in automatico con i cantieri e la manutenzione delle paratie mobili anti-acqua alta che erano stati immaginati all'epoca del doge Gianni De Michelis. Adesso servono le Olimpiadi 2020 a giustificare lo «sviluppo»: nessuno vuole ricordare le analogie con l'Expo 2000 della Prima Repubblica. E urge salvare il Festival del cinema accerchiato da Roma e Torino. Poi bisogna recuperare Marghera avvelenata dalla chimica di Stato. Senza dimenticare di «ristrutturare» Mestre dopo il maxi-trasloco dell'ospedale Umberto I nel modernissimo complesso dell'Angelo che si affaccia su via don Giussani.

A Venezia la chiave di volta dell'arco urbanistico si chiama Quadrante Tessera. Sono circa 100 ettari di campagna intorno l'aeroporto Marco Polo. Diventerà una new-town con 1, 8 milioni di metri cubi di edifici sotto forma di casinò stadio (817 mila metri quadri), alberghi, centri commerciali e direzionali (altri 100 mila). Un mega-progetto benedetto in egual misura da Partito democratico e PdL, con qualche eccezione. Politicamente, Tessera city rappresenta il passaggio di testimone del sindaco Massimo Cacciari. Il frutto del «patto d'acciaio» stipulato nel 2008 con il governatore Giancarlo Galan e il presidente della Spa aeroportuale (Save) Enrico Marchi.

Per tracciare il futuro di Tessera a Ca' Farsetti è bastato «resuscitare» una variante del Prg approvata nel 2004 dalla giunta Costa, con la presentazione di una semplice osservazione urbanistica. «Percorso legittimo che permette di costruire il nuovo stadio a costo zero», ha spiegato pubblicamente Cacciari. Una mossa che costa quattro volte la cubatura prevista per il nuovo stadio e la cessione della pianificazione urbana ai manager della Save e agli immobiliaristi dei casinò, secondo gli oppositori.

Ma è la piattaforma ideale per ospitare i Giochi 2020, insistono in municipio: «Se vinceremo le Olimpiadi, potremo aggiungere il villaggio per gli atleti, le piscine e il palasport» puntualizza il sindaco.

Di sicuro, puntare su Tessera significa abbandonare Marghera al suo destino tossico. «Solo un matto può pensare di portare grande pubblico e impianti sportivi in una zona dove le aree sono ancora inquinate», taglia corto Cacciari. E così il territorio più martoriato d'Europa (5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali più altre 12 di fanghi «rossi») perde l'ultima occasione di riconvertirsi.

A sentire il ministro Renato Brunetta bonifica e riqualificazione di Marghera costano 3 miliardi di euro. Il finanziamento? Per l'80% dai privati che acquisterebbero i terreni, si legge nel programma elettorale Grande Venezia. Per Brunetta la gronda lagunare sud deve diventare il polo fieristico della città con il parco dell'idrogeno e i capannoni dei cantieri nautici veneziani.

Peccato che solo per la muraglia di sicurezza che dovrebbe isolare le aree inquinate bisognerà sborsare 800 milioni di euro (500 a carico delle imprese «assolte» nel maxi-processo al Petrolchimiko). E che le risorse messe a disposizione dallo Stato arrivino a malapena a 100 milioni di euro.

Meglio spostare il binocolo verso le spiagge del Lido. Qui le tarsìe da incastrare sono tre in appena 12 chilometri. Su tutte spicca il nuovo Palacinema: «Edificio degno di Hollywood», secondo Cacciari. Tecnicamente il cantiere procede senza intoppi, ma sulla scrivania di Vittorio Borraccetti, procuratore capo di Venezia, da inizio marzo giace il dettagliato esposto firmato dal cartello di associazioni ambientaliste del Lido.

«Hanno già distrutto la pineta e una parte di parco vincolato» accusano gli attivisti di Pax in aqua, Italia nostra, Associazione per la difesa dei murazzi, Ecoistituto del Veneto e Venezia civiltà anfibia. Denunciano una procedura che scavalca il dibattito nelle sedi istituzionali e «salta» l'autorizzazione della Commissione di salvaguardia.

Puntano il dito anche contro la vendita dell'ex Ospedale al Mare ai privati. E contestano la gestione dell'operazione da parte di Vincenzo Spaziante, commissario unico per il Palacinema: «Il Comune ha acquistato il policlinico di San Nicolò con i soldi della legge speciale per Venezia (4,8 milioni di euro, pubblici,ndr). Adesso si profila l'alienazione per scopi diversi da quelli sanitari. Spaziante decide anche di sanità quando invece il suo ruolo dovrebbe limitarsi al Palazzo del cinema» evidenziano gli ambientalisti.

Come se non bastasse, il commissario è stato sfiorato dal ciclone di Appaltopoli: nessuna indagine in corso, garantiscono le Procure di Firenze e Venezia. Emerge, tuttavia, la nomina di Mauro Della Giovanpaola (accusato di aver pilotato i bandi per il G8 alla Maddalena) nel Comitato tecnico di valutazione dei progetti esecutivi al Lido. Investitura caldeggiata proprio da Spaziante. Ma in laguna spiaggia anche l'eco delle prestazioni sessuali che sarebbero state consumate negli alberghi veneziani da Angelo Balducci e Fabio De Santis (collaudatore del Mose), altri due pezzi da novanta della «cricca» del sottosegretario Bertolaso.

Eppure l'ombra del Palacinema nasconde una partita urbanistica altrettanto fondamentale: quella degli immobiliaristi padovani di Est Capital Sgr che hanno comprato in blocco gli storici alberghi di lusso Excelsior e Des Bains ceduti da Starwood hotels nel 2008. Sulla carta, un business da 150 milioni di euro che fa perno sul restauro di 400 stanze a cinque stelle. Il risultato sarà un resort di lusso «spalmato» sui 72 mila metri quadri del litorale più prestigioso del mondo.

Qualche chilometro più in là tra Malamocco e gli Alberoni, svetta il profilo «sovietico» dell'altra tessera del puzzle: il monolitico ospedale San Camillo, polo della neuroriabilitazione veneziana, messo in quarantena dopo i tre casi di legionella registrati l'autunno scorso subito dopo l'inaugurazione post-restauro. Per la riapertura, si attende il parere definitivo della Regione; ma sulla vicenda pesano inevitabilmente i 15 milioni di euro spesi dai Padri camilliani per acquistare la vicina casa di cura Stella Maris che dovrebbe garantire 125 nuovi pazienti.

Decisamente più facile «lavorare» sulla terraferma. A Mestre, il mosaico urbanistico fa i conti con i 55 mila metri quadri liberati dal trasloco dell'ospedale Umberto I. Il 1 febbraio il consiglio comunale ha dato luce verde (28 favorevoli, 5 astenuti) alla cessione dell'area. Aprendo le porte a un'operazione immobiliare che vale 200 milioni di euro. L'ennesimo esempio di urbanistica contrattata: permetterà l'edificazione di tre torri alte 100 metri in cambio di tre padiglioni (8.500 metri quadri) ad uso pubblico.

Si gioca tutto sull'acqua, invece, il futuro del primo porto dell'Adriatico. Insieme all'espansione di Porto Corsini (Ravenna) si stilano le linee guida del nuovo polo logistico di Mira. Project financing per raddoppiare la capacità di movimentazione dei container: «Solo per gli scavi spenderemo 170 milioni di euro per portare i canali a quota meno 14 metri» spiega Paolo Costa, presidente dell'autorità portuale di Venezia. Alla fine di febbraio l'ex sindaco ha presentato al ministro Altero Matteoli la lista degli obiettivi anti-crisi. Riconversione ad usi portuali delle aree Syndial ed ex-Montefibre (94 ettari «riqualificati» in Terminal container e District park) e costruzione di un Hub per le autostrade del mare nell'area ex-Alumix entro il 2011.

Si veda anche l’articolo di Massimo Carlotto, il documento “ Per un altro Veneto” e gli altri scritti nella cartella della Rete veneta; per il Lido si veda l’eddytoriale 137; per il MoSE e per la sublagunare il contenuto delle cartelle dedicata ai rispettivi argomenti.

Non facile da spiegare, al mondo, che Venezia sta morendo in miseria e non ha più il becco di un euro cosicché il suo prestigioso conservatorio Benedetto Marcello cade a pezzi, Ca’ Corner della Regina ancora un po’ e sprofonda in Canale Grande, e Palazzo Ducale è un rattoppo sull’altro, li chiamano restauri ma ogni tanto casca un pezzo di cornicione, un paio d’anni fa anche in testa a una turista tedesca.

Difficile da spiegare, perché poi un giorno leggi che per il nuovo Palazzo del Cinema spenderanno 80 milioni di euro, 4 miliardi e mezzo se li sta fagocitando il Mose, 650 milioni andranno in Sublagunare. Il fatto è che tutto questo sfoggio di ricchezze con Venezia ha a che fare, ma fino a un certo punto: c’è la Legge Speciale, ci sono i bandi europei (tipo quello che offriva i soldi per la sublagunare, Venezia li ha presi, come si fa a dire no, e adesso le tocca farla, con gli ambientalisti in assetto da sommossa). Poi ci sono anche i buchi: il Palazzo del Cinema, confinato in un Lido anacronistico e antieconomico anche per le stelle di Hollywood e le loro major, costerà 80 milioni ma al momento ce ne sono 22 e il resto è un azzardo.

Venezia si è pagata, con le casse comunali, il Ponte di Calatrava: anche lì, l’architetto aveva regalato il progetto, vuoi dire «no grazie?» Dodici milioni e mezzo di euro, è uno spettacolo (dice Cacciari: «Non un oggetto ma un progetto, tutto un quadrante della città gli cambierà intorno, e comunque oggi non potrei permettermelo più»), ma ai veneziani è meglio non nominarlo nemmeno, erano altre le priorità.

Ora, di fronte a una platea di stampa internazionale alla quale era intento a presentare il nuovo turismo che a Venezia si vende online, lo stesso sindaco Cacciari ha alzato bandiera bianca: ha dichiarato che non c’è più un euro, che il Mose si è mangiato tutto, che la Legge Speciale è passata da 150 a 5 milioni, che lui è disperato per i palazzi rovinati e le rive instabili, e che il patriarca Angelo Scola lo è per le chiese.

Qualcuno, in giro per il mondo, non ci avrà creduto. Chi è stato a Venezia almeno una volta, sa cosa significa in termini di portafoglio: 24 euro per lasciare l’auto in piazzale Roma, sei euro il biglietto per qualsiasi vaporetto (si provi a fare il conto per una famiglia di quattro persone). Adesso Venezia prova a costare meno, mettendosi in prevendita su una piattaforma web che si chiama Venice Connected: fantastico per chi lo fa, chi dovesse avere la sciagurata idea di arrivare in laguna senza prenotarsi, potrebbe per esempio trovarsi a pagare 3 euro semplicemente per fare pipì nei bagni comunali (povera quella famiglia di quattro persone), e biglietti più cari nei vaporetti.

Venezia in bancarotta è un’idea difficile da vendere al mondo, a chi almeno una volta ha versato l’obolo; però è vero che per certi aspetti questa città mangia se stessa. Ha un Comune che conta 3 mila dipendenti, ma poi riesce a essere presente in oltre 40 società partecipate che insieme ne hanno altri 5 mila, spendendo oltre 270 milioni l’anno di stipendi (contro i 130 milioni del Comune). E’ una città irrazionale, che ha una testa e due corpi: così mantiene una giunta e sette Municipalità disseminate tra laguna e terraferma, con sette presidenti e una quarantina di mini assessori. Quelle che Cacciari aveva promesso di tagliare e che lo accompagneranno invece a scadenza.

Intanto, anche gli sponsor si danno: non è più tempo. Che fare, spremere i turisti ancora di più, lasciar crollare i palazzi? L’assessore al Turismo Augusto Salvadori ha un’idea migliore; ne ha parlato al Governo, assieme ai colleghi di Firenze e Roma. «Ridateci il 2 per cento dell’Iva versata dagli alberghi», un minifederalismo tipo boccata d’ossigeno. Aspetta risposta. Sarebbero dieci milioni l’anno, mezzo Conservatorio restaurato. Altri 10 si potrebbero ricavare accorpando un po’ di partecipate, dicono all’associazione Una Grande Città, professionisti della terraferma. Buoni per una toppa a Palazzo Ducale. La coperta è corta: e con i piedi in acqua c’è poco da fare, si sente di più.

Inquinano più di una colonna di tir, oscurano il profilo della città. Sono le navi che attraccano a Santa Marta, caricano migliaia di villeggianti e si fanno trainare fino all'Adriatico. Veri e propri residence galleggianti, dove a fare la parte degli immobiliaristi ci sono gli armatori. Ecco cosa si nasconde dietro il primo homeport d'Europa

Oscurano il profilo della città più bella del mondo. Fanno «saltare» le televisioni nelle case. Innescano un piccolo tsunami nel bacino San Marco. E assorbono l'elettricità dei sestrieri. Oltretutto, inquinano peggio di una colonna di Tir in tangenziale. Le gigantesche navi da crociera sono un business per Venezia. Attraccano a Santa Marta, caricano migliaia di passeggeri nella città-galleggiante e si fanno trainare dai rimorchiatori fino all'Adriatico. Andata e ritorno: uno "spettacolo" mozzafiato per chi sta a bordo; una "tortura" senza fine per i veneziani.

È l'ultima frontiera del turismo di massa nella città-cartolina per antonomasia. Un viaggio con vista sul Canal Grande con un ticket che non contabilizza però l'impatto reale dei nuovi Titanic. Ingegneria navale applicata all'immobiliarismo da residence. «Bestioni» lunghi 300 metri, alti 50, con cabine attrezzate per almeno 3.000 passeggeri, supermercati, casinò, piscine, palestre e sale cinema e ascensori panoramici. Atmosfere da sogno con i ponti illustrati da Milo Manara e le copie del Caffè Florian, come a bordo della Costa Atlantica. Scafi da 90 mila tonnellate governati da un equipaggio di oltre mille uomini e gestiti da un "reggimento" di cuochi, medici, camerieri e uomini della security. Una città nella città che salpa e attracca, da sponde sempre più ormeggiate sul filo del rasoio. Dietro le turboeliche del denaro ci sono armatori che pagano profumatamente servizi portuali e tasse d'ogni genere perché Venezia non ha prezzo nell'immaginario dei croceristi (16% americani, un quarto italiani, il resto europei con gli spagnoli in crescita).

Crociere sempre a gonfie vele, tanto che il terminal della laguna si prenota come primo homeport d'Europa. Intanto, diventa l'undicesimo scalo turistico al mondo: nel 2008 un milione 215.088 passeggeri; quest'anno si registra un incremento del 15%. Significano 2 milioni di bagagli movimentati, 33 mila persone nel picco stagionale e circa 35 mila auto in sosta nei piazzali dell'isola del Tronchetto. Tradotto alla cassa, vuol dire un giro d'affari da 220 milioni di euro all'anno.

Una partita che sembra giustificare la "stazza" del faraonico investimento per il nuovo bacino Sant'Angelo: 100 milioni di euro per una futuristica stazione marittima a ridosso del Canale dei Petroli. Nel progetto, 5 mila metri quadri chiusi da una "sponda" lunga mezzo chilometro. Dovrebbe essere pronto nel giro di tre anni. Servirà a far attraccare le future Queen Mary, veri e propri "incrociatori" in grado di movimentare 10 mila passeggeri "a toccata". Nel conto dell'espansione ci sono anche 50 milioni di euro per il potenziamento tecnico dello scalo e altri che 17 permetteranno il riatto di due terminal e la posa di una passerella mobile al terminal Isonzo.

Le crociere d'oro, però, sono come un maremoto. Tanto che il mareografo sul campanile di piazza San Marco è tutt'altro che serenissimo. Registra puntualmente le «scosse» ogni volta che le navi attraversano il bacino da Sant'Elena alle Zattere, e viceversa. E perfino il PM10 oscilla verso l'alto quando i mega-comignoli sbuffano smog nel cielo della laguna.

I veneziani che abitano a Dorsoduro, lungo il canale solcato dai giganti del mare, hanno dichiarato guerra alle grandi navi. «Devastano rive, fondamenta e fondali. Spostano enormi masse d'acqua che poi vanno a scaricarsi direttamente sulla città». E' la denuncia del Coordinamento dei comitati di quartiere di Santa Marta, Castello e Sacca Fisola. Sotto accusa (oltre al micidiale effetto "risucchio e pistone" amplificato dalla stazza delle navi), soprattutto gli energivori motori diesel da 50 mila kilowatt: rimangono accesi 24 ore al giorno per alimentare gli impianti e la frenetica vita di bordo.

Così la centralina Arpav installata sull'isola di Sacca Fisola, a 200 metri dalla stazione marittima, rileva valori di particolato maggiori di quelli registrati ai bordi della tangenziale di Mestre. E all'Agenzia per l'ambiente ammettono senza difficoltà che il traffico portuale nei moli è responsabile della diffusione del 10% del totale dell'emissioni di micropolveri dell'intera provincia. «Pensare che quel "mostro" del Marco Polo, il terzo aeroporto d'Italia per volumi di traffico, emette "solo" lo 0,5 % del Pm10 del veneziano» fanno notare gli abitanti delle zone esposte.

Un dislocamento più che ingombrante, non solo nelle darsene. Anche perché i transatlantici ormeggiati in laguna non chiudono gli occhi nemmeno di notte. I radar installati nelle plance automatizzate emettono senza sosta potenti radiazioni elettromagnetiche. Non servono sofisticati strumenti di rilevazione per misurare gli effetti delle antenne navali: è sufficiente entrare in uno dei "casermoni" di Santa Marta dietro alla vecchia stazione marittima dove non si riceve nemmeno il segnale Rai.

Ma il pericolo maggiore è che questo spicchio di laguna si trasformi presto in un vero e proprio braccio di mare: «Per far transitare le navi da crociera bisogna scavare i fondali, in aperto contrasto con la legge speciale di salvaguardia di Venezia. C'è il rischio di scuotere tonnellate di fanghi inquinati, scarti di lavorazione delle industrie del Petrolchimico» precisano al comitato. Respingono la monetizzazione del primato marittimo veneziano: «L'autorità portuale vorrebbe costruire un muro di separazione tra le banchine e il quartiere di Santa Marta. In cambio, offre al Comune il tradizionale piatto di lenticchie». Nella fattispecie, un migliaio di posti auto nella nuova rimessa d'appoggio del traffico passeggeri programmata dagli ingegneri del Porto.

Per far quadrare il pesante cerchio, si profila una tassa sul traffico navale: una sorta di risarcimento per riparare i danni dell'onda del turismo che si abbatte su rive e fondazioni tutelate dalla Soprintendenza veneziana. E c'è chi teme il patto tra Comune e i napoletani della Msc-crociere, prima compagnia nel Mediterraneo: oltre 200 mila euro per sponsorizzare il Carnevale e la promessa di utilizzare carburante "verde" durante la navigazione nel bacino San Marco.

A Venezia la battaglia contro le grandi navi non è pregiudiziale: «Non siamo contro le attività turistiche o portuali. Ma a favore della costruzione di un avamporto in mare. Come hanno fatto le autorità dei maggiori scali marittimi inseriti nei grandi agglomerati urbani, e come da tempo richiesto dalla municipalità di [Venezia-]Murano-Burano in un ordine del giorno votato dal Consiglio. Intanto bisogna imporre al naviglio di ogni dimensione e genere il divieto di usare i generatori di bordo durante la sosta in banchina, e contemporaneamente allestire appositi attracchi a Porto Marghera».

A primavera, a Venezia si vota. Massimo Cacciari, sindaco-filosofo ormai più che deluso dal Pd, ha annunciato da tempo l'intenzione di chiudere con Ca' Farsetti. Il centrodestra accarezza l'idea di "riconquistare" il potere come ai bei tempi del pentapartito: si vocifera la candidatura a sindaco del ministro Renato Brunetta (ma anche del governatore Giancarlo Galan). La nave del PdL è pronta ad abbordare il municipio, buttando definitivamente a mare ciò che resta del centrosinistra.

Sarà pur vero che la nonostante tutto ancora bella Venezia, come molte volte è accaduto nella sua lunga e spesso luminosa storia, ci sorprende sempre. Talora anche con effetti speciali e trovate circensi. Ma c’è da restare allibiti, o semplicemente divertiti, dipende dai punti di vista, ascoltando le chiacchiere di questi giorni

(chiacchiere, parlare di progetti pare francamente eccessivo) sul futuro della città che fu dei Dogi. C’è chi propone di fare una metropolitana subacquea che corra in mezzo ai granchi sotto la laguna, chi vuole allargare il ponte della Libertà per farlo diventare nientemeno che un boulevard (!) con negozi e terrazze, e chi sogna addirittura le Olimpiadi (!). Manca solo il matto che proponga di asfaltare i canali per farne piste di pattinaggio.

Sulle Olimpiadi poi, sarà il magico effetto dei cerchi, la fantasia si è scatenata. C’è chi le vuole allargare anche a Padova e a Treviso, chi a tutto il Veneto, chi all’intero Nord Est, e qualcuno persino a tutta l’Italia sull’asse Venezia-Roma «che tanto sono vicine». Senza sapere (o fingono di non sapere?) che le rigide regole olimpiche internazionali prevedono che possano candidarsi solo singole città, e che tutti gli impianti, dicasi tutti, debbano stare obbligatoriamente nel raggio di otto chilometri.

Molto difficile che si possa pensare a Venezia, che non ha alcun impianto sportivo che possa definirsi neanche lontanamente olimpico, e che anche ammesso che volesse costruirli tutti ex novo in qualche punto imprecisato del suo territorio (Tessera? Marghera?) dovrebbe fare un mutuo di decine di miliardi che di questi tempi nemmeno il Padreterno sarebbe disposto a concedere. Impensabile.

Ma ciò che più inquieta è il perché di tutte queste idee balzane. Il primo motivo che viene alla mente è il più logico, ed è, per alcuni, un movente interessantissimo: sono tutte fantasie costosissime che andrebbero ad arricchire enormemente chi deve costruire il costruibile. Nel passato di questa città, ma anche nel presente, ci sono molti esempi, e non certo tutti positivi, che si potrebbero fare al riguardo. E questo è comunque l’unico motivo plausibile. Leggermente disgustoso ma plausibile. Perché, tolta la voglia smisurata di denaro, per certi versi anche comprensibile in tempi di magra come gli attuali, l’unico altro effetto che sortirebbero queste gigantesche diavolerie, sarebbe quello di gonfiare ulteriormente di milioni di turisti una città che già soffoca per troppo turismo e che rischia di morirvi strangolata.

Basta pensare che tra alcuni anni, anche indipendentemente dai giochi, dai metrò e dai boulevard, pioveranno comunque sulla laguna altri milioni di turisti che si andranno ad aggiungere, con inevitabili e facilmente immaginabili problemi, ai venti milioni e passa di turisti attuali. Con il risultato che la città sarà ancora più invivibile, e non soltanto per i sempre più esigui residenti, e verrà definitivamente consegnata nelle mani del turismo di massa e dei suoi allegri sfruttatori. Defunta come comunità civile e risorta come parco giochi.

Dietro questo «obiettivo unico», mai dichiarato apertamente come soluzione finale, anzi pubblicamente confutato ma privatamente perseguito tenacemente da tempo, rimane un’altra amara constatazione: che come avvenne vent’anni fa in occasione della candidatura perdente di Venezia per l’Expo (contestata anche da chi adesso sostiene le Olimpiadi, guarda come il tempo cambia le cose), la classe dirigente veneziana, sia politica che imprenditoriale, sembra puntare a vendere sogni proibiti, per la maggior parte irrealizzabili (e quindi solo fumo) anziché pensare a fare con semplicità e umiltà quelle cose normali legate alla soluzione dei problemi quotidiani del vivere civile di una comunità e di una città normale.

Ma Venezia forse non è una città «normale». Probabilmente non lo è mai stata. Sicuramente non lo è più. E allora largo ai sogni. Il più bello sarebbe se il prossimo sindaco ci risparmiasse giochi, boulevard, metrò e altre bizzarrie. Scendesse dalle nuvole e tornasse coi piedi per terra. Anzi, nell’acqua. Con o senza stivali.

La cronaca

Cacciari ha ufficializzato

la candidatura al Coni

VENEZIA.. Formalizzata la candidatura di Venezia per ospitare i Giochi Olimpici del 2020. Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, ha inoltrato ieri al presidente del Coni, Giovanni Petrucci «A nome del sistema delle rappresentanze politiche, sociali, economiche di Venezia e della sua area metropolitana in maniera compatta e univoca», la richiesta formale di candidatura di Venezia a ospitare la 32ª edizione dei Giochi olimpici estivi, nel 2020. Il sindaco ricorda come l’assegnazione dei Giochi del 2016 a Rio de Janeiro ha di fatto reso possibile il ritorno dei Giochi Olimpici in Europa nel 2020, per la consuetudine dell’alternanza tra continenti, e ha quindi ricordato che lo scorso 2 ottobre, assieme al presidente e al vicepresidente della giunta regionale del Veneto, e al presidente di Confindustria Veneto, ha annunciato l’intenzione della candidatura. Ancora, ha ricordato come Venezia, oltre alla storia millenaria e al fascino universale è meta di milioni di turisti da tutto il mondo, è una della grandi capitali della cultura e della ricerca artistica, e capitale di un territorio che da decenni è all’avanguardia in tutti i settori economici, sociali, scientifici, e sportivi. Il sindaco ha quindi scritto che «la città di Venezia ha la consapevolezza di poter esprimere un progetto di candidatura olimpica in grado di: rispondere a tutti i requisiti fissati dalla Carta Olimpica e dagli elevati standard richiesti da un evento olimpico; disegnare e realizzare un progetto olimpico di assoluta professionalità e credibilità, sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello della sostenibilità economico-finanziaria; poter rappresentare in modo autorevole, innovativo, sostenibile e, ci auguriamo, efficace il nostro Paese nella lunga e articolata corsa all’assegnazione del prestigioso evento». Cacciari ha quindi assicurato che «la struttura del già costituito Comitato Venezia 2020 si adopererà nei prossimi mesi per predisporre tutta la documentazione, le analisi e le procedure funzionali alla presentazione di un dossier da sottoporre alla valutazione degli organi competenti del Coni».

Il giorno dopo aver annunciato a sorpresa di voler candidare Venezia e l’area metropolitana alle Olimpiadi del 2020, il sindaco Massimo Cacciari snocciola progetti e idee, con un’avvertenza: Venezia non farà solo da richiamo per un evento che si celebrerà altrove. E’ entusiasta il filosofo mentre elenca le potenzialità del territorio veneziano, un triangolo che va da Marghera al Lido a Tessera: «Tutti i progetti già in corso a Venezia sono perfettamente coerenti con l’organizzazione dei Giochi olimpici», dice pensando per prima cosa al Quadrante di Tessera, l’area dove sorgerà il nuovo stadio, oltre che il Casinò, ma dove potrebbero trovare sede anche molte altre strutture sportive. «Penso ad esempio a una piscina olimpionica », aggiunge. Ma un altro pensiero molto suggestivo riguarda le aree dismesse di Porto Marghera, dove il sindaco vorrebbe far sorgere il futuro villaggio olimpico.

C’è però una questione che preme molto a Cacciari e riguarda il ruolo della città lagunare in questa partita «metropolitana», dove sono chiamate a giocare un ruolo decisivo anche Padova e Treviso. Il timore è che il nome di Venezia venga sfruttato come specchietto per le allodole, per promuovere la candidatura presso il Cio, ma che poi le gare olimpiche si disputino tutte distanti dalla laguna. «Di Venezia non sarà usato soltanto il nome – avverte –. Qui si vuole creare un progetto tutti insieme e il nostro territorio ha le caratteristiche per ospitare gare e infrastrutture. Le Olimpiadi possono essere un’occasione per la città e per tutta l’area metropolitana per dare una definitiva sistemazione alle infrastrutture, alla mobilità, alla ricettività. C’è un disegno in prospettiva che riguarda tutto questo».

Un disegno non improvvisato. Venerdì quando il primo cittadino veneziano aveva annunciato l’ipotesi candidatura, sembrava quasi una boutade. Invece si è capito ben presto che dietro c’è un progetto che parte da lontano. «Ci lavoravamo da mesi ma siamo riusciti a custodire il segreto — racconta con un pizzico di soddisfazione —. Ora le istituzioni lavoreranno insieme agli imprenditori e a tutti gli attori economici interessati. E’ chiaro che occorreranno degli investimenti per la progettazione, ma deve essere altrettanto chiaro che gli enti pubblici non metteranno un euro, soldi non ce ne sono ».

Entrando nello specifico veneziano, le strutture già previste sono quelle che gravitano nella zona di Tessera dove sarà costruito il nuovo stadio, ma dove si prevede sorga una vera e propria cittadella dello sport. «Qui si potrebbe realizzare anche la piscina olimpionica», insiste il sindaco. Tessera poi, fa notare Cacciari, sarà il punto d’arrivo dell’Alta velocità, dato che proprio davanti all’aeroporto sarà collocata, in futuro, la nuova stazione dei treni super veloci. E se davvero in laguna si realizzerà la sublagunare, di cui si è tornati a dibattere proprio in questi giorni, il cerchio si chiuderà: con il metrò che da Tessera corre sotto acqua, il centro storico veneziano e il Lido diventerebbero improvvisamente vicinissimi.

Così collegato, anche il Lido entrerebbe nella partita olimpica: «Nel tratto di mare antistante il litorale potrebbero sicuramente essere disputate tutte le gare di vela. Mentre il canottaggio no, perché per il campo di gara – ricorda Cacciari – serve l’acqua dolce». Ma c’è un’altra partita molto ambiziosa che si può giocare sull’altro vertice del triangolo, e cioè a Porto Marghera. Il sindaco tiene a precisare: «Gli spazi disponibili sono tanti, ma sono quelli delle aree già dismesse dalle attività industriali, non fraintendiamo. Che a qualcuno non venga in mente di approfittare per dismettere ciò che è tuttora in attività». Fatta la premessa, a Marghera nelle suggestioni del filosofo potrebbe sorgere il villaggio olimpico, con tutti gli spazi per alloggiare gli atleti delle diverse squadre nazionali. «Perché no? Sarebbe un’area perfetta ». Perfetta, come la prospettiva di sviluppo che, secondo Cacciari, potrebbe derivare dalle Olimpiadi in salsa veneta. «Tutta l’area metropolitana potrebbe diventare motore economico dello sviluppo del territorio. E Venezia potrebbe esserne la guida, così come oggi – conclude – lo è già sul piano culturale ».

Postilla

La guida a destra caratterizza sempre di più Venezia. Del resto già qualche tempo fa dalle file degli ex Pci si erano levate voci che rimpiangevano l’arresto che, nel 1990, il Pci e molte altre forze della politica, della cultura e della società veneziana, italiana ed europea avevano saputo intimare alla devastazione dell’Expo 2000, auspicato dai poteri forti di allora. Ma di i poteri dele capita2lismo parassitario e rentier di oggi la politica, almeno a Venezia, è succube, travestita da mosca cocchiera. Così continuano a non capire (o a far finta) che realizzare una Expo o unìOlimpiade a Venezia sarebbe come invitare un elefante a visitare una cristalleria. Al di là delle apparenze partitiche, la destra che sembra comandare oggi non è quella dei Bruno Visentini o degli Ashley Clark, che insieme a molti altri (alla maggioranza del Parlamento italiano) si opposero allora alla devastazione annunciata di una Expo in Laguna. É la destra becera, che apre la strada ai Brunetta.

I numeri scritti in rosso, rosso come l´allarme che sta suonando in città, scorrono sul tabellone luminoso che hanno messo nella vetrina di una farmacia tra le aspirine e i pannoloni. I veneziani che passano ci buttano sempre un occhio. Perché la cifra scritta sul tabellone diminuisce costantemente. Meno uno quasi ogni giorno che passa. Si misura la temperatura della città all´antica farmacia «Morelli» di campo San Bartolomio, ai piedi del ponte di Rialto, davanti alla statua di papà Goldoni. E il termometro segna febbre alta. Perché il «contatore della popolazione» aggiorna in tempo reale il numero degli abitanti rimasti nel centro storico. Sempre di meno. Adesso sono 60.052. Il numero più basso della sua storia. La città che fu dei Dogi sta inesorabilmente scivolando sotto la soglia dei 60mila, ritenuta la quota minima vitale per potersi considerare ancora una città e non solo un baraccone per turisti.

Quei birboni di www.venessia. com, un vivace sito cittadino, si stanno già organizzando. Il giorno che la città scenderà sotto i 60mila abitanti, le faranno il funerale. Un «funerale della residenza» con tanto di bara e corteo funebre per «il caro estinto abitante veneziano». Lo spopolamento, problema serio, serissimo, e mai risolto. L´esodo dal centro storico di Venezia, che nel 1400 era arrivato a contare 200mila abitanti (tra cui 11mila cortigiane), e ne aveva ancora 160mila nel 1930, va avanti inesorabile da decenni, al ritmo di 1.000-2.000 abitanti l´anno che se ne vanno. Nel 1966 il centro storico aveva ancora 121mila abitanti. Negli ultimi 40 anni si sono dimezzati. E i demografi prevedono che se andrà avanti così, nel 2030 Venezia non avrà più abitanti. Sarà occupata solo da frotte di turisti.

Colpa soprattutto dei prezzi elevati delle case. Ma colpa anche degli alti costi di manutenzione di edifici spesso vecchi, malandati, aggrediti dall´umidità. E colpa degli effetti perversi del turismo, che trasforma le case in locande (negli ultimi anni hanno aperto 706 nuove insegne), e rende difficile la vita di tutti i giorni, perché i vaporetti sono stracarichi, gli osti esosi, e boutique eleganti e negozietti di paccottiglie hanno preso il posto di panettieri, macellai, fruttivendoli, calzolai e sarti. Ma è colpa anche del fatto, sostiene il Sindaco Massimo Cacciari, che «le funzioni terziarie, che dovevano prendere il posto di quelle dismesse, non si sono insediate, e intanto la pressione turistica è diventata insostenibile». Un problema comune a molti centri storici, aggiunge il sindaco, che invita i veneziani a «smettere di piangersi addosso» per tentare invece di reagire invertendo la tendenza. Bisogna «uscire dalla monocultura turistica», spiega. Attivando nuove funzioni, attraendo imprenditori nel campo delle nuove tecnologie, favorendo la residenza e l´insediamento di campus universitari. Il Comune ha avviato una politica di «social housing» per mettere entro tre anni 1.200 alloggi «a canone sostenibile» a disposizione del ceto medio, che è quello più penalizzato. Proprio quello che se ne va.

Postilla

Le cause immediate della diminuzione degli abitanti sono correttamente (e, bisogna aggiungere, facilmente) individuate dal bravo giornalista. Ma nessuno ricorda che vi sono state, negli anni passati, tre scelte politiche che sono all’origine di quelle cause.

In primo luogo, l’abolizione di quelle norme del piano regolatore del centro storico che consentivano di tutelare la destinazione delle abitazioni a residenza ordinaria, impedendo la trasformazione dell’edilizia residenziale ad alberghi e altre attività ricettive.

In secondo luogo, il rifiuto di adottare politiche capaci di governare il turismo riconducentolo a quantità e tipolgie adeguate alle caratteristiche della città storica (che non è né Parigi né Disneyland) e, anzi, il massimo sforzo a incentivarlo e a promuovere la “merce” Venezia con ogni mezzo (adesso continuano a insistere perfino con la metropolitana!).

Infine, il dirottamento su opere del tutto inutili (il ponte di Calatrava)i finanziamenti che il contribuente italiano paga a Venezia perché la città sia restaurata: a cominciare dagli alloggi dei residenti.

Una persona normale, non un turista ma una persona che vive e lavora a Venezia o viene da fuori per lavorare, e voglia prendersi una bottiglietta d’acqua da mezzo litro la paga due euro e cinquanta. In quasi tutti i bar di Venezia. Un lusso l’acqua. L’alternativa è prendere una pausa di un’ora, anziché di dieci minuti e andare in uno dei luoghi più rari e ricercati in laguna: un supermercato. Un lusso un supermercato.

Se a Venezia si arriva di notte, o di giorno, ma con qualche problema col bagaglio e un impiccio di salute personale, si può prendere il taxi acqueo. Per un tempo di percorrenza di circa tre-quattro minuti la tariffa è, se si chiede con un certo dialetto veneziano o con una cadenza del tutto lagunare, dai 40 ai 60 euro. Un lusso il taxi.

Sto facendo esempi di beni primari: acqua e trasporti. Non sto parlando di cinema, due sale in tutta la città, di librerie o di bagni pubblici che pure scarseggiano.

Ma ci sono cose che a Venezia non mancheranno mai: ponti, musei e negozi. I ponti sono più di 400, ma da qualche settimana se ne è aggiunto uno: il ponte di Calatrava. Un vero lusso per la città, con un costo di 12 milipni di euro e una infinità di tempo e polemiche che ancora non si spengono. La città museo-a-cielo-aperto di musei ne ha una moltitudine, l’ultimo arriverà a giugno 2009 e sarà il “Centro d’Arte Contemporanea di Punta della Dogana – François Pinault Foundation”: un costo di 20 milioni di euro di solo lavori su una superficie di 4290mq. Un polo del lusso, con lavori di lusso e collezioni di lusso. D’altronde tutto ciò arriva da François Pinault, che di lusso se ne intende.

Ma l’ultima notizia in questo campo è l’acquisto da parte del Gruppo Benetton del “Fontego dei tedeschi”, ovvero lo storico palazzo delle poste ai piedi di Rialto. Oltre dieci mila metri quadrati che tutte noi speravamo andasse a H&M o Zara, così da poterci permettere qualche acquisto nella città in cui viviamo. Invece no, con 53 milioni di euro Benetton non farà un negozio della propria marca (che tra l’altro è già lì vicino a soli venti metri in un palazzo storico di tre piani) bensì una galleria stile Galeries Lafayette, con negozi di lusso. Come se di negozi Armani e simili la città non fosse già piena. Un altro polo del lusso.

Cammino per la mia città e guardo le carovane di turisti giornalieri che ciondolano ovunque, osservo i giapponesi con grandi sacchetti con la scritta Versace, vedo palazzi storici, come il bellissimo palazzo delle entrate in campo sant’Angelo, che stanno cambiando sesso e diventano alberghi di lusso. Non mi stupisco più quando vedo i topi scorrazzare nelle calli, ma mi stupisco se vedo un gatto: un bene di lusso se l’associazione che da venti anni li sterilizza non ha beccato i suoi genitori.

Mi fermo di fronte ai manifesti di mostre e biennali che tappezzano la città e mi sorprendo a vedere la faccia di Cacciari che si versa l’acqua da una caraffa e dice “io bevo l’acqua del sindaco”. Anch’io bevo e pago cara quell’acqua. Caro sindaco, ogni anno Venezia nel centro storico registra tra i mille e i milleseicento residenti in meno… Tra qualche anno, per te, avere un cittadino sarà un lusso. Ma non ti mancheranno ponti, musei e negozi.

Quarant’anni dopo, l’alluvione è corporea, asciutta e costante. E’ fatta di milioni di passi che consumano, di mani che toccano, di umori che corrodono ma che rendono talmente bene e in modo talmente ecumenico da farla sembrare un’alluvione salvifica. La prima contraddizione è la più fragorosa. Con i 15 milioni di turisti che arrivano ogni anno in laguna ci mangiano in molti, e in molti ci banchettano, quindi è assai dura per la stragrande maggioranza dei veneziani dire che i turisti sono sgraditi o, peggio, nocivi.

I turisti ci sono sempre stati ma poichè il numero dei veneziani si è dimezzato mentre gli spazi della città sono rimasti pressochè uguali, la differenza al netto se la sono pappata i foresti. Nessuno, a onore del vero, li ha fermati. Venezia, anzi, continua ad accoglierli come se non avesse aspettato altro tutta la vita, sgranando una varietà di attrazioni come fosse una maga che fa giochi di prestigio su se stessa.

Con tre stanze e un bagno decente, oplà, gli appartamenti si trasformano in bed & breakfast. Con sette stanze si ha diritto a un alberghetto. Con un palazzo dismesso si può ambire a un albergone a cinque stelle. Compri un cinema e fai un ristorante. Prendi una panetteria e la converti in un emporio di maschere. Hai un banchetto della frutta e spunta un trabiccolo di souvenir. Incredibilmente, sembra che ancora ci sia posto per tutti.

Però fino a un certo punto. Gli stessi albergatori ora guardano perplessi al proliferare dei bed & breakfast. Mille posti letto in più in un anno, così, come fosse niente. A modo suo, tuttavia, il B&B ha ancora qualcosa di umano perchè per legge nel B&B il veneziano dovrebbe anche abitarci. Nell’appartamento invece no e ogni appartamento in più per i turisti è un appartamento in meno per i residenti.

Ora che il problema del turismo è anche e soprattutto fisico è rispuntata la manfrina del ticket. La città, corentemente, si è subito spaccata e si è fatto un gran baccano puramente teorico anche se il sindaco Cacciari propende per il sì visto che nelle casse del Comune non c’è un euro.

Prima, però, dovrà farla digerire a categorie - come ad esempio quella degli esercenti - refrattarie a tassare ulteriormente i turisti che saranno anche sporcaccioni però a Venezia pagano anche l’aria che respirano. Per interrompere il meccanismo perverso che lega la città ai suoi ospiti qualcuno dice che ci vorrebbe un genio o un pazzo che non guarda gli interessi di nessuno. Qualcuno, come spiega Franca Coin, in grado di rompere l’immobilismo che paralizza Venezia. «Ho grande rispetto per Cacciari, però qui non succede nulla - dice Franca - Un turismo con 15 milioni di visitatori è una ricchezza fantastica ma perchè nessuno è in grado di gestirla?».

Prendi i rifiuti. La sola Piazza San Marco produce ogni giorni venti metri cubi di monnezza prodotta dai turisti. In tutto il centro storico sono 70 mila tonnellate all’anno. Ogni pendolare costa a Vesta un euro al giorno. Però per fare la pipì non in un sottoportico, ogni pendolare spende un euro a minzione. A fine giornata è un salasso.

Quarant’anni dopo, per l’acqua alta ci sono sedici sirene, un centralino automatico, cinque chilometri di passerelle, stivali di gomma floreali col tacco e Sms che arrivano in tempo reale a 7.300 abbonati. Per l’alluvione fisica ci sono sei vigili a Piazzale Roma e sei in Piazza San Marco. Ci sono cartelli che suggeriscono il comportamento da adottare ma, poco elegantemente, sono stati attaccati sui bidoni delle immondizie.

Ieri, 4 novembre di quarant’anni dopo, la massima era di 77 centimetri. Con la minima, i palazzi mostravano le gengive nere delle fondamenta ma ai turisti piacevano lo stesso anche perchè la foto era gratis.

Molte cose sono già state dette sui meriti e i demeriti della Finanziaria 2007. Personalmente credo che la manovra non solo costituisca un passo importante nel tentativo di risanare i conti dello Stato, ma introduca anche una serie di innovazioni interessanti nel sistema della finanza pubblica italiana. Una di queste innovazioni, a mio avviso, è la altrettanto discussa tassa turistica.

Per capire fino in fondo il concetto di tassa turistica, è necessario impostare la questione correttamente. Innanzi tutto, va ricordato che le imprese turistiche già oggi contribuiscono pienamente al mantenimento del sistema Italia: un sistema che consiste di tantissimi sottosistemi regionali, provinciali e locali, che ricevono dallo Stato una parte delle entrate fiscali in base a delle procedure precise. Anche se è vero che queste procedure attualmente penalizzano le città turistiche, in quanto basate soprattutto sul peso della popolazione residente, occorre al più presto modificare i criteri di re-distribuzione del gettito nazionale, tenendo conto in modo esplicito dell’importanza del peso turistico per il mantenimento della qualità dei servizi pubblici locali. Insomma, va sensibilmente ridotta la differenza tra tasse pagate dai sistemi turistici e i trasferimenti che essi ricevono.

Chi attualmente non contribuisce in modo equo al mantenimento della città turistica non è l’industria turistica, bensì il visitatore stesso e in particolare quello che va e viene in giornata. La visita di un qualsiasi luogo turistico genera una tale soddisfazione rispetto al costo sostenuto per godersi la città, che il turista beneficia di quello che gli economisti chiamano il surplus del consumatore, ossia la differenza tra quello che una persona è disposta a pagare e quello che realmente paga. Non solo, il prezzo pagato per la visita non tiene affatto conto dei costi che la loro vista provoca per la città. Lo scopo della tassa turistica dovrebbe essere quello di ridurre il surplus del consumatore, rendendo la visita alla città turistica meno interessante per chi non è disposto a pagare per «l’esperienza» - in particolare i turisti «mordi e fuggi» - avendo, così, un impatto disincentivante sull’afflusso di visitatori «pendolari» e contribuendo, allo stesso tempo, alle entrate del sistema locale.

Per essere effettivamente utile alle destinazioni turistiche, tale ticket turistico dovrebbe avere alcune caratteristiche precise. In primo luogo, la tassazione dovrebbe privilegiare i visitatori più preziosi e penalizzare quelli meno desiderati. Più precisamente, i più preziosi sono quelli pernottanti e i meno desiderati gli escursionisti. Tutte le variazioni sulla tassa di soggiorno sinora proposte vanno contro questo semplice principio. In secondo luogo, la tassa non dovrebbe frustrare o falsificare il funzionamento dei processi concorrenziali. Non si possono colpire, ad esempio, soltanto alcuni operatori all’interno di un settore, oppure introdurre una tassa sui servizi pubblici, favorendo quindi il privato, o peggio ancora, tassare il regolare risparmiando l’abusivo. L’ultima regola fondamentale è che la tassa sia effettivamente di scopo, cioè che le entrate non vadano a finire nel solito calderone della spesa, ma vengano utilizzate per migliorare la qualità del sistema turistico stesso.

La risposta attuale della Finanziaria in questo senso è decisamente parziale. L’articolo che introduce la tassa turistica e che porta il titolo promettente «Contributo Comunale di Ingresso e di Soggiorno» in effetti parla soltanto di soggetti che prendono alloggio in via temporanea in strutture ricettive, dimenticandosi del tutto del contributo di ingresso. Vanno, di conseguenza, chieste urgentemente una serie di modifiche all’attuale testo, allargando le possibilità di tassazione anche ad altre tipologie di visitatori. Tali modifiche non comprometterebbero gli obbiettivi che il governo si è prefissato, ma metterebbero i sistemi turistici in condizione di introdurre tasse eque e efficienti, che non siano necessariamente variazioni sulle classiche imposte di soggiorno. Come si legge nella Finanziaria, la destinazione del contributo a «interventi di manutenzione urbana e valorizzazione dei centri storici» è (in teoria) perfettamente compatibile con quello che si intende con tassa di scopo. Credo sia opportuno che, in cambio della indispensabile collaborazione dell’industria turistica con le amministrazioni comunali nella riscossione della tassa, anche l’identificazione degli interventi prioritari sia fatta di comune accordo.

Per la città di Venezia, una delle priorità potrebbe essere quella di investire, finalmente, gran parte del ricavato in un riordino intelligente del sistema degli accessi. Gestire il flusso turistico vuol dire effettuare una separazione a monte, filtrando i flussi di traffico, separando quello turistico da quello non turistico prima che arrivino a piazzale Roma. Una volta rese attraenti, Finanziaria permettendo, queste aree di sosta possono diventare, di per sé, il servizio turistico che ingloba, in qualche modo, il ticket turistico. Ribadisco, infine, che l’idea della «prenotabilità» della visita alla città non deve essere abbandonata.

Jan van der Borg
janvanderborg@libero.it

Postilla

In conclusione del suo articolo van der Borg si riallaccia a un dibattito che si svolse a Venezia, in occasione della proposta di tenere nella città lagunare l’Expo mondiale. E sarebbe molto utile che il dibattito riprendesse proprio sul tema del “razionamento programmato dell’offerta turistica”, che dovrebbe costituire l’obiettivo strategico e il quadro di riferimento delle specifiche politiche. Il tema d’intreccia inevitabilmente con alcune questioni centrali dei nostri anni:

1. come accettare i limiti che l’esauribilità delle risorse pone alla società? Risorsa esauribile è l’acqua, ma anche il patrimonio storico, anche le società cui la loro vita è intrecciata.

2. come costringere i governanti a rendere trasparenti i costi che il turismo provoca, le categorie sociali che li pagano e quelle che beneficiano delle “entrate”?

3. come far sì che i costi vengano pagati da chi ne beneficia, e non scaricati sul quidam che paga le tasse o soffre per la congestione e i prezzi della vita?

Van der Borg ha espresso, una volta ancora, le sue valutazioni e proposte. Ne aspettiamo altre.

Il servizio è aperto da un corsivo di Michele Fullin dedicato a raccogliere le opinioni (per fortuna tutte contrarie) alla stravagante proposta di un albergatore il quale vorrebbe promuovere l’apertura- a pagamento – delle case dei veneziani ai turisti.

IL BOOM DELL'EXTRALBERGHIERO NEGLI ULTIMI 10 ANNI

(da.sca.) Due date: 1962 e 1997. Sono gli anni in cui vengono approvati il Prg del Comune di Venezia e la Variante per la Città antica. La prima importante delibera (sindaco Favaretto Fisca, giunta Dc) blocca di fatto l'aumento delle strutture ricettive per turisti e persino i passaggi di categoria. Trentacinque anni dopo, l'amministrazione Cacciari adotta la Variante che viene approvata in Regione alla fine del 1999. Gli effetti di questa delibera, nata con lo scopo di salvaguardare le caratteristiche strutturali e distri butivedegli edifici veneziani e la residenza, sono in realtà di segno opposto. La nascita di attività alberghiere ed extralberghiere viene agevolata, si riducono i requisiti personali del titolare e quelli tecnici delle strutture, viene dato vigore al cambio d'uso degli immobili e si autorizza la trasformazione degli edifici in esercizi ricettivi. Risultato: in centro storico in poco più di tre anni la ricettività aumenta del 30 per cento, gli esercizi extralberghieri (sud divisi in ben 12 tipologie) registrano un grande balzo, passano da una sessantina a quasi 500 e soprattutto, si stima, in questa fase sono state sottratte alcune centinaia di appartamenti al precedente uso abitativo residenziale.

Tutto questo lo dice, chiaramente, uno studio del Coses, il Centro ricerche controllato da Provincia e Comune. La ricerca, pubblicata nell'aprile 2004. si chiama "Venezia sistema turismo: le dinamiche dell'offerta" (a cura di Zanon, Barbiani, Aliprandi). Da Cacciari 1997 a Cacciari 2006, dunque: nemmeno dieci anni dopo l'amministrazio ne comunale, tramite l'assessore Bortolussi, chiede ora regole certe per limitare il proliferare di strutture che tolgono residenzialità. Ma l'impressione è che si chiuda la stalla quando i buoi sono scappati. Nel frattempo l'extralberghiero è proliferato, ma so prattutto sono proliferate le strutture abusive. Che la realtà sia andata in contrasto alle intenzioni della Variante, lo dice lo stesso studio del Coses. È vero che ad esempio quella Variante, limata poi da un'altra delibera del 2003, escludeva il cambio di destinazione da abitativo a ricettivo se l'unità immobiliare era inferiore ai 120 metri quadrati, ma è altrettanto vero che la delibera, scrive il Coses, «include una norma che prevede che non possa essere interrotto l'iter delle richieste già presentate all'ammunistrazione», che negli anni si sono moltiplicate. Insomma, con una mano si è tolto e con l'altra si è dato. La legge, poi, è stata aggirata con mille escamotage. Nell'ultimo decennio c'è stato l'ultimo decennio c'è stato chi ha be­neficiato dei contributi di Legge spe­ciale per i restauri per ristrutturare immobili poi destinati al turismo e a goderne, tra gli altri, sono state anche le categorie artigiane che operano nel settore. «Non ci si può stupire - dice infatti lo studio - nel constatare che le operazioni di ristrutturazione volte a incrementare l'offerta ricettiva abbia­no attraversato un periodo di eccezio­nale effervescenza... Con l'adozione della Variante al Prg della Città anti­ca, quanti nel frattempo avevano ma­turato progetti imprenditoriali nel set­tore alberghiero, hanno colto l'occa­sione per realizzarli». Dunque, ricapi­tolando, chi ci ha guadagnato di più nella trasformazione urbana che si è realizzata negli ultimi decenni? L'elenco è semplice: gli albergatori, i quali hanno vissuto una continua cre­scita (visto che, con l'aumento della domanda turistica, il tasso di utilizza­zione delle strutture ricettive è passa­to dal 50 per cento alla fine degli anni Settanta al 70 per cento del 1997); le imprese del settore edile con il loro indotto e i subappalti legati all"'effer­vescenza" del mercato delle ristruttu­razioni; i proprietari di immobili che hanno beneficiato di una bolla specu­lativa con i prezzi lievitati grazie alla

trasformazione turistica di edifici «che un tempo erano destinati al set­tore terziario» (lo dice sempre il Co­ses); la grande finanza immobiliare che «ha manifestato particolare inte­resse per l'investimento nel settore turistico che, in termini di valore, si è apprezzato ancora più del settore de­gli uffici». Senza contare le altre cate­gorie legate al turismo.

E chi ci ha perso? Anche qui le con­clusioni sono nelle parole del Coses. Il proliferare di appartamenti turistici più o meno alla luce del sole, ha eroso zone sempre più "veneziane". «La rin­corsa a utilizzare tutto lo spazio che si rende disponibile - scrive il Centro studi - sottraendolo a precedenti fun­zioni urbane, spinge gli operatori a collocare ovunque unità ricettive, fin negli angoli più remoti: i nuovi eserci­zi, soprattutto extralberghieri, sono un numero molto rilevante e le zone centrali, o lungo gli assi più importan­ti, sono già sature». Il risultato è, come dimostra il grafico in alto, che l'espan­sione turistica erode sestieri popolari come Castello, Cannaregio e alcune isole della laguna. Il confronto tra chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso è quindi la risposta a chi si chiede per­ché, in tanti anni, la tendenza non si sia mai invertita.

I BENEFICI DEL SETTORE RICETTIVO

NON SEMPRE SI RIVERSANO SULLA CITTÀ

di Isabella Scaramuzzi

La legge arriva fin dove può. Molto più potenti sono la pressione economica e il talento per l'abuso. Storia vecchia. La polemica sul B&B infuria nuovamente su Venezia, ma è come i tornado negli Usa: fre uenti, dannosi, poi passano. Ci siamo abituati. Ciò detto, quando si tratta di abusi, di frodi, di violazioni patenti delle leggi perché prendersela con le regole? Se la dizione 'propria abitazione' della legge attuale sui B&B fosse interpretata come abitazione in cui il conduttore ha la propria residenza anagrafica la regola sarebbe chiara anche se forse insufficiente. Venezia la salunga sull'abilità di intestare seconde e terze case ad anziane zie che fingono di risiedervi. Ignorare la legge e frodare il fsco non significano che la legge sia cattiva o confusa. Non dico niente di nuovo neppure se ricordo che le unità abitative non sono affittacamere ed entrambi non sono B&B: mescolare tutto l'extralberghie.ro in un gran calderone, straccia ogni pretesa di ragionamento utile sull'espansione della ricettività - il vero tema- e sulle imprese di conduzione, in un sistema economico che nella nostra provincia e nel capoluogo è uno dei più rilevanti e dei più facili'.

La straordinaria dinamica dei posti letto, in comune, si è manifestata a ridosso del nuovo piano regolatore, nel 1999; un combinato disposto tra regole urbanistiche locali e regole turistiche regionali, poiché anche la legge regionale 49 è del 1999. Su entrambe le regole, si è stesa la benedizione del Giubileo 2000, che ha 'drogato' in tutto il Paese, una esplosione di ricettività, anche alberghiera, spesso generosamente sovvenzionata.

E’ successo, insomma, al volgere del secolo, quello che per quasi 30 anni non era accaduto, l'aumento dei posti letto in città antica, e con essi la possibilità che molti dei pendolari 'involontari' (i tanto criticati mordi e fuggi) potessero pernottarvi, avendo più scelta nel rapporto qualità prezzo. Il blocco dell'offerta era stato spesso indicato come una tra le ragioni di overflow della domanda: si andava a dormire a Mestre, ad Abano o a Jesolo anche perché Venezia era satura o troppo esosa. Adesso che ci sono almeno 4.000 mila nuovi posti letto (per stare solo alle cifre ufficiali), tutti si lamentano lo stesso.

In quello che si definisce lo 'spirito della legge', il B&B, e anche l'affittacamere e le unità abitative non classificate, dato il vincolo rigido del numero di letti, sono pensate come attivi tà famigliari, non Iva, destinate per definizione ad integrare redditi. Sono una delle soluzioni più immediate per catturare i henefici della pressione turistica, che non conosce declino in un luogo altamente attrattivo. Diciamo che diffondono tali benefici, senza chiedere eccessi di investimento o di specializzazione imprenditoriale: in questi termini possono anche essere la porta di accesso ad attività più strutturate. secondo la fisiologia della crescita economica.

Possiamo discutere, come si era cominciato a fare nel 1999 (che anno catartico!), con lo studio del Coses sulle 'case dei turisti' (Manente e Scaramuzzi, 1999, Il Mulino Bologna), sulle convenienze economiche, fi scali, sociali di queste forme quasi-imprenditoriali, quest' area malva dell'economia turi stica che, sul litorale veneziano, è straordinariamente rilevante. Nel caso della città antica, dovremmo discutere se la manutenzione, costosissima, della risorsa primaria e insostituibile costituita dal patrimonio immobiliare veneziano sia 'pagata' anche da questi quasi-imprenditori o dai loro 'sostituti impropri': le società di comodo o gli albergatori in incognito, con la bauta per non essere riconosciuti. Abusi, elusioni e frodi a parte è questo uno dei modi in cui il turismo conserva Venezia.

Postilla

Gli eventi sintetizzati nella nota di da.sca. sono senz'altro esatti: per la prima volta la stampa locale fa il punto di una situazione grave della città storica, e ne attribuisce le responbsabilità ai veri responsabili. Ma trascura un elemento che rende più chiaro il quadro.

La variante al PRG per la città storica approvata dalla Regione nel 1999, cui giustamente lo studio del COSES atribuisace la responsabilità del boom degli affittacamere, è il risultato di una profonda deformazione compiuta dalla prina Giunta Cacciari di uno strumento urbanistico che era stato formato e adottato dalle giunte che l'avevano preceduto con obiettivi radicalmente diversi. Il nuovo piano per la Città storica, di cui la Giunta Rigo-Pellicani (assessore all'urbanistica Edoardo Salzano) aveva preparato gli elaborati tecnici, che la Giunta Casellati (assessore all'urbanistica Stefano Boato) aveva completato e portato all'attenzione del Consiglio comunale e della città, che la giunta Bergamo (assessore Vittorio Salvagno) aveva fatto adottare al Consiglio comunale, fu revocata dalla giunta Cacciari (assessore Roberto D'Agostino) e profondamente snaturata proprio eliminando le norme che avrebbero consentito una rigorosa tutela della residenzialità contro l'invasione del turismo. I particolari sono raccontati nelle denunce, ad opera soprattutto di Luigi Scano, una delle quali è inserita qui.

La città e i turisti, ci vuole il commissario

di Giacomo Cosua

Sono i veneziani che devono trattare meglio i turisti o viceversa? Polemica infinita, ma forse le soluzioni ci sono. Lo spunto arriva dall’Associazione veneziana albergatori che chiede a residenti e operatori del settore di dimostrarsi un po’ più aperti, gentili e disponibili nei confronti degli ospiti. E le reazioni piovono, con critiche e proposte, dimostrando quanto l’argomento sia sempre un nervo scoperto.

Secondo Ernesto Pancin, segretario dell’Aepe (pubblici esercenti), i turisti a Venezia sono i benvenuti, anzi è «senza senso» parlare di intolleranza da parte della cittadinanza nei loro confronti. «I turisti che vengono con la giusta cultura di ciò che significa essere a Venezia sono coloro che riescono ad accrescere il valore di questa città. Queste polemiche sul fatto che a Venezia la cittadinanza sia scortese con lo straniero arrivano sempre d’estate, magari da testate come il Times; gli inglesi sono solo invidiosi». Pancin non nega il fatto che qualcuno sia maleducato, ma «sono solo casi singoli».

Secondo Roberto Magliocco, presidente dell’Ascom Venezia, invece il problema è serio e articolato. E i flussi vanno regolamentati: «L’Actv dovrebbe differenziare il servizio tra turista e veneziano, non è possibile che i pendolari usino lo stesso mezzo pubblico degli ospiti, sempre sovraffollato». E poi una richiesta alle guide: «Bisogna che facciano fare alle comitive percorsi studiati in modo da ridurre i disagi al minimo, facendo camminare nelle calli più strette i turisti due a due oppure in fila indiana».

Sempre secondo il presidente dell’Ascom, «bisognerebbe mettere vigili sui ponti più affollati e divieti e sensi unici nelle calli per i turisti. D’altra parte capisco anche chi, per esempio, arriva al Tronchetto e non trova i servizi minimi di accoglienza: basti pensare all’assenza di wc.... E’ ora di finirla di vedere il turismo come un danno - aggiunge Magliocco - solo il sindaco ha capito che è una ricchezza».

Dal presidente dell’associazione Piazza San Marco, Alberto Nardi, arriva una proposta: «Ci vorrebbe, al posto dell’assessore al Turismo che cambia a ogni elezione, un commissario al Turismo che programmi la politica di attenzione a questo fenomeno chiave per l’economia cittadina». Nardi non giustifica alcun tipo di maleducazione da parte dei commercianti e dei residenti, e spiega: «Venezia è come una Ferrari che però viene guidata come una utilitaria. E’ ora di inserire professionalità e competenza in città in tutti i servizi legati al turismo, facendo sì che si riesca a gestire al meglio sia il decoro sia la domanda».

Renato Morandina, presidente Apt, scherza: «L’unico commissario valido è Montalbano». Poi aggiunge serio: «Bisogna fare una politica di crescita che ritorni a gestire le risorse al meglio, offrendo servizi in linea con i prezzi. Così si eviterebbero le lamentele dei turisti. Per questo ci vuole professionalità tra gli addetti».

Infine, ecco l’assessore Augusto Salvadori: «I turisti a Venezia sono i benvenuti, a patto che rispettino le norme di comportamento, sacre in una una città millenaria; inoltre il veneziano ha diritto vaporetti dove potersi sedere».

«Mandiamo gli operatori a lezione di bon ton»

di Giovanni Cagnassi

Albergatori veneziani e della costa a scuola di bon ton. Parola del presidente di Federalberghi Veneto, Marco Michielli, che dalla sua Bibione conferma: «Hanno ragione i turisti a lamentarsi e l’Ava a sollevare il problema: a Venezia, e anche nelle località lungo la costa veneziana, si sorride poco agli ospiti».

L’appello dell’Ava, che ha chiesto ai veneziani maggior gentilezza e disponibilità nei confronti dei turisti di tutto il mondo, vede Michielli perfettamente concorde.

Michielli, cosa si può fare per essere più gentili e sorridenti?

«Beh, prima di tutto si può imparare: e mi riferisco all’organizzazione di corsi di formazione specifici che rientrano nel campo della comunicazione, ma servono soprattutto a imparare come dare una sensazione di benessere, di serenità».

C’è chi lo fa meglio di noi?

«Sicuramente sulla costa romagnola è tutto molto diverso. La gente sorride, è felice e te lo fa capire quando arrivi anche al casello dell’autostrada. Poi penso alla Thailandia, un Paese dove la gente stenta a sopravvivere eppure è sempre felice e serena e accoglie i turisti a braccia aperte».

Ma forse c’è chi è anche peggio di noi.

«Direi di sì: se i veneziani non sorridono, figuriamoci i friulani...».

Ma c’è una differenza tra Venezia e le altre località della costa veneziana: da Jesolo a Bibione, da Caorle a Sottomarina?

«Non mi pare che non ci sia alcuna differenza. Qui tutti hanno il “muso”. Il mio sogno è invece di vedere anche lo spazzino che la mattina sorride al turista e gli dice buon giorno, lo stesso il vigile, magari con una fascia che indica che può essere anche interprete. Possiamo compiere molti passi avanti in questo senso».

E’ sempre stato così nella terra della Serenissima?

«No, il nostro modello è la locanda veneziana del ’500 che aveva fatto scuola. Se andiamo a scartabellare libri e archivi, scopriamo che loro già sapevano fare turismo e sorridevano esattamente come oggi fa la costa romagnola. Questo deve tornare il nostro obiettivo».

E cosa è cambiato nei secoli?

«La nostra economia era fondata sull’agricoltura, e il contadino non ha molto da ridere, piuttosto lavora sotto il sole cocente. Poi sono arrivate le fabbriche e anche gli operai non hanno tanto da stare allegri, soprattutto oggi. Dobbiamo tornare alla nostra anima commerciale, alla cortesia e alla trasmissione di una vera serenità che è fondamentale per chi fa turismo a certi livelli. Solo questo può salvarci nel futuro dalla concorrenza di altri Paesi che si affacciano nel panorama internazionale del turismo».

Pensiamo solo alla Croazia: se si spargesse la voce che, oltre ai prezzi più bassi e all’acqua turchese la gente ha anche imparato a essere gentile, per la costa veneziana sarebbero davvero dolori.

«La sublagunare sarebbe letale»

di Alberto Vitucci

«La sublagunare? Per Venezia potrebbe essere letale. Perché farà aumentare il numero di turisti mordi e fuggi, già oggi oltre i 20 milioni l’anno, e avrà un impatto pesantissimo sull’equilibrio di questa città». Beppe Caccia, capogruppo dei Verdi in Consiglio comunale, apre le ostilità sul grande progetto, di nuovo in discussione in questi giorni dopo qualche anno di oblìo. E firma una interpellanza urgente al sindaco Massimo Cacciari per chiedere quali siano le intenzioni della sua giunta sul futuro della grande opera. E’ vero che Caccia era in giunta con Paolo Costa quando, quattro anni fa, la sublagunare venne definita «di interesse pubblico». E che il sindaco Cacciari aveva predicato «discontinuità» rispetto a quella politica. Oggi Cacciari, pur molto perplesso sull’opera, è più prudente. E Caccia va all’attacco. «Giusto chiedere la Valutazione di Impatto ambientale nazionale, come ha fatto il sindaco», dice, «dovremo avere l’assoluta certezza che non buchino il caranto e non sfascino il territorio. Ma c’è anche il problema dell’impatto turistico». «La mobilità», conclude Caccia, «non può essere slegata dall’idea di città che vogliamo».

Intanto c’è chi come il consigliere regionale dell’Udc Francesco Piccolo chiede che la sublagunare sia prolungata fino al Lido e a Pellestrina. «Non ha senso limitarsi al tubo fra Tessera e l’Arsenale», dice. A lanciare per primo l’idea del treno subacqueo fu nel 1990 il sindaco democristiano - oggi compagno di partito di Piccolo - Ugo bergamo. Allora la proposta venne affossata sotto l’onda della protesta della cultura mondiale.

E c’è anche chi ricorda come fra Tessera e l’Arsenale sarebbe invece molto più conveniente una nuova linea di motonave. «Lo avevo proposto qualche anno fa, lo ha proposto inascoltata anche la Municipalità», dice il capogruppo di Rifondazione a Ca’ Loredan Sebastiano Bonzio, «c’è già il terminal a San Francesco della Vigna, e una motonave porta in un’ora il doppio di passeggeri di quanto gli studi hanno previsto per la sublagunare». E’ la famosa «opzione zero», che molti studiosi dei trasporti hanno indicato come ottimale. Perché il problema, secondo gli esperti, non è certo quello di come portare più gente a venezia.- ma di gestirli una volta che siano arrivati. Invece si va avanti con il rpogetto, affidato nel 2003 a una cordata di imprese con capofila la Mantovani (la stessa del Mose), con Sacaim, Actv, Bnl, Net Engineering, Studio Altieri, metropolitane milanesi. 450 milioni di euro per costruire il nuovo tunnel da Tessera all’Arsenale.

Postilla

Chi passa qualche giorno a Venezia, e magari c'era già stato anni prima, è certamente sgomento per il degrado cui il turismo ingovernato (o governato da meri interessi bottegai) condanna la città. Questa non è più riconoscibile. Se è ancora in parte vivibile, lo è solo perchè sopravvive ancora la forma urbis costruita nei secoli della Serenissima: chi è venuto dopo ha tolto, non ha donato nulla.

Gli operatori del degrado non sono solo i bottegai che conducono a Venezia torme e carovane, nè quelli che - per guadagnare un po' di più - vendono paccottiglia globale. Colpevoli non sono soltanto quanti promossero l'eliminazione del controllo pubblico sui cambi di utilizzazione degli immobili e parti di essi, o se ne resero complici.

Colpevoli del degrado progrediente sono anche, e forse più di tutti, quanti governando la città hanno scelto di privilegiare gli interessi economici di qualche potente categoria (gli albergatori, i commercianti, i mediatori d'affari, i mercanti d'arte, e il "blocco turistico" che attorno di essi si aggrega) che da questo turismo traggono beneficio, contro la qualità della città lagunare.

La qualità di Venezia e questo turismo sono incompatibili.Possibile non accorgersene? Possibile non comprendere che questo turismo va combattuto, e sostituito con un diverso tipo di attività? O che, quanto meno, va governato, e in primo luogo ridimensionato e reso meno incompatibile con la città? Il dibattito che gli articoli qui riportati testimoniano è invece tutto sotto il segno dell'auspicata crescita dei flussi e delle presenze, della maggiore efficienza e cortesia degli noperatori. E se qualcuno si occupa del "decoro", si limita a chiedere che i turisti non si mostrino a petto nudo. Nessuno che pensa, per esempio, e vietare carovane di decine di persone in una città che è a dimensione d'uomo, e non di branco.

Se qulcosa si programma, sono infrastrutture che questo turismo possano agevolare ulteriormente. La metropolitana sublagunare, che riceve consensi inaspettati e provoca solo sparute resistenze, è una di queste.

Non sembra lontano il giorno in cui bisognerà dire: addio Venezia!

Grandi opere, Venezia è snobbata

di Alberto Vitucci

Niente soldi per il treno dell’aeroporto. E nemmeno per gli altri interventi infrastrutturali veneziani, che aspettano le risorse dei privati. Nell’ultimo Dpef, il Documento di programmazione economica 2009-2011 approvato dal governo, le sorprese non mancano.

L’unica voce che mantiene la promessa di spesa è quella del grande progetto Mose. Un’opera definita strategica dal governo, finanziata dall’ultimo Cipe (il Comitato per la programmazione economica) con 800 milioni di euro. Anche qui però l’erogazione dei soldi non sarà immediata. Sono soltanto ottanta i milioni di euro resi disponibili nel 2009. Altri 320 dovrebbero arrivare con la Finanziaria 2010, 240 con il 2011. I residui 160, si legge nelle tabelle del ministero, «saranno erogati dopo il 2011». In totale così il Mose potrebbe disporre di 3 miliardi e 132 milioni di euro su una previsione iniziale di 4270 milioni, adesso «adeguata» dal Magistrato alle Acque a 4 miliardi e 700 milioni, con un aumento del prezzo chiuso di mezzo miliardo. Da dove arriveranno i soldi mancanti? Nella colonna «Fabbisogno da reperire» il Dpef calcola un miliardo e 27 milioni, che diventerà un miliardo e mezzo quando l’Avvocatura darà il via libero definitivo all’aumento proposto dal Magistrato alle Acque. Soldi che in questo caso dovrebbero essere anticipati dalla Bei, la Banca europea degli investimenti. Che attende a sua volta il via libera del nuovo parlamento europeo sulle modalità di restituzione del maxiprestito. Intanto i lavori del Mose continuano, anche se per avviare la gara internazionale per la produzione delle paratoie e delle parti elettromeccaniche si dovranno attendere i nuovi finanziamenti.

Mose a parte, non sono molti i fondi stanziati nel documento di programmazione pluriennale in favore di opere e infrastrutture veneziane. Praticamente fermo il collegamento ferroviario con l’aeroporto Marco Polo. Il suo avvio è previsto per il 2013. E nel frattempo sui 223 milioni e 92 mila euro necessari per costruire la nuova rete ferroviaria metropolitana ne è stato stanziato soltanto uno, sotto la voce «Altre fonti statali». Mancano dunque all’appello 222 milioni e 92 mila euro. Caselle bianche anche per le opere complementari del Passante di Mestre, che erano state inserite negli interventi del «Corridoio V». Non ci sono soldi nemmeno per il contestato progetto di sublagunare. La prima idea risale agli anni Novanta, il progetto approvato dalla gunta Costa e dal Cipe nel marzo del 2005. Un rinvio che in questo caso può non dispiacere alle molte voci critiche, che sollecitano prima dei finanziamenti, un serio dibattito sull’utilità e le controindicazioni della grande opera.

Mentre vengono finanziate decine di opere in Lombardia e la prima tranche del Ponte sullo Stretto (circa 2 miliardi di euro, contro i 408 milioni previsti per la ricostruzione in Abruzzo), mancano all’appello anche i fondi dello Stato su Pedemontana e Nuova Romea. La stragrande maggioranza dei costi è a carico in questo caso dei privati. Con il sistema del Project Financing, già utilizzato ad esempio per costruire il nuovo Ospedale di Mestre. Garantiti infine i i fondi per il nuovo palazzo del Cinema (20 milioni a carico dello Stato, gli altri 59 degli enti locali).

Firmato l’accordo con Milano

e l’Expo «torna» in laguna

di Alberto Vitucci

L’Expo torna a Venezia. Dopo la bocciatura della candidatura di vent’anni fa, ieri il sindaco Cacciari ha firmato a Milano un protocollo d’intesa con Letizia Moratti, sindaco di Milano e commissario straordinario per l’Expo di Milano 2015. Nell’era degli spostamenti globali si prevede che tra sei anni saranno decine di milioni i visitatori previsti all’Esposizione universale lombarda. E buona parte di questi non rinunceranno di certo a visitare Venezia. Ecco allora l’accordo di collaborazione. Venezia mette a disposizione di Milano il suo sistema di «prenotazione e controllo dei flussi», il Venice connected ideato dal vicesindaco Michele Vianello. Altra collaborazione riguarda la cultura e le mostre, con un’intesa che dovrà essere perfezionata fra la Triennale presieduta da Davide Rampello e la Biennale di Paolo Baratta. «Venezia sarà un polo territoriale strategico alla buona riuscita dell’evento», si legge nel documento. «le nostre due realtà possono fare squadra», dice il sindaco Massimo Cacciari. Si tratta anche di programmare per tempo l’enorme flusso di visitatori che rischia di mandare in tilt soprattutto la città d’acqua, già assediata da venti milioni di visitatori l’anno. «E nel 2015 il flusso aumenterà moltissimo soprattutto per le persone provenienti dall’Est e dal lontano Oriente», dice Cacciari. In una Esposizione dedicata al Pianeta e all’energia per la vita si tratta anche di rinforzare le infrastrutture e i trasporti senza sfasciare il territorio già compromesso in alcune parti di Veneto e Lombardia. Il no all’Expo in laguna di vent’anni fa era stato motivato allora proprio dalla preoccupazione di un forte impatto dei visitatori sulla fragile realtà veneziana. (a.v.)

Immobili, il Comune non è in grado di salvaguardarli

«Venduti anche per salvarli»

di Enrico Tantucci

«Abbiamo deciso di vendere questi immobili, non solo per ottenere risorse per investimenti, ma anche perché - per molti di loro - non siano più in grado di garantirne la conservazione e evitarne il degrado, nelle attuali condizioni economiche. E’ il caso, ad esempio, dell’ex Osteria Nardi di Sant’Erasmo o della Villa di Mazzorbetto. Meglio allora, che finiscano nelle mani di privati che perlomeno ne assicureranno il mantenimento, come è avvenuto, ad esempio, per Ca’ Sagredo, trasformato in hotel». Così l’assessore al Patrimonio Mara Rumiz ha spiegato ieri in Commissione consiliare la decisione del Comune di costituire il fondo immobiliare che metterà in vendita diciotto “pezzi” del suo patrimonio, di cui undici con cambio di destinazione d’uso per favorirne la valorizzazione. L’introito previsto, dopo le varianti, sarebbe di poco più di 98 milioni di euro, ma - è stato spiegato ieri - ci si attende, rivolgendosi al mercato e con la vendita delle quote del fondo, un ulteriore”utile” di circa 10 milioni di euro. Ieri l’esame - presente anche l’assessore al Bilancio Michele Mognato - ha riguardato gli immobili che saranno posti in vendita in centro storico e nelle isole: Palazzo San Cassiano e Palazzo Diedo, l’area di Piazzale Roma che si trova presso la Manifattura Tabacchi, la Casa del Boia, ex ridotto di Mazzorbo a Mazzorbetto, un’area verde al lido alle Terre Persem, l’ex Osteria Nardi a Sant’Erasmo e Palazzo Gradenigo. Proprio sui palazzi San Cassiano e Diedo, che occupano ancora uffici giudiziari che dovranno poi essere trasferite nella nuova Cittadella della Giustizia all’ex Manifattura Tabacchi, l’assessore Rumiz ha fatto ieri una precisazione importante. «Abbiamo approvato in Giunta un emendamento - ha spiegato - che prevede che i palazzi restino a disposizione degli uffici giudiziari fino al completamento della Cittadella della Giustizia fissato per il 30 giugno 2012. Previsto anche che il ricavato della vendita di Palazzo Diedo vada a finanziare proprio una parte del secondo stralcio dei lavori della Cittadella della Giustizia, per il quale non ci sono ancora i finanziamenti». Forti perplessità espresse da alcuni consiglieri - il Verde Beppe Caccia e Sebastiano Bonzio di Rifondazione - sulla volontà del Comune di vendere la Casa del Boia, che ora ospita la Casa della Laguna, chiedendo lo stralcio per la vendita di questo immobile. Rumiz ha replicato dicendo che la Casa della Laguna troverà una sede adeguata all’interno degli uffici comunali che si trovano in Campo Manin. Sulle polemiche legato alle destinazioni alberghiere di diversi immobili, l’assessore ha fatto notare come ormai sia lo stesso mercato a orientarsi piuttosto verso la richiesta di residenza di fascia elevata e che comunque la gamma di destinazioni d’uso per ogni immobile, dovrebbe consentire per ciascuno di essi la scelta più redditizia. Tra pochi il fondo, legato al bilancio 2009, approderà in Consiglio comunale. (e.t.)

Postilla

Bene. Il governo senza saperlo fa qualcosa di positivo per Venezia. Non finanzia la metropolitana sublagunare, ottimo strumento per accrescere rendite private e incentivare il turismo distruttivo. Non finanzia qualche infrastruttura autostradale nella Terraferma, che aggraverebbe lo scempio di delicati territori. Finanzia ma rinvia il MoSE, progetto “strategico” per entrambi ni versanti dello schieramento neoliberista, lo promosse ieri Prodi lo sbandiera oggi Berlusconi (ma intanto la bestiale opera è ferma, perché ancora non sanno come fare le cerniere che dovrebbero lasciar aprire e chiudere i giganteschi portelloni d’acciaio).

Il Comune, allora, corre ai ripari. Volgendo in positivo le ragioni che condussero comune, parlamento nazionale e parlamento europeo a rinunciare all’Expo2000, si allea con Milano per portare a Venezia con nuove infrastrutture le torme dei visitatori “mordi e fuggi”. E rivela che i beni pubblici immobiliari sono venduti perché non ci sono risorse per mantenerli. Conferma candidamente le tesi di chi dice che l’urbanistica non serve per migliorare le condizioni di vita nella città, ma per vendere meglio: i palazzi saranno messi sull mercato “con cambio di destinazione d’uso per favorirne la valorizzazione. Lo diceva Lefebvre oltre 40 anni fa, quando parlava dell’urbanistica degli imprenditori: “Essi realizzano per il mercato, in vista di un guadagno. La novità è che essi non vendono più alloggi o immobili, ma urbanistica. Con o senza ideologia, l’urbanistica diventa valore di scambio”.

Una domanda: chi pagherà, o sta pagando, i 15 milioni di euro per l’inutile ponte di Calatrava? Non sarà mica con i soldi della legge speciale per Venezia, che erano finalizzati al restauro della città e non alle piccole Grandi Opere del regime?

Una formula matematica stabilisce la soglia di tolleranza massima della città

di Roberta De Rossi

VENEZIA. Centocinquantamila persone, tante ne può sopportare Venezia ogni giorno. E’ il risultato di una ricerca del Coses, che ha elaborato una formula matematica per «salvare» la città. Uno studio complesso per dare la possibilità al Comune di gestire il turismo. Oltre la capacità «pedonabile» di 150 mila persone la situazione diverrebbe insostenibile. E non si parla solo di turisti, ma anche di abitanti veri, lavoratori, studenti e, appunto, visitatori. In pratica il modello proposto prevede un numero massimo di 75 mila abitanti, senza andare a scapito dell’economia del turismo o della popolazione studentesca. Il vicesindaco Michele Vianello: «Questo studio sfata l’opinione che sia stato il turismo a scacciare i residenti dal centro storico». Gli albergatori e commercianti commentano: «Venice Connected non basta, mancano le infrastrutture per gestire i flussi di turisti».



Centocinquantamila persone. Tante è in grado di reggerne - fisicamente - Venezia: cioè, tante ne possono al massimo «camminare» tra Piazzale Roma e la stazione verso Rialto e piazza San Marco, lungo l’asse più frequentata della città. Poi il sistema città diventa ingestibile: 150 mila persone è, infatti, la capacità quotidiana «pedonabile» a Venezia. E non si parla ovviamente solo di turisti, ma di abitanti, studenti, lavoratori pendolari, e, appunto, visitatori, mordi-e-fuggi o pernottanti.

È questo un «valore vincolo» assunto dal Coses per elaborare il modello matematico richiesto dal Comune per sapere fino a quale soglia il turismo è sostenibile con la città. Un valore intrecciato con altre voci (items), frutto dell’analisi di una cascata di dati su capacità dei servizi pubblici, andamento della residenza, destinazione degli immobili, popolazione studentesca, impatto economico del turismo: un rapporto di 140 pagine. Naturalmente, al variare di una delle voci che compongono il modello, variano le altre. Con alcuni limiti: come quello di fissare in 75 mila il numero massimo di abitanti che Venezia potrebbe avere senza andare a scapito dell’economia del turismo o della popolazione studentesca. Tutto deve stare in equilibrio: al Comune scegliere se aprire il rubinetto del turismo pernottante (ma a 25 mila si ha saturazione) o degli studenti. Il totale deve tendere a 150 mila.

Stando all’oggi, non potendo - per ovvii motivi - «abbattere» qualche migliaio dei 60 mila residenti in occasione di picchi del turismo, le politiche dell’amministrazione dovrebbero quindi intervenire sulle altre voci, sia in termini strutturali che tenendo conto del calendario della stagionalità.

Di questo ha parlato ieri il vicesindaco e coordinatore del tavolo Turismo Michele Vianello, nel presentare insieme alla direttrice del Coses Isabella Scaramuzzi il modello «Turismo sostenibile», ricerca firmata insieme a Di Monte, Pedenzini e Santoro.«Noi abbiamo fornito al Comune un modello, che incrocia diverse variabili della sostenibilità urbana della città», spiega Scaramuzzi, «non diamo numeri del tipo “quale è la soglia massima di turisti” per Venezia, perché è una relazione tra diverse variabili e diversi tipi di popolazione equivalente: è l’amministrazione comunale che deve fare le scelte. Certo, c’è un vincolo di capacità di mobilità di 150 mila persone».

«Questo studio sfata l’opinione diffusa che sia stato il turismo a scacciare i residenti dal centro storico», ha sottolineato Vianello, che ancora non ha sciolto la riserva sull’offerta che gli è stata fatta di diventare direttore del Parco scientifico tecnologico Vega, «non è quindi limitando gli accessi alla città che si contrasta l’esodo. Certo, invece, sono evidenziate criticità come la stazione ferroviaria - variabile ingovernabile per l’amministrazione - o il fatto che l’apertura del Ponte di Calatrava ha spostato tutto il flusso su un’unica asse». Come governare il sistema città e trovare un punto di equilibrio? «Sostenendo l’insediamento della popolazione studentesca che, è dimostrato, non ha “rubato” case ai veneziani, e incentivandone la permanenza professionale con strumenti che permettano a queste persone di lavorare, relazionarsi e trovare abitazioni. Quanto al turismo, bisogna proseguire sulla strada del governo telematico dei flussi». E si torna a Venice Connected - con il sistema delle tariffe differenziate in base al semaforo delle giornate più o meno calde di attrattività di Venezia - che nell’ultimo mese ha registrato 531 mila contatti per 3 mila transazioni, del valore di 85 euro di media: «Finora l’offerta era solo quella pubblica e ce n’è anche troppa, dobbiamo semplificare. A giorni poi entreranno nel portale anche tour operator e albergatori, con i quali abbiamo chiuso le intese e a quel punto, conclude Vianello.

Lanciato anche un altro progetto, che s’intreccia con l’operazione «Cittadinanza digitale», banda larga e wifi gratuito per i residenti: «iVenice» rinascita a nuova vita della tessera «imob». «La giunta approverà il 22 le linee applicative del progetto», conclude il vicesindaco, «per trasformare la tessera imob - oggi una card solo a vocazione trasportistica - in una chiave di accesso a una piattaforma di servizi, ai quali il “cittadino digitale” potrà accedere anche attraverso una serie di terminali in città. Così per iscrivere i figli all’asilo nido, segnalare problemi di manutenzione urbana o far giungere petizioni dirette al Comune». «Fare rete», ha chiosato il sindaco Cacciari, «significa anche stabilire le priorità: possiamo avere le migliori tecnologie, ma se l’uomo pone ossessivamente l’accento su piccoli dettagli dei malfunzionamenti, si compromettono i risultati. E le priorità sono salvaguardia, oggi drammatica, organizzazione della formidabile economia del turismo, politica della residenza».

«Mancano le infrastrutture per gestire i flussi»

di Giacomo Cosua

I commenti di albergatori ed esercenti. Italia Nostra: «Bene gli studi, ma nessuno da anni prende decisioni»

I flussi turistici a Venezia: una risorsa o un problema? Un dibattito quello sulla gestione del turismo che tiene banco in città da molti anni, con soluzioni ipotizzate di tutti i tipi: dal ticket d’ingresso in città sul Ponte della Libertà al ticket volontario per l’ingresso in Piazza San Marco. Le proposte negli anni sono state diverse, ma in realtà poche sono risultate applicabili. Gli studi del Coses - con il loro «Modello logico di sostenibilità urbana per il turismo a Venezia» - hanno evidenziato come la città tra abitanti, visitatori e pendolari riesca a «sopportare» circa 150 mila persone al giorno: un numero che nei momenti di maggiore afflusso, come il Carnevale, Venezia supera largamente.

«Certamente lo studio del Coses è interessante», spiega Claudio Scarpa, direttore dell’Associazione Veneziana Albergatori, «quello che sta facendo Michele Vianello attraverso Venice Connected e con le altre formule di gestione del turismo, è sicuramente un passo avanti: peccato che si sia occupato di un asset strategico per la città solo così tardi a metà legislatura, abbiamo perso troppo tempo». «I turisti non sono tanto da limitare, quanto da gestire», sottolinea Scarpa, «sono d’accordo sul non incentivare il turismo pendolare quanto un turismo più attento. Speriamo che la direzione intrapresa sia quella giusta, anche se c’è ancora tanto da fare».

Ernesto Pancin, direttore dell’Aepe, che di certo non ha interesse nel veder limitato il numero di turisti in città, spiega: «Sono trent’anni che si discute a Venezia sul governo dei flussi, ben venga Venice Connected: è un ottimo strumento e siamo contenti che Vianello lo abbia creato, ma rimane ad ogni modo sul piano virtuale. Stiamo aspettando da troppo delle infrastrutture per la gestione degli accessi che non ci sono, non è tanto una questione di quanti turisti devono arrivare, ma di come gestirli». Tutti, quindi, puntano l’accento sulla mancanza di adeguate infrastrutture, situazione per quanto riguarda la gestione dei flussi inadeguata sul versante ferroviario. La ricerca del Coses ha evidenziato come la stazione a Santa Lucia, pur registrando un terzo degli arrivi in città, sia uno degli elementi con maggiori criticità. Una variabile, secondo l’amministrazione comunale non governabile direttamente. Il professor Gherardo Ortalli di Italia Nostra polemizza: «Si continuano a fare ogni anno studi sul turismo, con cifre eloquenti, ma rimangono tutti sul tavolo, nessuno prende poi decisioni», denuncia il professore. «Non servono tanti giri di parole, basta sedersi a un bar a Venezia, per capire che la situazione è diventata ingovernabile già da tempo».

Postilla

Ahimè, la cifra di 150mila persone, proposto come limite massimo di ammissibilità delle presenze contemporanee a Venezia dalla direttrice del COSES, è assunto dagli attuali reggitori come obiettivo da raggiungere e, semmai, superare. Vogliamo intanto ricordare alcune cose, che probabilmente fuori da Venezia non sono note (e a Venezia sono dimenticate).

1. Nel 1989 due persone qualificate (il rettore pro tempore di Ca’ Foscari, Paolo Costa, e lo studioso nederlandese Jan van den Borg), in occasione del dibattito sull’accettabilità dell’EXPO 2000 a Venezia, calcolarono in 22mila il numero di non residenti che la città avrebbe potuto decentemente ospitare. Oggi questo numero è portato a 75mila (in aggiunta a 75mila residenti). Segno dei tempi. Ma chi assume ciome scenario quello della folla compatta tra piazzale Roma e Rialto si rende cionto che la capienza di una città come Venezia non si misura con gli stessi parametri adottati per uno stadio?

2. Il vicesindaco Michele Vianello, delegato a seguire l’attività turistica, ha detto: «Questo studio sfata l’opinione che sia stato il turismo a scacciare i residenti dal centro storico». Incredibile. Come se gli abitanti normali di Venezia non fossero stati cacciati, o non siano impossibilitati ad abitare nella città storica, perché gli affittacamere, le locande e gli alberghi, realizzati grazie alla colpevole cancellazione da parte del Comune nelle tutele sulla residenza ordinaria, hanno eliminato il mercato delle abitazioni “normali”. Come se tutti i locali e i servizi, pubblici e privati, destinati ai residenti non fossero scomparsi nella stragrande maggioranza, sostituiti da infinite botteghe di junk d’ogni origine e forma, pizzerie, rivendite di Cocacola e finte maschere. Come se le condizioni dei servizi pubblici per il trasporto non fossero impraticabili per i cittadini molte settimane all’anno e in molte ore della giornata. Come se le svendite del patrimonio immobiliare pubblico non fosse un ulteriore incentivo a rendere la città invivibile per i suoi abitanti. Come se il volto della città, la sua anima e il suo corpo, non fossero ogni giorno più sfigurati da un turismo brado, del tutto abbandonato a se stesso e anzi promosso e incentivato dagli amministratori. Una giunta berlusconiana difficilmente riuscirebbe a fare di peggio. Forse, anzi, la mercificazione sarebbe più attenta a non ridurrebbe troppo il valore (economico) del capitale.

Il modo in cui gli amministratori locali hanno accolto la ricerca del COSES fa pensare che, dopo oltre venti anni, nessuno ha la volontà e l’intelligenza di procedere a quella saggia politica di contenimento programmato del turismo che un altro vicesindaco, Gianni Pellicani, aveva proposto e che Luigi Scano, suo collaboratore, aveva definito “razionamento programmato dell’offerta turistica”. A mo’ di ulteriore commento rinviamo alla lettora dell’articolo di Scano, Turismo insostenibile. Si tratta di una questione –quella del turismo e delle altre forze che stanno distruggendo Venezia - a proposito della quale, in questa sede, si può solo lanciare un grido d’allarme. Ci torneremo presto.

Venezia sempre più a misura di turista, nonostante gli sforzi del Comune per invertire la tendenza e tutelare la residenza. Lo certifica il rapporto annuale dell’Osservatorio Casa, riferito al 2008, presentato ieri a Ca’ Farsetti dall’assessore alle Politiche della Residenza Mara Rumiz, insieme alla ricerca commissionata al Coses sulla mobilità residenziale della città antica (di cui riferiamo a parte). Alcuni dei moltissimi dati forniti fotografano la situazione. Nell’ultimo anno gli alloggi turistici, quasi tutti concentrati in centro storico, sono aumentati di quasi il 20 per cento, ma anche affittacamere (+ 6,3 per cento) e bed &Breakfast (+8 per cento) hanno proseguito la loro crescita esponenziale. Gli sfratti sono invece aumentati del 17 per cento rispetto all’anno precedente e mentre quelli per finita locazione diminuiscono, quelli per morosità sono aumentati del 32 per cento: dai 193 del 2007 ai 255 del 2008. «Un dato drammatico - ha sottolineato l’assessore Rumiz - perché questi sfratti sono evidentemente legati all’impoverimento delle famiglie e anche se per legge questo tipo di sfratti non sono assistibili, è evidente che il Comune dovrà intervenire». Contemporaneamente, cresce il numero delle abitazioni occupate da non residenti in modo più o meno continuativo: sono ormai il 26 per cento, quasi un terzo dell’intero patrimonio abitativo della città. Erano poco più del 9 per cento solo cinque anni fa. Si tratta, evidentemente, non solo di studenti universitari fuori sede, ma anche di fasce di persone che per lavoro o per turismo fanno periodicamente base a Venezia. Il Comune fa quel che può e non a caso l’assessore Rumiz ha ricordato la politica di realizzazione di alloggi in social housing iniziata da tempo - prossimi interventi quelli al Coletti con sessanta nuovi alloggi, conme alla Celestia, oltre a quelli all’ex Caserma Manin - proprio per tutelare il ceto medio che non può aspirare a una casa del Comune, ma non è sufficientemente agiato da comprare una casa a Venezia o anche a pagare i canoni di affitto attuali (vedi gli sfratti per morosità). Lo stesso Coses, come ha sottolineato ieri il direttore Isabella Scaramuzzi, invita ormai a considerare Venezia alla stregua di un quartiere nel più vasto ambito della città metropolitana, come fosse Manhattan rispetto a New York. E non a caso si è insistito molto ieri sul concetto di “dimoranti”, rispetto a quello di residenti in centro storico, ampliando così la base demografica rispetto a quella quota 60 mila che nel giro di un paio di mesi siamo destinati ad abbattere. Prospettiva difficile da accettare per quei veneziani che credono ancora di vivere nella propria città. Ci si potrebbe consolare con il fatto che per il secondo anno consecutivo i residenti del Comune di Venezia sono aumentati: 1105 in più (lo 0,41 per cento). Ma la crescita è tutta legata all’ondata deii nuovi cittadini extracomunitari - grazie a cui manteniamo lo stesso livello di servizi - e non riguarda, comunque, Venezia, che continua a perdere inesorabilmente abitanti.

Mercato fermo, ma i prezzi calano poco

Ottomila euro al metro quadro tra l’Accademia e San Marco

Il mercato immobiliare è in buona parte fermo, mai i prezzi - nonostante la crisi - calano molto poco, soprattutto a Venezia, sempre secondo l’Osservatorio Casa. Il leggero calo (-3,8) per cento dei prezzi riguarda gli immobili in aree di pregio o in aree centrali (-6.3 per cento), Circa il 70 per cento delle transazioni riguarda la terraferna, mentre Castello Ovest e Cannaregio sud sono le zone più vivaci sul piano delle compravendite in centro storico. In controtendenza, invece, gli affitti che negli ultimi sei mesi del 2008 sono cresciuti del 2,4 per cento.


Il mercato immobiliare veneziano è ormai diviso in quattro fasce. Al vertice, con valori vicini agli 8 mila euro al metro quadro sono Dorsoduro est - tra la Salute e l’Accademia - e San Marco. La seconda fascia riguarda Santa Croce, San Polo, Dorsoduro Ovest e Cannaregio sud, oltre a Lido centro, con quotazioni tra i 6 mila e i 7 mila euro al metro quadro. Nella terza fascia sono compresi Cannaregio nord, Castello, Sant’Elena e Giudecca, oltre al Lido semicentro, con valori compresi tra i 5 e i 6 mila euro al metro quadro. Le aree considerate di minor pregio sul piano delle quotazioni immobiliari sono Murano, Burano e Lido periferia, con un valore medio compreso tra i 4 mila e i 4500 euro al metro quadro. Per immobili nuovi a Mestre i valori variano da oltre 4 mila euro al metro quadro nelle zone di pregio a poco più di 2600 euro per le aree periferiche. In centro il valore medio si attesta ad oltre i 3500 euro al metro quadro, mentre in semicentro tocca i 3 mila euro. Per gli affitti, a Dorsoduro est e San Marco - per un alloggio di 80 metri quadri - il canone medio è rispettivamente di 1760 e 1880 euro al mese. (e.t.)

Se ne vanno le famiglie arrivano i single

Se ne vanno da Venezia famiglie e arrivano soprattutto single o persone che si staccano, probabilmente per lavoro, dal loro nucleo originario, Lo dice l’indagine del Coses sulla mobilità residenziale del centro storico tra 261 famiglie che negli ultimi anni sono entrate o uscite da Venezia.

Entrano più giovani e persone con titoli di studio o qualifica professionale medio-alta e se la città non ha perso attrattiva, la sua situazione abitativa la penalizza. Il 69 per cento di chi se n’è andato giudica la casa attuale migliore di quella che aveva a Venezia, mentre tra chi arriva, solo il 42 per cento pensa di aver migliorato la sua condizione abitativa. La nostalgia resta, perché a distanza di tre-cinque anni oltre la metà (il 58 per cento) degli intervistati tornerebbe volentieri a Venezia, soprattutto i giovani terrafermieri. Ma i prezzi proibitivi degli alloggi lo rendono impossibile. Nel quinquennio 2004-2008 poco meno di 8400 persone si sono trasferite a Venezia e altre 9400 se ne sono andate. Complessivamente la questione casa è responsabile della metà degli abbandoni di Venezia, l’altra metà ha fatto, semplicemente, una scelta diversa. (e.t.)

Per comprendere meglio, leggi questa postilla , questo articolo sul turismo, e quest’altro sulla distruzione del Piano regolatore precedente alla Giunta Cacciari

Dalla ricerca della Uil, Venezia si piazza

in vetta alla graduatoria

delle città con gli affitti più alti

(Pl.T.) Venezia si conferma al vertice tra le città con gli affitti più cari anche secondo il rapporto casa redatto dalla Uil e relativo al primo semestre 2008 con una spesa media per le famiglie di 1.470 euro mensili. Un carico per le famiglie nettamente superiore a quella che è la media degli affitti nelle grandi città italiane che non raggiungerebbe i mille euro mensili, fermandosi a quota 923 euro. Solo Roma sarebbe più cara, con affitti medi che sfiorano i 1.800 euro al mese. E di nuovo Roma, insieme a Milano, precede Venezia anche per il costo del mattone al metro quadrato. Analizzando emerge «quanto sia arduo per una famiglia italiana acquistare un'abitazione» secondo la Uil. Nella città lagunare la spesa media sarebbe di 4.600 euro al metro quadrato, a Milano di 4.850, nella capitale si sfonda la quota dei 5mila euro, con una spesa media di 5.150 euro al metro quadrato. E in tutte e tre le città il costo del mattone va ben oltre il doppio del costo medio registrato nei capoluoghi che si ferma a 2.230 euro al metro quadrato.

Il rapporto del sindacato su Famiglia, reddito, casa ha utilizzato come campione di riferimento una famiglia composta da due lavoratori dipendenti, con due figli a carico, che percepisce un reddito lordo annuo pari a 36.000 euro e vive in affitto in un appartamento di 70 mq in una delle città capoluogo di regione. E ne viene fuori che la spesa per l'affitto si mangerebbe quasi il sessanta per cento del reddito di una famiglia veneziana. «Occorre collocare al centro dell'agenda politica è stato il commento ai dati del segretario confederale della Uil Guglielmo Loy - il problema della casa quale diritto innegabile del cittadino perseguendo un piano programmatico e non solo emergenziale». Ma, al di là del dato, stupisce l'incremento che avrebbero avuto gli affitti confrontandoli con le stime del rapporto della Uil dell'anno scorso, secondo cui la stessa locazione, nel 2007, non costava più di 1.153 euro mensili. In entrambi i casi gli affitti di Venezia sono distanti anni luce da quelli registrati, ad esempio, a Catanzaro, dove una famiglia se la cava con 271 euro al mese. «Insomma, la crisi del mercato immobiliare non ha inciso più di tanto sui costi per acquistare una casa commenta Carlo Garofolini, presidente di Adico (Associazione difesa consumatore) ma di riflesso ha accentuato l'aumento dei canoni medi di locazione, proprio a seguito della stagnazione nella realizzazione di nuove abitazioni e nel volume di compravendite, motivato anche dal caro mutui».

La città si spopola? Non è colpa del turismo

Presentati i primi risultati

di un nuovo studio del Coses.

Il vicesindaco: «Sfatiamo un luogo comune»

di Michele Fullin

Il turismo non è la causa prima dell'esodo della popolazione veneziana dalla città storica, semmai è un fattore che solo indirettamente ha influenzato le dinamiche della popolazione. Lo afferma uno studio, ancora in fase di elaborazione, compiuto dal Coses e commissionato dall'amministrazione comunale, i cui risultati sono stati anticipati ieri nel corso di una riunione del Comitato dei garanti dell'Ufficio studi dell'Associazione veneziana albergatori. Isabella Scaramuzzi, direttrice del Coses, ha illustrato i risultati e i metodi seguiti, pur raccomandando di considerare che la ricerca è ancora in corso e che va ancora perfezionata.

«Siamo partiti da alcuni luoghi comuni, quelli delle chiacchiere da bar - ha osservato ieri in una delle splendide sale affrescate di palazzo Sagredo - per capire se è vera l'affermazione "I turisti scacciano i residenti" . Una verifica tra le serie storiche della popolazione residente e delle presenze turistiche dal 1951 al 2007 ha mostrato una forte correlazione tra le dinamiche: la residenza cala, il turismo cresce. Ma null'altro. Ricorrendo all'esplorazione statistica abbiamo scoperto che l'influenza del turismo sul calo della residenza sia stata quasi nulla. So che è per certi versi sconvolgente, ma i numeri dicono che è così».

Tra gli albergatori le reazioni sono state abbastanza discordanti, ma quasi tutti hanno condiviso l'idea che comunque il turismo, magari indirettamente, abbia contribuito allo spopolamento pur riconoscendo che le cause principali sono legale all'esodo degli anni Sessanta e alla dinamica demografica negativa del periodo successivo. Venezia, insomma, è una città che non attira famiglie in grado di riprodursi e su questo bisogna porsi molte domande.

Una volta ripristinato il rigore del ragionamento, il vicesindaco e coordinatore alle politiche del turismo Michele Vianello ha avuto campo libero nell'esporre la sua medicina per la gestione del turismo, inteso come unica risorsa per l'innovazione e lo sviluppo a Venezia. La "rivoluzione" di Vianello passa su Internet ed è rivolta ad intercettare i turisti e segmentarli in diverse fasce, ognuna con una propria domanda e un proprio mercato.

«Quello che proporremo sarà una serie di politiche di incentivazione e disincentivazione. Inutile mettere barriere e cancelli: non servirebbero a niente e sarebbero illegittimi. Ciò che possiamo fare è però incentivare i "turismi" a venire in città nei periodi di minore affollamento vendendo un pacchetto unico in cui sono comprese le prenotazioni di garage, visite ai musei, eventi speciali e ovviamente gli alberghi e i mezzi pubblici. La filosofia è questa: chi prenota e viene quando lo desideriamo noi entrerà a Venezia e avrà anche uno sconto. Chi decide all'ultimo momento di venire il primo Maggio resterà fuori da palazzo Ducale».

L'intenzione per il futuro sul più visitato tra i musei sembra essere proprio questa: visite solo su prenotazione. Come peraltro accade da molti anni ad esempio con l'Alhambra di Granada.

All’istituto veneto

Legge speciale, non tutto è da salvare

di Pierluigi Tamburini

«Non solo non ci sono fondi per Venezia, ma con questi chiari di luna penso che non ce ne saranno mai più» sono le parole con cui il sindaco Massimo Cacciari chiude il suo intervento al convegno su Venezia. Immagine, futuro, realtà, problemi iniziato ieri all'Istituto veneto e che si chiuderà oggi. Un convegno aperto dal monito del presidente dell'Istituto, Leopoldo Mazzarolli. «Norme uniche per una città unica, quelle per la salvaguardia della laguna, ma alcune hanno avuto un effetto controproducente facendo scappare l'investimento privato ha sottolineato E se Venezia nella storia è stata capace di tutelare se stessa, è da vedere se ciò sarà possibile all'interno della città metropolitana».Il presidente di Arsenale spa Roberto D'Agostino ha invece tracciato un quadro ottimistico nel rapporto tra gli anni Novanta - «quando chiudevano contemporaneamente la Junghans, le Conterie a Murano e la Fincantieri all'Arsenale, bruciava la Fenice e il Malibran era chiuso» - e oggi «con San Giuliano passato da discarica a parco e il porto che marcia bene».A raffreddare l'ottimismo è stato l'intervento del sindaco. «Durante la mia prima giunta erano stanziati 300 milioni di euro in tre anni per la legge speciale ha argomentato ridotti attualmente a 40 mentre per il prossimo anno, garantiti, ce ne sono solo 5». E a fronte delle difficoltà finanziarie, ha proseguito il sindaco, «solo gli... ed evito la parola, possono storcere il naso di fronte alle pubblicità a San Marco. Senza quelle pubblicità, senza i due milioni che ci da Lancia, da quei palazzi cadrebbero i marmi. Voi li avete due milioni di euro? Se me li date tolgo la Lancia da Palazzo Ducale. Finchè non me li date, la tengo, e siete pregati tutti di non protestare».Duro l'attacco al governo. «Di fronte alla megaballa del federalismo fiscale, di cui si parla senza attuarlo, c'è una nuova centralizzazione di cui la punta dell'iceberg è l'Ici sottratta ai comuni, senza alternative è stato l'affondo ho chiesto a Tremonti, dopo il taglio dell'Ici sulla prima casa, almeno di poter utilizzare in loco l'Ici raccolta dalle seconde e terze case. Silenzio. Possibilità di imporre una tassa di soggiorno o almeno di tenerci in città l'Iva raccolta a Venezia sul turismo? Silenzio. Se si taglia la legge speciale, è possibile almeno ricevere qualche bene demaniale da gestire, visto che fin troppi sono inutilizzati, a partire dall'Arsenale? Silenzio».

Ma Vianello "affonda" il terminal di Fusina

Ora si punta su piazzale Roma e stazione

(m.f.) Marcia indietro dell'amministrazione comunale sulla politica dei terminal. Tutti i flussi turistici arrivano sul polo piazzale Roma-stazione e sarà lì che il Comune ha intenzione di investire. «Abbiamo inutilmente e per anni cercato di mandare i turisti a Fusina - ha detto il vicesindaco Michele Vianello - ma non c'è verso: tutti vogliono arrivare a Venezia e noi dobbiamo prenderne atto. I numeri sono questi: ogni anno alla stazione arrivano 8 milioni e mezzo alla stazione, 2,7 al Tronchetto, 1,8 con i bus di linea uno a piazzale Roma con l'auto. Il terminal è quello che il ponte di Calatrava ha unificato ed è quello che abbiamo il dovere di organizzare».

Entro fine mese, intanto, Vianello presenterà agli operatori turistici due importanti iniziative. La prima riguarda la strategia tariffaria di incentivazione-disincentivazione per il 2009. «Un semplice numero ricevuto all'atto della prenotazione - aggiunge Vianello - permetterà di usufruire di una serie di servizi e sconti in maniera molto più ampia rispetto alle solite card. Le tariffe pubbliche saranno differenziate secondo il periodo: vuoi venire a Ferragosto? Paghi il doppio. Vuoi venire il mercoledì delle Ceneri? Paghi la metà».

L'iniziativa Suite Venezia, riservata ad una ristretta fascia di clienti esclusivi (300mila persone in tutto il mondo) sarà invece portata avanti con due presentazioni in grande stile: il 24 di questo mese a New York e il 27 a Città del Messico.

«Questo club - prosegue Vianello - è stato individuato e per il prossimo anno abbiamo dei pacchetti pronti per testare il gradimento. Naturalmente è un pacchetto aperto a tutti gli operatori, purché assicurino la massima qualità, che poi sarà garantita dal marchio del Comune. Presenteremo alla Bit di Milano uno spazio tutto nostro per la promozione di questo progetto, anche perché non possiamo annegare in mezzo alla pur qualificata, ma molto differente, offerta veneta. Io vedo l'Expo del 2015 come una grande opportunità per Venezia - conclude - e mi piacerebbe che la gestione dei flussi turistici fosse affidata proprio a Venezia per il lavoro che sta facendo».

Postilla

Incredibile. Gli affitti a Venezia sono tra i più alti d’Italia (una ricerca della Uil). C’è una correlazione statistica tra crescita del turismo e calo della residenza, ma “non è vero che il turismo caccia la residenza” (Coses). Chissà come mai. Non è vero quello che tutti sanno: che migliaia di alloggi sono diventati locande e camere affittate ai turisti; che salumerie, fornai, macellai, fruttivendoli, mercerie, negozi di ferramente e casalinghi scompaiono ogni settimana, e che aumentono le pizzerie, le gelaterie, i negozi di maschere vetri e altre forme di junk; che i prezzi d’ogni bene o servizio quotidiano sono più cari che altrove; che le porzioni di suolo pubblico occupati da caffè e ristoranti, all’aperto o coperti da ingombranti tendoni di plastica, si allargano sempre di più.

Guai a mettere in difficoltà la “vocazione turistica” della città sulla Laguna.

Sindaco e vicesindaco sono saltati in groppa allo studio “scientifico” nel quale si dimostra che il turismo non incide affatto sulle condizioni di vita della città (“sono chiacchiere da bar”) per rilanciare con grinta la loro ideologia. Inutile mettere cancelli, ha detto il vicesindaco, cerchiamo invece di spalmare il turismo su tutto l’anno, perché “il turismo è l’unica risorsa per l’innovazione e lo sviluppo”. E il sindaco Cacciari ha dichiarato con enfasi che il turismo “è una risorsa straordinaria e strategica per la città, capace di creare valore aggiunto come la chimica di Porto Marghera” (sic).

Con rabbia ha poi protestato, in un pubblico incontro, contro chi ritiene che sia un elemento di degradazione profonda coprire per mesi e mesi i palazzi dell’area marciana e del Canal Grande con gigantesche pubblicità di Dolce e Gabbana o della Lancia. “Senza quelle pubblicità, senza i due milioni che ci da Lancia, da quei palazzi cadrebbero i marmi. Voi li avete due milioni di euro? Se me li date tolgo la Lancia da Palazzo Ducale. Finchè non me li date, la tengo, e siete pregati tutti di non protestare”. Nessuno sembra avergli risposto che avrebbe potuto risparmiare i milioni inutili del ponte di Calatrava. Ma avrebbe a sua volta replicato che il ponte serve ad incrementare ancora il turismo, “risorsa straordinaria e strategica” senza la quale la città morirebbe.

Su quale sia il turismo desiderato non si è sentito molto, i pochi accenni sono a un turismo di lusso (l’iniziative Suite Venezia, riservata a una ristretta fascia di clienti esclusivi). E’ invece sconvolgente sentire il vicesindaco proclamare l’abbandono dell’intelligente progetto di utilizzare per i flussi turistici il sistema di terminal in Terraferma: un progetto condiviso da tutti fin dal 1971 e mai messo seriemente in opera, che avrebbe consentito di decongestionare l’attuale casbah di Piazzale Roma e governare meglio i flussi turistici. Oggi la congestione è l’obiettivo e la spontaneità lo strumento. Basta che i turisti aumentino, in tutti i mesi dell’anno.

La città è una merce, i suoi reggitori mercanti. A Venezia più che altrove.

Dal marzo scorso una megapubblicità, firmata Roccobarocco, mette in bella vista due gambe, una borsetta e un paio di scarpe. Normalità dei tempi d’oggi se non comparisse sulla facciata della chiesa di San Simeon Piccolo, dirimpetto alla stazione ferroviaria. In quella chiesa ogni domenica viene celebrata la messa preconciliare in latino. Monsignor Antonio Meneguolo del Patriarcato grida: «E’ uno scandalo». E, scagliandosi contro la Soprintendenza: «Quella megapubblicità è mostruosa e immorale. Noi non c’entriamo nulla. L’ha autorizzata la Soprintendenza stipulando un contratto. Ne è nato un contenzioso. Il danno morale da noi subìto è grave». A nome della Diocesi il sacerdote ha più volte affermato: «Cercar soldi con la pubblicità è squallido». Adesso incalza: «E c’è di peggio. Il contratto è scaduto lo scorso 31 marzo. Significa che la ditta si sta facendo pubblicità gratuitamente». La Soprintendenza mal sopporta le rimostranze di monsignor Meneguolo. La responsabile, Renata Codello, ribatte: «Mi dispiace tanto, ma noi non abbiamo mai autorizzato quella pubblicità». Infatti la soprintendente si è rivolta alla polizia municipale. Il comandante Marco Agostini spiega: «A seguito della denuncia abbiamo avviato due procedimenti, l’uno finalizzato al pagamento di una multa quantificabile in cinquanta euro, l’altro alla rimozione del cartellone pubblicitario con la conseguente spesa di qualche migliaio di euro. Quest’ultimo iter burocratico, di competenza della Direzione Tributi, si concluderà presumibilmente entro il 15 maggio». Sintetizza monsignor Meneguolo: «L’ammontare della multa, cinquanta euro, è una cifra davvero ridicola e certamente non sarà devoluta a noi». Le parole del sacerdote aprono altre polemiche. L’architetto Codello ricorda alla Curia la continua difficoltà di reperimento dei fondi per restaurare edifici d’arte. In particolare la soprintendente replica al delegato diocesano: «Non può permettersi di criticare così l’operato di un ente pubblico. La cosa scandalosa è che non siamo noi a volere la pubblicità. Benvengano le sponsorizzazioni, unico mezzo che ci permette di restaurare gli edifici. Se la diocesi mi mette a disposizione fondi propri, tolgo qualsiasi pubblicità. Di certo non potevamo abbandonare a se stessa San Simeon Piccolo, lasciata proprio dalla Curia transennata per anni con una facciata che veniva giù a pezzi. Là il Patriarcato non ha mai tirato fuori un euro. La Chiesa, ribadisco, è della Curia e noi mettiamo i soldi». Poi sul recente scempio a Torcello chiede al monsignore: «Perché vuol mettere le macchinette per la distribuzione di bibite e panini dentro la Basilica? Non si può predicare bene e razzolare male». In città ci sono numerosi esempi di «interventi disinvolti e scorretti». La soprintendente ne ricorda alcuni, già segnalati a suo tempo: «L’altare, la cattedra marmorea e il leggio nella chiesa di Santo Stefano; l’organo nuovo nella chiesa di San Salvador, da noi mai autorizzato. Ricordo che l’introito dell’otto per mille per i beni culturali della Chiesa è dieci volte maggiore di quello assegnato ai beni culturali dello Stato».

Postilla

Una volta era così:

Per molti anni è stata così:


Adesso (3 maggio 2009) è così:

Ma c'è di peggio. A piazza San Marco, di cui l'attuale sindaco aveva proclamato la "sacralità", ecco che c'è:


Dicono: solo così si trovano i soldi per i restauri. Rispondiamo: l'inutile ponte di Calatrava costa tra i 10 e i 15 milioni di €, del Comune

«Bisogna costruire edifici belli e sostenibili. Rispettando i luoghi e utilizzando i materiali della tradizione. Mettendo l'uomo al centro dei progetti, per fermare il vandalismo distruttivo che avanza sotto le mentite spoglie dello sviluppo». Un vero «Manifesto della nuova architettura» il discorso tenuto ieri dal principe Carlo d'Inghilterra, ospite d'onore al convegno sulla «Rigenerazione industriale della laguna». Intervento applauditissimo, una lezione di alto livello sull'architettura e il rispetto dell'ambiente. Poca retorica e molte indicazioni pratiche per «vincere insieme la grande sfida». Con un decalogo per la «costruzione di nuovi edifici in zone vecchie». Carlo è arrivato ieri, poco prima delle 14, alla nuova Stazione passeggeri 103 della Marittima.

Un corteo acqueo composto da nove motoscafi e un arrivo in stile «James Bond», sotto l'occhio attento di Scotland Yard. Carlo era accompagnato dal Console generale a Milano sir Lawrence Birstow-Smith, è stato accolto in banchina dall'assessore Mara Rumiz, dal presidente del Porto Paolo Costa e dal presidente della Vtp Sandro Trevisanato, che gli hanno donato una scultura in vetro di Archimede Seguso a forma di ancora. Nella sala convegni ad attenderlo un centinaio di imprenditori, giornalisti, addetti ai lavori, tra cui il rettore dell'Iuav Carlo Magnani. Tutti istruiti sulle modalità rigide del cerimoniale britannico. Non rivolgere per primi la parola al principe, attenderlo in piedi, chiamarlo sempre «Altezza reale».

Ma quando il principe arriva, sorridente in abito grigio e cravatta blu, il protocollo viene messo da parte. Tocca a Massimo Colomban, industriale e presidente di Vega, rivolgere in un inglese un po' zoppicante il saluto al principe e proiettargli una ventina di foto con tutti i progetti di sviluppo in corso, dal Waterfront alla Punta Dogana e all'Arsenale, dall'ospedale al Mare alla futura porta di Gehry. Quasi come una lectio magistralis, il principe spiega in sette cartelle di discorso la sua filosofia del restauro e dello sviluppo. «Venezia non può vivere soltanto della sua bellezza e non può diventare un parco tematico», attacca, «bisogna sviluppare le zone post industriali unendo il meglio del vecchio e del nuovo». Carlo parla della sua Fondazione per la Costruzione dell'Ambiente, attiva da 25 anni, che finanzia il recupero di centri storici e la rigenerazione di terreni inquinati dal petrolio nel Galles. Ed ecco i cinque punti. Il primo, riconoscere che la sostenibilità è un processo a lungo termine, cent'anni e non venti. Dunque è necessario «costruire in maniera adattabile e flessibile, riutilizzando vecchi edifici dove possibile».

Terzo, rispettare i luoghi in termini di materiale utilizzato, proporzioni, clima, ecologìa e metodi costruttivi. Quarto, costruire con eleganza, rispettando gli elementi tradizionali e utilizzando tecniche moderne. Quinto, creare complessi armoniosi. Si deve costruire creando edifici che le persone vogliono utilizzare, e le tecniche antiche vanno sfruttate non solo per la bellezza ma per i benefici ambientali che offrono. Ecco l'esempio della «San Giobbe house», dove il restauro è stato fatto rispettando i vecchi pavimenti, porte, finestre, e risparmiando energìa». Un altro esempio è quello degli slum di Mumbai. Anche lì, dice Carlo, «si intuisce una grammatica di pianificazione invece assente dai blocchi di marmo senza volto dei nuovi condomini». L'uomo al centro del progetto, è il messaggio del principe. In tempi di ecomostri e speculazioni edilizie, c'è da imparare.

Postilla

Chissà se, dopo aver visto il ponte di Calatrava e ammirato le facciate pubblicitarie di piazza San Marco, gli hanno fatto visitare anche l’ammasso di cemento, calcare, vetro e asfalto di VEGA, Parco scientifico tecnologico e luogo dell’innovazione.

Ecco il ponte di Calatrava:

ed ecco alcune immagini della piazza San Marco ridotta a merce:

e infine un insediamento contemporaneo, luogo dell’innovazione:

«Quello scavo potrebbe provocare problemi statici e mettere a rischio la tenuta del ponte di Calatrava (foto)». Lo dice senza mezzi termini l’assessore all’Urbanistica Gianfranco Vecchiato. Di mestiere fa l’architetto e anche da tecnico il via libera alla possibilità di realizzare «piani interrati» a piazzale Roma proprio non gli va giù. «Sono preocupato», dice, «e poi questo è un brutto segnale che diamo alla città». Il problema è anche politico. Dopo la spaccatura dell’altra sera in Consiglio comunale, con il via libera all’emendamento presentato da Saverio Centenaro (contro il parere di Vecchiato e con l’appoggio del sindaco Cacciari) sulla possibilità di scavare, l’assessore ha deciso di dire basta. «Giovedì (oggi, ndr) chiederò in giunta che si faccia chiarezza su una serie di questioni che così non possono continuare». Tra i punti di contrasto non c’è soltanto piazzale Roma. Ma anche il Pat (Piano di assetto del territorio) e il dibattito sulla sublagunare, dove la linea della giunta da contraria e diventata attendista. «I Piani urbanistici sono una cosa seria, dobbiamo assumere una posizione univoca su alcune cose», dice Vecchiato, «non è possibile che ognuno dica il suo pensiero in libertà mentre gli atti che abbiamo approvato magari vanno in direzione opposta».

Vecchiato è stato letteralmente spiazzato dall’intervento del sindaco Cacciari. Che lo ha smentito in aula, appoggiando la proposta di modifica fatta dal consigliere dell’opposizione. Così mentre si discuteva la delibera per porre nuovi limiti ai servizi igienici e limitare in qualche modo l’invasione degli affittacamere, sono arrivati gli emendamenti che Centenaro, presidente della commissione Urbanistica che da un anno sta esaminando la delibera, ha depositato pochi minuti prima del dibattito. «Uno scandalo», secondo il verde Beppe Caccia. E una norma ad personam, perché come ha ammesso in aula lo stesso Centenaro si dà così il via libera al progetto di nuovo albergo con garage interrato adiacente all’hotel Santa Chiara. Il proprietario è Elio Dazzo, presidente dell’Aepe (associazione dei Pubblici esercizi), i progettisti due architetti molto conosciuti, il presidente dell’Ordine Antonio Gatto, componente della commissione di Salvaguardia nominato da Ca’ Farsetti e Dario Lugato, progettista delle nuove Conterie a Murano. Nell’area ai piedi del ponte di Calatrava dovrebbe essere costruito un nuovo albergo. Il sindaco Cacciari si è subito detto d’accordo con l’ipotesi, che sana un lungo contenzioso con Dazzo per i terreni «scambiati» tra privati e Comuneù+. Ma nell’area il Piano particolareggiato ancora non c’è. E le previsioni del Piano erano del tutto diverse. Ed ecco la polemica. «Una vergogna», dice il verde Beppe Caccia, «ai privati si concede tutto».

Adesso Vecchiato è deciso a porre la questione politica. Da sempre le grande scelte della città sono state delineate nei Piani urbanistici, discusse e poi applicate. Negli ultimi anni si tende sempre di più ad approvare Varianti ad hoc, Conferenze dei servizi e stralci di progetto anche quando si tratti di progetti enormi come la nuova Marittima, l’Ospedale al Mare e il palazzo del Cinema, tessera city. Un sistema che accelera i tempi ma sottrae i grandi progetti al dibattito.

Alcune immagini raccolte in un powerpoint spiegano abbastanza bene che cosa si intende per riduzione della città a merce. Il caso illustrato è Venezia, una città-simbolo delle città d’arte, dove da tutto il mondo si accorre per ammirare uno dei più insigni monumenti del patrimonio dell’umanità.

Si sa che a Venezia si oppongono da molti decenni due diverse concezioni, orientata l’una promuovere l’omologazione di Venezia a qualsiasi altra città e a renderla in tal modo “moderna”, e l’altra a sostenere che la modernità di Venezia sta nel suo particolare rapporto tra storia e natura, che la rende, al tempo stesso, una città unica al mondo e una città in grado di insegnare al mondo come si può regolare virtuosamente quel rapporto.

Si direbbe che gli omologatori hanno vinto, benché il sindaco attuale sia un filosofo che ha spesso teorizzato la tesi opposta. Lo testimoniano molti eventi: ci siamo occupati del ponte di Calatrava, un oggetto inutile e costosissimo (e tra l’altro neppure bello e dotato di errori tecnici impensabile in una città ricca di ponti come Venezia). Lo testimonia adesso il larghissimo uso - che comune e sovrintendenza hanno promosso e consentito - di ignobili pannelli pubblicitari, di dimensione tale da cancellare, letteralmente, i palazzi sui quali sono installati.

Guardate il file allegato, scaricabile qui sotto. E consolatevi pensando che magari qualcuno verrà a dirvi che solo cancellando quei palazzi si potevano trovare i soldi per restaurarli. E allora, “per connessione di materia”, vi verrà in mente di chiedere perché non si siano investiti allo scopo la dozzina di milioni che saranno pagati, a consuntivo, per il ponte di Calatrava.

Emerge con prepotenza una verità della quale tutti dovrebbero rendersi conto. Le risorse della città possono essere adoperate per renderla più giusta e più bella per i suoi abitanti, permanenti o temporanei, oppure più redditizia per i mercanti che approfittano del suo uso per fare quattrini. La città come bene comune, oppure la città come merce. Venezia indica, con straordinaria efficacia, quest’ultima strada.

Sul ponte di Calatrava vedi una lettera al manifesto e un articolo su Carta. Sul turismo a Venezia e la sua capacità degradatrice vedi molti articoi nella cartella Vivere a Venezia. Sulle ragioni della modernità di Venezia vedi uno scambio di lettere.

Quaranta milioni di piedi che «consumano» ogni anno i masegni della città. Acque alte e maree che crescono e calano quattro volte al giorno e premono su fondazioni e murature secolari, «svuotando» il sottosuolo. Senza contare gli urti del moto ondoso, il degrado e l’incuria, la salsedine. Una città delicata che ha bisogno di manutenzione continua. E che adesso rischia il tracollo per mancanza di fondi. E’ l’allarme lanciato ieri sera all’Ateneo veneto dal presidente di Insula spa Paolo Sprocati e dall’assessore comunale ai Lavori pubblici Mara Rumiz. «C’è un pericolo reale», ha detto Sprocati aprendo il convegno dal titolo «Lavori interrotti», «cioè che si interrompa il percorso virtuoso della manutenzione iniziato dodici anni fa, che aveva risollevato la città da 40 anni di degrado».

Non si tratta soltanto di fermare i cantieri e ridurre i lavori programmati. «Alcune parti della città sono davvero a rischio», dice Sprocati. Muri pericolanti, ponti lesionati, pietre che cedono sotto la forza dell’acqua.

Filmato. Per dare un’idea al pubblico della situazione del sottosuolo è stato proiettato ieri un filmato della durata di 5 minuti realizzato dallo studio Scibilia. Foto delle rive e delle pavimentazioni compromesse, storia dei lavori di certosina manutenzione dei muri di sponda, confrontati con la situazione precedente al 1996. E una radiografia del delicato «sostegno» dei palazzi, mattoni e pietra d’Istria messi a rischio dalle correnti e dalla salsedine. Non le acque alte eccezionali, ma l’acqua che sui palazzi ci sta ogni giorno.

Risposte. «La salvaguardia di questa città», dice Sprocati, «non può avere risposte soltanto su un punto, cioè il Mose. Occorre un intervento di sistema che tanga conto della salvaguardia complessiva». «Basta dare soldi solo al Mose e alle grandi opere», ha detto il presidente dell’Ance Lionello Barbuio, «l’emergenza ora è la cura di questa città». Un tema su cui l’amministrazione Cacciari batte da tempo. Ma da almeno sei anni, dall’entrata in vigore della legge Obiettivo, i fondi della Legge Speciale sono stati dirottati al Mose. E per la manutenzione e le difese locali i finanziamenti sono stati tagliati, così come i contributi ai privati. «Per le imprese artigiane è un disastrto», ha ribadito il segretario Cgia Gianni De Checchi. «Senza la certezza dei fondi», ha detto ancora Sprocati, «si lasciano a metà importanti opere di difesa locale dalle acque alte come le insulae di Burano e Pellestrina».

Interventi. L’assessore ai Lavori pubblici Mara Rumiz ha insistito sulla necessità di dare priorità ai lavori di manutenzione della città, elencando gli interventi fatti negli ultimi anni dall’amministrazione nonostante la penuria delle risorse. La soprintendente Renata Codello sul fatto che con i pochi fondi a disposizione, anche enti pubblici come la Soprintendenza hanno fatto negli ultimi anni ricorso all’aiuto di sponsor privati. «Le imprese devono impegnarsi ad avviare la manutenzione programmata», ha detto, «una volta fatto un restauro bisogna seguirne l’evoluzione».

San Marco. A dimostrazione di quanto bisogno ci sia di una manutenzione quotidiana delle pietre è la situazione in cui versano rive e masegni di piazza San Marco. Ma anche luoghi meno centrali, dove la pietra d’Istria spesso viene distrutta grazie anche all’incuria e ai mancati interventi di manutenzione ordinaria. E poi riparare il danno costa dieci volte tanto.

Soldi. Dagli anni Novanta, quando il flusso dei finanziamenti per la manutenzione toccava anche cifre record di 2-300 miliardi di lire (150 milioni di euro) il flusso si è progressivamente ridotto. Zero euro nel 2006, pochi spiccioli nel 2007. E il piano venticinquennale per lo scavo dei rii deve essere rivisto. Dal 1997 ad oggi sono stati scavati dai 170 rii della città 300 mila metri cubi di fanghi con 34 chilometri di canali dragati, 53 chilometri e mezzo di rive restaurate, 150 mila mq di masegni recuperati e la pavimentazione rialzata. Un lavoro enorme, non ancora finito. C’è bisogno di continuità per il futuro. Altrimenti la città d’acqua sarà davvero a rischio.

Cade sul ponte di Calatrava, annuncia causa al Comune. Rosa Simoncini, 48 anni di Musile non dimenticherà facilmente quel 19 ottobre quando, verso le 19.40, assieme alle amiche Federica Deirossi e Donatella Ambrosin, è divenuta l’ennesima «vittima» del ponte veneziano. Una caduta che le è costata 5 fratture al viso e un’operazione maxillo-facciale con tanto di placca allo zigomo destro.

Proprio in quel momento, quando si è rivolta a un bar di piazzale Roma per chiedere del ghiaccio, è passato il sindaco Cacciari. Alle sue rimostranze sul ponte, le ha risposto: «La prossima volta faccia a meno di percorrerlo». Rosa adesso chiederà un risarcimento dei danni.

Erano le 19.40 circa quando le tre amiche hanno percorso il ponte per dirigersi verso un ristorante in centro. La prima a cadere è stata Rosa, poi Federica è barcollata e anche Donatella, ma loro non sono cadute. Rosa invece è rimasta sdraiata a pancia in giù, immobile. «Sono letteralmente volata sul ponte - racconta - ricordo che non c’era illuminazione, non un lampione acceso neanche sul marciapiede e tutto il tratto fino alla stazione del treno. Sono caduta alla sommità, sul vetro, da dove non si vedono gli scalini. Sono praticamente planata con la faccia su un gradino: 3 botte in testa per fortuna senza conseguenze, 5 fratture al viso. Ho subito un intervento chirurgico maxillofacciale all’ospedale dell’Angelo, con riassestamento dello zigomo e applicazione di una placca alla mascella. Pensavamo che alla stazione ci fosse almeno una farmacia. Niente. La polizia della stazione non poteva farci entrare perché aveva degli arresti. Allora siamo tornate a San Donà, per andare al pronto soccorso, fermandoci prima in un piccolo bar a chiedere del ghiaccio». E qui si inserisce l’episodio del sindaco. «Sedute al bar - ricorda Rosa - abbiamo visto il sindaco passarci davanti. Gentilmente, l’ho fermato. Mi presento e gli dico che sono appena caduta sul ponte. Non finisco la frase e mi risponde: “E allora?”. Ci resto male e rispondo: “Allora vedrò cosa mi sono fatta, ma l’ho fermata per dirle che è pericoloso perché completamente al buio, in parecchi inciampavano o si attaccavano al corrimano”. La sua risposta è stata: “Stia più attenta, io l’ho fatto un centinaio di volte. Lei faccia meno di farlo”. Ha girato le spalle e se ne è andato. Tutto questo sotto gli occhi delle mie amiche e di alcuni clienti del bar, rimasti attoniti». Adesso Rosa sta un po’ meglio, ma i danni subiti sono gravi e con il suo legale chiede un risarcimento. Il Comune le ha già chiesto le foto di quella serata scattate con i telefonini.

«A Venezia ci vado spesso - conclude Rosa - e non sono mai caduta da un ponte, parlo di quelli seri. Comunque da quel giorno non sono più andata a Venezia e non ho più intenzione di passare per il ponte di Calatrava perché ho paura».

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