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Eddytoriale 137 (20 gennaio 2010)
10 Febbraio 2010
Eddytoriali 2010-2012

Oggi la morte della città (almeno, della Venezia quale l’hanno conosciuta e amata chi davvero ha compreso le ragioni del suo fascino e del suo ammaestramento) è dovuta a un altro fattore: l’irruzione del cemento guidato dal trionfo delle privatizzazioni e degli affarismi. Non pretendo di fare un elenco compiuto degli eventi che, in questi ultimi anni, hanno segnato questo percorso. Annoto solo quattro episodi, tutti hard, che si aggiungono a quelli soft della mercantilizzazione invasiva e della svendita ai turisti d’ogni angolo della città.

In primo luogo, le gigantesche opere del progetto MoSE, che sono state realizzate ai varchi che legano la Laguna al mare. Opere utili solo ai cementieri e alle imprese che li realizzano, e al consorzio che li rappresenta operando come “concessionari unico dello Stato”: le barriere mobili non funzioneranno mai, e intanto le condizioni della Laguna stanno peggiorando.

Poi, le “valorizzazioni immobiliari” che avvengono al Lido di Venezia. Il pretesto di trovare finanziamenti per il nuovo Palazzo del cinema ha spinto un alacre ex assessore della giunta Cacciari a operazioni distruttive, tutte approvate dal Comune: come quella di trasformare lo spazio scoperto, circondato da mura antiche, di un forte ottocentesco tutelato (il forte di Malamocco) in un villaggio turistico, e quella di riempire di costruzioni gli spazi verdi dell’ex Ospedale al mare.

Ancora, l’avvio, di un pesante insediamento in margine alla Laguna, denominato Tessera City. È una vecchia idea di Gianni De Michelis, attivissimo colonnello di Benito Craxi, avanzata alla fine degli anni 80 nel quadro della proposta di realizzare a Venezia l’Expo 200. Questa proposta allora fu bocciata dai parlamenti europeo e italiano, che raccolsero l’allarme partito da Venezia. Oggi il progetto dell’insediamento sul margine della Laguna è stato ripreso e portato alla vittoria dalla coppia bipartisan Massimo Cacciari (sindaco di centrosinistra della città) e Giancarlo Galan (presidente di centrodestra della Regione).

Infine, una metropolitana sublagunare che dovrebbe legare Tessera City a Venezia e al Lido (scaricando altre migliaia di turisti nella città storica), per ricucire il tutto e agevolare la “valorizzazione immobiliare” degli antichi sestieri.

Questi sono gli elementi materiali del contesto nel quale Venezia corre verso la sua definitiva scomparsa. Allegramente, fra poco è carnevale.

La vicenda di Tessera City è esemplare. Essa testimonia l’arroganza e la presunzione d’impunità dei suoi protagonisti, e il disprezzo che i governanti dimostrano per la legalità. È una vicenda complessa, ma l’essenziale si comprende anche attraverso una rapida sintesi. Nel 2004 il comune di Venezia approvò una variante che raddoppiava i volumi già previsti dal vigente PRG per la realizzazione di uno stadio e numerosi annessi (commercio, ricreazione, ricettività, uffici ecc.) accanto all’aeroporto Marco Polo, a Tessera. Passarono gli anni: la Regione non approvò (come avrebbe dovuto entro tempi brevi), e il comune non sollecitò (come per suo conto sarebbe stato obbligato a fare). Nel frattempo si completavano transazioni immobiliari nelle aree circostanti, dove si comprava a prezzi agricoli. A un certo punto il maggiore proprietari (la Save s.p.a, che gestisce l’aeroporto), cui si accodò subito la società di proprietà comunale (ma il sindaco ha recentemente proposto di vole vendere parte consistente delle azioni a privati) che gestisce il casinò, presentarono alla Regione una ulteriore “osservazione” alla variante del 2004. Avvennero incontri pubblici tra i rappresentanti delle due società, il sindaco Cacciari e il presidente Galan, nei quali questi ultimi dichiararono trionfalmente di condividere il piano presentato dalle società.

Nel 2009 (cinque anni dopo!) la Regione restituisce la variante del 2004 al Comune e gli dice: te l’approvo, se tu accetti formalmente la nuova soluzione delle società. Una procedura mai vista: una osservazione presentata da enti d’interesse privato (perché tale è anche il casinò, benché oggi la proprietà sia ancora del comune) anni dopo l’approvazione della variante, che è fatta propria dai portatori d’interessi pubblici. Eppure si tratta di una modifica non marginale (si tratta del quadruplicamento della cubatura iniziale del Prg, e del raddoppio di quella della Variante), e una modifica non nell’interesse pubblico (i promotori dichiarano ufficialmente che la modifica serve perché “bisogna produrre risorse”), apportati a un piano con forzando le procedure di garanzia previste dalle leggi vigenti.

Tutto questo per collocare oltre un milione di metri cubi sul margine della Laguna, in una delle aree a più alto rischio idraulico dell’intero Veneto. Un mega-affare senza nessuna relazione con qualsiasi analisi dei fabbisogni locali. Una logica meramente affaristica: una gigantesca estensione della prassi di molti comuni di vendere pezzi di territorio per fare cassa, svolgendo il ruolo di apripista per gli interessi privati. Il sindaco-filosofo dichiara (vedi il Gazzettino del 16 gennaio) “è il giorno più bello della mia vita”. Anche per i proprietari delle azioni della società che gestisce il casinò: il loro valore è aumentato in poche ore del 20%.

Questo articolo è stato postato su Tiscali il 19 gennaio 2009, e lì riceve numerosi commenti, che testimoniano come il problema della Laguna di Venezia sia assolutamente sconosciuto agli italiani, sia nella sua reale sostanza sia nelle proposte che per il suo riequilibrio da oltre un trentennio sono state avanzate. I lettori di eddyburg sanno di poter attingere alle cartelle dedicata Venezia e in particolare a quella sul MoSE.

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