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Massimo Carlotto
Benvenuti in Galania
17 Marzo 2010
Articoli del 2010
«Nessuno dà il giusto peso alla necessità strategica di smantellare lo scellerato intreccio affari & politica come unica possibilità per evitare al Veneto l'ultimo e definitivo sacco del territorio». Il manifesto, 17 marzo 2010 (l'icona è Galan))

L'atmosfera che avvolge oggi in Veneto questa scontatissima e noiosa campagna elettorale è davvero surreale. Da un lato sconcerto, timore e sdegno intellettuale per l'arrivo dei lanzichenecchi della Lega, dall'altro un'attenzione certosina e bipartisan nell'evitare di affrontare i temi che rischierebbero di risvegliare l'interesse degli elettori.

Per prima cosa vorrei far notare che i lanzichenecchi hanno governato il Veneto ininterrottamente per 15 anni e Zaia rappresenta solo un avvicendamento all'insegna della continuità. Cambierà lo stile, come testimonia la cortese e pacata lettera dell'ufficio stampa di Zaia al manifesto, cambieranno alcuni protagonisti ma il progetto che ha trasformato il Veneto in Galania rimarrà invariato. Tutte le polemiche locali all'interno del Pdl e con il Pd sono pura fuffa elettorale.

Il 12 luglio del 2009 il Corriere della Sera pubblicava due intere pagine di pubblicità della Regione Veneto che esaltavano il successo del convegno «Paesaggio: una grande occasione per il Veneto delle infrastrutture».

Tra inni a quanto può essere bello asfaltare e cementificare quel che resta della regione e un'intervista a un «notissimo» architetto portoghese, spiccava sullo sfondo della foto di un paesaggio collinare una frase di Galan: «E se questo è stato il Veneto della nostra memoria, per il Veneto di domani, dopo il Passante, altre opere sono attese dalle donne e dagli uomini di questa terra, sostenuti come sono dalla certezza che la libertà di ciascuno esiste solo se c'è sicurezza e indipendenza economica».

«Altre opere sono attese...». In queste parole si può riassumere la vera ragione del sorpasso della Lega e il tentativo disperato di Galan di non cedere il comando. «Il Veneto di domani» è un affare ultramiliardario che ora passa nelle mani di Zaia e del suo partito.

Finora era stato gestito da quello che la stampa (Rizzo e Stella, Caporale, D'Avanzo) in merito a grandi appalti, imprese e società autostradali e ospedali, aveva definito «il sistema degli appalti di Galan in Veneto» che parte dalla Veneto Sviluppo Spa e si dipana in una miriade di società operative. Ma i settori su cui si concentrano particolarmente gli interessi e gli scontri di potere riguardano le infrastrutture stradali e autostradali, gli ospedali e le grandi operazioni immobiliari.

I candidati del Pd non hanno speso una sola parola sulla faccenda. Avrebbe significato sparigliare i giochi e raccontare agli elettori come in tutti questi anni il centro sinistra ha di fatto preferito inserirsi e convivere nel sistema Galan piuttosto che contrastarlo. Non a caso ha candidato Bortolussi, un fan accanito del presidente e hanno fatto fuori Laura Puppato, sindaca di Montebelluna, che non solo avrebbe portato molti più voti ma avrebbe messo in discussione le scelte ambientali del proprio partito a partire dagli inceneritori. Gli unici ad alzare la voce sono i numerosi comitati sorti in difesa del proprio territorio messo in pericolo dalla devastazione della politica del fare. Uno straordinario laboratorio politico, una delle poche novità a livello regionale e nazionale, escluso dalla campagna elettorale per evitare la diffusione del contagio. Un grattacapo anche per la stessa Lega che, a parole, sostiene le istanze locali e poi, nei fatti, solo i poteri forti e obbedisce a Bossi senza spazio di discussione. La storia locale insegna che tutti coloro che si sono opposti ai voleri del gran capo dei padani sono stati fatti fuori e oggi al massimo gravitano nei partitini simil-Lega. E Zaia, quando è arrivato Bossi a santificarlo, si è adeguato allo scenario, modificando stile e linguaggio.

Sarebbe davvero ingenuo pensare che la Lega non abbia voluto fortemente il governo della Regione per non essere più relegata alla periferia del potere, che qui non è più in mano alla politica, ma a un intreccio molto più complesso con settori dell'imprenditoria e della finanza. L'efficienza del sistema Galan alla fine si è rivelata la sua debolezza e qualcun altro si è fatto avanti a chiedere il cambio e una redistribuzione più equa di appalti e «lavori» a livello locale. Un avvicendamento che non sarà fatto indolore. La partita si giocherà sulle percentuali di distacco tra Lega e Pdl, su quanto spazio di manovra riusciranno ad avere Renato Chisso (regista operativo dell'intero sistema) e gli altri fedelissimi di Galan.

Ma anche (e forse soprattutto) su quale ministero riuscirà ad aggiudicarsi l'ex presidente, il quale sta muovendo mare e monti per sostituire il traballante e inguaiato Matteoli alle Infrastrutture e applicare il suo efficace sistema in ogni angolo della penisola. Centrali nucleari, termovalorizzatori, ponte sullo Stretto, la Valsusa trasformata in un enorme cantiere sono solo alcuni esempi di un progetto molto più esteso. Giancarlo Galan è l'uomo giusto per realizzare tutto questo. Nessuno è più bravo di lui ed è meglio che la miriade di comitati locali lo capiscano in fretta. Possiamo solo sperare che questo paese cambi prima che lui possa agire. Galan non è solo abile, è da sempre il migliore esecutore del progetto berlusconiano. Non a caso si è formato nella sua azienda. Ha dimostrato di farsi temere e rispettare, da amici e avversari e in Veneto ben pochi hanno tentato di contrastarlo e, spesso, lo spettacolo di vassallaggio è stato penoso. Sulla stampa si rasenta ancora il culto della personalità con la pubblicazione quotidiana di un numero esagerato di foto (record nazionale assoluto a livello di presidenti delle regioni).

E se Galan si pappa il boccone di quel ministero, davvero vogliamo insistere nella nostra ingenuità di pensare che Zaia e i suoi non si mostreranno molto più collaborativi di oggi? Ma ancora i giochi non sono fatti e l'attuale scontro dai toni piuttosto grevi tra l'ormai ex presidente e i leghisti non promette nulla di buono e l'italica usanza di saltare sul carro dei vincitori fa parte ormai della quotidianità. Ma domani, si sa, è sempre un altro giorno.

«Prima il Veneto» è uno slogan accattivante ma vuoto. La Lega, a parte le solite parole d'ordine, non ha nessun progetto valido per il Veneto. «Sì all'agricoltura identitaria, no agli Ogm», tuona Zaia ma poi sponsorizza il panino McItaly della McDonald's: «È un grande obiettivo che mi ero prefisso e che è stato realizzato». No, ni, vediamo... alle centrali nucleari. Radici cristiane nello statuto della regione e soliti luoghi comuni antislamici. Sicurezza contro i soliti sfigati clandestini e rom (ma su questi ultimi fa a gara con esponenti del Pd) ma nessuna parola sulle mafie che investono, cioè riciclano, nel territorio. Lo denunciano anche le associazioni di categoria e ci piacerebbe anche sapere come e dove vengono investiti questi soldi sporchi di sangue.

Lo strapotere irraggiungibile della destra, le loro insopportabili beghe interne, l'inadeguatezza voluta e scelta del Pd, e l'assenza a sinistra di un progetto credibile sta alimentando un grande desiderio di fuga dalle urne. Molti militanti, legati alle esperienze territoriali, lo stanno anche teorizzando proponendo un'analisi sensata della situazione ma, a mio avviso, fuori tempo massimo perché il variegato popolo della sinistra capisca a fondo il senso di questa scelta.

Ma è anche vero che si sta diffondendo la consapevolezza che nemmeno ai partiti della sinistra interessi attaccare e demolire il sistema Galan e la sua prossima articolazione in salsa leghista e questo accentuerà l'astensione. Io, invece, ho deciso di votare e di accettare il rischio anche se la lettura dei programmi non mi è di nessun conforto. Nessuno dà il giusto peso alla necessità strategica di smantellare lo scellerato intreccio affari & politica come unica possibilità per evitare al Veneto l'ultimo e definitivo sacco del territorio e imporre una politica che rilanci l'economia su basi totalmente opposte. Continuare a ragionare con la logica del partitino che si accontenta di piazzare il proprio consigliere sui banchi dell'opposizione, significa solo continuare a far parte di quella politica che sta distruggendo il paese. E la netta impressione che si ricava è di un ceto politico che non è all'altezza. Forse perché ancora troppo occupato a cogliere le ragioni della propria crisi (che due palle!). A mio modesto avviso è inutile e poco serio fingere di non sapere come andrà a finire. E allora quando la sconfitta e la ritirata scomposta sono certezze bisogna pensare al futuro. E non mi riferisco a quello del sol dell'avvenire. Voto o non voto non abbiamo scelta. E tantomeno tempo.

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