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la Nuova Venezia, 14 ottobre 2017. Dall'autorità centrale una norma per semplificare le trasformazioni dei negozi in attività turistiche, come era già successo per le abitazioni da adibire ad uso turistico. La stessa autorità che si è impegnata, a parole, con l'Unesco a controllare i flussi turistici. (m.p.r.)

Venezia. Meno vincoli e meno «burocrazia». Ma nel nome della «semplificazione» e degli aiuti alle imprese, il legislatore spalanca ancora di più, se ce n'era bisogno, la porta delle autorizzazioni per le attività di tipo turistico in luoghi vincolati. È il caso del Decreto del Presidente della Repubblica numero 31, emanato nel febbraio scorso e entrato in vigore il 6 aprile. Una riforma che riduce i casi in cui è necessaria l'autorizzazione paesaggistica. Declassandone altri alla procedura «semplificata». Significa che per molti interventi edilizi adesso non è più necessaria l'autorizzazione della Soprintendenza. Per altri, anche di importanza notevole, c'è il declassamento al «procedimento autorizzatorio semplificato». Dove la Soprintendenza ha solo 20 giorni per rispondere prima che scatti il silenzio-assenso.

Una vera rivoluzione, passata abbastanza sotto silenzio. Che adesso preoccupa gli uffici amministrativi e della tutela. Quello che per il resto d'Italia può essere un vantaggio, per una città d'arte già minacciata dal turismo e dalle trasformazioni edilizie è un rischio. Dunque adesso i lavori di ristrutturazione di edifici e attività commerciali non hanno bisogno più di alcun parere. L'elenco degli «interventi e opere in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica» è contenuto nell'allegato A del decreto. E comprende 31 tipologie diverse. Dalle opere interne «che non alterano l'aspetto esteriore degli edifici», alla sostituzione di vetrine, dalle rampe esterne ai servoscala, i condizionatori ma anche le tende e gli «elementi ombreggianti», i manufatti ornamentali. Fino alle «pedane e altri elementi posti a corredo di attività economiche o turistico ricettive.
«È così», allarga le braccia un funzionario di Palazzo Ducale, «a Venezia il contesto è più difficile, perché si tratta di una città sottoposta al vincolo generale per gli edifici costruiti prima del 1946. Ma con il nuovo decreto alcuni interventi si possono realizzare senza bisogno dell'autorizzazione». Altri, quelli inseriti adesso nelle procedure semplificate, dovranno attendere soltanto 20 giorni, in caso contrario scatterà il silenzio assenso. Una corsa contro il tempo, visti gli organici delle Soprintendenze. Che hanno anche da esaminare, dopo la riforma della legge, tutte le autorizzazioni dei plateatici e dei banchi del commercio ambulante in base alla direttiva Bolkestein.
Un decreto che arriva dal governo. E che non prevede per Venezia alcuna deroga. Sarà così ancora più facile aprire attività legate al turismo, che abbiano bisogno di restauri e lavori di ristrutturazione. Anche per la demolizione di interni non serve l'autorizzazione. Così, a meno che non si tratti di un edificio sottoposto a vincolo - palazzo o edificio di pregio - chi compra o affitta un locale può liberamente farne all'interno ciò che vuole.Ecco in qualche modo spiegato il proliferare degli interventi di restauro che interessano da qualche mese a questa parte locali commerciali e di Pubblici esercizi, in particolare quelli posti lungo la principale direttrice turistica. Da piazzale Roma a San Marco, passando per Lista di Spagna, Strada Nuova e San Bartolomeo. Da piazzale Roma a San Polo-San Bartolomeo. E attraverso il ponte dell'Accademia.
Qualche protesta sommessa arriva anche dagli stessi titolari di licenza di Pubblico esercizio. In alcuni luoghi sono decine i bar aperti uno accanto all'altro. Lavori in tempio di record e nessun permesso particolare. Una dichiarazione del professionista (geometra o architetto) e poi si apre. Senza licenza e senza permessi. Adesso la nuova norma toglie anche il «vincolo» del parere della Soprintendenza. Modificare un interno di un negozio per trasformarlo in attività turistica è dunque più facile. Come lo è stato in questi anni sul fronte ricettivo, realizzando i bagni con una semplice richiesta e poi le stanze per adibirle a locazioni turistiche. A mollare le redini è lo stesso governo che davanti all'Unesco si è impegnato a fare di Venezia un «caso pilota» per il controllo dei flussi turistici.

la Nuova Venezia, 15 settembre 2017. «Alienazioni o cessioni in affitto, la necessità di fare cassa non conosce deroghe». Senza nessun disegno si cancella la città pubblica e vengono sottratti spazi, servizi e residenze. (m.p.r.)

Venezia. Vederle tutte in fila, fa un certo effetto. E il rischio vero é di dimenticarsene persino qualcuna, tante sono: 20 operazioni immobiliari, solo in questo 2017. Parliamo di alienazioni: pezzi di città venduti (o in vendita) che cambiano proprietà e anima, passando da destinazioni pubbliche a private. Hotel, per lo più. Palazzi, isole, caserme vendute; canoniche e case di riposo affittate; altri pezzi di patrimonio pubblico che cercano disperatamente un acquirente, per ripianare "una tantum" le casse di qualche ente: con buona pace di una trasformazione ad uso turistico della città senza più argine. Tanto che anche la recente delibera del Comune sul "blocco" delle destinazioni d'uso, tra le tante deroghe, ne prevede una per autorizzare le valorizzazioni degli edifici messi in vendita dagli enti pubblici.

Non è certo una novità il grande affare immobiliare che ruota attorno a Venezia e alla sua trasformazione in hotel diffuso, ma fa una certa impressione "fare il punto" su quanto avvenuto solo nel 2017: l'insieme è di grande impatto.
Venduti.

L'ultimo affare è quello che ha tolto a Venezia la sede della Camera di Commercio di via XXII Marzo, traslocata in un nuovo edificio da 22 milioni di euro (con relativo mutuo) in via Torino: il Palazzo della Borsa è stato venduto dalla Ccia per oltre 64 milioni di euro alla Marzo Hotel Srl, società con riferimenti franco-lussemburghesi creata per l'occasione. Le impalcature in campo Santa Maria Formosa stanno, invece, segnando i lavori in corso per la trasformazione alberghiera di Palazzo Donà: già sede dei Servizi sociali della Municipalità e dello sportello rifugiati (l'uno trasferito in un locale più piccolo, che era sede di associaizioni cittadine; l'altro a Mestre), è stato venduto dal Comune alla sua immobiliare Ive per 4 milioni di euro, "valorizzato" dopo il cambio d'uso e rivenduto per oltre 6 milioni.
Tutti fanno cassa: un patrimonio che si volatilizzerà nei mille rivoli del bilancio. Così la Regione ha ceduto per 6,335 milioni di euro Palazzetto Balbi, ex sede del Genio civile a due passi da San Marco (destinato a residenze turistiche) e per 911 mila euro l'ex trattoria Vida in campo San Giacomo, ora "occupata" dai cittadini (facciamo il punto nell'articolo a fianco) che il proprietario Alberto Bastianello vorrebbe riportare all'antico ristorante. Da parte sua, l'Usl 12 ha formalizzato la vendita di Palazzo Stern a Ca' Rezzonico sul Canal Grande (12,6 milioni di euro), da molti anni hotel di proprietà di Elio Dazzo.
Poi c'è l'infinita partita dell'ospedale al Mare, che pare finalmente giunta a un termine dopo quasi 10 anni di liti giudiziarie, mobilitazioni popolari, progetti bocciati: Club Med e Th Resorts hanno presentato al Comune un progetto per la trasformazione in resort di lusso, ma con l'impegno a mantenere ad uso pubblico il Teatrino liberty Marinoni e l'ex chiesetta e, soprattutto, a ricostruire dall'altro lato della strada il nuovo Monoblocco dell'Asl 3, con pronto soccorso, ambulatori, un presidio chirurgico con rianimazione. Cassa Depositi e Prestiti riceverà così 120 milioni dalla vendita.
Il Demanio ha infine trovato un acquirente per il magnifico Golf Club del Lido, con forte annesso: l'ennesima asta scade il 24 novembre, ma nel cassetto Real Estate Discount (che tratta la vendita) ha già una irrevocabile offerta di acquisto per 1,885 milioni di euro: la metà di quanto inizialmente lo Stato sperava di incassare.
In vendita.

C'è di tutto, senza più tabù. La Regione vuole vendere la sua storica, splendida sede di palazzo Balbi: ha anche abbassato il prezzo a 30 milioni, qualcuno arriverà. Sul mercato per 13,5 milioni anche Palazzo Gussoni: oggi sede del Tar Veneto sul Canal Grande. Poi gli immobili che non riesce a vendere da tempo, come l'Hotel Bella Venezia (9 milioni) e il complesso Cereri-Briati. Il colpo grosso vorrebbe farlo il ministero della Difesa, trasformando l'ex carema di lagunari Miraglia e l'Idroscalo in piena laguna in un resort di lusso: si cercano privati pronti a pagare 100 milioni di euro. Il Comune di Venezia, da parte sua, ha già messo all'asta la sede del comando della Polizia locale a Palazzo Poerio Papadopoli, Villa Herion alla Giudecca, l'ex convento di San Mattia a Murano.
Affitti.

Sul mercato l'Ottagono di Ca' Roman e, soprattutto, l'Isola di San Secondo, per la quale l'Agenzia del Demanio è pronta a valutare "offerte libere" per una concessione cinquantennale. Destinazione d'uso ricreativa, culturale, educativa, ma con foresteria. La strada alberghiera è aperta. All'Arsenale, è un cantiere aperto l'ex casa di Riposo che l'Ire ha affittato per 1,3 milioni l'anno, pronta a divenire albergo con tanto di piscina privata. Stessa decisione per Poste Italiane e la magnifica sede di rappresentanza di Palazzo Querini Dubois. Finendo con il contratto che ha fatto il giro dei media internazionali: quello dell'ex canonica di Santa Fosca, che la Curia ha affittato alla Tintoretto Srl autorizzandola a farne hotel, con lavori (privati) che il Comune ha ora bloccato perché abusivi.

La Stampa, 11 ottobre 2017. «Dopo scandali ed extracosti, il sistema antimarea andrà rottamato? »Ma l'errore è molto più grave. Vedi su eddyburg perchè

I cassoni subacquei sono intaccati dalla corrosione, da muffe, e dall’azione (davvero non si poteva prevedere?) dei peoci, le umili cozze. Le paratoie già posate in mare non si alzano per problemi tecnici. Quelle ancora da montare, lasciate a terra, si stanno arrugginendo per la salsedine nonostante le vernici speciali; chissà che accadrà quando saranno posate sul fondale. La storia del MoSE (la sigla sta per Modulo Sperimentale Elettromeccanico), il sistema di paratoie mobili concepite nel lontano 1981 per proteggere in modo sicuro Venezia e il suo inestimabile patrimonio artistico dalle alte maree che invadono la Laguna provenienti dall’Adriatico, è davvero un’antologia degli orrori. Invece di costare 1,6 miliardi di euro, ne è già costato 5,5; invece di entrare in funzione nel 2011, se tutto va bene partirà all’inizio del 2022.

Ecco come avrebbe dovuto funzionare il Mose di Venezia
Tutta l’opera è stata segnata da gravissimi episodi di corruzione, sanzionati in un processo che si è appena concluso e che ha rivelato un turbinoso giro di mazzette per coprire lavori e opere mal progettati e peggio realizzati. Ora poi si scopre ora che per completare l’opera e riparare le strutture già rovinate ci vorranno la bellezza di altri 700 milioni, più almeno altri 105 milioni di euro l’anno per garantirne il funzionamento e la manutenzione, soldi che non si sa chi dovrà sborsare. Ma quel che è più paradossale, nonostante un esborso pazzesco, una volta in funzione il sistema di 78 paratie mobili chiuderà la porta alle maree eccezionalmente alte, da 110 centimetri a tre metri. Ma non potrà fare nulla per limitare i danni quando arrivano le «acque medio-alte», quelle tra gli 80 e i 100 centimetri, sempre più ricorrenti.

In realtà, dicono gli esperti, sin dall’inizio si sapeva che questo «gioiello di ingegneria nazionale» era stato pensato per fronteggiare situazioni estreme, come i 194 centimetri della tremenda alluvione del 4 novembre del 1966. Il sistema di paratoie mobili a scomparsa, poste alle cosiddette «bocche di porto» (i varchi che collegano la laguna con il mare aperto attraverso i quali si attua il flusso e riflusso della marea) di Lido, San Nicolò, Malamocco e Chioggia, potrà isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare Adriatico, innalzandosi nel giro di cinque ore.

Ma nella zona di Piazza San Marco basta una pioggia un po’ intensa – come l’11 settembre – per allagare tutto. A suo tempo, il Consorzio Venezia Nuova, l’organismo – oggi commissariato – che gestisce la realizzazione del MOSE, aveva proposto una costosissima operazione di isolamento completo di Piazza San Marco e della Basilica, con la posa di un’enorme guaina. Ma a breve la piazza sarà messa al sicuro fino a 110 centimetri di acqua alta con un intervento che costa solo 2 milioni di euro. Tra cui speciali «tappi» di gomma e metallo nella Basilica per bloccare l’entrata della marea dal sottosuolo, e l’innalzamento dei masselli della piazza.

Insomma, non sempre il gigantismo paga. E quel che è peggio è che secondo una perizia commissionata dal Provveditorato alle Opere Pubbliche di Venezia, braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture, il MOSE rischia cedimenti strutturali per la corrosione elettrochimica dell’ambiente marino e per l’uso di acciaio diverso da quelli dei test. Le cerniere che collegano le paratoie mobili alla base in cemento - ce ne sono 156, ognuna pesa 36 tonnellate, un appalto da 250 milioni affidato senza gara al gruppo Mantovani - sono ad altissimo rischio (probabilità dal 66 al 99 per cento) di essere già inutilizzabili.

Un controllo ha mostrato che le cerniere del MOSE di Treporti, sott’acqua da tre anni e mezzo, presentano già uno stato avanzato di corrosione. Nelle prove di questi mesi si sono viste paratoie che non si alzano, altre che non rientrano nella sede per i detriti accumulati, Problemi alle tubazioni, un cassone esploso nel fondale di Chioggia. Una nave speciale (costata 52 milioni) per trasportare le paratoie in manutenzione al rimessaggio in Arsenale ha ceduto al primo tentativo di sollevare una delle barriere. Infine, uno studio del Cnr, che ha aggiornato la mappa del fondale della Laguna, oltre a scoprire nei fondali copertoni, elettrodomestici, relitti di barche, persino containers, avverte che le strutture già posate del MOSE hanno generato una preoccupante erosione dei fondali. Le opere pubbliche, specie quelle mirate a difendere il nostro territorio (a maggior ragione dal rischio climatico) sono fondamentali. Ma il MOSE è il simbolo di quel che non si deve fare.

la Nuova Venezia, 8 ottobre 2017. Italia Nostra contro il progetto di Chipperfield chiede l’intervento della Soprintendenza: «Evitare un altro Fontego - si domanda Lidia Fersuoch - Chissà se i tutori statali dei beni culturali questa volta avranno un po' di coraggio. Con postilla

«Non regaliamo la Piazza ai privati. Con la “mega-terrazza” per i loro “eventi” e vista su San Marco». La presidente di Italia Nostra Venezia Lidia Fersuoch lancia l’allarme sul ventilato progetto delle Generali di costruire sopra le Procuratie vecchie - le abitazioni dei procuratori di San Marco che risalgono al Cinquecento - una nuova grande terrazza panoramica. Richiesta già presentata, che vede la Soprintendenza dubbiosa.

Italia Nostra ricorda il precedente della terrazza del Fontego, realizzata per conto di Benetton da un altro architetto di fama, l’olandese Rem Koolhaas. Intervento all’epoca contestato, realizzato utilizzando una parte del tetto dietro le merlature cinquecentesche dell’antico Fontego. «Al coronamento gotico in pietra», continua l’esponente di Italia Nostra, «si è sostituito il coronamento contemporaneo - dicendola alla Fantozzi - in teste umane, con relativo immancabile sfavillio di flash nelle ore tarde. Tutti alla ricerca del selfie e della foto di Venezia dall’alto. Come diceva Salvatore Settis, una mega-nave piombata nel cuore di Venezia».

Per l’associazione che tutela il patrimonio artistico si tratta di un modo di fruire la città «poco rispettoso della sua storia». «Quale enorme valore aggiunto regaleremmo alle Generali con la terrazzona sulla Piazza? Privando nel contempo la cittadinanza del diritto sacrosanto di veder tutelato il suo patrimonio culturale».


Italia Nostra ricorda anche come le Generali siano state la prima grande azienda a trasferire quasi tutti gli uffici in terraferma, a Mogliano, «in anni in cui il turismo era ancora contenuto e c’era bisogno di mantenere attività economiche in laguna». «Tornano adesso con l’aureola dei santi, avendo trasformato la sede storica in sede di rappresentanza».

Infine, Italia Nostra si rivolge alla Soprintendenza: «Non vorremmo essere nei panni dei tecnici veneziani. Un bel dilemma li attanaglierà in questi giorni. Rifiutare alle Generali una terrazza “mozzafiato” in Piazza, come sarebbe ovvio in un paese che tuteli le eredità culturali, o accondiscendere alla nuova moda della contaminazione, per cui un monumento conservatosi per secoli diventa ora opera di un architetto contemporaneo in cerca di eternità a scapito della storia? Contrastare i potenti, anche con ottimi argomenti, è sempre pericoloso».

postilla

La colonizzazione di Piazza San Marco da parte della potenza finanziaria delle Assicurazioni Generali era stata già iniziata con la vicenda "restauro" dei Giardini reali, raccontata e denunciata su questo sito da Paola Somma, nell'articolo Generali diventa “mecenate di mecenati” e conquista un altro pezzo dell’area marciana. Del resto, finché un poderoso ribaltone non muterà la cultura del "popolo bue" e la cacca del Fontego dal poker d'assi Benetton-Orsoni-Codello-Koolhaas continuerà ad avere più visitatori del Palazzo Ducale non c'è da aspettarsi nulla di meglio.
Sul precedente scandaloso della distruzione dell'ex Fòntego dei tedeschi vedi su eddyburg, tra gli altri, gli articoli della nostra Paola Somma e di Francesco Erbani.

la Nuova Venezia, 6 ottobre 2017, Dalla Repubblica Serenissima, a Napoleone Bonaparte, a Luigi Brugnaro. Dalla pietas a Mammona. Piccola storia edilizia di una decadenza, con postilla

Da Ca’ di Dio a casa dei turisti. Aprirà alla fine del prossimo anno, in quella che è stata per molti anni una residenza per anziani dell’Ire, un nuovo albergo di lusso a gestione spagnola. Si chiamerà Gran Melià Ca’ di Dio. La Meliá Hotels International è una catena di alberghi spagnola fondata nel 1956 a Palma di Maiorca.

La compagnia è il principale operatore mondiale di resort e la tredicesima catena alberghiera più grande del mondo, con più di 300 alberghi in 30 Paesi. Con questo nuovo hotel in riva dei Sette Martiri, di fronte al Bacino di San Marco, sbarca per la prima volta in Italia, con la previsione di aprire nel 2019 un secondo albergo a Roma. Il nuovo albergo gestito Melià e ricavato nella casa di riposo avrà 79 camere e suite.

La Ca' di Dio oggi

Prevista anche una piscina privata - una rarità per gli hotel veneziani - un ristorante aperto tutto il giorno e sale meeting per convegni e incontri. I lavori dovrebbero iniziare tra qualche mese. Il gruppo spagnolo ha raggiunto un accordo per l’apertura dell’albergo con il Salute Hospitality Group, società di gestione alberghiera italiana che si era aggiudicata nella gara bandita dall’Ire la concessione per la realizzazione dell’hotel. Previsto a favore dell’Istituto di ricovero ed educazione un affitto annuale di un milione 350 mila euro, con locazione per 27 anni con lavori di restauro a carico del nuovo gestore.

Era stato l’allora commissario straordinario Vittorio Zappalorto che aveva approvato una delibera che eliminava lo standard pubblico che vincolava l’uso dell’edificio di origine duecentesca che si affaccia sulla riva dell’Arsenale e apre la strada, dunque alla trasformazione alberghiera. In cambio, erano stati rafforzati gli standard delle altre due case di riposo dell’Ire alle Penitenti e alla Giudecca. Il vincolo posto per concedere la Variante per il cambio di destinazione d’uso da parte del comune, era stato appunto quello che l’Ire non vendesse l’immobile, ma si limitasse ad affittarlo. Ciò non ha impedito però la trasformazione alberghiera, con le nuove aperture che proseguono fitte, nonostante il teorico blocco posto da una recente delibera comunale.

postilla

Una trasformazione edilizia che rispecchia la decadenza di Venezia nei secoli. Nel 13° secolo la Ca’ di Dio è destinata ospizio dei pellegrini per la Terrasanta, più tardi è votata dalla Serenissima a ospitare donne bisognose, a volte con singolari forme di autogoverno delle ospiti. Dagli anni di Napoleone a quelli di Brugnaro il complesso è riservato a residenza di vecchi indigenti. Oggi… quello che ne racconta l’articolo che avete letto. Si può scivolare più in basso? C'è da dubitarne

L'Unesco come brand per campagne di marketing e poi menefreghismo, per non scoraggiare gli speculatori immobiliari. Anche Venezia potrebbe perdere questo marchio, ma ci consoleremo con il "certificato cinese".

Qualche mese fa, il centro storico di Vienna, che nel 2001 era stato incluso dall’Unesco tra i siti patrimonio dell’umanità, è stato declassato a sito a rischio, perché deturpato da un nuovo complesso edilizio alto sessanta sei metri. La notizia non ha destato grande scalpore, né le istituzioni locali sembrano molto preoccupate. Come ha detto il rappresentante dell’ente per la promozione del turismo, “ci dispiace, ma siamo tranquilli, perché la decisione non avrà ripercussioni sul numero di turisti in arrivo”.

Ancora più sprezzanti nei confronti delle valutazionidell’Unesco sembrano le autorità di Liverpool, il cui porto mercantile, che erastato dichiarato patrimonio dell’umanità nel 2004, in quanto “supremo esempiodi porto commerciale ai tempi della più grande influenza globale della Gran Bretagna”,è stato retrocesso nel 2012 nella categoria dei siti a rischio, a causa delprogetto di valorizzazione dei suoi sessanta ettari di superficie con una seriedi enormi costruzioni “ispirate alla architetture di Shanghai”.

Il nostro scopo, è di creare una world classdestination, ha detto il presidente di Peel Group, la società di investimento immobiliare che ha acquisito laproprietà dei terreni. Chi viene a visitare la città, ha aggiunto, “non viene a vedere il certificato dell’Unescoappeso alla parete del mio ufficio... viene a vedere una città dinamica evibrante e… comunque non possiamo sospendere i progetti disviluppo, perché significherebbe inviare un messaggio sbagliato agli investitori,perdere posti di lavoro e metterci a rischio di costose vertenze legali con idevelopers”.
Diversamente da Vienna e Liverpool che, dopo avere usato il brand Unesco per le loro campagne di marketing,sono disposte a rinunciarvi per non scoraggiare gli speculatori finanziari e immobiliari, Venezia è riuscita nell’impresa diconservare il marchio di qualità Unesco e di disattenderne tutte leraccomandazioni.

La risoluzione del luglio 2016, con la quale l’Unescosollecitava il governo italiano e il comune di Venezia ad adottare misureconcrete per mitigare i problemi che attanagliano la città e la laguna e preannunciava che, in assenza di sostanziali progressi entro il 1febbraio 2017, avrebbe considerato l’eventualità di porre Venezia nella listadei siti a rischio, suscitò, oltre chel’attenzione della stampa di tutto il mondo, l’immediata reazione del sindaco Brugnaro chedichiarò “ne abbiamo le scatole piene … siamo stufi di critiche aristocratiche”. Poi, però, il sindaco ci ha ripensato, ed hadeciso di trasformare la minaccia daproblema in opportunità. Ad un anno di distanza, dobbiamo riconoscere chel’operazione gli è riuscita perfettamente: si è fatto dare molti soldi dalgoverno, ha portato avanti una serie diprogetti che vanno nella direzione opposta da quella auspicata dall’Unesco edha ridicolizzato l’organizzazione internazionale.

L’Unesco aveva identificato quattro principali fenomeniche stanno distruggendo la città e la Laguna - turismo, grandi navi, grandiopere, moto ondoso - e per ognuno di essi ci chiedeva concreti interventi,cioè l’adozione di un piano per ridurrela sproporzione tra la quantità di turisti e la popolazione residente; la proibizione per le grandi navi passeggeri e commerciali dell’entratain Laguna; la sospensione dei progetti di nuove grandi opereinfrastrutturali, in primis l’ampliamento dell’aeroporto e il porto offshore; l’introduzione,e l’osservanza, di limiti al traffico acqueo, sia in termini di velocità chedi tipo di scafi.

Su tutti i quattro punti l’amministrazione èintervenuta, come dice il sindaco, “confatti e non chiacchiere”. Per quanto riguarda il turismo, il comune,prendendo atto che la domanda è in crescita costante, da un lato si adopera peraumentarla ulteriormente, ad esempio sollecitando e stipulando accordi con i touroperators cinesi, dall’altro continua ad ampliare l’offerta ricettiva con lacostruzione di migliaia di nuovi posti letto, spalmati in tutto il territoriocomunale secondo una zonizzazione che prevede per ogni tipologia di turista lalocalizzazione adeguata alla sua capacità di spesa. Quindi i molto, moltoricchi andranno nelle isole della laguna privatizzate e sottratte ai cittadini normali;i semplicemente ricchi al Lido e nei palazzi lungo il Canal Grande; i mediamentedotati di denaro nella parti della città più discoste da san Marco e dallegrandi attrazioni; i low budget infine, attorno alla stazione di Mestre e sullagronda lagunare.

E siccome l’Unesco non chiedeva misure scoordinate,ma un piano, il comune ha adottato il DMP, “Destination Management Plan delladestinazione turistica Venezia e Laguna”, per il triennio 2016-2018. Si tratta di uno strumento inventato dallaregione Veneto (che ha individuato nel suo territorio tredici destinazioni turistiche)che, di fatto, altera il sistema pianificatorio.

Da un lato, al DPM, che diventa il principale strumento di“gestione strategica del territorio in funzione dello “sviluppo, gestione emarketing del turismo e della sua economia”, viene demandata” l’individuazione delledecisioni strategiche, organizzative e operative attraverso le quali deveessere gestito il processo di definizione, promozione e commercializzazione deiprodotti turistici espressi dal territorio veneziano al fine di generare flussituristici di incoming equilibrati, sostenibili e adeguati alle esigenzeeconomiche degli attori coinvolti”.

Dall’altro il DPM, essendo adottato dagli “attoripubblici e privati che partecipano all’"Organizzazione di gestione della destinazioneturistica", presieduta dal comune di Venezia e della quale fanno parte affittacameree albergatori, commercianti ed esercenti, artigiani ed industriali, esclude daogni decisione relativa al territorio chiunque non eserciti un’attivitàeconomica legata al turismo. Per i cittadini che non beneficiano del businessturismo (e che potremmo chiamare i “senza turismo”) sono previsti solo aumentidi tasse e tagli di servizi.

“Via le grandi navi dal bacino di San Marco”,mentre la richiesta dell’Unesco era “via le grandi navi dalla laguna”, è poil’astuto slogan al cui riparo il comune continua a promuovere progetti pernuovi scavi e nuovi terminal in laguna e a slogan e annunci pubblicitari, comel’operazione “onda zero”, si riducono anche le misure per contenere il motoondoso.

Su tutti questi fronti, e soprattutto su quellodelle grandi opere infrastrutturali, il sindaco ha anche abilmente negoziatocon il governo Renzi, con il quale ha firmato, il 26 novembre 2016, il cosiddettopatto per Venezia che destina circa quattrocento cinquanta sette milioni dieuro per “il rilancio della città”. Un successo che Brugnaro ha commentato cosi: “ilprogetto per questa città lo abbiamo delineato chiaramente e parla dellosviluppo delle sue infrastrutture: porto, aeroporto, ferrovie, connettività efibra ottica, perché se riparte Venezia possiamo dare il segnale che puòripartire l'Italia. Venezia si è rimessa in moto, adesso ha bisogno di personelungimiranti che vogliano investire”.
Dopo di che il sindaco ha messo tutto in undossier, è andato a Parigi per “dettagliare i progressi per la rivitalizzazionedella città” e l’Unesco, riconoscendo “i progressi ed i risultati raggiunti”,ha rinviato ogni decisione.

Al ritorno dalla vittoriosa spedizione e giustamentefiero del risultato, il sindaco ha annunciato che nel gennaio 2018 Veneziaospiterà in palazzo Ducale un grande evento, per inaugurare l’anno del “turismocinese in Europa”, al quale interverrannole maggiori autorità politiche cinesi ed europee, oltre a delegazioni di touroperator. L’iniziativa ha avuto l’immediatoplauso del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che è venuto a Veneziaper congratularsi e, abbracciando Brugnaro, ha detto: vorrei vedere meno acciaio e più turisti cinesi.

Non sappiano se l’Unesco figura tra gli invitatialla cerimonia in palazzo Ducale. Sappiamo però che l’assessore al turismo si è recata in missione promozionale in Cinae che stiamo lavorando per ottenere la cosiddetta “welcome chinesecertification”, cioè il riconoscimento di destinazione chinesetourist friendly. Per i cittadini è una consolazione sapere che semai dovessimo perdere il marchio Unesco ci rimarrebbe il certificato cinese, masiamo fiduciosi che il nostro sindaco smart riuscirà a cumularli.

la Repubblica, 1 ottobre 2017. «Le trasformazioni indotte dal turismo incideranno sull’immaginario collettivo molto più di quanto si possa pensare; per esempio contribuendo a imprimere nella mentalità occidentale che tutto, anche i luoghi più intimi e personali, può o deve diventare oggetto di profitto».

Da Venezia alla Toscana, i luoghi d’arte e i piccoli borghi rischiano di trasformarsi in posti dove tutto ruota attorno al consumo turistico. Come si possono far convivere le esigenze di migliaia di visitatori con il rispetto delle città e dei loro abitanti?

Gli articoli su Venezia e la sua striminzita popolazione residente. Venezia e le “orde” di turisti che si abbattono come cavallette mortifere su una “città delicata”. Le grandi navi che permettono a migliaia di persone di solcare la laguna e guardare San Marco dall’alto… Da anni siamo sommersi da segnali d’allarme. Va sottolineato che Venezia, grazie alla sua bellezza e unicità, è un simbolo schiacciante e supremo. Le voci di dolore di editorialisti e intellettuali che annunciano la catastrofe sono talvolta forti e giuste, l’angoscia sincera. E alla fine si alza di solito l’invocazione al governo italiano. Come se, di colpo, per azione dello spirito santo, il nostro governo fosse in grado di recuperare un potere che non ha, e non ha in fondo mai voluto, per trovare soluzioni a un’attività chiamata turismo e tentare di regolamentarla… Un’attività che sembra l’innocuo prolungamento dell’ozio, ma che sconquassa alle radici la nostra civiltà. Un’attività che sta profondamente cambiando da qualche decennio i paesaggi mondiali. Un’attività sociologicamente rivoluzionaria di cui per molti anni nessuno aveva previsto l’influenza profonda sulla vita occidentale.
Pare che quest’anno saranno un miliardo e duecento milioni gli esseri umani a lasciare per pochi giorni il loro habitat e andare a visitare un altro paese. Erano sessanta milioni alla fine nel 1968. Dopo le feste natalizie, trenta milioni di questi avranno messo piede a Venezia, che ha una popolazione di appena cinquantamila abitanti. Queste transumanze, che non possono che crescere di anno in anno, sono un fenomeno recente. Per secoli ci si spostava per due sole ragioni: la guerra e la conquista di territorio. Per altri secoli, il pellegrinaggio religioso costituiva l’unica esperienza di vita di un uomo al di fuori del luogo natale. Nell’Ottocento iniziarono, in Europa, i tour educativi dei rampolli di buona famiglia e quelli degli artisti. Solo dopo il boom economico degli anni Sessanta si sono sviluppati il turismo famigliare e tutti gli altri turismi - artistico, sportivo, sessuale, esotico, estremo - dall’Artide alla Terra del Fuoco, dal Messico all’Isola di Pasqua. Le prime parole che vengono in mente sono mondializzazione e democratizzazione.
Non appena intere popolazioni escono dalla miseria e dalle costrizioni contingenti, acquistano coscienza che il mondo, i suoi tesori e le sue bellezze, sono di tutti e dunque appartengono anche a loro. Tutto appartiene a tutti. Il turista è l’altro. Siamo dunque sempre il turista di qualcuno. E la povera signora veneziana, travolta e semicalpestata mentre usciva da un vaporetto, quella che, mentre la aiutavo, disse, tra disperazione e stupore “… ma questa è la MIA città… “, è probabilmente nonna di un giovane che si dà alla pazza gioia alle quattro di notte a Barcellona e impedisce ai residenti di dormire.
Bisogna “regolamentare i flussi”, “spalmare” il turismo su zone più ampie dicono i politici — e naturalmente creare commissioni per agire con efficacia. Come si regolamenta l’arrivo dei turisti a Venezia? Si diminuisce il numero dei treni? Niente più pullman? Arriveranno solo quelli che atterrano all’aeroporto? Numero chiuso per censo (chi paga il biglietto d’ingresso)? Il biglietto del vaporetto (già a un prezzo stravagante: 7 euro e cinquanta) aumenterà? Il Ponte di Rialto verrà transennato a ore fisse? E come si “spalmano” i turisti?
Qualcuno spiegherà ai gruppi organizzati che è meglio non visitare la Basilica e fare invece un giro in laguna di notte? Nessuno ha idea di quel che bisognerebbe fare ma il brusio dei saccenti si fa assordante. Non possiamo permetterci di sghignazzare troppo sulla caricatura del viaggio culturale praticato da masse piene di buona volontà, invasori pacifici e ammiratori virtuali. Sappiamo che un discorso elitista a nulla serve ed è intellettualmente ingiusto. Chi siamo per giudicare le emozioni che suscitano un primo, e forse unico, ingresso nella basilica di San Marco? Chi siamo proprio noi che stiamo diventando una nazione di affittacamere e cantinieri? Alle scempiaggini sentite dai turisti (cito un dotto capofamiglia francese sulla Riva degli Schiavoni: “ …da qui partivano le navi cariche di schiavi per l’America”), corrispondono le scempiaggini di alcuni telegiornali che fanno a gara di cifre trionfali, dalla frequentazione dei musei al numero di sagre della patata. E le trasformazioni indotte dal turismo, quelle collaterali come Airbnb, incideranno sull’immaginario collettivo molto più di quanto si possa pensare; per esempio contribuendo a imprimere nella mentalità occidentale che tutto, anche i luoghi più intimi e personali, può o deve diventare oggetto di profitto.
Uno dei motori del turismo, fra i più nobili, è l’immaginazione. Partire da un luogo noto per andare a vedere paesaggi e opere d’arte che la letteratura e la storia ci hanno descritto. Verificare se quello che immaginavamo corrisponde alla realtà, o le è inferiore, o superiore producendo quei brividi che solo la bellezza o la stranezza sanno provocare: ecco la parte bella a cui aspira il viaggiatore. Ma perché questa magia avvenga, bisogna che il luogo visitato abbia preservato non solo i resti di una bellezza riconosciuta dalle guide, ma per quanto possibile le caratteristiche che hanno formato la sua identità. Per questo suscita sgomento la reazione del sindaco Brugnaro e il suo entusiasmo all’idea dei futuri sbarchi di grandi navi, cinesi stavolta, a Marghera. Le Monde del 15 agosto riporta il suo giubilo: “Venezia sarà la Dubai dell’Occidente!”.
Il sociologo Rachid Amirou, che ha dedicato la sua vita di ricercatore alla nascita e all’esplosione dei turismi nel mondo, racconta un aneddoto stupefacente: in una cittadina della Costa Azzurra, l’amministrazione comunale dava ai pensionati un modesto contributo perché uscissero di casa, giocassero a bocce e bevessero il loro solito aperitivo sotto i platani… perché conducessero in pratica la loro vita normale, soprattutto nelle giornate estive e sotto gli occhi dei turisti. Perché insomma la loro identità, non ancora in pericolo, si rafforzasse e desse lustro al fascino del loro luogo natale. Attori di sé stessi, in un quadro che, insensibilmente ma sempre di più, diventa la scena di un teatro. Quante volte abbiamo avuto l’impressione di un allestimento organizzato per uso turistico in paesini di incomparabile leggiadria — in Toscana o a Malta o in Andalusia?
Ha ragione Galli della Loggia — e hanno ragione Jean Clair o Salvatore Settis, preoccupati da questi sintomi di identità per lo meno perturbata — a invocare un potere organizzativo superiore, che pensi il futuro e non permetta agli eletti locali azioni potenzialmente devastanti, non pensate e non analizzate. Ma non mi risulta che nessuno abbia risposto alle loro suppliche. E non mi stupisce. Siamo di fronte a un movimento inarrestabile e difficilmente organizzabile, che ha letture diverse, da quelle più moderate e fataliste a quelle più pessimiste. Questo movimento ci trascina verso una divisione del mondo in nazioni “invitanti” (dedite ai servizi di accoglienza per vacanzieri, all’artigianato più o meno fasullo, allo sfruttamento intenso delle bellezze artistiche e paesaggistiche) e nazioni forti che concentreranno sul loro territorio industrie e strumenti di potere. Questa la visione pessimista. Inutile insistere sulla tristezza orwelliana di cui è portatrice.

la Nuova Venezia, 28 settembre 2017. Un'eccezione positiva allo stillicidio di isole della laguna di Venezia messe in vendita per farne resort di lusso. E attraverso un'azienda partecipata, la gestione è pubblica. (m.p.r.)

Venezia.Nella laguna c'è un'isola dove ormai si parla inglese, gli abitanti sono tutti giovani e le porte degli archivi storici sono sempre aperte al pubblico. Qui passato, presente e futuro convivono senza attriti mettendosi al servizio della cultura. Non stiamo parlando di un felice pianeta lontano, ma di un'isola veneziana e dei veneziani. È l'Isola di San Servolo, a soli otto minuti da Piazza San Marco e a una sola fermata di battello da riva degli Schiavoni (vaporetto numero 20). Grande cinque ettari, quasi quattro ricoperti da un parco rigoglioso sempre accessibile, l'isola è interamente gestita dalla società in house della Città Metropolitana San Servolo Servizi.

Presente. A differenza di molte altre sorelle dimenticate, l'isola di San Servolo non ha mai conosciuto un periodo di lungo abbandono. Nota per essere stata la sede del Manicomio di Venezia, l'isola oggi è sede della Venice International University con studenti provenienti da tutto il mondo, del Collegio Internazionale dell'Università Ca' Foscari di Venezia con i 50 migliori studenti residenti nell'isola, della sezione a indirizzo digitale dell'Accademia delle Belle Arti di Venezia, della Fondazione Franco e Franca Basaglia e del Museo della Follia. Durante le esposizioni della Biennale ospita mostre di padiglioni o eventi collaterali, ma in realtà le esposizioni sono presenti tutto l'anno. Alla costante presenza di opere d'arte, si affianca l'esperienza della residenza "Waterlines" che vede la collaborazione di uno scrittore o di una scrittrice di fama internazionale con un artista locale.

Restauro. Dopo la chiusura dell'ospedale psichiatrico avvenuta nel 1978, il presidente della provincia Luigino Busatto ne intuisce le potenzialità. Investe 40 milioni della Legge speciale per restaurare la dozzina di edifici che attualmente sono tutti agibili e utilizzati. Nel giardino ci sono campi da tennis e sportivi, un barbecue che si può affittare per grandi gruppi, una terrazza per cene e un ampio spazio per matrimoni o grandi eventi, oltre a diverse sale per conferenze. In media l'isola ospita 170 congressi all'anno, tanto che tra personalità del mondo culturale e scientifico e studenti internazionale, la lingua ufficiale è l'inglese.
«Vorremmo che i veneziani sapessero che l'isola è loro», racconta Fulvio Landillo, direttore della San Servolo Servizi. «A volte si ha l'idea che una società partecipata possa essere un peso per la collettività, invece noi siamo 13 dipendenti, non abbiamo mai chiuso un bilancio in deficit, fatturiamo una media di 2,7 milioni all'anno. Siamo piccoli, ma non utilizziamo i soldi della comunità, li generiamo noi dalle nostre attività».
Cultura. Qui si respira la cultura in ogni angolo. I cinquanta migliori cervelli di Ca' Foscari abitano nell'edificio principale, dove un tempo abitava il personale medico. La Venice international University è composta da 17 università che ogni anno portano una media di 150 studenti di oltre 20 nazionalità. «L'attività principale è quella congressuale», prosegue Landillo, «abbiamo circa 170 congressi all'anno su temi scientifici, ambientali e in generale culturali. Il fatto che l'isola sia molto vicina alla città, ma che nello stesso tempo permetta agli ospiti un luogo appartato, la rende meta di tanti incontri e a noi permette di avere come ospiti delle personalità di rilievo».
Durante l'inverno c'è un'attenzione particolare ai bambini con laboratori e mostre a tema, ma anche le scolaresche sono in aumento anche per quanto riguarda la raccolta delle olive: «Abbiamo molti ulivi e grazie a Slow Food e all'associazione Laguna nel Bicchiere», spiega Landillo, «facciamo l'olio con le scuole e poi lo diamo in beneficenza. Arriviamo anche a farne 100 litri».
Giardino. Il parco, uno dei più grandi di Venezia, ospita delle specie molto particolari. Dalla palma delle Canarie che accoglie il visitatore che sbarca nell'isola, alle grandi piante di agave americana, dal tiglio europeo al bagolaro detto spaccasassi, dal platano ibrido alla safora dorata, dai grandi pini d'Aleppo, al secolare ulivo e agli alberi di ailanto, alternati a grandi arbusti di pittosporo. Impossibile non notare il grande ulivo secolare che si dice essere il più antico della laguna. Con il suo tronco intrecciato, domina il giardino guardando oltre il muro di pietra, Venezia e le altre isole.

la Nuova Venezia, 25 settembre 2017. Clamorosa vittoria dei numerosi movimenti popolari, finalmente associati con grande creatività, per contrastare le Grandi navi e le connesse opere progettate per distruggere la Laguna. Per una notte, ma non è che un inizio

CROCIERE FERME PER UN GIORNO
POI SCATTA L'ASSALTO ALLA MSC

di Enrico Tantucci

La nave è partita alle 21, inseguita dai barchini dei manifestanti che hanno lanciato una trentina
di razzi. Partenza ritardata anche per altre navi. Un migliaio di partecipanti nonostante il maltempo

Le Grandi Navi fuggono dalla manifestazione anticrociere nella speranza di evitare l'ormai tradizionale, pacifico assalto delle associazioni ambientaliste con le loro barche in acqua al passaggio delle navi da crociera in Bacino di San Marco all'altezza delle Zattere. Per evitare la contestazione, le compagnie hanno fatto slittare le partenze, quando la prima nave da crociera, la Msc Musica, avrebbe dovuto passare verso le 16.30. Quindi, a seguire, la Norwegian Star alle 18 e la Crystal Esprit alle 19. Le partenze dovevano slittare a stamattina, ma a sorpresa al calare della notte, alle 21, quando i 99 Posse avevano da poco iniziato a suonare, la grande nave Msc ha avviato i motori per passare nel Canale della Giudecca. A quel punto gli attivisti sono partiti con i barchini lanciandole contro una trentina di razzi: «Pensavano forse che ce ne saremmo andati», racconta Tommaso Cacciari, «ma era ancora pieno di gente e non appena si è vista spuntare dalla Marittima l'abbiamo accolta».

Le altre navi sono partite poi verso le 22. La manifestazione organizzata alle Zattere vedeva per la prima volta anche la partecipazione di movimenti ambientalisti spagnoli, portoghesi, tedeschi e francesi che nei loro Paesi si battono contro le grandi opere. «È un grande successo per noi», ha gridato Tommaso Cacciari, uno dei portavoce dei No Grandi Navi, dal palco galleggiante allestito di fronte alle Zattere, «perché li abbiamo costretti a ritardare la partenza, lasciando libero il Bacino di San Marco».Blitz alla Marittima in serata. Gli ambientalisti in serata avevano comunque tentato un primo blitz, prima della partenza a sorpresa della grande nave Msc. Avevano raggiunto con una decina di imbarcazioni la Marittima per portare la loro protesta là dove erano i crocieristi. «Un cordone di imbarcazioni delle forze dell'ordine», spiega Tommaso Cacciari, «ci ha impedito di arrivare sotto le navi, ma abbiamo comunque acceso i nostri fumogeni e mostrate le nostre bandiere perché anche i crocieristi sapessero della nostra protesta».
Buona affluenza. Il maltempo e la pioggia caduta ha complicato i piani degli organizzatori, ma si è comunque registrata una buona affluenza, con i giovani dei movimenti, ma anche molti veneziani che hanno affollato gli stand dove si vendevano anche gadget e magliette contro le Grandi Navi e hanno ascoltato i discorsi e la musica dal vivo dal palco offerta da gruppi come 99 Posse, Cisco dei Modena City Ramblers, Pharmakos, Bim Bum Balaton. Gli organizzatori hanno stimato le presenze in un migliaio di persone, con un'affluenza che ha iniziato a crescere nel pomeriggio. Presenti, tra gli altri, il presidente della Municipalità di Venezia, Giovanni Andrea Martini, quello della sezione veneziana di Italia Nostra, Lidia Fersuoch, gli esponenti del Gruppo XXV Aprile con il portavoce Marco Gasparinetti, l'urbanista Stefano Boato, il coordinamento studenti medi di Venezia. Assenti politici e consiglieri comunali.Martini: «Vogliamo entrare nel Comitatone».
Netta la presa di posizione del presidente della Municipalità veneziana Giovanni Andrea Martini. «La Municipalità», ha detto, «ha aderito ufficialmente alla manifestazione dei No Grandi Navi, perché ne condivide lo spirito. Vogliamo le grandi navi da crociera fuori dalla laguna e per questo abbiamo chiesto ufficialmente alla Presidenza del Consiglio di essere ammessi al Comitatone per rappresentare la posizione della città storica di Venezia che non coincide con quella del Comune».
Gli ambientalisti: «Vogliono lasciare tutto com'è». Dal palco gli interventi dei rappresentati dei vari Comitati - tra cui No Mose, No Grandi Navi e Italia Nostra, con l'architetto Cristiano Gasparetto - hanno presentato una linea univoca. «Tutti i progetti alternativi di cui si parla, dallo scavo del canale Vittorio Emanuele al nuovo terminal a Marghera», è stato detto, «provocherebbero effetti devastanti sulla laguna e l'allargamento del canale dei Petroli. Sembra il gioco dei tre bussolotti, perché ogni tanto cambiano progetto. Ma la verità è che si vuole lasciare tutto com'è, favorendo le compagnie di crociera e la Venezia Terminal Passeggeri, la società che gestisce lo scalo passeggeri e che non a caso ora è controllata dalle stesse compagnie crocieristiche. Evocato anche il parallelismo con il Mose, nel campo di grandi opere che manomettono la laguna, ricordando anche la recente notizia dei costi di manutenzione dell'opera stimati in 95 milioni annui dallo stesso provveditore alle opere pubbliche del Veneto Roberto Linetti.


«SIAMO SEMPRE DI PIÙ
LA GENTE SI STA SVEGLIANO»

di Vera Mantengoli
Il rispetto dell'ambiente e il clima al centro del dibattito dei manifestanti
La solidarietà è arrivata da tutta Europa, sta crescendo un movimento unitario

Bagnati, ma soddisfatti di aver ritardato il passaggio dei giganti del mare. Sono i manifestanti che hanno partecipato alla giornata No Grandi Navi, resistendo ore e ore sotto la pioggia, a una temperatura da giornata autunnale. Una ventina di duri e puri non hanno rinunciato a manifestare in barca per ribadire che la laguna non è adatta a navi di grandi dimensioni.In fila sulla riva delle Zattere con gli ombrelli aperti, famiglie di veneziani, studenti e movimenti provenienti dall'Italia e dall'Europa, come i No Tav e i tedeschi Ende Gelände, hanno sventolato la bandiera con il simbolo del movimento, sulle note musicali di gruppi dei 99 Posse e dei Modena City Ramblers, senza contare l'immancabile Coro delle Lamentele, amatissimo dai veneziani.«Siamo solidali con la richiesta di spostare le navi fuori della laguna», hanno detto le veneziane Claudia Ferrari e Roberta Bartoloni, «siamo venute a ogni manifestazione e ci sembra assurdo che si continui a parlare di scavare la laguna. Per fortuna le persone si stanno svegliando come dimostrano le iniziative di molte associazioni e il fatto che sempre più persone abbiano voglia di partecipare».

La pioggia ha posticipato l'inizio della manifestazione di mezz'ora, ma il brutto tempo ha limitato la presenza di molte persone. La festa comunque è riuscita, nonostante sia piovuto quasi sempre. Gli stand hanno riparato dal freddo molti presenti che hanno colto l'occasione di comprare qualche gadget e parlare con i portavoce dei movimenti, come il Collettivo Resistenze Ambientali per la campagna #NoPfas e altri. Appesi ai lampioni o ai palazzi sventolavano anche bandiere e materiale informativo proveniente dagli altri movimenti europei: dalla Spagna l'Assemblea de Barris per un Turisme Sostenibile; dalla Germania, oltre al citato Ende Gelände contro la miniera a cielo aperto, i No Stuttgart e i Geheimagentur, tutte accomunate dalla richiesta di una giustizia climatica.Grande successo per lo stand dei pirati, con attività dedicate ai bambini, e quello per cibo e bevande con salami di cioccolato à gogo che hanno reso il freddo più sopportabile.
A metà pomeriggio, quando si è saputo che non sarebbero partite le crociere, il movimento No Grandi Navi ha esultato per aver raggiunto l'obiettivo ed è partito il coro «Fuori le navi dalla laguna». Alla manifestazione c'erano anche diversi studenti del Coordinamento Studenti Medi: «Siamo qui perché abbiamo 18 anni e tutto quello che riguarda la giustizia climatica riguarda anche il nostro futuro» hanno detto le studentesse del Liceo Artistico di Venezia Angelica Strozzi e Sabrina Furlan, «per le navi vorremmo che andassero fuori dalla laguna per un futuro con un'aria che sia la più pulita possibile». Verso le 19.30 i fumogeni di una barca di attivisti arrivato in Marittima hanno illuminato il buio, per poi tornare e concludere la serata con i 99 Posse.

la Nuova Venezia, 24 settembre 2017. Ripristinata la legalità con un processo che non ha coinvolto i veri responsabili del malaffare, la gigantesca opera verrà comunque completata. E a pagare i conti saranno cittadini che subiranno la mancata realizzazione di scuole, ospedali, residenza pubblica... (m.p.r.)

«La cifra indicata dal provveditore alle Opere Pubbliche Roberto Linetti nella sua lettera al Governo sui costi della manutenzione del Mose, è indubbiamente molto importante. Ma il fatto positivo è che per la prima volta da parte di un'autorità qualificata come il Provveditorato alle opere pubbliche abbiamo finalmente una cifra certa sui costi per il mantenimento del sistema di dighe mobili. Si tratta ora di capire come garantirla, tenendo conto del fatto che non è in discussione che il Mose vada terminato e vada poi messo in condizione di funzionare». È la prima risposta di un esponente del governo, il sottosegretario al ministero dell'Economia Pier Paolo Baretta alla lettera che l'ingegner Linetti ha inviato nei giorni scorsi al Ministero delle Infrastrutture in cui mette nero su bianco le necessità economiche per la conclusione del Mose e per la sua futura manutenzione chiedendo finanziamenti urgenti da stanziare già con la prossima Legge di Stabilità.«Oltre ai 221 milioni di euro mancanti per il completamento del Mose», scrive Linetti, «sono indispensabili altri fondi in conto capitale per l'avviamento dell'attività di gestione del Mose». E li quantifica, appunto.

«A regime», scrive ancora, «serviranno almeno 80 milioni di euro, più i 15 per il mantenimento. Che fa 95 milioni di euro, appunto, una cifra enorme, che nell'arco di un decennio comporterebbe l'esborso di quasi un miliardo di euro per il solo mantenimento in funzione dell'opera. «Per quanto riguarda l'inserimento dei fondi nella prossima Legge di Stabilità non è possibile dare una risposta in questo momento», spiega ancora Baretta, «ma ci confronteremo in merito con il Ministero delle Infrastrutture. Il provveditore Linetti fa bene a sottolinearne l'urgenza, perché tutti vogliamo che il Mose non si blocchi, ma sia messo in condizione di funzionare. Aggiungo che, a mio avviso, la quantificazione esatta dei costi di gestione del Mose dovrebbe accelerare la fine della gestione commissariale del Consorzio Venezia Nuova e la scelta della società di gestione che prenderà poi in carico la manutenzione dell'opera».
No comment sull'iniziativa di Linetti nei confronti del governo sui finanziamenti per il Mose da parte dei due commissari del Consorzio Venezia Nuova Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, in un momento comunque non facile per l'organismo che ha in mano l'impegno di concludere e far funzionare il complesso sistema di dighe mobili alle bocche di porto.L'iniziativa ufficiale del provveditore alle Opere pubbliche nei confronti del governo sul Mose rende ancora più urgente la convocazione del Comitatone, attesa da tempo e slittata continuamente. «Non c'è dubbio che il Comitatone debba essere convocato in tempi brevi, per i molti temi su Venezia e la sua salvaguardia da affrontare», conferma il sottosegretario Baretta, «e se n'è già parlato con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, a cui spetta l'incarico della convocazione. Non è ancora possibile indicare una data, ma non ci sarà molto da aspettare».Ma il problema Mose resta là ad aspettare in tutta la sua gravità. Perché ora a preoccupare non ci sono solo i problemi tecnici - come le muffe nelle gallerie sottomarine e la corrosione dei materiali - ma anche appunto i costi esorbitanti dell'opera anche per quello che riguarderà il suo futuro mantenimento e la gestione

la Nuova Venezia, 23 settembre 2017. Il mostro inutile e dannoso, che non servirà a proteggere Venezia dalle acque alte eccezionali e che ha devastato l'assetto dell'ecosistema lagunare costerà ogni anno per la sola manutenzione più della costruzione di un ospedale. con postilla

Ottanta milioni di euro l'anno. Più 15 per laguna. Dopo trent'anni, si sa ora con esattezza quanto costerà la manutenzione del Mose. Per la prima volta i conti sono messi nero su bianco sulla richiesta di finanziamento urgente, da inserire nella prossima Finanziaria, inviata in questi giorni al governo e firmata dal Provveditore alle Opere pubbliche Roberto Linetti. «Oltre ai 221 milioni mancanti per il completamento dei lavori del Mose», scrive il dirigente dello Stato al suo ministero, «sono indispensabili altri fondi in conto capitale per l'avviamento dell'attività di gestione del Mose».Nel caso non arrivassero, scrive con una certa preoccupazione il presidente Linetti, «questo porterebbe alla sospensione delle attività, oltre a provocare un danno di immagine anche a livello internazionale. Si dovrebbero anche accantonare altri milioni per poter procedere alla messa in sicurezza di quanto già realizzato, pena il decadimento delle opere, realizzate in ambiente marino e condizioni sfavorevoli, con oneri pesantissimi. E infine con «la possibilità di altri contenziosi milionari con le ditte esecutrici», già in causa con il Consorzio che a sua volta ha chiesto di ripianare i danni.Vengono citati gli ultimi inconvenienti segnalati qualche settimana fa. Come le muffe nelle gallerie sottomarine, dove l'aerazione è possibile solo con l'avvio di mezzi meccanici - e quindi degli impianti elettrici, non ancora realizzati - e la corrosione dei materiali.

La richiesta avanzata al governo è dunque di avere subito altri 300 milioni di euro. Di cui due terzi (193,5)per il Mose e la sua gestione, 102 per la laguna («manutenzione delle bricole e dei marginamenti, vigilanza contro il moto ondoso, ripristino dell'efficienza idraulica e della vivificazione delle aree lagunari soggette a minor ricambio di marea»). 115 sono i milioni richiesti (cui 70 per il Mose e 45 per la laguna) nel primo anno, il 2017, 53 più 35 nel 2019, 70 più 22 nel 2020.Qui comincerà l'avvio della gestione. Che sarà affidata secondo la legge con gara. Allora la necessità, secondo il Provveditorato, aumenterà ancora. «A regime», scrive Linetti, «serviranno almeno 80 milioni di euro, più i 15 per il mantenimento». Cifre enormi, a cui lo Stato dovrà far fronte per sempre, trattandosi di una manutenzione che non può essere mai sospesa. Uno dei primi problemi sollevati dagli oppositori del Mose, peraltro mai ascoltati in sede tecnica e politica, che mettevano in guardia per gli alti costi della manutenzione. Nei primi documenti ufficiali del Consorzio Venezia Nuova di Mazzacurati i costi per la manutenzione venivano stimati intorno ai 20 milioni l'anno, un quarto di quelli reali.

A cosa serviranno quei soldi? Gli ingegneri del Provveditorato e del Consorzio hanno fatto due conti, allegando una relazione alla lettera del Provveditore. È necessario avviare fin da subito le «attrezzature necessarie alla gestione funzionale del sistema Mose». Compresa la sala controllo e i nuovi edifici all'Arsenale per la manutenzione delle paratoie, che gli ambientalisti contestano. Poi l'attività di «gestione operativa per la movimentazione delle paratoie alle bocche di porto»; infine, le attività di «mantenimento in efficienza di quanto già installato». Un pozzo senza fondo. Perché, come si è visto negli ultimi mesi, la mancata manutenzione di una parte del sistema (cerniere, cassoni, elementi metallici e impianti del sistema) provoca guai a catena. Lo scandalo Mose non è finito
postilla
È molto o è poco spendere 80 milioni di euro all'anno per mantenere quel mostro? Abbiamo cercato qualche dato significativo per fare un confronto. Eccone uno: i quattro ospedali di Prato, Pistoia, Lucca e Massa Carrara sono costati complessivamente 290 milioni di euro. Con i soldi spesi ogni anno per mantenere quel mostro inutile e dannoso si potrebbe costruire un ospedale all'anno. Il primo potrebbe utilmente essere destinato a ospitare, vita residua restante, quanti hanno promosso, sostenuto, agevolato e concorso a realizzare l'ignobile progetto

il Fatto Quotidiano e la Nuova Venezia, 23-24 settembre. «A Venezia in assemblea comitati di Barcellona, Maiorca e Amburgo. «Serve un cambio di politica, è in gioco l'umanità». (m.p.r.)

il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2017
VENEZIA DUE GIORNI DI RIBELLIONE CONTRO LE GRANDI NAVI

BARCHE E BARCHINI OCCUPERANNO IL BACINO DI SAN MARCO
di Giuseppe Pietrobelli

Dopo il referendum di giugno, con 18mila voti contro l'ingresso dei bestioni del mare nella Laguna di Venezia, il Comitato No Grandi Navi ha chiamato a raccolta ambientalisti, movimenti di protesta, cittadini che vogliono la difesa del territorio. Per due giorni la città ospita una kermesse di protesta, che simbolicamente cercherà di fermare le navi da crociera

Dopo il referendum di giugno, con 18mila voti contro l’ingresso dei bestioni del mare nella Laguna di Venezia, il Comitato No Grandi Navi ha chiamato a raccolta ambientalisti, movimenti di protesta, cittadini che vogliono la difesa del territorio. Per due giorni la città ospita una kermesse di protesta, che simbolicamente cercherà di fermare le navi da crociera.

Nella giornata di sabato 23 settembre, è prevista l’assemblea plenaria alle 15 ai Magazzini del Sale, a Dorsoduro. In serata cena sociale in fondamenta. Domenica 24 il clou alle 15 con “Action Day!”. Si tratta di una manifestazione in acqua e sulle rive all’insegna dello slogan: “Blocchiamo le grandi navi! Giustizia ambientale per tutti i territori d’Europa!”. Gli attivisti a bordo di barche, barchini, canoe e natanti di tutti i tipi, occuperanno le acque antistanti il Bacino di San Marco con l’intenzione di bloccare qualcuna delle dieci grandi navi che hanno attraccato o devono attraccare a Venezia per il week end.

I Comitati lanciano da Venezia un appello che travalica i confini italiani e ribadiscono che i danni causati dalle navi all’ecosistema sono gravissimi. Non solo per la flora e la fauna ittica, ma anche per l’aria. I fumi e gli scarichi diesel dei motori delle navi da crociera sono, infatti, causa di forte inquinamento in una città che, a causa della mancanza di auto, dovrebbe invece esserne esente. “Il traffico crocieristico – spiegano – a Venezia è andato crescendo in maniera esponenziale, così come le dimensioni delle navi impiegate. Queste, per attraccare in Marittima – ossia in città – entrando ed uscendo dalla bocca di porto del Lido passano per ben due volte nel Bacino di San Marco e nel Canale della Giudecca, il cuore storico di Venezia a 150 metri dal Palazzo Ducale”. Sono lunghe più di 300 metri, larghe 50 e alte 60 metri. di larghezza, 60 d’altezza.

“C’è pericolo per la salute pubblica. – aggiungono – Il traffico croceristico è a Venezia la maggior fonte di inquinamento atmosferico (dati Arpav), il tenore di zolfo del carburanteusato in navigazione, ad esempio, è dell’ 1,5% (quello del diesel delle nostre auto è 1500 volte inferiore) durante la navigazione e, solo da poco, dello 0,1% all’ormeggio. Il Parlamento Europeo, valutando che almeno 50mila persone all’anno muoiono in Europa per l’inquinamento delle navi, ha votato una direttiva che imporrà dal 2020 a tutte le navi il limite dello 0,5%, mentre nel Mar Baltico e nel Mare del Nord tale limite è già oggi dello 0,1%”.

È stato anche preparato un manifesto a difesa di Venezia e di tutti i territori. “Venezia è città simbolo dell’equilibrio tra uomo e natura. Questo fragile equilibrio è seriamente minacciato dalla macchina del turismo di massa e dalle grandi navi, simboli galleggianti dell’arroganza delle multinazionali e della corruzione di una classe politica piegata alla difesa dei profitti privati a scapito del bene comune”. E ancora: “Venezia è viva, contrariamente a ciò che vorrebbero le compagnie crocieristiche, il ministro dei trasporti Del Rio, l’autorità portuale e il sindaco Brugnaro. Da molti anni la città combatte contro il passaggio nella Laguna di questi mostri e contro l’ipotesi di scavo in questa di nuovi canali (immaginate la costruzione di un’autostrada in una riserva naturale)”.

E infine anche la critica tecnica: “Il caos istituzionale è totale! In questi ultimi anni sono stati presentati diversi progetti che il Comitato ha contrastato in tutti i modi e che sono stati bocciati dalla commissione VIA (Valutazione Impatto Ambientale). Nonostante questo il ministro dei Trasporti, l’autorità portuale e il sindaco insistono nella presentazione di due progetti, ipotesi assurde e devastanti volte a mantenere le grandi navi da crociera dentro la Laguna: il progetto del Canale Vittorio Emanuele che prevede di scavare fino a raddoppiare larghezza e profondità di un vecchio canale del 1925 – abbandonato da più di 30 anni- per far arrivare le navi da crociera all’interno della città, ed il progetto di nuovi approdi per le grandi navi da crociera nell’area industriale diPorto Marghera”. Ma realizzare questi progetti, “comporterebbe lo scavo di oltre sei milioni di metri cubi di fanghi inquinati ed inquinanti, il rischio di incidenti chimici con il passaggio delle navi da crociera in zone (l’area industriale di Porto Marghera) sottoposte ai piani di Protezione Civile e alle Direttive Seveso”.

Almeno una sessantina di movimenti, italiani ed europei, hanno aderito al manifesto che conclude: “Non mancano certo le opere inutili e dannose, ma non mancano nemmeno meravigliosi esempi di resistenza: ci si batte contro linee ferroviarie ad alta velocità, la costruzione di aeroporti, le trivellazioni e le industrie del petrolio, contro l’inquinamento del suolo, dell’aria, dell’acqua, contro la cementificazione del territorio, l’uso speculativo di terremoti e altre catastrofi, l’estrazione del carbone e l’industria mineraria e molto altro ancora”. In conclusione, “ci si batte anche per un modello di sviluppo che tenga conto della giustizia climatica e per un’idea diversa di società, basata sul rispetto della volontà di chi abita i territori e non sul soddisfacimento degli appetiti di chi li vuole sfruttare a costo di distruggerli per profitto o calcolo politico”.

“È la prima grande assemblea di movimenti e comitati italiani ed europei – spiega Tommaso Cacciari, uno dei promotori – nella speranza di parlare lo stesso linguaggio comune, un’unica lingua che riguardi il modello di sviluppo, l’utilizzo dell’energia, il turismo di massa, il rapporto con le città, la difesa dei territori“.

la Nuova Venezia, 24 settembre 2017
AMBIENTE
NASCE UN MOVIMENTO EUROPEO
di Vera Mantengoli

Un nuovo movimento che non conosce confini europei e reclama giustizia ambientale è nato ieri ai Magazzini del Sale. L'occasione è stata l'assemblea tenutasi prima della manifestazione di oggi contro il passaggio delle grandi navi in laguna, in programma dalle 15 in poi alle Zattere.«Per la prima volta tante associazioni che hanno in comune il tema della crisi ambientale si sono parlate e conosciute», ha spiegato il portavoce del movimento No Grandi Navi Tommaso Cacciari. «Siamo davanti a un movimento di persone che viene da tutta Europa, della stessa portata di quello che nacque con i No Global, ma che oggi si riunisce perché pretende che ci sia un cambio di politica nei confronti dell'ambiente. Oggi è in gioco la vita stessa di parte dell'umanità».

Più di duecento persone hanno partecipato all'assemblea (oltre agli spettatori in streaming nel sito del movimento) dove hanno parlato i portavoce di altrettanti movimenti di città che soffrono dello stesso problema veneziano, come gli abitanti delle Isole Baleari, quelli di Barcellona e di Amburgo e molti altri, ognuno con il proprio caso, ma ognuno accomunato da una parola emersa nell'intervento del portavoce di Napoli: «biocidio», ovvero distruzione dell'ambiente e quindi anche di chi ci abita. Alla fine si sono gettate le basi di un movimento più grande che oggi farà la sua prima uscita sul palco della manifestazione.
«È come non avere le chiavi della nostra porta di casa», ha spiegato Manel Domenech di Maiorca dove proprio ieri si è manifestato contro la pressione turistica. «Abbiamo sette grandi navi al giorno, 25 mila turisti, 600 mila stanze turistiche legali e un buon 40% illegali e 120 mila auto solo a uso turistico, non c'è spazio. Quando piove i turisti vengono tutti in città e le strade diventano impossibili, non si cammina». Stessa insofferenza a Barcellona dove l'Assemblea de Barris per un Turisme Sostenible (Abts) tiene quotidianamente informati i cittadini con un Tweet (@AssBarrisTS) su quante navi arrivano e quanti turisti sbarcano, come spiega il portavoce Diego Martin. A seconda del colore del cinguettio, dal giallo al nero, si capisce la portata dello sbarco, come ieri: Tweet arancione, tre crociere e 11 mila turisti. «Adesso la MSC ha annunciato che vorrebbe costruire un'altra banchina», spiega Martin, «dovevamo fare una manifestazione a giorni, ma dopo l'attentato ci sono state delle limitazioni e abbiamo dovuto posticipare».
La sindaca Colau ha dato un taglio definitivo alla nascita di nuovi alberghi, ma le grandi navi non rientrano nelle sue competenze: «Non se ne parla da molto» prosegue, «ma il problema è che il Porto è autonomo, prende le decisioni senza parlare con la città. Noi chiediamo che ci sia un limite. Ora poi ci sono anche tre grandi navi con la polizia, per questo abbiamo mandato un Tweet nero (per il Referendum sull'Indipendenza della Catalogna, ndr)». Ieri per tutto il giorno e oggi fino alle 14.30 l'associazione We are here Venice ha ospitato un workshop a Palazzo Persico Giustinian riunendo tutte le città italiane che hanno il problema delle grandi navi: «La grande partecipazione all'assemblea», ha detto Luciano Mazzolin di Ambiente Venezia, «è la premessa a una grande manifestazione». «Bisogna ascoltare la laguna», ha detto Lidia Fersuoch di Italia Nostra, «noi saremo alla manifestazione per questo».

Due giornate per incontrarci, confrontarci, e costruire una strategia comune contro il passaggio nella Laguna delle grandi navi. Organizzato dal Comitato No Grandi Navi. Qui il programma delle giornate.



Due giorni di festa per ribadire che la tutela della laguna e dei suoi abitanti è più importante dei ricavi delle multinazionali crocieristiche

“Grandi Navi e Mose non sono altro che due facce della stessa medaglia”. L’ambientalista Cristiano Gasparetto apre l’incontro di presentazione della Due Giorni contro le Grandi Opere, in programma sabato 23 e domenica 24 settembre, prendendo spunto dalla sentenza del processo per lo scandalo del Mose. “Dopo la condanna al ministro Altiero Matteoli, ci chiediamo perché si è arrivati ad un sistema di corruzione così diffuso. La risposta è semplice: perché senza un diffuso sistema di corruzione il Mose non sarebbe mai stato approvato. Le Grandi Navi, e tutte le Grandi Opere in generale, funzionano con lo stesso principio. Senza la corrutela, non avrebbero ragione di esistere”.

Gasparetto ricorda che una nave all’ormeggio produce inquinamento pari di un cementificio e le conclusioni di Paolo Costa, al tempo provveditore al porto sono state: “non è il porto ad essere nella posizione sbagliata ma le abitazioni”. Come dire: prima vengono i “schei” e dopo la salute e il benessere dei cittadini.

Sotto una pioggia battente, nella sede dei No Navi, ai piedi del ponte sul Ghetto Novo, si è svolta questa mattina alle 11 l’incontro con la stampa per presentare le giornate europee dei movimenti per la difesa dei territori, la giustizia ambientale e la democrazia.

Tommaso Cacciari, portavoce del Laboratorio Morion, ha fatto il punto delle adesioni all’iniziativa. A Venezia confluiranno nutrite rappresentanze dei No Tav dalla Valdisusa, No Muos siciliani, Stop Biocidio campani e No Tap dal salento. Inoltre, parteciperanno i tedeschi del movimento contro Stuttgard 21, Ciutat per a qui l’habita Palma delle isole Baleari, i portoghesi di Academia Cidadã e il Comitè francese contre la construction de l’aereporte de Notre Dame des Landes. A questo link potete leggere la lista in continuo aggiornamento delle adesioni.

Punto focale del programma sarà la manifestazione alle Zattere, domenica 24 pomeriggio, dove sul palco galleggiante si esibiranno musicisti come i 99 Posse, Cisco dei Modena City Ramblers e altri.

Riferimenti

Si legga qui l'articolo "Resistenza attiva contro la morte di Venezia e la sua Laguna" di Tantucci e l'appello europeo ai movimenti per la difesa dei territori, la giustizia ambientale e la democrazia che il Comitato No Grandi Navi ha lanciato a sostegno della lotta.

Concluso il processo, che non ha coinvolto i veri corrotti e corruttori, ci si appresta ora a completare l'opera. Come? Alla solita maniera, i soldi ce li mettiamo noi, e a decidere saranno le imprese o gli amici del CVN. Articoli di Alberto Vitucci e Alberto Zorzi, la Nuova Venezia e Corriere del Veneto, 19-20-21 settembre (m.p.r.)

la Nuova Venezia 21 settembre
MOSE, LA CARICA
DEGLI ASPIRANTI DIRETTORI

di Alberto Vitucci

Storie e legami politici e professionali dei candidati che puntano alla direzione generale del Consorzio Venezia Nuova

Un colloquio di lavoro come tanti altri. Per capire le caratteristiche e le capacità dei candidati. Ma l'incarico non è uno qualunque. Cominciano in questi giorni gli "esami" per il posto di direttore generale del Consorzio Venezia Nuova. Una decina di candidati saranno ascoltati dai due commissari straordinari Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, sui circa trenta che hanno aderito al bando. A lavori quasi ultimati, problemi e criticità che spuntano ogni giorno, il direttore avrà l'arduo compito di portare a termine la grande opera dello scandalo. Avviata da altri e gestita oggi dai commissari straordinari. 220 milioni lo stipendio (ai tempi di Mazzacurati arrivava fino a sei milioni di euro) per un ruolo che dovrebbe rilanciare i lavori e le aspettative delle imprese bloccate dal grande scandalo.

Che non sia un incarico qualunque lo si vede dalla caratura dei candidati. Tra cui spiccano anche nomi noti della politica "prima" dello scandalo. Uno è Tommaso Riccoboni, ex Forza Italia, già assessore all'Urbanistica della giunta di Giustina Destro a Padova. Titolare di uno studio di ingegneria in via Altinate, «padre» del cavalcavia di corso Australia. «Galan? Un grande amico», diceva. Anche se all'epoca, e non solo in Forza Italia, erano in tanti a dirsi «amici di Galan». Ecco Silvano Vernizzi, dirigente di Veneto Strade, già commissario del Passante e responsabile dell'Ufficio Ambiente all'epoca di Renato Chisso, assessore di Galan. Entrambi hanno patteggiato nello scandalo Mose. Ci sono due ingegneri collaboratori dello Studio Altieri di Lia Sartori (assolta nel processo Mose), Marino Tura e Umberto Rulli. L'ingegnere Alberto Borghi, superconsulente per la viabilità della giunta Zanonato a Padova tra il 2007 e il 2010.
Ci sono anche ingegneri che lavorano per le imprese azioniste del Mose. Come Massimo Paganelli di Condotte e l'ingegner Bellipanni di Grandi Lavori Fincosit e Cidonio. Sabina Pastore ha lavorato invece come consulente per Veneto Tlc del gruppo Mantovani e coordinatore per gli impianti elettromeccanici del Mose. Chiede di entrare a dirigere il Mose anche l'ingegner Virgino Stramazzo, dal 1989 direttore dell'area tecnica di Save, la società aeroportuale presieduta da Enrico Marchi, ingegnere idraulico collaudatore per la Regione Veneto. E poi Nicola Torricella, direttore tecnico dell'Autorità portuale nominato da Paolo Costa e confermato ora dal nuovo presidente Pino Musolino. Ancora, Alberto Vielmo e Diego Semenzato (già consulente del Consorzio per le barene in laguna e l'isola di Malamocco), l'ex direttore di Insula ed ex ingegnere capo del Comune Ivano Turlon. Infine, due dirigenti del Provveditorato alle Opere pubbliche e ministero delle Infrastrutture. L'ingegner Valerio Volpe, da anni a capo dell'Ufficio salvaguardia del Magistrato alle Acque; Francesco Sorrentino, dirigente dell'attuale Provveditorato.
Un plotone di pretendenti tra cui adesso i commissari dovranno scegliere il nuovo direttore. Che dovrà portare in porto una nave che si annunciava come l'ammiraglia della flotta italiana. Uscita ammaccata dallo scandalo. Con tante criticità non ancora risolte. Come la corrosione dei materiali e delle cerniere, il malfunzionamento del jack-up, la nave porta paratoie da 52 milioni di euro. Problemi anche di cronoprogramma. Con la fine dei lavori che potrebbe ulteriormente slittare. Dal 2018 (consegna dell'opera il 1 gennaio 2022) a dopo. Si comincia in questi giorni la posa delle paratoie di Chioggia. Poi toccherà alla serie del Lido-San Nicolò. Ma a Malamocco, dove sono già state affondate, ancora non è stata costruita la centrale elettrica. Le dighe non si possono alzare, e nei corridoi sott'acqua già si sono formate muffe e incrostazioni
la Nuova Venezia 21 settembre
«ANCORA SOLDI, OLTRE IL DANNO LA BEFFA»
di Alberto Vitucci

«Non permetteremo che il governo sottragga altri fondi pubblici per pagare con i nostri soldi i conti lasciati aperti dalle tangenti». Arianna Spessotto (nella foto) deputato veneziano del Movimento Cinquestelle, va all'attacco. E usa parole durissime per l'ipotesi, trapelata negli ultimi giorni . La proposta è quella di "anticipare" con la prossima Finanziaria circa 200 milioni necessari al completamento del Mose e allo sblocco dei cantieri. I soldi ci sono, ma sono bloccati dai vari contenziosi giudiziari che vedono contrapposte le imprese al Consorzio.

«Oltre al danno arriverebbe anche la beffa», scrive Spessotto, «con il Governo che vorrebbe mettere altri 200 milioni di risorse pubbliche - dopo i milioni già generosamente elargiti negli ultimi Def- per tappare i buchi finanziari creati dalla più costosa opera della storia italiana, che rimarrà chissà per quanti anni ancora incompiuta e nessuno ancora sa se mai funzionerà!». «Il Mose è responsabile di un danno erariale e Matteoli, condannato a 4 anni, se ne deve andare dalla presidenza dei Lavori pubblici del Senato»


Corriere del Veneto, 20 Settembre 2017
MOSE, PRIMA I SOLDI
O PRIMA I LAVORI?

LO SCONTRO TRA IMPRESE
E COMMISSARI BLOCCA TUTTO

di Alberto Zorzi
In cassa risorse ingenti, il nodo sono diventate le regole
Venezia. Oltre 120 milioni già nelle casse del Provveditorato interregionale alle opere pubbliche. Oltre 300 milioni, tra cui quelli appena citati, già affidati per il suo completamento. E 400 milioni di euro che potranno essere «recuperati» grazie a un ricalcolo complessivo delle spese per i tassi d’interesse (crollati negli anni da oltre il 20 per cento al 3), che nell’intenzione dei commissari potrebbero essere utilizzati per i tre anni di avviamento dell’opera, tra inizio 2019 e fine 2021, prima della gara per l’affidamento della gestione. Messe in fila così queste cifre, si potrebbe dire che il Mose non ha mai avuto tanti soldi disponibili. Eppure, per un incredibile paradosso contabile, le dighe mobili che dovranno salvare Venezia dall’acqua alta rischiano di incagliarsi in quello che in termini poco tecnici ha un nome ben preciso: cane che si morde la coda.

Il ragionamento è questo. Il provveditore Roberto Linetti, come detto sopra, ha in cassa già i soldi per pagare i lavori. Ma per legge può pagare solamente i cosiddetti «Sal», cioè gli stati di avanzamento dei lavori, come avviene in qualunque cantiere: se in casa tua l’impresa A ha messo le piastrelle, fa la fattura e la paghi, così come la B che ha dipinto le stanze. A fare i Sal è il Consorzio Venezia Nuova, il pool di imprese che sta costruendo il Mose, sulla base dei lavori realizzati. Le imprese però, in questi mesi, di lavori ne stanno realizzando pochissimi, perché sono in polemica con i commissari del Consorzio, Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, accusati di non pagarle. Tanto per dire, Mantovani, che fa la parte del leone, lamenta Sal non pagati per 39 milioni e ci aggiunge altri 29 milioni per il fatto che molti cantieri alla bocca di Lido non sono stati collaudati (alcuni da anni) e dunque le spese sono rimaste in carico al colosso padovano delle costruzioni. Ma la situazione non cambia per gli altri, in primis Condotte e Grandi Lavori Fincosit, sempre per cifre milionarie. Niente lavori, niente Sal, niente pagamenti di Linetti: da cui la storia del cane.

Le versioni, però, a questo punto divergono. Le imprese sostengono infatti che siano i commissari a non fare i Sal sui lavori già realizzati, per punirle delle spese che il Consorzio ha dovuto sostenere per i danni e le false fatture emerse poi nell’inchiesta che ha portato ai processi, il principale chiuso proprio nei giorni scorsi: circa 65 milioni di euro complessivi. «In realtà io i Sal li ho pagati tutti e non posso ripagare due volte lo stesso lavoro - dice invece Linetti - ma i commissari hanno dovuto usare i soldi per far fronte ad altre spese: tasse non pagate, fatture false, mutui, sub-appalti». Certo, alcuni Sal sono bloccati per contestazioni, ma sono pochi. Nei primi due anni del commissariamento, iniziato a fine 2014, la strategia è stata una mediazione continua con le imprese: un po’ ti pago, un po’ no, perché tu mi devi dei soldi. Posizione che le imprese hanno sempre digerito male, convinte che i lavori andassero pagati subito e i contenziosi risolti in tribunale, senza collegamenti.

A spazzare via questo labile «accordo» sono però arrivati due problemi: il primo è il mutuo con la Banca europea degli investimenti, il secondo le gare pubbliche per alcune parti del Mose (le paratoie, gli impianti, eccetera), imposte dall’Unione Europea per chiudere la procedura di infrazione aperta a metà anni Duemila. Quando i commissari hanno analizzato il mutuo Bei da 600 milioni hanno infatti scoperto una cosa incredibile: che i soldi erogati dalla banca europea spesso non erano stati usati per le voci indicate nei contratti e poi non venivano restituiti. Il risultato è che solo l’anno scorso il Consorzio ha dovuto pagare alla Bei 267 milioni di euro, a fronte di Sal al Provveditorato per 300 milioni. Alle imprese, dunque, sono rimaste solo le briciole: 33 milioni. Ma mentre prima ci si poteva un po’ accordare con i consorziati, promettendo tempi migliori in futuro, ora ci sono altre imprese, terze, che non hanno nulla a che fare con lo scandalo Mose e chiedono solo di essere pagate, e presto. Per dire, ci sono i croati di Brodosplit che hanno realizzato le paratoie di tre bocche di porto su quattro (Malamocco, Chioggia e ora stanno finendo Lido Sud) e avanzano 16 milioni.

Per questo lunedì Linetti è andato a Roma al ministero delle Infrastrutture per cercare una soluzione: inserire nella legge di stabilità un anticipo sui Sal (si ipotizza di 120 milioni di euro) per sistemare i conti con le imprese e rilanciare i lavori. Anche perché nel frattempo il Cvn aveva fatto una gara per cercare una banca che gli concedesse un mutuo: gara andata deserta. «E’ un momento topico», ammette Linetti.



la Nuova Venezia 19 settembre
FONDI PER I LAVORI

LO STATO ANTICIPA
di Alberto Vitucci

Per poter sbloccare i cantieri, nella prossima Finanziaria a disposizione 200 milioni. Linetti forse terzo commissario

Venezia. Il Mose slitta. Mancano soldi e i guai tecnici non sono finiti. Così la conclusione dei lavori della grande opera, annunciata dal governo per il giugno 2017, poi rinviata al 2018 con consegna dei lavori nel 2021, potrebbe allontanarsi ancora. Ieri nella sede del ministero delle Infrastrutture si è tenuto un vertice tecnico chiesto dal commissario per l'Anticorruzione Raffaele Cantone e dal ministro Graziano Delrio. Confronto a tratti ruvido fra gli uffici che rappresentano lo Stato. Per cercare di risolvere la mission impossible: riuscirà lo Stato italiano, dopo aver speso 5 miliardi e mezzo di euro di fondi pubblici, dopo lo scandalo e gli arresti, a portare a compimento la più grande opera italiana degli ultimi decenni?
Altre nubi si addensano sul futuro del Mose. Anche senza la corruzione, i problemi sono tanti. Il primo, ha detto ieri agli alti funzionari del ministero il presidente del Provveditorato alle Opere pubbliche del Veneto Roberto Linetti, «è quello finanziario». Cause civili in corso tra lo Stato e le imprese del Mose, tra il Consorzio oggi governato dai commissari di Cantone e le stesse imprese. Contenziosi e ricorsi a Tar sulle opere non finite o su quelle finite male, diversità di interpretazione per i pagamenti dei danni da parte delle assicurazioni. Fatto sta che i cantieri sono bloccati. Le imprese reclamano lavoro, la macchina non va avanti. I soldi già stanziati diventano spendibili solo dopo un anno, un anno e mezzo. Perché dopo il grande scandalo le banche non garantiscono più, e tutto passa attraverso i ministeri con tempi infiniti.
La soluzione individuata ieri è quella che con la prossima Finanziaria lo Stato potrà anticipare qualcosa come 200 milioni. Liquidità preziosa per far ripartire i cantieri in laguna. I conti definitivi si faranno alla fine delle cause e delle richieste reciproche di risarcimento danni. Ma quello finanziario non è certo l'unico problema. Negli ultimi mesi la struttura tecnica del Consorzio Venezia Nuova, retta dal commissario Francesco Ossola, ingegnere torinese, si è trovata a fare i conti con imprevisti e magagne che nessuno aveva messo in conto. Le incrostazioni delle paratoie, la corrosione di alcune parti delle cerniere del Mose, la muffa nei corridoi dei cassoni, i danni provocati dalla mancanza della centrale elettrica. Struttura che costa almeno 70 milioni di euro, che si è deciso di realizzare dopo la posa delle paratoie. Risultato, stando sott'acqua senza essere ventilate e rialzate, le paratoie di Malamocco si stanno già rapidamente deteriorando.
Contrasti evidenti fra i due commissari (Ossola e l'avvocato dello Stato, Giuseppe Fiengo), con il provveditore Linetti a fare da mediatore. Non è ancora esclusa la nomina di un terzo commissario in sostituzione di Luigi Magistro, colonnello della Finanza che ha deciso di dimettersi qualche mese fa. Ma la soluzione più probabile, a quanto si è capito dopo l'incontro di ieri, potrebbe essere la nomina di Linetti a commissario non retribuito. Una figura tecnica ma anche un rappresentante dello Stato in laguna, che potrebbe mediare tra imprese e struttura consortile. Tra le esigenze di trasparenza ed economia del commissario Fiengo e quelle tecniche del commissario Ossola. Da parte delle imprese (Mantovani, Condotte, Fincosit), il cui peso torna a farsi sentire, c'è anche chi ha suggerito a Roma di dichiarare conclusa l'opera dei commissari, smantellando l'ufficio veneziano che fa capo a Cantone. Ipotesi che però non sembra essere di gradimento all'Anticorruzione. Una partita che potrebbe essere risolta con l'arrivo del nuovo direttore generale, che il Consorzio sta cercando con un bando dopo l'uscita di scena di Hermes Redi, due anni fa. Una decina di posizioni sono state ritenute "interessanti" tra coloro che hanno presentato il curriculum. I colloqui per la scelta cominceranno nei prossimi giorni.

la Nuova Venezia 19 settembre
«MA I DANNI NON VANNO IN PRESCRIZIONE»

di Alberto Vitucci


Vincenzo Di Tella, ingegnere da sempre critico sulla grande opera: «Mancate risposte sulle criticità»
Venezia. I danni del Mose non vanno in prescrizione. Tecnici e ingegneri che da sempre si sono opposti alla grande opera in laguna commentano con una punta di amarezza la sentenza del processo Mose che ha mandato assolti anche per intervenuta prescrizione alcuni imputati, tra cui l'ex presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva.«Vorremmo sapere chi pagherà i danni provocati da scelte sbagliate, gli errori del progetto», attacca l'ingegnere Vincenzo Di Tella, specialista in costruzioni sottomarine a autore insieme ai colleghi Sebastiani e Vielmo del progetto alternativo al Mose delle paratoie a gravità. Venne proposto dal Comune guidato da Massimo Cacciari al governo Prodi, ma scartato senza studi di approfondimento.
«Sulla vicenda penale non voglio intervenirre», dice Di Tella, «ma ci sono ancora troppi interrogativi aperti sul lato tecnico. Il primo punto è il comportamento delle paratoie del Mose in caso di mare agitato. Lo studio della società Principia ha dimostrato che c'è il rischio di risonanza e di malfunzionamento». Secondo punto, secondo Di Tella, i modelli. Quelli usati per il progetto Mose a parere dell'ingegnere non sarebbero completi, e non avrebbero tenuto conto di alcuni dettagli. Accuse circostanziate e documentate, che erano costate a Di Tella qualche anno fa un processo dopo la causa civile intentata dal Consorzio di Mazzacurati. Alla fine però il coraggioso ingegnere era stato assolto. «Non fu diffamazione, ma legittimo diritto di critica», aveva deciso il giudice.
La lista delle accuse è lunga. E secondo Di Tella vi sono domande tecniche a cui nemmeno la nuova gestione del Consorzio del dopo scandalo ha mai dato risposte. «Abbiamo chiesto un confronto pubblico», dice, «ma non ci siamo riusciti».Tra gli altri punti sollevati quello della subsidenza. Studi recenti del Cnr hanno dimostrato che il fondale dove posano gli enormi cassoni in calcestruzzo cede di qualche centimetro l'anno. In media molto più che il resto della costa italiana. «Cosa succederà fra qualche anno quando l'allineamento non sarà perfetto?». Altro nodo quello della manutenzione. «Come fa il sistema a durare cento anni e la singola paratoia cinque quando in alcuni casi dopo qualche mese di immersione la diga è già visibilmente alterata?».
Infine gli errori. Come quelli di progettazione e costruzione della conca di navigazione a Malamocco, le incrostazioni, il malfunzionamento di alcune parti e la corrosione dei materiali. «Torniamo a chiedere un confronto con tecnici super partes», dice Di Tella, autore anche di un volume sulle criticità del progetto Mose, «vogliamo esporre le nostre critiche. Cosa che non è stata possibile qualche anno fa. Quando alle osservazioni tecniche il Consorzio ha risposto con la querela».

La Nuova Venezia, 19 settembre 2017. Il primissimo capitolo di una lunga storia. Sono pubbliche molte delle carte in cui è scritta. Ma è ancora da scrivere la storia della devastante corruttela operata dal Consorzio Venezia Nuova su tutte le istituzioni pubbliche e private veneziane. con postilla.

«L'inventore Mazzacurati stabiliva le quote di lavori spettanti a ogni impresa, i prezzi e le consulenze, la destinazione dei finanziamenti. Tutto»

VENEZIA. Lo scandalo Mose non è finito. La sentenza di ieri mette un punto fermo sugli aspetti penali della vicenda, chiedendo il conto ad alcuni protagonisti della salvaguardia degli ultimi vent'anni. Giudizi non ancora definitivi. E orizzonte parziale, anche se importante.

La storia giudiziaria del Mose è giovane. Le indagini della Finanza e della magistratura hanno portato in superficie un mondo fatto di corruzione e malaffare, di tangenti e illeciti. Ma la storia politica del Mose, la più grande opera del Dopoguerra finanziata dallo Stato e affidata in concessione a un pool di imprese private, è molto più antica.

Una storia in parte ancora da scrivere. Trent'anni di monopolio e di decisioni imposte dall'alto. Anche contro la volontà dei territori e delle popolazioni di Venezia. Il monopolio. La madre di tutti i vizi - e di molte tangenti - è il particolare meccanismo ideato nel 1984, 33 anni fa, con la seconda Legge Speciale: l'affidamento della concessione unica al Consorzio Venezia Nuova.

Si stabiliva allora, in nome della salvezza di Venezia, che le opere di salvaguardia sarebbero state eseguite dal nuovo Consorzio. Niente gare d'appalto, né concorrenza. I controlli li doveva fare il Magistrato alle Acque. Ma, corruzione a parte, l'ufficio lagunare dello Stato non ha mai avuto le forze per controllare il concessionario.

Mazzacurati. L'inventore del Mose era il padrone quasi assoluto del Consorzio. Lui stabiliva le quote di lavori spettanti a ogni impresa, i prezzi e le consulenze, la destinazione dei finanziamenti. Si scoprirà poi che buona parte di quel denaro veniva accantonato per costituire i fondi neri necessari a «oliare» il meccanismo.

Il presidente Mazzacurati diventa anche direttore. Guadagna in otto anni 32 milioni di euro. 50 mila euro di stipendio al mese più benefit. Quando se ne va dal Consorzio gli riconoscono una liquidazione di 7 milioni. Viene arrestato, ironia della sorte, per «turbativa d'asta» sullo scavo dei canali portuali. Lui che di aste e gare ne ha fatte davvero poche.

Dodici per cento. L'altra invenzione all'origine del grande malaffare si chiama «oneri del concessionario». Per ogni lavoro grande e piccolo realizzato dalle imprese del Mose, al Consorzio spetta il 12 per cento. Su sei miliardi di costo sono più di 700 milioni di euro.

Oltre ai fondi neri, un altro serbatoio dove attingere. In trent'anni il Consorzio ha finanziato pubblicazioni e riviste, opere liriche e scuole del patriarcato, ricerche universitarie e squadre sportive, aziende e consulenti. Tra le spese anche quintali di olio commissionati da Mazzacurati all'azienda del figlio. Pagati con i soldi del Consorzio e distribuiti agli amici.

La Finanza. Quando nell'estate del 2010 la Guardia di Finanza entra al Consorzio Venezia Nuova, qualcuno capisce che il santuario non è più tale. Cercano i fondi neri, che poi daranno origine alla grande inchiesta. «Normale verifica fiscale che si fa alle aziende», rassicura Patrizio Cuccioletta, presidente del Magistrato alle Acque, poi arrestato nell'inchiesta Mose. Mazzacurati viene avvisato in mattinata. «Qualche giornale scrive che la Finanza è a caccia di fondi neri». «Sarà il solito giornalista», replica l'ingegnere.

Gli extracosti. Non ci sono solo tangenti e fondi neri. Ma anche i prezzi gonfiati. Facile in regime di monopolio. Solo per i sassi del Mose sono stati pagati 61 milioni in più. La Corte dei Conti indaga. Ma dove sono finiti quei soldi?

Soldi che scivolano anche nelle pieghe delle convenzioni firmate dallo Stato con il Consorzio per il «prezzo chiuso». Ma il costo complessivo delle dighe lievita, passa dal miliardo e mezzo del progetto preliminare (anni Novanta) fino ai 5 miliardi e 600 milioni di oggi, manutenzione e gestione esclusa (almeno 80 milioni l'anno). Baita.

Piergiorgio Baita, ingegnere e presidente della Mantovani, socio di maggioranza del Mose nell'era Galan, è il primo a essere arrestato a inizio 2013 per fatture false. Si fa 200 giorni di carcere, racconta e alla fine darà una grossa mano ai pm a ricostruire il quadro della corruzione. Per lui ancora non c'è il rinvio a giudizio.

Corte dei conti. L'allarme su quanto stava succedendo era stato dato nel 2007 da un coraggioso magistrato della Corte dei Conti di Roma, Antonio Mezzera. La sua relazione è un duro atto di accusa su sprechi e mancanze del progetto.

Le alternative. Una delle accuse dei comitati e di molti scienziati critici con il progetto Mose è quella di non aver mai preso seriamente in considerazione le alternative progettuali. Altre idee su come ridurre le acque alte, meno costose, meno impattanti e forse anche più affidabili.

I progetti illustrati dal'ex sindaco Cacciari al governo Prodi non erano stati considerati. Prodi, dopo Berlusconi, aveva scelto di dare carta bianca alle tesi del Consorzio: «Si va avanti con il Mose». Non vengono considerati i pareri critici degli scienziati indipendenti sulle tante criticità del Mose.

Le cerniere. Il cuore del sistema Mose sono le cerniere. Costruite, anche queste senza gara, dalla Fip di Selvazzano di proprietà della Mantovani, specializzata in cerniere «saldate».

Armando Memmio e Lorenzo Fellin, ingegneri strutturisti, sollevano dubbi nel Comitato tecnico di magistratura sulla durata delle cerniere saldate rispetto a quelle fuse. Vengono licenziati.

Le incognite. Gli effetti dello scandalo non sono finiti. Criticità e problemi di corrosione, di tenuta, di manutenzione vengono alla luce insieme ad errori progettuali. Ma questa è la seconda parte della storia.

postilla

Se si volesse scrivere una storia appena un po' più completa della vicenda del MoSE e del Consorzio Venezia Nuova (a partire dalla follia originaria del progetto e dall'esistenza di alternative radicali, proposte fin dall'inizio e scartate dal ministro portavoce degli interessi economici), basterebbe leggere gli ultimi capitoli del libro di Luigi Scano,
Venezia. Terra e acqua, Corte del Fontego editore.
Ma per verificare la corruttela esercitata sulla grande maggioranza degli attori personali e collettivi veneziani bisognerebbe poter esaminare i loro bilanci.


la Nuova Venezia, 17 settembre 2017. Due giornate di protesta contro gli interventi programmati, che comporterebbero la distruzione di un ambiente naturale e storico unico al mondo, con postilla




CROCIERE, TORNA LA PROTESTA
DEI COMITATI
di Enrico Tantucci

«Sabato e domenica prossimi alle Zattere manifestazione delle associazioni ambientaliste. Musica dal vivo e palco in acqua»

Sono almeno una decina le navi da crociera che il prossimo weekend - sabato 23 e domenica 24 novembre attraccheranno o partiranno da Venezia. E proprio per quei due giorni le associazioni ambientaliste - a cominciare dal Comitato NoGrandiNavi, da Ambiente Venezia e da Italia Nostra hanno organizzato una due giorni di mobilitazione alle Zattere che avrà un respiro europeo, per la partecipazione di molti movimenti ambientalisti europei, contro il passaggio che continua delle navi da crociera dal Bacino di San Marco, in attesa della soluzione alternativa che il Governo non ha ancora formalizzato, anche se il nuovo terminal a Marghera e lo scavo del canale Vittorio Emanuele - entrambi contestati dagli ambientalisti - restano sempre d'attualità. E ci sarà un clima comunque festoso, per i gruppi e i musicisti che si esibiranno alle Zattere, sul palco che verrà montato su una banchina in acqua. La manifestazione è stata presentata ieri nella sede del Comitato NoGrandiNavi e a prendere la parola in particolare sono stati l'attivista Tommaso Cacciari e l'architetto Cristiano Gasparetto, di Italia Nostra. «Due giorni di festa per ribadire che la tutela della laguna e dei suoi abitanti è più importante dei ricavi delle multinazionali crocieristiche», è stato detto ieri della manifestazione.

A Venezia, secondo gli organizzatori, confluiranno rappresentanze dei “No Tav” dalla Valdisusa, i siciliani “No Muos”, i campani “Stop Biocidio” e i “No Tap” dal Salento. Inoltre, parteciperanno i tedeschi del movimento contro Stuttgard 21, “Ciutat per a qui l'habita” di Palma delle isole Baleari, i portoghesi di “Academia CidadÒ” e il francese “Comitè contre la construction de l'aereporte de Notre Dame des Landes”. Punto focale del programma sarà la manifestazione alle Zattere, il 24 pomeriggio, dove sul palco galleggiante si esibiranno tra gli altri musicisti come i 99 Posse, Cisco dei Modena City Ramblers.

«Abbiamo presentato da tempo la richiesta di uno spazio acqueo all'autorità portuale, proprio come abbiamo fatto in altre occasioni», spiega Tommaso Cacciari, «e devono ancora risponderci. Ma in ogni caso, la festa si farà. Sarà una festa per terra e per mare con tantissime barche in canale. Sarà una festa per tutti i veneziani e per chi ha a cuore Venezia. Ai signori politici che dopo 5 anni e mezzo devono ancora prendere una decisione, chiediamo solo che la smettano di prenderci in giro». Per Cacciari, riguardo alle soluzioni allo studio, «manca solo che qualcuno proponga di sostituire il Ponte della Libertà con uno levatoio per dirottare le navi a Murano e siamo a posto con la lista delle idiozie. La realtà è che non sanno dove sbattere la testa e prendono tempo perché altro non sanno fare. Puntualmente, ogni tre mesi, salta fuori qualcuno con una soluzione nuova. L'ultima è quella di spostare il porto a Marghera. Dico solo: fateci vedere i progetti e ve li smontiamo scientificamente come abbiamo fatto per il Contorta. Perché qualsiasi soluzione che non preveda l'allontanamento delle grandi navi dalla laguna non può essere compatibile con la sua tutela».

«SONO COME UN CEMENTIFICIO
PER IL TASSO DI INQUINAMENTO»

«Grandi Navi e Mose non sono altro che due facce della stessa medaglia». L'architetto ambientalista Cristiano Gasparetto, consigliere della sezione veneziana di Italia Nostra ha aperto l'incontro di presentazione della Due Giorni contro le Grandi Opere, in programma sabato 23 e domenica 24 settembre, prendendo spunto dalla sentenza del processo per lo scandalo del Mose.

«Dopo la condanna all'ex ministro Altiero Matteoli - ha dichiarato - ci chiediamo perché si è arrivati ad un sistema di corruzione così diffuso. La risposta è semplice: perché senza un diffuso sistema di corruzione il Mose non sarebbe mai stato approvato. Le Grandi Navi, e tutte le Grandi Opere in generale, funzionano con lo stesso principio. Senza la corrutela, non avrebbero ragione di esistere". Gasparetto ha ricordato che una grande nave all'ormeggio produce inquinamento pari di un cementificio, in particolare per il contributo delle polveri ultrasottili e le conclusioni di Paolo Costa, al tempo presidente dell'Autorità Portuale di Venezia erano state: «Non è il porto ad essere nella posizione sbagliata ma le abitazioni». «Tra di noi ci sono posizioni articolate sulle soluzioni al problema Grandi Navi - ha spiegato - perché Italia Nostra, ad esempio, è contraria a qualsiasi ingresso in laguna, mentre il Comitato No Grandi Navi accetterebbe anche la creazione di un terminal crocieristico galleggiante di fronte al Lido, con lo sbarco dei crocieristi e il loro trasbordo sino alla Marittima. Tutti però siamo radicalmente contrari allo scavo di canali in Laguna e anche la soluzione Marghera, con il raddoppio del Canale dei Petroli per consentire il passaggio delle navi da crociera e di quelle commerciali avrebbe un impatto devastante. La verità è che le lobby, a cominciare da Vtp [la potente società che gestisce i traffici della Grandi navi-n.d.r.], continuano a prendere tempo, senza alcuna reale soluzione alle porte, per lasciare tutto così com'è».

postilla

La Laguna di Venezia è un ecosistema unico al mondo, in cui l'equilibrio tra le diverse componenti è rimasto tale per secoli grazie all'accorta manutenzione praticata da governi saggi fino al XIX secolo. Con l'avvento delle pratiche della contemporaneità (dalle grandi infrastruttura alla distruzione delle zone umide, dall'edificazione incontrollata alla motorizzazione dei trasporti all'invasione turistica dei centri storici) l'equilibrio ecologico del sistema lagunare e le caratteristiche della città storica si è venuto via via degradando. I programmi di nuove infrastrutture, e lo sregolato afflusso di masse di turisti comporterebbero la distruzione definitiva di ciò che è rimasto. Perciò non si può non concordare con la posizione radicale di Italia Nostra, espressa da Cristiano Gasparetto nell'articolo. Su Venezia e la sua Laguna vedi i numerosi articoli nelle cartelle Venezia e la sua Laguna del vecchio archivio e nell'analoga cartella del nuovo eddyburg

il Fatto Quotidiano, la Nuova Venezia, Corriere del Veneto. 15 settembre 2017,-Articoli di Andrea Tornago, Ernesto Milanesi, Alessandro Zuin. «I pezzi grossi, quelli veri, in tribunale non hanno mai messo piede». La “giustizia” si è dovuta accontentare di recuperare 45 milioni di euro a fronte di un miliardo di tangenti. (m.p.r.)
 
il Fatto Quotidiano
MOSE. CONDANNA A 4 ANNI
PER L'EX MINISTRO MATTEOLI
di Andrea Tornago
Undici anni di reclusione, milioni di euro confiscati e maxirisarcimenti per le parti civili. Dopo 32 udienze del processo veneziano sul Mose, istruito nei confronti degli otto imputati che non avevano patteggiato all’indomani degli arresti del 2014, alla fine la condanna più pesante è arrivata per il senatore di Forza Italia Altero Matteoli: 4 anni di reclusione per lui e per l’amico imprenditore Erasmo Cinque, imputati di corruzione. Il Tribunale di Venezia li ha riconosciuti entrambi colpevoli per una tangente di 550 mila euro nell’ambito dell’assegnazione dei lavori di bonifica della Laguna di Venezia e ordinato una confisca di 9,5 milioni ciascuno.
Il senatore - ex ministro del l’Ambiente (2001-2006) e delle Infrastrutture (2008-2011) con Berlusconi - ieri mattina in aula ha ribadito di non aver preso “un euro” dal Consorzio Venezia Nuova: “E quindi non comprendo questa sentenza”, ha aggiunto dopo la condanna. Assolto invece, ma con una parziale prescrizione, l’ex sindaco di Venezia del Pd, Giorgio Orsoni: imputato per finanziamento illecito al partito, il collegio presieduto dal giudice Stefano Manduzio l’ha assolto per i 450 mila euro (di cui 50 mila secondo l’a ccusa consegnati personalmente in contanti) che il Consorzio Venezia Nuova gli avrebbe fornito per finanziare la sua campagna elettorale per le comunali di Venezia del 2010, dichiarando la prescrizione invece per i 110 mila euro versati illecitamente dal consorzio al Pd senza che la cifra fosse stata deliberata e iscritta a bilancio.
Condannato per corruzione e finanziamento illecito anche l’imprenditore [nominativo eliminato su richiesta di "diritto all'oblio, esercitata ai sensi del regolamento dell'Unione europea 2016-679]; mentre è millantato credito il reato commesso, secondo i giudici, dall’avvocato ed ex presidente di Adria Infrastrutture Corrado Crialese: avrebbe fatto credere di poter aggiustare le sentenze al Consiglio di Stato facendosi consegnare dal consorzio (invano) 340 mila euro. Assolti dalle accuse di finanziamento illecito l’ex eurodeputata di Forza Italia, Lia Sartori, e da quella di corruzione l’ex magistrato alle acque di Venezia Maria Giovanna Piva (con parziale prescrizione) e l’architetto Danilo Turato per la ricostruzione della villa dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan.
Sono le prime condanne per il “sistema” quasi perfetto del Mose: uno dei più imponenti intrecci di corruzione dell’Italia repubblicana - che avrebbe coinvolto per anni ministri, magistrati, politici, funzionari e imprenditori ruotanti attorno a un mare di denaro pubblico – scoperchiato nel giugno del 2014 dall’inchiesta dei pm veneziani Stefano Ancilotto e Stefano Buccini.
Un sistema corruttivo che per la Procura si muoveva intorno alla più grande opera pubblica italiana: la barriera idraulica del Mose e la connessa bonifica di Porto Marghera, lavori affidati in concessione al Consorzio Venezia Nuova guidato da Giovanni Mazzacurati. Il processo, dopo i patteggiamenti a raffica (tra cui quelli dell’ex presidente della Regione Galan, dell’assessore regionale Chisso, del generale della Guardia di Finanza Spaziante e dell’ex magistrato alle acque Cuccioletta) era partito con non poche difficoltà nel gennaio 2016. Le difese hanno chiesto da subito di esaminare in aula Mazzacurati, presidente del Cvn, “grande burattinaio” diventato il principale accusatore del giro di tangenti. Niente da fare: l’ingegnere, dopo aver riempito pagine di verbali raccontando ai magistrati il sistema delle mazzette intorno al Mose, nel frattempo si è trasferito a San Diego, in California (non prima di aver ricevuto una liquidazione da 7 milioni di euro) dove - secondo le perizie medico legali disposte dal tribunale - “ha perso la memoria”. I giudici hanno tuttavia considerato utilizzabili i verbali con le dichiarazioni dell’accusatore e il dibattimento è andato avanti fino alla sentenza di primo grado.

Il tribunale ha anche condannato Matteoli e Cinque – interdetti dai pubblici uffici per 5 anni – a risarcire le parti civili con provvisionali subito esecutive: 1 milione di euro allo Stato (Palazzo Chigi e ministero delle Infrastrutture), uno al Comune di Venezia e altre somme a Regione Veneto, Città Metropolitana di Venezia e allo stesso Consorzio Venezia Nuova. La bonifica della Laguna e il Mose, intanto, restano in alto mare.

il Fatto Quotidiano
L’ESERCITO DI CHI HA PATTEGGIATO
(COME GALAN) E PAGATO 45 MILIONI
PER USCIRE DAL PROCESSO

Dei 100 e più nell’inchiesta Mose, che nel giugno 2014 portò a 35 arresti (tra cui quello dell’ex governatore Galan e del sindaco di Venezia Orsoni) solo 8 sono finiti a giudizio. La più grande inchiesta sulla corruzione in Italia, che ha portato alla luce un flusso di tangenti da 1 miliardo di euro, è soprattutto la storia di un “processo mancato”: la maggior parte degli indagati ha chiesto il patteggiamento poco dopo gli arresti, per evitare di sostenere il dibattimento. Giancarlo Galan ha patteggiato una pena di 2 anni e 10 mesi e una confisca da 2,6 milioni di euro, l’ex generale della Finanza Emilio Spaziante a 4 anni di carcere (più la confisca di 500 mila euro), l’ex presidente del magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta a 2 anni e una multa di 700 mila euro, l’ex assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso a 2 anni e sei mesi e una confisca di 2 milioni di euro. Hanno patteggiato gli imprenditori del Mose, gli ingegneri, i consulenti. Lo Stato in questo modo ha recuperato più di 44 milioni di euro.

il manifesto

MOSE. L'EX MINISTRO MATTEOLI
CONDANNATO A QUATTRO ANNI
di Ernesto Milanesi
Grandi Opere. Il tribunale di Venezia: confiscati 9,5 milioni di euro, assolto l’ex sindaco Giorgio Orsoni. L’associazione Ambiente Venezia e il Comitato NoMose: «L'inchiesta ha dimostrato l'esistenza di una cupola»La giustizia ordinaria sullo scandalo Mose sembra proprio incarnare il simbolico cieco equilibrio. Quattro condanne e altrettanti verdetti di assoluzione o prescrizione del reato. All’ex ministro Altero Mattioli inflitta una pena di 4 anni più la confisca di 9,5 milioni di euro e l’interdizione dai pubblici uffici per un lustro. L’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, invece, risulta innocente per il finanziamento «in bianco» e beneficia della prescrizione per i soldi «in nero».Ieri, poco dopo le 18, il presidente del tribunale Stefano Manduzio (Fabio Moretti e Andrea Battistuzzi a latere) legge la sentenza che conclude un dibattimento lungo 16 mesi con 32 udienze (dopo le 11 preliminari) e un centinaio di testimoni. L’inchiesta sulla più grande opera della Repubblica – affidata in concessione unica al Consorzio Venezia Nuova – riempie oltre 70 mila pagine di faldoni. Ammontano già a 5,5 miliardi di euro i costi del sistema di dighe mobili nelle bocche di porto della laguna. Ma il «deus ex machina» del mega-progetto Giovanni Mazzacurati si è ritirato negli Usa; l’impresa Mantovani, presieduta dall’ex questore Carmine Damiano, ha appena minacciato 170 licenziamenti; la fine dei cantieri del Mose è già slittata al 2018 con almeno altri ulteriori tre anni di indispensabili collaudi.Dal punto di vista giudiziario, erano usciti di scena 31 imputati che hanno patteggiato con la Procura. Su tutti spicca il nome di Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto e ministro dei beni culturali, costretto a liberare la prestigiosa villa Rodella sui Colli Euganei pagando anche 9 mila euro di danni provocati nel trasloco.

Ora la sentenza di primo grado, di fatto, chiude la vicenda perché i termini della prescrizione «ghigliottinano» il processo d’appello. Non si chiude però la partita dei risarcimenti con l’Avvocatura dello Stato che ha chiesto 8 milioni di euro. E soprattutto è acclarato che il mega-progetto del Mose abbia «fatturato» tangenti a beneficio di politici, funzionari, imprese, coop, professionisti e perfino fondazioni ecumeniche o premi culturali.

Nel dettaglio, la sentenza del tribunale di Venezia ha condannato alla stessa identica pena comminata a Matteoli anche Erasmo Cinque, imprenditore romano della Socostramo. Assolta l’ex presidente del Magistrato alle Acque, Maria Giovanna Piva per le imputazioni relative al collaudo, con la prescrizione per l’altra. [porzione di articolo eliminata su richiesta di "diritto all'oblio, esercitata ai sensi del regolamento dell'Unione europea 2016-679]. Assolto l’architetto padovano Danilo Turato che aveva seguito la ristrutturazione della villa di Galan. Come Orsoni, nessuna sanzione penale anche per Amalia Sartori che ha prima presieduto il consiglio regionale e poi occupato un seggio all’Europarlamento. Un anno e dieci mesi all’avvocato romano Corrado Crialese, imputato di millantato credito.

Al termine della requisitoria, i pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini avevano sollecitato otto condanne: 6 anni richiesti per Matteoli, 2 anni e 3 mesi per Orsoni e Turato, 2 anni anche per la Sartori. Amara la dichiarazione dell’ex ministro e senatore dopo il verdetto: «Come ho avuto modo di confermare davanti al tribunale non sono un corrotto, mai ho ricevuto denaro né favorito alcuno. Non comprendo quindi questa sentenza verso la quale i miei avvocati ricorreranno in appello. Ho il dovere di credere ancora nella giustizia, nonostante la forte amarezza che patisco da quasi quattro anni» sostiene Matteoli.

L’Associazione Ambiente Venezia e il Comitato NoMose insistono a manifestare contro la «mafia di Venezia» con una lettura a 360 gradi: «Il Mose è la più grande opera di ingegneria ambientale al mondo, ma c’è stata qualche mela marcia: questa è stata la gestione politica, da parte del governo Renzi e poi Gentiloni, del più grande scandalo del secolo. L’inchiesta della Procura ha dimostrato l’esistenza di una vera e propria cupola, costituita da Mazzacurati e dai manager delle “grandi” imprese del Consorzio e delle “piccole” delle cooperative di tutti i colori, che si divideva lavori e dazioni da pagare a tecnici e politici più o meno eccellenti. Lo scopo non era ottenere appalti, visto la concessione unica sui lavori, ma far ottenere tutti i via libera ad un progetto sbagliato che prosciuga le risorse pubbliche».


Corriere del Veneto
PROCESSO MOSE

LO SCANDALO, LE COLPE, LE ANOMALIE

di Alessandro Zuin

Nel caso qualcuno avesse rimosso o si fosse perso qualche puntata nel corso degli ultimi tre anni, stiamo parlando di una vicenda che è stata autorevolmente definita «il più grande scandalo europeo» per dimensioni finanziarie del malaffare, qualcosa come 8 miliardi di euro distribuiti da quel gigantesco collettore di fondi pubblici che è stato il Consorzio Venezia Nuova. Il quale aveva, per giunta, lo straordinario vantaggio competitivo di agire sotto lo scudo protettivo di una Legge Speciale. Perciò, ha ragione da vendere Massimo Cacciari – ex sindaco di Venezia, per la cronaca e per la storia l’unico in quel ruolo a dichiararsi apertamente contrario al Mose, mentre gli altri, magari con diverse sfumature, erano tutti a favore – quando afferma che la faccenda «non può essere ridotta a un processo al povero Giorgio Orsoni». E Orsoni, tra l’altro, se l’è pure cavata con un colpo di reni della prescrizione e un’assoluzione, per quanto l’amministrazione da lui guidata abbia pagato il prezzo politico più alto in questa storia, cadendo rovinosamente sotto i colpi dello scandalo e aprendo la strada della conquista di Venezia al sindaco fucsia Luigi Brugnaro.

Il processo
Non può essere ridotta a questo, innanzitutto, perché il processo che si è concluso con quattro sentenze di condanna e altrettante di assoluzione/prescrizione, era tutt’al più una riduzione in sedicesimo di quella che si usa definire come la «verità giudiziale», oltre che della mastodontica inchiesta penale da cui scaturirono, il 4 giugno di tre anni fa, i clamorosi provvedimenti di arresto per 35 persone, accusate a vario titolo di corruzione o finanziamento illecito ai partiti. Sulla scena giudiziaria, bisogna pur dirlo, erano rimasti davanti al Tribunale di Venezia alcuni personaggi di seconda fila del gigantesco affaire: un ex ministro della Repubblica non proprio tra i più in vista (Matteoli), un ex sindaco entrato e uscito dalla storia amministrativa di Venezia come una stella nelle notti d’agosto (il già citato Orsoni), un’ex potente eurodeputata in parabola politica discendente (Sartori), qualche imprenditore e professionista, un’ex funzionaria statale.

I pezzi grossi
I pezzi grossi, quelli veri, in tribunale non hanno mai messo piede: o perché, pur essendo coinvolti dalla testa ai piedi nella vicenda, recitavano la parte dei grandi accusatori, oppure perché erano usciti anzitempo dagli impicci, scegliendo (o vedendosi costretti a scegliere, a seconda della diversa interpretazione) di scendere a patti con l’accusa.

Gli accusatori
Tra i primi, gli accusatori, si annovera il «grande distributore» Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, mai imputato, oggi incapace di stare in processo anche solo come testimone poiché affetto da una forma avanzata di demenza senile. Accanto a lui campeggia la figura di Piergiorgio Baita, già numero uno di Mantovani (la principale società tra quelle che componevano il Consorzio), il quale ha patteggiato 1 anno e 10 mesi per un reato minore (le false fatturazioni) e adesso gira il Veneto presentando il suo libro-verità «Corruzione. Un testimone racconta il malaffare» (si sottolinea la definizione «testimone»). E poi c’è donna Claudia, al secolo Minutillo, già inflessibile guardiana dell’agenda del governatore Giancarlo Galan, poi ascesa a manager dell’asfalto&cemento in Adria Infrastrutture: anche lei ha patteggiato una bazzecola per le fatture false. Sia Baita che Minutillo hanno ricevuto, nel cuore dell’estate, l’avviso di chiusura dell’indagine a loro carico per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, dato che se vi sono dei corrotti (o finanziati), a rigor di logica ci dovrebbero essere anche dei corruttori (o finanziatori). Per Baita, neanche a dirlo, si prospetta un altro bel patteggiamento, mentre Minutillo potrebbe giocarsi anche la chance delle chance, una tombale prescrizione.

I patteggiatori
Nella categoria patteggiatori, invece, rientrano i due personaggi che hanno dominato la scena politica del Veneto nei primi 15 anni della Seconda Repubblica (1995-2010): Giancarlo Galan, governatore e poi ministro (pena di 2 anni e 10 mesi, già scontati, e 2,6 milioni di multa) e Renato Chisso, l’uomo delle infrastrutture in Regione (2 anni, 6 mesi e 20 giorni, anch’egli tornato nel frattempo uomo libero). Entrambi, va sottolineato, hanno patteggiato senza mai cedere di un millimetro sull’ammissione di una qualche responsabilità personale: come ai tempi di Mani Pulite, si sono arresi all’idea di concordare una pena con l’accusa, hanno sempre detto, per evitare una prolungata detenzione in carcere.

Magistratura penale e contabile
La magistratura penale e quella contabile hanno chiesto loro una montagna di soldi a titolo di restituzione e risarcimento del danno (Galan ci ha rimesso l’aristocratica residenza di villa Rodella, confiscata all’uopo) ma tutti quei milioni rimangono uno dei misteri gloriosi di questa vicenda. Secondo l’accusa sarebbero stati imboscati da qualche parte all’estero (e finora mai trovati), mentre sul punto un combattivo Chisso è arrivato a sfidare la procura: «Li cerchino pure dove vogliono - ha dichiarato in una recentissima intervista -, hanno il mio permesso per fare qualsiasi accertamento: non troveranno nulla».

Galan e Chisso
In tanti, oltre a Galan e Chisso, hanno tagliato corto patteggiando. Tanto da far pensare a un’inchiesta sottratta, se non per alcune posizioni, alla sua conclusione naturale: un processo che accerti, nel contraddittorio delle parti, le responsabilità di ciascuno. «Ma la sostanza e il valore dell’inchiesta – aveva ribadito all’apertura del dibattimento il procuratore Carlo Nordio, prima di lasciare la magistratura per malaccetto pensionamento – non cambiano, visti i ruoli di molte persone che vi sono entrate. La situazione di compromesso dettata dal ricorso al patteggiamento ha portato al recupero di denaro a favore dello Stato». Come dire: sotto l’aspetto che per certi versi più conta, quello pratico-economico, l’inchiesta è andata dritta a bersaglio.

L’anomalia
Rimane un ultimo tema, fuori dalle questioni giudiziarie, rispetto al quale la vicenda Mose si è rivelata altamente illuminante. In un Paese come l’Italia, governato da un groviglio di leggi farraginose e dal potere di interdizione esercitato dai vari livelli della burocrazia, probabilmente non sarebbe mai stato possibile realizzare seguendo le vie ordinarie un’opera mastodontica come il sistema salva-Venezia. Per farlo, si è dovuti ricorrere a una procedura che costituisce un’anomalia assoluta e l’anomalia era finita talmente fuori controllo da permettere un dilagante malaffare molto ben mascherato. Per dirla ancora con Nordio: «Il Mose è il caso tipico e paradossale in cui chi ha avvelenato i pozzi aveva in mano anche l’antidoto».

 
 
 

la Nuova Venezia online, 13 settembre 2017. Alla vigilia della sentenza sui casi di finanziamento illecito e corruzione legati alla più grande opera mai fatta dallo Stato ecco alcune cifre e date per capire com'è nata la più grande mazzetta della storia. E quello che ci attende in futuro.

Comprereste un’auto se il concessionario potesse scegliere per voi il modello, gli optionals, decidesse gli interventi di manutenzione e riparazione (a vostro carico) e, soprattutto, stabilisse per voi il prezzo? Diciamocelo: per noi comuni mortali che il pane ce lo guadagniamo il prezzo è il 90 per cento della scelta. Ma anche se conoscete un vero ricco, noterete che quando compra qualcosa il prezzo, chissà come mai, diventa ancora più importante. Quindi se la vostra auto costa 20 mila euro, voi provate a fare i calcoli e vi immaginate al volante.

Per il Mose, inteso come sistema complessivo di salvaguardia della laguna di Venezia, invece, la scelta non c’è stata. E questo, come dicono al bar, ha un suo perché. Alla vigilia della sentenza che giovedì 14 settembre, stabilirà colpe e condanne di quella che è stata la più grande mazzetta della storia della Repubblica Italiana, alcuni semplici passaggi spiegano molto di quel fiume di denaro finito nelle tasche di imprenditori, amministratori e politici.

Quando nel 1989 la stesura del progetto preliminare di massima delle opere mobili venne presentato al Consiglio superiore dei lavori pubblici i consiglieri fecero un balzo sulla sedia: il conto era stimato in 3.200 miliardi di lire italiane. Scritto in cifre appare come 3.200.000.000.000. In euro fa circa un miliardo e 660 milioni. Nel 2001 quando appare il progetto di massima la cifra non si modifica di molto:3.700 miliardi di lire pari a 1.920.083.030 cioè un miliardo e 920 milioni di euro.

Un solo anno e tutto cambia. Nel 2002viene presentato il progetto definitivo e il costo è magicamente raddoppiato a settemila miliardi di lire. Guardiamolo scritto in numeri: 7.000.000.000.000, un sette seguito da 12 zeri. Cioè 3.623.589.517 di euro: tre miliardi e 623 milioni del nuovo conio europeo.
Prima tranche di finanziamenti dallo Stato: 450 milioni di euro subito e poi a rivedersi nel 2013 quando la somma messa a disposizione sale a 4 miliardi e 987 milioni di euro. Appena un anno dopo, nel 2014, si arriva a 5 miliardi e 267 milioni di euro.

In questi giorni siamo al 90 per cento del completamento dei lavori e l'opera è costata 5 miliardi e 493 milioni di euro. Per il restante 10 per cento, se tutto va bene, ci vorranno quindi altri 549,3 milioni di euro. Il totale del costo del Mose sarà così di almeno 6 miliardi di euro. In lire la calcolatrice si rifiuta di far vedere la cifra e usa le potenze. E allora carta e penna: 11.562.000.000.000. Cioè 11 mila 562 miliardi di vecchie lire italiane. La vostra auto invece di 20 mila euro ne è costata 80 mila.
La prendete? Difficile. Anche perché uno che vi quadruplica il prezzo (e che prezzo!) può essere affidabile dopo, quando ci saranno i costi di gestione? Quindi guarderete il venditore e lo saluterete educatamente per andarvene.

Invece con il “sistema Mose” dovete restare seduti, pagare prima, ringraziare e prendervi l'auto e tutti i costi che scoprirete mano a mano che si presenteranno e che, se tanto mi dà tanto, comincerete a ritenere colossali. Penserete di essere stati fregati, insomma, che era meglio seguire il consiglio di vostra zia: "Ricorda che in famiglia non siamo tagliati per gli affari". Perché il vostro problema è che qualcuno prima aveva nominato proprio quel venditore di auto come unico venditore possibile per voi, che quindi siete obbligati a comprare tutto quel che vi offre.

La storia nasce dopo la famosa "acqua granda", l'acqua alta a 194 centimetri del 1966, quando arrivò la Legge speciale per Venezia, in cui, era il 1973, la salvaguardia di Venezia e della sua laguna vennero dichiarati per legge "preminente interesse nazionale". L'Italia si dichiarava disponibile a finanziare la difesa di quello che i veneziani non sapevano difendere. Due anni dopo il Ministero dei lavori pubblici apre una gara: “datemi il progetto migliore al prezzo più ragionevole e io ve lo finanzio”. Vi possono partecipare solo aziende italiane dato che all’epoca non esiste ancora l'obbligo di gara europea.

Incredibilmente nessuna azienda nazionale presenta un progetto ritenuto valido. Ora si urlerebbe: "C'è un accordo, un “cartello” di aziende che vuole rovinare la concorrenza". Ma allora forse erano tutti o un po' più scemi o tanto, tanto più furbi. Dipende dal punto di vista della guardia o del ladro. Alla fine tutti i progetti vengono riuniti e vengono affidati a un gruppo di esperti: viene steso il "Progettone". Perché poi diventa tutto grande. Dopo il Progettone una legge speciale approvata nel 1984, governo pentapartito di Bettino Craxi, crea il "Comitatone" come comitato di indirizzo, coordinamento e controllo, mentre il ministro Franco Nicolazzi, buonanima di navigato politico del PSDI, crea il "concessionario unico dello Stato". Cioè nessuno dice: “facciamo una gara, ditemi quanto volete per fare questa casa e vinca il migliore”.

No. Il ministro Nicolazzi (buonanima) e il presidente del Consiglio Craxi (buonanima) firmano un decreto che dice che un gruppo di industrie scelte da loro sono le migliori disponibili e le nomina Concessionario unico dello Stato. Nasce così il Consorzio Venezia nuova, un gruppo (privato) di industrie cui viene affidata "la ideazione, progettazione e realizzazione" del progetto. Chi controlla? Il Magistrato alle acque.

La più gigantesca opera realizzata dallo Stato con un fiume di soldi mai visti prima gestito da un unico soggetto privato viene quindi sottoposta a un solo vero controllore, affidandosi all’onestà dei singoli. Come sia finita lo hanno spiegato i due pubblici ministero Stefano Ancillotto e Stefano Buccini nella loro requisitoria: “I controllori erano a libro paga dei controllati”. Era così imprevedibile? Quando il 4 giugno 2014sono scattati all’alba gli arresti di 35 persone tra politici, funzionari, imprenditori, magistrati, ufficiali (100 gli indagati) si poteva onestamente dire che era stato fatto tutto il possibile perché non accadesse?

Fatto sta che tutto invece va avanti nella gloria. Nel 2002 il Consorzio sceglie un progetto molto particolare: le dighe mobili. Uno sbarramento formato da78 paratoie mobili in acciaio poste alle tre bocche di porto della Laguna: porto di Lido (due serie di 20 e 21 paratoie con i mezzo un’isola artificiale), porto di Malamocco (19 paratoie) e porto di Chioggia (18).

Ognuna fissata a un cassone di alloggiamento in calcestruzzo a cui sono collegate dalla cerniere (il vero "cuore" dell'intero sistema) su cui gli esperti si sono scatenati: fatte male secondo i critici, con acciaio non all’altezza dopo aver presentato invece cerniere in acciaio speciale nel modulo di prova. Cerniere che quindi potrebbero presentare molti problemi per la gestione, con costi di riparazione astronomici. Cerniere fatte bene, invece, secondo il Consorzio. Queste paratoie dovranno difendere Venezia da acque alte sino a tre metri. Il problema è che prima ancora di essere completato (la previsione parla del dicembre 2018), il sistema presenta già delle magagne serie: alcune paratoie fanno fatica ad alzarsi.

Beh, ora avete capito il costo della vostra auto e cominciate ad avere la certezza che i problemi saranno parecchi. Buon viaggio.

il Post, 12 settembre 2017. Una magistrale passeggiata, con i piedi nella poltiglia artistico-mondana della Serenissima e lo sguardo sui lampi di luce e d'ombra provenienti dalle tragedie in atto nel mondo.

«Filippomaria Pontani racconta il film dell'artista cinese sui migranti, e quello che gli manca»

Diluvi a Venezia. Inondazioni ovunque, nella città del Mose. L’acqua alta di fine estate è quella del fotografo americano David Lachapelle, che in una sontuosa personale alla Fondazione Tre Oci, alla Giudecca, punta il grandangolo per mostrare l’apocalisse della nostra civiltà, non solo con le ardite composizioni michelangiolesche della serie Deluge (2006), ma anche con alcune opere più recenti quali Seismic Shift (2012), vasta panoramica su una sala allagata e in rovina, in cui campeggiano le pericolanti opere milionarie delle star del jetset artistico internazionale, Jeff Koons, Takeshi Murakami, Barbara Kruger, Andy Warhol, Zeng Fanzhi, Damien Hirst: esposta giusto davanti alla Christmas Card della famiglia Kardashian, questa allegoria pop sembra rinviare, sic et simpliciter, al declino di un lusso insostenibile.

Ancora acque negli spazi della Fondation Pinault a Punta della Dogana, dall’altra parte del Canale della Giudecca, giusto dinanzi ai Tre Oci: lì, proprio l’inglese Damien Hirst, il Creso dell’arte di oggi, documenta nell’enorme mostra Treasures from the Wreck of the Unbelievable il sedicente recupero di un gruppo di statue monumentali antiche dalle acque africane: alle pareti, filmati stile History Channel che mostrano sommozzatori e argani marittimi; sui reperti, le incrostazioni di conchiglie e molluschi; all’entrata, pannelli che sciorinano notizie erudite sulla trireme affondata, dal plausibile nome antico di “Àpistos” (“Incredibile”, appunto) e sul suo proprietario, il ricco liberto antiocheno di età antonina Cif Amotan II, trasparente anagramma per “Fantomatic”. Ma tutto è finto, tutto è una messinscena, dalla nave al recupero al liberto, tutto tranne le sculture stesse, che maestose e ammiccanti punteggiano il percorso in marmo nero, marmo rosa, granito, bronzo, oro, quarzo, cristallo, pietre preziose: in esse Hirst raffigura con maestria leggende greche, orientali e moderne (da Aracne a Calì a Mickey Mouse) in un decadente e costosissimo mish-mash mitologico tra l’ironico e il compiaciuto.

La trimurti dell’arte contemporanea mainstream in Laguna si è completata venerdì 1 settembre al Lido, sotto un acquazzone insistito, con un’altra inondazione fine-di-mondo, stavolta vera: la “Marea umana” (Human Flow) del cinese Ai Weiwei, in concorso alla 74ma Mostra del Cinema. Il documentario, poi non premiato dalla giuria nonostante le indiscrezioni della vigilia, svolge bene la funzione di raccontare il fenomeno migratorio a livello globale (straordinario – e davvero costosissimo – lo sforzo che ha portato la troupe dal Kenya al Myanmar, dal Pakistan al Messico, anche se il cuore è tra l’Europa e il Medio Oriente), inducendo inevitabili riflessioni sulle analogie e le costanti profonde che connotano chi abbandona casa propria in cerca di un futuro migliore. L’opera è tuttavia inficiata dall’ingombrante ego del regista e da troppe interviste istituzionali un po’ prevedibili (ministri, principesse, funzionari dell’UNHCR), e per di più delude chi sperava in geniali invenzioni concettuali di colui che sul tema, in qualità di artista, si era già esibito l’anno scorso in una fortunata installazione a Palazzo Strozzi. Le insistite vedute dall’alto dei campi dei rifugiati di mezzo mondo rimangono quasi una maniera, e riescono alla fin fine meno poetiche dei versi del dispatrio di Moniza Alvi (“Molto meglio un tappeto volante / finemente annodato, più ricco / del sangue, largo abbastanza / per tenere insieme la famiglia, / isolata, lontana / da ogni pericolo, / in rapido viaggio / attraverso il cielo senza confini”). Il richiamo al “rispetto”, allegato a un finto e impostato scambio di passaporti tra l’onnipresente regista e un rifugiato siriano nel campo di Idomeni, è parimenti meno fresco e probante della lirica vissuta di Shirin Fazel (“Non siamo entrati nelle vostre città / con arroganza e armati di fucili, / ma con rispetto”). E in tutto il film, praticamente privo di veri personaggi, ancor più degli sgomberi violenti dei campi di Calais e Idomeni possono le immagini di una tigre in gabbia nel caos di Gaza, o di una mucca annerita dai fumi del petrolio presso Mosul, perché – insegna l’Auden di Refugee Blues – quando l’umanità si smarrisce è inevitabile guardare agli animali (accadeva lo stesso con l’agonia dei cavalli a Beirut in una memorabile scena di Valzer con Bashir).

Chi ha calpestato le zolle di Idomeni, prima dello sgombero, e vi ha incontrato Weiwei al lavoro con la sua troupe, riconoscerà nel documentario alcuni volti reali, dal barbiere del campo a uno dei tanti bambini che giocavano a calcio con palle di pezza in mezzo al fango e ai miasmi. Ma non troverà, di quella città improvvisata e senza legge, le ferite, gli abbracci e i sorrisi schietti, quelli che forse la cinepresa inibisce, e che ha invece catturati in un bellissimo album il fotografo Sakis Vavalidis; non troverà l’odore penetrante delle fumarole, i panni stesi sulle tende e sulle staccionate, l’umanità a corrente alternata dei poliziotti (quella scintilla colta da Andrea Segre in L’ordine delle cose, il vero, grande film veneziano sulle migrazioni), i cuochi grassi e i volontari delle ONG (già, anche lì le tanto vituperate ONG) che si voltano un attimo a piangere e poi tornano a distribuire la zuppa. Né troverà quell’artista di 8 anni, Shaharzad, diventata famosa per un quarto d’ora nel 2016 con i suoi disegni a pennarello di Aleppo, dei bombardamenti e della traversata: oggi sarà negletta e imbottigliata in qualche campo di Grecia come tanti suoi fratelli ancor meno fortunati sotto i viadotti della Turchia o nei lager della Libia. Purché non entrino, purché rimangano fuori dal nostro pomerio. Purché la marea, se non può esser finta, almeno passi lontano da noi.

Accanto a noi, il diluvio: è questo il titolo di un libro importante del sociologo tedesco Stephan Lessenich (Hanser 2016), che esamina laicamente le dinamiche e i prezzi della società del benessere, di quella che egli chiama – riconoscendo in questo un puntello essenziale del capitalismo occidentale – “società dell’esternalizzazione”: vi si legge come le guerre, gli inurbamenti, le nuove povertà, le migrazioni, siano in larga parte legate al modello globale per cui una ristretta élite di Paesi sfrutta il resto del mondo, al punto che – restando agli animali – un’immaginaria società dei cani domestici statunitensi avrebbe un tenore di vita superiore a quello del 40% della popolazione umana mondiale. Secondo Lessenich, ci si può anzi meravigliare che – stanti le disuguaglianze sempre crescenti e ormai incalcolabili tra il “Nord” e il “Sud” – le migrazioni non assumano proporzioni ben più cospicue e ingestibili. Ma la questione non è soltanto economica, ed ecologica (i cambiamenti climatici, i conflitti per le risorse, le speculazioni delle multinazionali sulla sabbia dell’Indonesia, la bauxite del Brasile, la soja dell’Argentina, il cotone dell’India), bensì investe la coscienza collettiva di società che non vogliono vedere, che esternalizzano la loro coscienza dimenticando che, al di là di ogni facile terzomondismo, dietro ogni profugo nigeriano o libico sta un barile del nostro petrolio estratto dalla sua terra, dietro ogni Afghano una mole del nostro gas che passa dai suoi monti – risorse preziose sottopagate agli oligarchi locali, che peraltro depositano i loro soldi cifrati nelle banche dell’Occidente.

Nel film di Ai Weiwei, distribuito da Amazon, di tutte queste dinamiche non si intuisce praticamente nulla; ma ora che nel nostro mondo “borderless” si sono alzati muri da ogni parte (financo in mare), ora che – come mostra Segre con straordinaria preveggenza – non arretriamo nemmeno più dinanzi al prezzolare carcerieri turchi e scafisti libici perché siano loro a stornare le ondate e a ricacciare l’orrore nel prediletto “regime dell’invisibile”, potrebbe dunque essere nel giusto Lessenich a sostenere che tutto questo non sia un fenomeno passeggero, che i pannicelli caldi della “green economy” e della “crescita intelligente” siano degli specchietti per le allodole, kicking the can down the street, e che i grandi eventi in corso stiano davvero grattando il limite estremo del modello neocapitalista di sviluppo? “La marea che sale solleva tutte le barche” diceva J.F. Kennedy per motivare il progresso capitalista degli anni ’60. Ma se le dighe ormai scricchiolano (perché, prima o poi, cederanno), e se nel cielo di Venezia sembrano arrivare altri diluvi, quali colombe ancora ascolteremo?

La gestione commissariale è solo l'ultimo grande abbaglio, riportare la legalità, per completare un'opera sbagliata, dannosa e pericolosa: quando? sempre più tardi. la Nuova Venezia, 7 settembre 2017 (m.p.r.)


MUFFE E DEGRADO

PARATOIE BLOCCATE
Corrosione in aumento, vernici già vecchie. E senza impianti non si possono sollevare le dighe. L'opera finirà in ritardo

Venezia. Corrosione in aumento. Paratoie che non si alzano, muffe e degrado nei corridoi dei cassoni sotto la laguna. E anche paratoie, da sei mesi esposte alle intemperie e alla salsedine a Santa Maria del Mare, da ridipingere. I problemi del Mose non finiscono mai. E adesso quelli riscontrati da tecnici e ingegneri delle imprese e del Consorzio rischiano di rimettere la grande opera al centro delle polemiche. E di ritardarne ancora la conclusione. Dopo il grande scandalo, le tangenti e gli arresti (giugno 2014) il treno del Mose che correva spedito è deragliato. Per farlo ripartire non basta la gestione straordinaria dei commissari anticorruzione, creata dal Raffaele Cantone per riportare la legalità. Occorre risolvere i tanti problemi emersi e trovare soluzioni.

Gli impianti.
L'ultimo è il ritardo nella costruzione degli impianti elettrici per il sollevamento delle paratoie. Come noto, il sistema Mose ha bisogno di energia per sollevare la schiera delle dighe, e non sfrutta in questo caso l'energia naturale delle onde e del mare. A Treporti, dove la prima schiera di paratoie verso Punta Sabbioni è stata posata nel 2013, è stata costruita una centrale elettrica nella vicina isola articiale del bacàn. Non così a Malamocco, dove si è deciso di posare le paratoie sul fondo prima che la centrale fosse realizzata. Risultato: da qualche mese il sistema è adagiato sul fondo ma non è possibile fare le prove di sollevamento.
Corrosione e fouling.
Le prime ispezioni hanno già verificato l'esistenza di corrosione di problemi di fouling. Secondo problema: la mancanza di energia impedisce la corretta d ventilazione dei corridoi di collegamento sotto la laguna. Dove passano i cavi e i sistemi, e i tecnici addetti all'ispezione del sistema. Sulle pareti e sugli impianti si è depositato uno strato di 5 centimetri di muffa. Il Mose è un sistema concepito per stare sempre sott'acqua. E senza vigilanza e manutenzione i problemi si moltiplicano. Come la corrosione dei alcune parti delle cerniere, già denunciata qualche mese fa. Che si fa? Il Consorzio Venezia Nuova, retto dai commissari Raffaele Fiengo e Francesco Ossola, ha deciso di bandire la gara per la costruzione degli impianti. Vinta da due gruppi di mpres, la Abb Comes di Taranto e la Abb Idf di Brindisi. Non è stata accolta la proposta di realizzare nel frattempo impianti provvisori per movimentare le paratoie. Sarebbero costati 14 milioni di euro.
Le vernici.
Ma adesso i problemi si intrecciano. Le paratoie che dovrebbero essere affondate nella bocca di porto sono da mesi in attesa sulla piarda di Santa Maria del Mare, il cantiere dei cassoni del Mose. Il ritardo nella posa è dovuto alla rottura del jack-up, la nave da 52 milioni di euro che doveva servire per il loro trasporto che non ha mai preso il largo. Costruita quattro anni fa e mai funzionante. Ma anche per la decisione di fare la gara per gli impianti (pochi milioni di euro) alla fine, dopo che le paratoie sono state costruite da cantiere croato Brodosplit di Spalato. Da mesi gli operai della Comar combattono contro gli agenti atmosferici e i gabbiani, che hanno scelto le paratoie come loro nido. Il loro guano - anche questo non era previsto - corrode le vernici. tanto che a Malamocco si sentono colpi di cannone diffusi con l'altoparlante in cantiere per cercare di allontanare i pennuti. Tutto inutile: i mesi di esposizione e il mancato affondamento in acqua hanno provocato un deterioramento delle vernici anticorrosione. Adesso bisognerà intervenire.
I tempi.
In conclusione i tempi annunciati dal governo per la conclusione de l progetto Mose potrebbero slittare ancora. L'atto firmato solo pochi mesi fa dal Provveditorato alle Opere pubbliche con il Consorzio Venezia Nuova prevede che i lavori siano consegnati alla fine del 2021, dopo tre anni di prove e di «conclusione lavori impianti». Una tabella di marcia aggiornata per l'ennesima volta. Dopo che la fine lavori era stata modificata dall'annuncio iniziale (2011), prima al 2014, poi al 2017, infine al 2018 con la clasuola però che l'opera non sarà consegnata prima della fine del 2021. Ma la mancata soluzione delle criticità e l'insorgere di nuovi problemi rischia adesso di modificare ancora l'obiettivo. Ci vorranno almeno altri quattro anni per vedere le dighe finite


CONSORZIO, LE NUBI SUL FUTURO

E INTANTO LE BANCHE NON PAGANO
Tre anni dopo l'inchiesta i commissari sono rimasti due. I contrasti tecnici e le incognite, i rapporti con le imprese

Venezia. Tre anni dopo lo scandalo, il Mose è ancora in alto mare. I ritardi dovuti all'inchiesta, la scoperta di aspetti illegali e l'opera di "bonifica" di quello che era diventato un grande buco nero e una macchina per creare fondi neri e distribuire tangenti si riflettono adesso sul futuro dell'opera.Si finirà mai il Mose? Situazione delicata dopo le dimissioni, qualche mese fa, del commissario Luigi Magistro, il primo nominato da Cantone.

A guidare il Consorzio, una volta "regno" assoluto di Giovanni Mazzacurati, sono adesso due commissari. L'avvocato dello Stato napoletano Giuseppe Fiengo e l'ingegnere torinese Francesco Ossola. I rapporti tra i due sono formali e non troppo cordiali. Il primo si occupa di bilanci e aspetti legali, il secondo dell'aspetto tecnico. Ossola, già consulente del Consorzio negli anni Ottanta per le rive dei Tolentini, docente al Politecnico di Torino e progettista dello Juventus Stadium, ha nominato tre suoi consulenti. L'ingegnere Sara Cristina Lovisari per la manutenzione e progetti speciali, le verifiche sui progetti, lavori e forniture del jack-up; i fenomeni di corrosione, i monitoraggi. E poi l'ingegnere Francesco Cefis per i progetti dell'Arsenale e per gli interventi in laguna, e per le opere alle bocche l'ingegnere Mauro Scaccianoce. Uno staff che sta gestendo la fase tecnica in contatto con il provveditorato alle Opere pubbliche (ex Magistrato alle Acque) presieduto da Roberto Linetti.
Ma molte sono le incognite sul futuro del Consorzio. Che si trova spesso in contrasto con le imprese sue azioniste, Mantovani, Condotte, Fincosit. Che chiedono soldi e lavoro, ma vedono il progetto andare a rilento.Dopo gli arresti e il commissariamento, il meccanismo dei finanziamenti è stato modificato. Non più mutui pagati automaticamente dalle banche, ma fondi che fanno parte del bilancio dello Stato. Che spesso arrivano in ritardo.
Il Consorzio insomma, dopo aver tagliato incarichi e spese - anche alle sue imprese - si trova adesso in difficoltà per la gestione dei pagamenti e della cassa. Le banche rifiutano di finanziare senza garanzie precise. E il nervosismo delle imprese, abituate negli anni passati ad avere lavori per centinaia di milioni di euro l'anno, aumenta.Aumenta anche la conflittualità legale. Pendenti in Tribunale al Tar ricorsi sui bilanci e sugli atti della Convenzione. Richieste di danni da parte del Consorzio alle imprese, delle imprese al Consorzio. Situazione intricata per cui i commissari devono governare una barca costruita e messa in mare da altri. Per il futuro del Consorzio (e dei commissari) si annuncia un autunno molto caldo.

«Dopo dieci anni il Consiglio di Stato respinge il ricorso del Wwf su Malamocco e dà ragione al Consorzio Venezia Nuova». La Nuova Venezia, 25 agosto 2017 (m.p.r.) con riferimenti

«I cassoni si devono fare in laguna, per ragioni occupazionali». Era stata questa la motivazione addotta dalla Commissione di Salvaguardia, presieduta allora dal presidente della Regione Giancarlo Galan, per sistemare l'enorme cantiere del Mose sulla spiaggia di Santa Maria del Mare. Milioni di tonnellate di calcestruzzo avevano trasformato la spiaggetta in un cantiere per la produzione dei cassoni, condomini in cemento oggi affondati alle tre bocche di porto per sostenere le paratoie. Era stato costruito anche un grande villaggio per gli operai, il territorio stravolto. Ricorsi all'Europa, tardive ammissioni che per realizzare quelle infrastrutture non tutti i vincoli di legge erano stati rispettati. Battaglia allora di minoranza condotta da coraggiosi ambientalisti, dal Comune e da pochi altri. Poi nel 2014 gli arresti e l'inchiesta penale. E la scoperta che molte di quelle denunce erano fondate.

Venezia. Il cantiere del Mose forse non era in regola. Ma il ricorso è stato presentato «tardivamente». E anche annullando oggi quella delibera della Regione che autorizzava il progetto, «i ricorrenti non ne trarrebbero alcun vantaggio». Sono le motivazioni, per certi versi sorprendenti, con cui il Consiglio di Stato mette la parola "fine" al contenzioso tra Comune e Wwf da una parte, Regione, ministero delle infrastrutture e Consorzio Venezia Nuova dall'altra.

Una sentenza che arriva dodici anni dopo i fatti, dieci dopo il ricorso presentato dal Wwf sulla illegittimità di quella decisione, già bocciato in primo grado dal Tar del Veneto nel 2008. In mezzo è passato di tutto. Una grande inchiesta penale che ha dimostrato come molti dei pareri favorevoli al Mose fossero viziati dalla corruzione, come molti si siano arricchiti con il denaro dello Stato. Quasi conclusa l'inchiesta penale, ancora in corso i processi della Corte dei Conti che chiede la restituzione di milioni di euro ai protagonisti della vicenda, adesso arriva la sentenza.«Ricorso che va respinto», scrivono i magistrati Giuseppe Severini (presidente), Roberto Giovagnoli, Claudio Contessa, Valerio Perotti e Stefano Fantini. E condannano il Wwf al pagamento delle spese, 5 mila euro.
È stata accolta dunque dopo molti anni la tesi del Consorzio Venezia Nuova, allora difeso dagli avvocati Alfredo Biagini, Angelo Clarizia e Benedetto Giovanni Carbone. Respinta quella dei legali dell'associazione ambientalista (Alessio Petretti, Angelo Pozzan e Alfiero Farinea) che ricordava le violazioni di legge commesse dalla Regione - nella mancata acquisizione del parere paesaggistico - e l'eccesso di potere. «Non può ritenersi», scrivono i giudici amministrativi di secondo grado, «che l'associazione appellante potrebbe conseguire una effettiva utilità dall'eventuale annullamento della sola delibera della Commissione di Salvaguardia del 31 luglio 2007, perché un tale annullamento non determinerebbe comunque lo spostamento della contestata localizzazione».
Non basta, perché secondo i giudici il Wwf non ha nemmeno titolarità per ricorrere e non ha formulato in modo esplicito la richiesta di risarcimento danni ambientali». Sentenza che farà discutere, anche per l'inedita tempistica. Nove anni di ritardo per chiudere una vicenda che nel frattempo ha mutato contesto. Ed è stata ampiamente trattata nelle aule dei Tribunali. L'episodio sollevato dal Wwf era stato contestato anche dal Comune, allora guidato da Massimo Cacciari, che all'epoca aveva ingaggiato un braccio di ferro proprio sull'utilità del Mose, proponendo alternative poi scartate. Esprimendo parere contrario alla decisione dalla Regione del ministero di cementare la spiaggia di Santa Maria del Mare per installarci i l cantiere dei cassoni del Mose.


Riferimenti
In linea con la sentenza, addirittura anticipandola, il Consorzio Venezia Nuova ha stipulato una convenzione triennale con lo IUAV e MIT di Boston per studiare come riutilizzare l'area ora sommersa dal cemento un tempo tra le più belle della laguna, in barba all'impegno preso di smantellare l'opera “temporanea alla chiusura del cantiere. Si veda su eddyburg: Summer school Iuav nel villaggio MoSE e Piattaforma del Mose esposto in corte dei conti

Le autorità cittadine hanno assicurato che la prossima volta provvederanno a trasferire le cittadine e i cittadini veneziani in un campo provvisorio realizzato dagli amici libici del Sindaco tra Misurata e Bengasi. la Nuova Venezia, 14 agosto 2017



L'articolo e l'ordinanza sono autentici. La presentazione no (e.s.)la Nuova Venezia
VENEZIA. CIAK SI GIRA,
L'ORDINANZA PER LE RIPRESE
DEL FILM DI EASTWOOD
di Roberta De Rossi

«Tutto quello che occorre sapere durante i tre giorni di riprese del film del grande regista. Anche un vaporetto utilizzato per le sequenze»


VENEZIA. Il Comune di Venezia ha emanato la ordinanza per la regolamentazione della viabilità acquea in Canal Grande e in alcuni rii della Ztl interna al Centro storico di Venezia per consentire lo svolgimento delle riprese cinematografiche del film di Clint Eastwood “The 15:17 to Paris”.


Mercoledì 16 agosto 2017 vengono riservati in esclusiva per l'ormeggio delle unità di servizio impiegate per le riprese cinematografiche: dalle ore 7.30 alle ore 13.00 il tratto di riva pubblica dell'ex “Direzione Compartimentale Ferrovie” compreso tra l'ormeggio riservato alle unità Granturismo, alle quali comunque deve essere consentito l'approdo, e il Ponte della Costituzione; dalle ore 9.00 alle ore 13.00 il tratto di riva pubblica di Piazzale S. Lucia compreso tra le fermate Actv- linea 1 e linea 2, rive pubbliche n° 020 20-21-22-23; dalle ore 13.30 alle 15.30 circa è autorizzata la circolazione in Canal Grande, da Piazzale Roma a S. Angelo, di un vaporetto Actv impiegato esclusivamente come unità di scena. Nella fascia oraria immediatamente precedente è consentito lo stazionamento del vaporetto presso l'approdo riservato in Bacino S. Chiara, giusta concessione PMV n° 69947/2015, per il carico del personale e delle attrezzature tecniche; sono anche consentite le manovre di cambio direzione di marcia, in Canal Grande all'altezza del Bacino S. Chiara e Canale Scomenzera e all'altezza della confluenza con il Rio di S.Polo; è autorizzato, visto il parere positivo della Direzione Navigazione di Actv, l'uso del pontile della fermata di linea “S. Samuele”, per l'imbarco-sbarco degli addetti dalle imbarcazioni di servizio, l'eventuale trasbordo di carichi non trasportabili a mano dovrà invece avvenire dalla riva pubblica a fianco della fermata; l'uso del pontile PMV a S. Chiara, della suddetta fermata e la navigazione del vaporetto, sono subordinati allo svolgimento del servizio di trasporto pubblico di linea, rimangono valide in particolare le disposizioni di transito nel tratto di canale circostante il ponte di Rialto; dalle ore 16.00 alle 22.00 le rive pubbliche n° 083-12 di Campo S. Vidal e F-083-005 e n° 083-09, di Fondamenta Barbaro in Rio dell'Orso, vengono riservate in esclusiva allo stazionamento delle unità di servizio impiegate per le riprese.
Inoltre si dovrà garantire il funzionamento del servizio gondola da nolo ubicato in Canal Grande-Campo S.Vidal,
- le rive in Rio dell'Orso dovranno essere usufruite consentendo la movimentazione delle gondole con stazio presso la testata del rio; durante la fascia oraria di ormeggio alle rive vengono temporaneamente sospese le occupazioni di spazio acqueo in Rio dell'Orso n° 54747/2013 e n° 63428/2014, i concessionari interessati dovranno provvedere allo spostamento delle imbarcazioni; è autorizzato il transito in Rio del Santissimo, fino all'edificio del Conservatorio, delle unità di servizio e da trasporto, che dovranno comunque permettere in qualsiasi momento il transito di altre imbarcazioni.

Giovedì 17 agosto 2017: dalle ore 09.00 alle ore 13.00, il pontile pubblico P028-030 in Canal Grande-Campo dell'Erbaria a Rialto è riservato in esclusiva allo stazionamento delle unità di servizio
impiegate nelle riprese; dalle ore 13.00 alle ore 15.30 circa, è autorizzata la circolazione in formazione raggruppata in Canal Grande, da Campo dell'Erbaria a S. Maria del Giglio, di una gondola di scena, di non oltre tre imbarcazioni da trasporto e non oltre tre unità in servizio pubblico di noleggio con conducente; nel tratto di Canal Grande da Campo dell'Erbaria all'incrocio con il rio di S. Luca si dovranno rispettare le disposizioni di transito vigenti, navigando in fila indiana in prossimità della sponda lato S. Polo-Riva del Vin e con unità distanziate l'una dall'altra; dalle ore 16.00 alle ore 21.00, nel tratto di Canal Grande compreso tra gli approdi Actv “S. Maria del Giglio” e “Salute”, imbarcaderi esclusi, viene autorizzato lo stazionamento operativo di una gondola e di quattro unità tipo “taxi“ di scena; è brevemente interrotto il traffico acqueo, per periodi ripetuti di massimo 3 minuti alla volta, facendo in modo di non ostacolare il servizio di trasporto di linea, mentre il servizio di traghetto gondole dovrà cadenzare i passaggi secondo le brevi limitazioni; l’interdizione temporanea della viabilità acquea è subordinata alle esigenze di transito dei mezzi del Pronto Intervento in servizio di emergenza; il personale della società dovrà richiedere la vigilanza e concordare con la Polizia Municipale l’attività disegnalazione delle aree interdette al transito; dovrà comunque provvedere costantemente alla delimitazione e segnalazione dell'area e all'esposizione della segnaletica indicante la temporanea chiusura della viabilità acquea e alla relativa rimozione una volta ultimate le riprese; dalle ore 13.00 alle ore 21.30, è riservata in esclusiva allo stazionamento delle unità di servizio la riva F087-005, in Rio della Vesta-bacinetto della Fenice, da Ponte Maria Callas alla calle del Piovan; durante la stessa fascia oraria è sospesa l'occupazione di spazio acqueo n° 9627/1995, il concessionario interessato dovrà provvedere allo spostamento dell'imbarcazione.

Venerdì 18 agosto 2017: dalle ore 14.00 alle ore 21.30, sono riservati in esclusiva allo stazionamento delle unità di servizio il pontile pubblico comunale del Molo di San Marco-”Todaro” e la riva n° 92-010 di Calle dell'Ascension nel rio dei Giardinetti; nella riva di Calle dell'Ascension dovrà essere consentito l'approdo alle unità Veritas per il carico dei rifiuti solidi urbani dall'area Marciana.

Altre disposizioni e prescrizioni: nei giorni 16-17-18 agosto durante la fascia oraria giornaliera delle lavorazioni, dalle 7.30 alle 21.30 circa, è autorizzata la circolazione in Canal Grande delle unità di servizio opportunamente identificate, sia adibite al trasporto cose che a noleggio con conducente per il trasporto persone; è consentito anche il transito sotto il ponte di Rialto (tra i rii del Fontego dei Tedeschi e di S. Salvador), rispettando il senso unico di marcia in direzione Ca' Foscari dalle ore 12.00 alle ore 15.00, osservando la precedenza alla circolazione dei mezzi dei servizi di trasporto pubblico e in maniera che sia sempre possibile la normale viabilità; tutte le unità dovranno essere impiegate in conformità alle normative vigenti in base alla categoria di trasporto di appartenenza, secondo quanto stabilito dai documenti di navigazione e dalla Legge Regionale n. 63/93; i responsabili delle riprese dovranno concordare con Polizia Municipale la presenza di agenti per provvedere al controllo del traffico e in ogni caso adeguare le operazioni alle direttive comunicate sul posto.

Agli appetiti sempre più grandi degli investitori privati risponde uno s-governo della città pubblico che infrange ogni regola urbanistica ed edilizia. L'autorità preposta alla tutela dei beni culturali tacerà ancora una volta? la Nuova Venezia, 11 agosto 2017 (m.p.r.)

Una terrazza panoramica sui tetti delle Procuratìe Vecchie, con affaccio su Piazza San Marco, simile a quella realizzata al Fontego dei Tedeschi con vista sul ponte di Rialto e sul Canal Grande dal gruppo Benetton con l'archistar olandese Rem Koolhaas. È il clamoroso progetto che Assicurazioni Generali - con l'amministratore delegato Philippe Donnet - avrebbero in mente per "valorizzare" ulteriormente il complesso monumentale all'interno dell'intervento di ristrutturazione già in corso (seguìto dall'architetto Gretchen Harnischfeger Alexander) che prevede il frazionamento degli spazi un tempo riservati agli uffici della compagnia assicuratrice separate a uso direzionale di uso pubblico.

Il progetto già annunciato da Donnet ma non ancora presentato ufficialmente - dovrebbe avvenire ai primi di ottobre - e concordato con il Comune prevederebbe che questi spazi possano essere ceduti a grandi imprese internazionali, in una cornice come quella di Venezia e dell'area marciana. Ma anche attività di ricerca - legate anche a una fondazione che si occuperebbe anche di sostenibilità ambientale - e di tipo culturale, con una possibile area espositiva. E se Benetton ha chiamato un archistar come Koolhaas per la terrazza panoramica del Fontego, Generali avrebbero pensato a un'altra archistar per quella delle Procuratìe: l'architetto britannico David Chipperfield, già direttore della Biennale Architettura e già autore a Venezia del progetto di allargamento del cimitero di San Michele e di quello preliminare di restauro e riallestimento dell'ala storica delle Gallerie dell'Accademia.
La terrazza panoramica su Piazza San Marco sarebbe funzionale agli eventi "interni" organizzati dalle Generali nelle Procuratìe per i suoi ospiti e non avrebbe dunque un uso pubblico. Ma essi potrebbero appunto godere dall'alto della vista incomparabile della Piazza.Sulla proposta di realizzare sui tetti delle Procuratìe Vecchie una terrazza panoramica ci sarebbe già stato un incontro preliminare con la Soprintendenza veneziana, che non sarebbe però favorevole al via libera. Generali si baserebbe sul fatto che sui tetti delle Procuratìe ci sono già una piccola terrazza e alcune altane in legno e ferro, già a suo tempo rifatte in un precedente intervento di restauro compiuto dall'impresa Innocente & Stipanovich su progetto e sotto la direzione lavori dell'architetto Giampaolo Mar (tra l'altro padre dell'attuale assessore al Turismo Paola Mar, che a suo tempo fu anche autrice di una ricerca storico documentaria per lo studio di fattibilità per il restauro e la ristrutturazione delle Procuratie Vecchie).
La richiesta sarebbe dunque quella di trasformare la terrazza questo sistema di altane già esistenti in un'unica terrazza, rialzata, che permetta appunto la vista della Piazza. E le Generali, per convincere la Soprintendenza, si sarebbero fatte forti del precedente "Fontego dei Tedeschi". Se i Beni culturali hanno già detto sì alla realizzazione della terrazza sul tetto del cinquecentesco edificio, non dovrebbero opporsi all'analoga richiesta delle Generali, che stanno investendo molto in città e nell'area marciana anche con il finanziamento del rifacimento dei Giardinetti Reali. Ma al di là del cambio dei dirigenti - la soprintendente che ha seguito il progetto del Fontego era Renata Codello, mentre al suo posto c'è ora Emanuela Carpani - la Soprintendenza avrebbe finora fatto muro, limitandosi a concedere, per quanto riguarda la copertura delle Procuratie, la sistemazione degli spazi già esistenti. Un rifiuto non bene accetto, mentre intanto i tempi stringono e Generali - pur ancora senza tutti i tasselli a posto - dovrà a fine estate presentare il suo progetto.

Tutto vero, ma l'Onu, cioè l'Unesco che ne è l'agenzia specializzata, risponde alle denunce dei veneziani critici prendendo per buone le parole di Brugnaro, il peggior sindaco che la città abbia avuto. Corriere della sera, 5 agosto 2017, con riferimenti

Aiuto! C’è un complotto mondiale contro Venezia! Pare impossibile ma è questa la reazione di vari serenissimi amministratori e notabili al duro reportage del New York Times sulla città. Bellissima ma stravolta da un turismo asfissiante e da un malinconico degrado.

Come se ogni denuncia, ogni foto, ogni grido d’allarme non fossero già stati sbattuti in prima pagina, grazie a Dio, dai giornali nostri, nazionali e locali. E non per suicida masochismo: per salvarla, Venezia. Certo, non è la prima volta. Basti ricordare il fastidio che per anni manifestarono i politici veneziani, dediti a spazzar la polvere sotto il tappeto, davanti alle intemerate del «foresto» Indro Montanelli, querelato per aver annunciato ad alta voce ciò che poi sarebbe successo.
Ricorderà cinque anni prima di andarsene: «Come scrissi in tempi lontani, e come ormai mi sono stancato di ripetere, Venezia non aveva, per restare Venezia, che una scelta: mettersi sotto la sovranità ed il patronato dell’Onu per riceverne il trattamento, che certamente le sarebbe stato accordato, dovuto al più prezioso diadema di una civiltà non italiana, quale la Serenissima mai fu né mai si sentì, ma europea e cristiana, intesa unicamente alla conservazione di se stessa, quale tutto il mondo civile la vorrebbe». Macché, sordità totale. «Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: un turismo di massa con la merenda al sacco, che fa i suoi bisogni sotto i loggiati».

Veneziani in estinzione
Lo scriveva nel 1996. Odiava Venezia? O al contrario la amava disperatamente come solo gli amanti col cuore spezzato sanno amare? E Lisa Gerard-Sharp, l’inviata del National Geographic che un anno fa si chiese se «chi come me ama Venezia con coscienza, ha il diritto di incoraggiare altri a visitarla?». Scrisse: «Noi turisti siamo così “tossici” che sarebbe meglio rimanere a casa e cenare da “Pizza Express” dove i proventi della pizza Veneziana sostengono i restauri di Venice in Peril». «Attaccava» Venezia o puntava a salvarla? Evviva il turismo, ma farsene travolgere è folle. Tutti i giorni che Dio manda in terra l’antica farmacia di Andrea Morelli, in campo San Bartolomeo, aggiorna un pannello luminoso coi dati dell’anagrafe.

Una missione civile. Ieri i residenti del cuore cittadino erano scesi a 54.579. E molti, potete scommetterci, sono residenti solo fittizi perché costretti a rispettare le regole dei B&B. Che raccolgono milioni e milioni di visitatori ammucchiati sfatti nell’afa. I quali possono contare su nove bagni pubblici nella città serenissima più uno a Torcello, uno a Murano, uno a Burano. Totale dodici. Per 28 milioni di turisti l’anno che nel 2017 potrebbero crescere ancora.

Caduta di tono

E tutti i giorni il nostro Corriere del Veneto, il Gazzettino, la Nuova Venezia, documentano con foto, video, articoli il progressivo degrado. Ragazzotti che fanno il bagno smutandati nei canali, poppute cortigiane slave in finto costume settecentesco che adescano i passanti «vieni bello fare foto!», venditori di cianfrusaglie cinesi «made in Venice», signore disinibite evacuanti nei canali o addirittura sul pavimento di una enoteca, ciccioni desnudi che solcano la folla con la panza a prua, ingorghi di motoscafi e gondole e vaporetti, cataste di spazzatura sfuggite alla raccolta di trenta metri cubi quotidiani di «scoasse»...

Travolta dalle orde

«Che resti tra noi», intimava il titolo di un film francese di una ventina d’anni fa. E «resti tra noi» pare l’ordine di servizio lanciato da chi crede che l’«immagine» e la realtà virtuale vengan prima di tutto il resto. Compreso il rispetto di noi stessi. Ed ecco il fastidio per l’allarme lanciato nel 2015 sull’eccesso di turisti («Non vogliamo diventare come Venezia») da Ada Colau, sindaco di Barcellona, città che registra più o meno lo stesso numero di presenze ma ha 29 volte più abitanti su una superficie immensamente superiore. Rispose allora il sindaco Luigi Brugnaro: «Invitiamo il sindaco Ada Colau a venire a Venezia. Potrà essere l’occasione per mostrarle le bellezze della città e magari per farle cambiare idea sul fatto che Venezia è viva e vuole vivere, come città che incontra il mondo». Certo che è bellissima, Venezia! Ma che c’entra con l’allarme sulla overdose di visitatori e di alberghi, locande e B&B più o meno regolari, più o meno abusivi? Dario Franceschini andò addirittura oltre e pur ammettendo che «a Venezia c’è un problema di sovraffollamento», sbottò: «A Barcellona dovrebbero baciarsi i gomiti per poter diventare come Venezia». Ovvio. Ma magari non travolta dalle stesse orde.

L’occhio dei giornali stranieri

Va da sé che i reportage del Guardian («Quest’estate andate a Venezia? Non dimenticate la mascherina anti-smog») e dell’Economist sull’inquinamento causato dalle grandi navi e soprattutto quello più generale del New York Times hanno scottato la pelle di tanti amministratori e operatori turistici locali. Sia chiaro: tutto si può fare meglio e qualche sbavatura sarà sfuggita agli autori. Philip Rylands, a lungo direttore della fondazione Guggenheim, ha detto di averlo trovato «facilone e frettoloso» pur essendo la situazione «assai complessa». Ma ha senso parlare di un complotto? Eppure questa è la tesi dell’assessore al turismo Paola Mar rivelata al Gazzettino: «C’è una regia dietro questa campagna di stampa mondiale contro Venezia». Bum! Una congiura? «Certo che c’è una regia. Magari qualcuno che passa informazioni alla stampa estera magari proprio da qui. Qualcuno cui fa piacere abbattere le iniziative che Venezia sta attuando».

Una svolta

Indimenticabile il commento di Vittorio Bonacini, presidente degli albergatori veneziani: «Un’operazione tristanzuola di marketing per vendere più copie sulla pelle della città». Ma dai! E il New York Times, che dopo l’elezione di Donald Trump ha guadagnato 250 mila nuovi abbonati lancerebbe gli allarmi su Venezia «per vendere più copie sulla pelle della città»? Mostrino una svolta vera e profonda, a Venezia, e sarà loro riconosciuta. Con squilli di tromba. Fino ad allora, come dimostrano le cronache non planetarie ma locali, peseranno come macigni le parole scritte in Un viaggio in Italia da Guido Ceronetti: «C’è qualcosa d’immorale nel non voler soffrire per la perdita della bellezza, per la patria rotolante verso chi sa quale sordido inferno di dissoluzione, non più capace di essere lume nel mondo».

Riferimenti
Si veda, in proposito all'auspicato intervento dell'Onu, l'articolo Ultimatum Unesco per Venezia

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