Le molte ragioni per cui la decisione dell'immobiliarista-sindaco Brugnaro di collocare un palasport e un albergo all'imbocco del ponte per Venezia è un errore strategico
Già nel 1988 la localizzazione del nuovo ospedale - prima progettato dalla giunta di sinistra sopra e al posto del Bosco di Mestre (l’ultimo residuo della foresta planiziale), poi riproposto dalla giunta di centro destra presso il margine della Laguna) - fu decisa dalla giunta rosso-verde valutando tre alternative (a nord presso il Bosco, a est verso la Laguna e a ovest verso l’entroterra con una nuova fermata lungo la linea ferroviaria): quest’ultima venne approvata all’unanimità dal consiglio comunale e i terreni acquistati a prezzo agricolo e successiva variante urbanistica.
Ora si pone un problema analogo, ma la proposta dell’amministrazione ha una natura, una logica e dei moventi radicalmente diversi. L’imprenditore Brugnaro (poi diventato sindaco) aveva acquistato nel 2006 un grande terreno prodotto da un imbonimento di una porzione consistente (42 ettari) della Laguna denominato “ai Pili”, che era stato dismesso dal demanio statale e acquisito dall’allora imprenditore Brugnaro per una cifra molto contenuta (5 mln €), proprio perché gravemente inquinato da residui industriali). Il sindaco di allora Cacciari, non capì l’importanza di acquisire la “Porta di Venezia” e rinunciò ad esercitare, come avrebbe potuto, il diritto di prelazione.
Oggi il sindaco Brugnaro propone di costruire proprio sui terreni da lui stesso acquisiti come imprenditore al prezzo surriportato un Palazzo per lo sport e per eventi per 15.000 persone con altre lucrose attività connesse.
L’area dei Pili è collocata a Sud-Ovest dell’ingresso del Ponte della Libertà. A Nord-Ovest, in margine della Laguna. Nell’area di gronda a fianco nel 1990 la giunta rosso-verde ha avviato la realizzazione del grande parco di S.Giuliano affacciato sulla laguna; il Piano paesaggistico ambientale (PALAV), con norme in salvaguardia dal 1986 approvate nel 1995, ha vincolato l’area della “Porta di Venezia” come “Area di interesse paesistico ambientale con previsioni urbanistiche vigenti confermate” dove deve essere “verificata la compatibilità delle nuove realizzazioni con l’ambiente naturale”.
Ma una variante al PRG adottata nel 1999 (giunta Cacciari, ass. D’Agostino) approvata nel 2004 destina l’area a Verde Urbano Attrezzato con moltissime funzioni (anche ricettive) e un indice di edificabilità territoriale molto alto (0,5 mq/mq).
Il Piano di Assetto del Territorio (PAT) adottato nel 2012 e approvato nel 2014 (Giunta Orsoni ass. Micelli) conferma queste funzioni e questi indici (respingendone la riduzione proposta dal M5S).
L’associazione Venezia Cambia ha proposto per il nuovo Piano degli Interventi la destinazione dell’area dei Pili a “parco di servizio pubblico, ad elevata caratterizzazione naturale … nelle aree di affaccio sulla laguna va ammessa la possibilità di inserimento di funzioni aggiuntive sportive-ricreative, ma solo all'aria aperta (senza volumi)” ma la discussione in Consiglio Comunale dal settembre 2017 ad oggi è stata sempre rinviata.
Sulla proposta del sindaco Brugnaro di realizzare il Palazzo da 15.000 utenti con altri edifici annessi sui suoi terreni è ovviamente divampata una accesa polemica, che innanzitutto evidenzia il suo conflitto di interessi.
Ma sulla proposta non possono bastare le sole verifiche specifiche:
1) verifica del coinvolgimento dell’area sul vincolo di rischio rilevante (legge Seveso)
2) verifica della mancata messa in sicurezza del suolo con dilavamento delle acque radioattive e di mancato trattamento delle falde sotterranee, (deve intervenire il Ministero dell’Ambiente che però non risponde alle interpellanze e l’Avvocatura di stato per dirimere il contenzioso economico), necessità di una bonifica complessa e molto onerosa.
3) verifica della incompatibilità urbanistica e paesaggistica (con PAT e PALAV); nel verde urbano (sia pur attrezzato) non si può fare un palazzo per sport ed eventi per 10.000-15.000 persone: occorrerebbe una variante urbanistica, approvata dalla maggioranza, che moltiplicherebbe il valore del terreno del sindaco di 30-40 volte legalizzando una enorme speculazione (a meno che il sindaco non ceda i terreni al Comune al prezzo di acquisto).
4) comunque è assurdo variare proprio l’affaccio alla gronda lagunare previsto a Verde fin dal progetto del Parco di S.Giuliano portandovi una grande attrezzatura con altre strutture a fianco: in rispetto del PALAV comunque occorre avere l’approvazione della Soprintendenza per gli aspetti paesaggistici e ambientali.
5) un ulteriore grave problema da affrontare è l’accessibilità: non si può congestionare al massimo proprio l’accesso a Venezia, oltre a tutto il PAT prevede a fianco anche un terminal.
Se si vuol affrontare in fretta il problema occorre che l’amministrazione comunale elabori e compari al più presto tutte le “ragionevoli alternative” di localizzazione: nel 1988 è stata decisione volontaria ma ora, per le grandi opere di interesse pubblico, è norma di legge ( V.I.A. e nuovo Codice degli appalti).
Occorre inoltre verificare le proposte in rapporto alla recente applicazione della legge regionale sulla riduzione del consumo di suolo: bisogna individuare una scelta territoriale strategica senza nuovo consumo di suolo agricolo.
In particolare le aree di Marghera sud già urbanizzate (alcune già disponibili, altre dismesse da tempo) possono essere integrate con nuovi insediamenti di riqualificazione urbana, anche con una attrezzatura che richiede una grande accessibilità, che andrebbe quindi connessa al massimo con i trasporti pubblici, con il tram (prolungato) e con le grandi arterie stradali extraurbane (per i mezzi privati).
Ma di tutte queste problematiche non c’è traccia nell’ordine del giorno approvato dalla maggioranza (e, sbagliando, anche da due consiglieri del M5S) che esprime un parere preventivo positivo “per la realizzazione di un Palasport e servizi nell’area dei Pili viste le destinazioni e le potenzialità urbanistiche dell’area”.
C’è solo da sperare che gli organi tecnici comunali, regionali e della soprintendenza sappiano svolgere il proprio compito correttamente nel rispetto delle norme vigenti.
la Nuova Venezia, 8 febbraio 2018. Ancora sui danni, ambientali ed erariali, provocati dalla folle sventura del progetto Mose e dalla sua perversa storia. con riferimenti
ECCO LE DIECI CRITICITÀ
SERVONO 100 MILIONI
«I guai messi nero su bianco dai commissari, relazione al Governo»
Venezia. Corrosione e ossidazione delle cerniere. Buchi nei tubi sott'acqua. «Steli» da sostituire, cedimento dei cassoni sul fondale delle bocche di porto. E poi la lunata, la diga al largo danneggiata che rischia di crollare ancora. Il jack-up, nave attrezzata costata 52 milioni di euro che ancora non funziona, i sedimenti e i detriti che si accumulano sul fondale in quantità «superiore al previsto».Un corposo dossier sulle criticità del Mose è stato inviato dai commissari straordinari del Consorzio Venezia Nuova al ministero delle Infrastrutture e al Provveditorato alle Opere pubbliche, l'ex Magistrato alle Acque.
Per la prima volta vengono messi per iscritto dagli stessi responsabili guai e problemi operativi da affrontare con urgenza, lavori fatti male, emergenze che hanno bisogno di essere risolte per provare a concludere, pur con ritardo, la più grande opera italiana in costruzione. «Per risolvere le criticità riscontrate», scrivono l'avvocato Giuseppe Fiengo e l'ingegnere Francesco Ossola, amministratori straordinari del Consorzio, «ci vorranno almeno 94 milioni di euro». In mezzo ai problemi di finanziamento, ma anche delle necessità di trasparenza e di maggiori controlli dopo lo scandalo e gli arresti del 2014, siamo adesso a un punto di svolta della grande opera. Sarà possibile sistemare i guasti che emergono ora in modo ufficiale e i lavori «non fatti a regola d'arte» senza bloccare il destino del Mose? Sono dieci i punti critici segnalati nel dossier, con schede e fotografie che ne descrivono la natura e l'entità.
Previsioni di spesa per riparare i guasti, somma finale che si avvicina ai 100 milioni di euro. Una cifra che si aggiunge ai 5 miliardi e mezzo di euro già spesi, agli 80 richiesti ogni anno per la manutenzione. Riguardano il fenomeno della «risonanza», messo in luce dagli esperti e dalla società Principia; l'accumulo dei sedimenti «superiore al previsto» nella schiera di paratoie di Treporti. Un problema che, ammettono i dirigenti del Consorzio «ha effetti sul buon funzionamento delle paratoie interessate all'accumulo». Ma le criticità più gravi si riferiscono a i cedimenti del fondale e dunque alla «tenuta» dei giunti di collegamento fra i cassoni che sostengono le paratoie. «Nei giunti Gina e Omega» ci potrebbero essere deformazioni, con la necessità di sostituirli».
Una perizia è stata affidata alla società olandese Trolleberg e al professor Mattia Crespi dell'Università di Roma. Una «protezione supplementare» dovrà essere prevista anche per le cosiddette «barre di inghisaggio», nell'elemento femmina della cerniera, costruito dentro il cassone sott'acqua. Un elemento che ha grande importanza sulla tenuta dell'intero sistema, perché in pratica sostiene le paratoie. La soluzione individuata qui dagli esperti (Valentinelli, Paolucci e Ramundo) è quella di applicare una «pasta protettiva» sulla cerniera. Ed ecco al capitolo 5 la parte più delicata, oggetto anche di polemiche nei mesi scorsi. Adesso la relazione finale degli ingegneri ammette l'esistenza di problemi sul fronte della corrosione, e la necessità di correre ai ripari. «Durante i sopralluoghi», dice la scheda, «si sono riscontrati fenomeni di corrosione sugli elementi costituenti i gruppi di tensionamento, e in particolare sui tensionatori di Treporti».
La decisione finale della commissione (i professori Ormellese e Mapelli del Politecnico di Milano, l'esperto del Provveditorato ingegner Paolucci ed esperti internazionali in corrosione) è stata quella di cercare «steli sostitutivi», stavolta in «acciaio superduplex» al posto degli elementi originali.Il problema è il costo. Per sostituire le parti che non vanno sarà necessaria una spesa aggiuntiva di 34 milioni di euro. I tensionatori sulle quattro barriere di paratoie già installate alle bocche di porto sono infatti 156, più otto di «riserva». Dovranno essere sostituiti in occasione della manutenzione della paratoia (ogni cinque anni). Altri 3 milioni e 200 mila euro serviranno per riparare i tubi danneggiati sott'acqua. Nella bocca di porto di Malamocco un'ispezione del direttore lavori aveva scoperto l'esistenza di perdite nelle tubazioni sott'acqua e di ossidazioni. La causa, secondo le imprese Glf Grandi Lavori Fincosit che hanno eseguito i lavori a Malamocco, la mareggiata del febbraio 2015 con l'allagamento dei cassoni, non ancora ultimati. La Glf ha chiesto al Tribunale il rimborso per «l'evento eccezionale». Il giudice non ha ancora deciso e i lavori sono stati sospesi. L'incarico di riparare i tubi danneggiati è stato dato alla Technital - gruppo Mazzi - la società di Verona progettista del Mose
LA LUNATA A RISCHIO CROLLO
E IL JACK-UP DA 52 MILIONI
«La strategia per rifare lavori sbagliati. Al Lido la diga di sassi era franata 5 anni fa. Adesso si scopre che l'erosione la minaccia di nuovo. Cause e perizie infinite»
Venezia. È stata pensata «troppo piccola». E il Porto non la può usare per l'accesso in laguna delle grandi navi. Ma è danneggiata, e inutilizzabile anche per le navi medio piccole. La conca di Malamocco, altra grande incompiuta delle opere in laguna, è una delle dieci «criticità» segnalate al ministero. Situazione complicata.
La conca. Senza contare i nuovi progetti necessari al Porto - off shore e «mini off shore» a Malamocco - ci vogliono almeno 28 milioni di euro, stando alla scheda firmata dai responsabili del Consorzio, per riparare i danni e sostituire la porta lato mare della conca e «adeguare» la porta dal lato laguna. Anche in questo caso la «colpa» del danno viene attribuita a eventi meteorologici. «In occasione della mareggiata del 5-6 febbraio 2015», si legge nella scheda numero 6 - la porta lato mare della conca ha subito gravi danni, con conseguente disservizio». Consorzio e Provveditorato hanno allora dato incarico a esperti olandesi (l'istituto Marin) e alla società belga Sbe di progettare una nuova porta con le rotaie per lo scorrimento, 14 metri sotto il livello dell'acqua. E insieme l'adeguamento della porta lato laguna. Chi ha sbagliato? E chi pagherà i nuovi interventi?
Lunata. Altra emergenza - con annesso contenzioso legale e diffide incrociate tra Consorzio e imprese giacenti in Tribunale civile - la lunata di Lido. Qui la colpa è dello scirocco. E della perturbazione, si legge nella relazione tecnica, «che ha provocato il 31 ottobre del 2012 una violenta mareggiata con ingenti danni alla lunata di Lido». Non basta, perché un sopralluogo ha messo in luce «ulteriori criticità». Cioè i fenomeni di erosione in corrispondenza delle due testate, riparate dopo la mareggiata. Erosioni profonde anche tre metri, che mettono a rischio la staticità dell'intera opera. Altri due milioni di euro stanziati per le consulenze (professor Foti dell'Università di Catania, Ruol dell'Università di Padova, De Marinis e Tomasicchio del Provveditorato). E alla fine la decisione anche qui di intervenire su un progetto che evidentemente non aveva tenuto conto di alcune variabili. «Si farà un intervento di mitigazione dei fenomeni erosivi e di protezione del piede della testata», conclude la relazione.
Jack-up. Rizzuto, Micoperi e la società Rizzetti e Marino sono i consulenti a cui il Consorzio ha fatto ricorso per chiedere lumi sul non funzionamento del jack-up. Macchina costata 52 milioni di euro che doveva garantire lo spostamento e il trasporto delle paratoie dalle bocche di porto alla centrale di manutenzione dell'Arsenale. Progetto della Technital, messo in opera dalla padovana Mantovani. Il jack-up non si è mai mosso, per il cedimento di una gamba laterale e per problemi di stabilità in navigazione. Uno scandalo che poteva essere doppio. In origine il Consorzio di Mazzacurati e il Magistrato alle Acque di Cuccioletta avevano progettato di realizzare due jack-up. Oggi la posa delle paratoia è garantita da una semplice chiatta a noleggio.Affidabilità. L'ultima voce di spesa per risolvere una criticità che si annuncia strategica riguarda il «Controllo affidabilità complessiva del sistema». Occorrerà appunto garantire la gestione del ciclo di manutenzione delle paratoie, l'affidabilità dei mezzi e il funzionamento delle opere nel loro complesso. Impresa titanica, visti i precedenti.
Riferimenti
Alla tragica vicenda del -MoSE e dei suoi vergognosi contorni abbiamo dedicato numerosi articoli. Tra i più recenti rinviamo a quelli di Armando Danella, Progetto Mose. La vera soluzione,
che illustra la follia tecnica dell'irrealizzabile progetto, di Edoardo Salzano, Eddytoriale 174 di Eddyburg, e di Paola Somma La città del MoSE, che descrivono l'azione corruttrice e mistificatrice gestita dai responsabili e profittatori del progetto, di Paolo Cacciari, L'ingegnerizzazione della Laguna, e numerosi altri raggiungibili rovistando dell'Archivio tematico di eddyburg
Corriere della Sera on line, 5 febbraio 2018. Gli azzeccagarbugli della legalità formale. Il sindaco che "cede" le sue proprietà ad un blind trust ed ecco che formalmente è autorizzato a sponsorizzare gli investimenti sulle sue ex(?)aree. (m.p.r.)
«L’acquisto nel 2006, quei 44 ettari erano dello Stato. Il sindaco li ha acquistato per la cifra di cinque milioni. «Su quell’area non farò nulla», prometteva parlando dei suoi terreni. Ora spinge per costruire un palasport. Show in Consiglio tra lacrime e coppe».
«Su quell’area non farò nulla. Perché è giusto. Sarebbe un conflitto di interessi. Questo lo chiariamo subito. Molto chiaro». Manco il tempo che la consigliera pd Monica Sambo diffonda la registrazione del solenne giuramento fatto in campagna elettorale dal sindaco Luigi Brugnaro e si leva tra i «brugnariani» una cagnara tale da coprire un fracasso di trombe, oboe e sassofoni. Impossibile risentire quell’imbarazzante impegno. Quanto a lui, se ne è già andato. Lasciando al suo posto, sulla poltrona di primo cittadino al centro del consiglio comunale, un suo totem: la coppa del campionato di basket vinto dalla Reyer. La sua squadra. Che vorrebbe giocare nel suo palazzetto. Costruito sul suo terreno (inquinato). Col suo via libera. Lungo il ponte che porta alla sua Venezia.
Un conflitto di interessi che spacca la città, invelenisce le opposizioni e pare al contrario un banale dettaglio ai tifosi locali, compatti nello spellarsi le mani a ogni passaggio del sindaco col groppo in gola («abbiamo portato qui lo scudetto dopo 74 anni!») e nel coprire di «buuuu» ogni contestazione. Resta il tema: è opportuna, ammesso sia legale, la spinta d’un sindaco a costruire sul suo terreno un palasport che dovrebbe aprire un varco per costruire poi nei dintorni, accusano i nemici del progetto, «un albergo da 700 camere, un centro commerciale, una casa di riposo di lusso per anziani, villette e il casino spostato da Tessera»?
Sì, risponde lui. Non dicevano forse Vittorio Valletta e Gianni Agnelli che «quel che fa bene alla Fiat fa bene anche all’Italia» o Silvio Berlusconi che «quel che fa bene a Mediaset fa bene anche al Paese»? Lui, il figlio di un operaio di sinistra e di una maestra, laureato in architettura e capace di strappare due anni e mezzo fa la città alla sinistra, pare convinto: gli interessi suoi e quelli di Venezia, vedi coincidenza!, coincidono. Al centro della polemica, come è noto, ci sono 44 ettari di terreno abbandonato a destra del Ponte della Libertà andando verso Venezia. Un terreno che apparteneva allo Stato e che lo stesso Brugnaro comprò nel 2006, quando faceva solo l’imprenditore e pareva non avere mire politiche, per cinque milioni. Unica offerta: «Ma i soldi bisognava averli». In origine doveva essere destinata a «Verde Urbano Attrezzato», come le vicine aree del Parco San Giuliano. Poi hanno cominciato a farsi largo altre ipotesi. Più ambiziose. Come quelle esposte nello studio dell’architetto Luciano Parenti. Le cui proiezioni futuristiche hanno entusiasmato gli «sviluppisti» e gelato il sangue agli ambientalisti.
Rovente già in campagna elettorale, quando il futuro sindaco spiegava d’aver comprato quegli ettari «perché non finissero in mano ai soliti speculatori milanesi o romani (li gestirò quando avrò finito di fare il sindaco») il tema è diventato sempre più rovente. Fino a deflagrare un mese fa quando Nicola Pellicani e Andrea Ferrazzi, del Pd, nella scia d’una dura opposizione e di una serie di «voci» sugli appetiti lagunari di Ching Chiat Kwong, chiesero in un’interrogazione se questo celebre magnate di Singapore avesse fatto davvero un’offerta per l’acquisto dell’area per una cifra esorbitante: da 150 a 200 milioni di euro. O addirittura, sospettano Giovanni Pelizzato (lista civica Casson) ed Elena La Rocca (M5S), oltre 360. Un affarone, per un terreno che ne era costati cinque. «Vergognatevi! È un modo oltraggioso e diffamatorio di affrontare le questioni!», tuona «Gigio» Brugnaro nel consiglio comunale convocato dagli oppositori (13 contro 23 a destra) raccogliendo le firme. E accusa: «Sono cose che fanno scappare gli investitori». Giura: «Bastava una telefonata! Non occorrevano le firme! Comunque è l’occasione per dare un parere pubblico e un’indicazione chiara in primis ai proprietari dell’area». Voce dal pubblico: «Ma se el paron ti xe ti!»
Ah, sospira il sindaco, che bello se tutti collaborassero come ai tempi di John Adams e «i rancorosi e gli invidiosi la smettessero»! Ironie a sinistra, entusiasmo a destra: «Siiiiii! Così!». «Quali conflitti d’interessi, accidenti! Quali? Perdere soldi ogni anno per difendere il futuro, per quel che si riesce, del vetro di Murano? La Reyer? Ecco: la Reyer, il mio cuore e la mia passione, costa milioni di euro all’anno senza alcun contributo pubblico, ha fatto sognare generazioni di veneziani!». Ma come: rinuncia allo stipendio, non chiede rimborsi spese, paga i parcheggi «come i normali cittadini» e gli tirano fuori sempre i conflitti di interessi? «Ho costituito, per primo, un “blind trust” dove sono state fatte confluire tutte le azioni delle aziende che possedevo e che saranno gestite da un trustee newyorkese, l’avvocato Ivan A. Sacks». Il tutto «per distaccarmi completamente dalle mie aziende». Pensava che le «cattiverie» finissero. Macché: ancora lì, Felice Casson e i grillini e gli altri a dirgli che un «fondo cieco» può andar bene «per la gestione di azioni ma lui, il sindaco-padrone, sa benissimo che qualunque cosa faccia quei terreni sono suoi».
Del resto, lo sa anche lui: «ad oggi, che mi sia dato sapere, non è stato siglato alcun accordo con investitori nazionali o internazionali». Ha saputo infatti «da notizie pubbliche» che la «società proprietaria» («cioè sempre ti!», ridono in fondo alla sala) «non ha conferito incarichi a chicchessia». Però, spiega tra i sospiri dei tifosi, la Federazione del basket ha comunicato che d’ora in avanti gli impianti sportivi devono contenere almeno 15.000 spettatori. Va fatto. Altrimenti, addio… Quindi? «Credo sia giunto il momento che il gruppo proprietario dell’area si senta libero, anzi si senta obbligato, ad agire per dare una prospettiva di rilancio dell’area in questione anche nell’interesse di tutta la comunità». Tombola! Parla proprio della terra sua». E non gli chiedano, come sindaco, di requisire l’area che possiede: «Costerebbe al Comune decine di milioni…». Conclusione: «Mi auguro che da questa discussione si confermi l’intenzione di presentare progetti e piani di valorizzazione per il recupero dell’area dei Pili, al fine di un suo disinquinamento e di un suo sviluppo all’interno del quale, io spero vogliano inserirci il nuovo palazzo dello sport, il più bello e moderno possibile». E lui, il padrone, se proprio il consiglio comunale insistesse per fare il palazzetto lì? Ma basta, non ha più tempo per ‘ste cose. Mette a sedere la coppa, si gira e se ne va.
«Il prefetto Boffi: “Tutti possono venire a Venezia, ma non tutti assieme”»
Prima prova generale fallita, dunque. I controlli per limitare l'afflusso in rio di Cannaregio e nelle aree limitrofe hanno paralizzato mezza Cannaregio. Transenne e masse di gente accalcata in Lista di Spagna, all'Anconeta, in Ghetto. Qualche situazione di pericolo reale. Veneziani che non riuscivano nemmeno ad andare a casa. Ospiti degli alberghi bloccati, così come gli studenti che abitano in città che non potevano mostrare una carta d'identità. E la sicurezza li fermava.
Controllare i flussi una volta che i visitatori sono già arrivati dentro la città ha provocato disagi e contraccolpi. Anche se il Comune dice di avere «avvisato tutti per tempo».Signor prefetto, forse il problema va affrontato a monte.«Non abbiamo norme che ci consentano di fermare le persone e non farle entrare in città».Ma se mettiamo il semaforo dentro la città, si blocca tutto.«Infatti. Il problema c'è, e stiamo cercando di affrontarlo in queste ore. Abbiamo anticipato a mercoledì la riunione del Comitato per l'Ordine e la Sicurezza pubblica.
Controllare i flussi dentro questa città è complicato, le calli sono strette».Domenica c'è il volo dell'Angelo, prima vera domenica di Carnevale.«Il Comune ha accettato la nostra proposta di anticipare la manifestazione di un'ora, alle 11 e non più a mezzogiorno. Cerchiamo di disincentivare, questa è la parola giusta. Cioè di ridurre l'afflusso di pendolari giornalieri che vengono da distanze medio lunghe e arrivano in auto o in treno. All'inizio il Comune ha fatto qualche resistenza, la tradizione parla del Volo dell'Angelo sempre alla stessa ora, a mezzogiorno. Poi hanno capito».
Quante persone saranno ammesse in Piazza domenica?«I vigili del fuoco stanno lavorando per le ultime stime. Ma credo che il numero non potrà essere molto superiore alle 20 mila unità. Dunque, una capienza di molto ridotta rispetto allo scorso anno».Cosa ci dobbiamo aspettare?«Stiamo cercando di informare per bene, dovremo controllare bene i flussi. Tutti vogliono venire a Venezia, ma devono capire che non possono venirci tutti insieme, possono farlo anche in altri periodi più tranquilli dell'anno se vogliono godere la città. È importante che ci sia la consapevolezza che Venezia, città meravigliosa, la più bella del mondo, è vivibile in tanti altri giorni e non solo in occasione di questi grandi eventi».
Certo se si invitano gli ospiti con un programma nutrito e si fanno spettacoli nel cuore della città antica, la gente arriva in massa.«La gente vuol venire a Venezia, certo. Ma forse è ora di ripensare a qualcosa. Ripeto, la capienza della Piazza San Marco per questioni di sicurezza sarà quest'anno molto più ridotta, molto lontana dalle decine di migliaia di persone che arrivavano negli anni scorsi. Forse gli spettacoli in Piazza non hanno più molto senso e vanno ripensati».Ci sono altri provvedimenti in arrivo per domenica?«Le decisioni che saranno prese sono legate al controllo degli accessi e al contingentamento del numero di turisti che potranno essere presenti contemporaneamente in Piazza San Marco».A farne le spese saranno ancora una volta i residenti?«Ne parleremo nella riunione del Comitato per la sicurezza, convocato per mercoledì»
«A CANNAREGIO
TUTTO È ANDATO PER IL MEGLIO»
«Le manifestazioni di sabato e domenica a Cannaregio sono andate bene. All'interno dell'area dove avvenivano gli eventi gli spettatori si potevano muovere tranquillamente e c'erano tutti gli spazi per garantire, in caso di necessità, gli interventi dei soccorritori» sottolinea il questore Vito Danilo Gagliardi «I deflussi sono avvenuti regolarmente senza incidenti in considerazione anche del numero delle persone arrivate. Oggi (ieri ndr) ho in programma una riunione con i miei collaboratori per valutare tutti gli aspetti della manifestazione in vista del prossimo fine settimana. Il numero di spettatori che potranno entrare in piazza San Marco sarà stabilito in base ai criteri previsti dal decreto Minniti. Gli stessi usati per consentire l'accesso agli 11 mila sulle rive di Cannaregio.
Sarà tutto in proporzione».La proporzione vuole che quel numero per domenica, calcolate le varie uscite e corridoi di sicurezza, arrivi al massimo a 20mila spettatori per il volo dell'Angelo. Uno strappo alle regole sarà quello di portare quei 20mila a quota 25mila. Ma nessuna persona in più. Numeri ben lontani dagli 80mila degli anni scorsi, con punte che arrivarono anche a 90mila presenze alle 12 per il volo che tutti vogliono vedere. E che consentirono al Carnevale di Venezia di diventare la notizia di apertura dei telegiornali nazionali. E anche in tempo di terrorismo. Domani, durante la riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, saranno individuate le strategie per arrivare a quota 20mila.
Mentre gli anni passati si studiavano strategie per portare più gente possibile in centro storico, organizzando treni speciali. Domani diventerà ufficiale la decisione, studiata con Vela, di anticipare di un'ora il volo dell'Angelo. Questo per scoraggiare gli spettatori che arrivano all'ultimo momento per assistere in piazza allo spettacolo. Considerato che molti utilizzano i treni questo, sperano al Cospa, scoraggerà i meno "convinti" dell'alzataccia. In considerazione che ci potranno essere anche altri momenti in cui la piazza sarà off-limits, si stanno studiando spettacoli alternativi sparsi in altri luoghi della città. Abbozzo di un Carnevale diffuso che potrebbe essere la filosofia della festa del prossimo anno. Al Cospa, tutti, sono convinti che sia arrivato il momento di cambiare e anche Vela e il regista del Carnevale dovranno adeguarsi alle nuove misure di sicurezza considerato il periodo in cui viviamo. Sempre nella riunione di domani sarà deciso se reclamizzare in maniera forte i nuovi spettacoli oppure no. Questo perché c'è qualcuno, tra i responsabili della sicurezza e dell'ordine pubblico, che teme l'effetto contrario e che in città arrivino più spettatori in considerazione dei nuovi pro grammi. Altri invece sostengono che pubblicizzare al massimo le iniziative servirà a far allontanare un maggior numero di persone da Piazza San Marco.
Carnevale: niente caos e tutto bene. È il bilancio tutto in positivo del sindaco Luigi Brugnaro del primo week-end della festa, tracciato ieri a Ca'Farsetti, ridimensionando a «mugugni» di chi non sa divertirsi, le proteste di chi si è trovato bloccato tra la folla dei turisti, soprattutto per l'apertura di sabato con la festa sull'acqua a Cannaregio. «Non ho visto il caos» ha esordito Brugnaro «e non ritengo disastroso se qualcuno è rimasto per qualche minuto intrappolato tra la gente.
È da quando sono ragazzo che durante il Carnevale c'è sempre grande affollamento: se uno non vuole la confusione, vada ad abitare in campagna e non a Rialto o in altre zone centrali di Venezia». E lui - che ricorda compiaciuto il suo travestimento di sabato da Batman - "affonda" ancora contro i "seriosi" contestatori: «Forse manca solo un po'di voglia di prendersi in giro, di voglia di divertimento, di coraggio di prendere iniziative trasversali. Perché a lamentarsi non sono stati tutti, ma sempre i soliti, che sanno benissimo che, tanto più se vivono in quelle zone, nei trenta minuti della manifestazione si può fare fatica a passare.
Personalmente siamo contenti, perché credo che abbiamo gestito benissimo gli eventi: non si era mai sentito lo speaker spiegare le vie di fuga prima dell'evento. Grazie alla collaborazione nell'organizzazione con la prefettura, la questura, i vigili urbani e tutte le forze di polizia abbiamo ottenuto l'obiettivo di avere la massima sicurezza. Le polemiche non sono vere e il Carnevale, è bello e ce lo teniamo ben stretto, cercando di diffonderlo sempre più in tutta la città metropolitana».
Brugnaro rivendica anche l'esperimento sul controllo dei flussi turistici appena avviato. «Siamo i primi che provano a intervenire» ricorda «ed è chiaro che ci possono essere anche errori e che evidente che andremo avanti con miglioramenti continui.
Stiamo sperimentando queste regolamentazioni. Non c'è un numero chiuso ma per certe aree c'è un limite alle persone. Stiamo, con un certo coraggio, iniziando un percorso nuovo di regolamentazione dei flussi. L'anticipo di un'ora - alle 11 - del Volo dell'Angelo in Piazza San Marco di domenica prossima è dovuto a motivi di sicurezza e premia anche chi risiede in città o negli alberghi cittadini. Se poi prevediamo solo 20 mila persone in Piazza è per trovare i giusti numeri affinché chi viene a vedere lo spettacolo stia anche comodo: non possiamo pensare di limitare i numeri della gente che viene al Carnevale, ma anche l'anticipo dell'orario aiuterà ad impedire un massiccio afflusso in Piazza San Marco e ulteriori intasamenti». Anche a un concerto di Vasco Rossi, ha aggiunto il sindaco, «quando sono finiti i biglietti non si accettano ulteriori ingressi. E noi facciamo manifestazioni gratis per i turisti e per chi vive la città, perché il Carnevale è una tradizione centenaria, un fatto culturale di Venezia, in cui è bello perdersi». Confermata anche l'entrata in servizio di 40 nuovi vigili urbani, che saranno utilizzati in pattuglia in servizio notturno, dalle 19 all'una.
I flussi turistici a Venezia negli ultimi decenni hanno avuto «proporzioni inimmaginabili» e sarà necessario, sul fronte delle possibili soluzioni, «alla fine pensare in termini di sicurezza non penalizzando i cittadini più fragili», come può essere una famiglia che organizza una gita per portare i figli a vedere il Carnevale. Nel dibattito riaperto in città dalla massiccia presenza di turisti sabato scorso per il prologo della manifestazione è intervenuto ieri anche il Patriarca Francesco Moraglia . Una questione, quella del numero eccessivo di presenze, da contemperare con il tema della sicurezza, che investe anche la Basilica di San Marco. «La Basilica» ha aggiunto Moraglia «è certamente un obiettivo sensibile, è sotto gli occhi di tutti più di altre realtà, anche se tutta Venezia è sotto l'occhio ingigantito del mondo. La Basilica cerca di fare il possibile, di attrezzarsi. Certe cose vengono studiate, non vengono dichiarate, e poi si cercano soluzioni che garantiscano sicurezza». Questioni che sono da tempo all'attenzione della Procuratoria di San Marco che sta studiando specifiche opzioni sul piano delle nuove tecnologie che possano garantire nel contempo la sicurezza e una presenza di persone che non sia penalizzante. «Anche noi» ha concluso il Patriarca «dobbiamo stare a quelli che vengono dichiarati i parametri di vivibilità di una piazza o di una struttura».
Ambiente Venezia. Da uno dei maggiori conoscitori critici della folle avventura del progetto MOSE la risposta rigorosa e drammatica al problema: abbiamo speso inutilmente 6000 milioni di euro, ogni euro in più sarebbe un'aggiunta allo spreco. Con postilla
AmbienteVenezia - NOTA SUL PROGETTO MOSE – La Vera Alternativa
Il "che fare" di fronte ad una grande opera sbagliata e costosa qual è il Mose che si rivelerà a breve anche inutile per l’aumento del livello del mare che i cambiamenti climatici già prevedono per il prossimo futuro. Oggi il Mose appare contrassegnato dallo scandalo che lo ha coinvolto, da quella realtà fatta di corruzioni, tangenti, rapporti tra controllori e controllati, fondi neri che la Magistratura è riuscita a far emergere.
Un impressionante sistema di potere malavitoso e criminale che coinvolge politici, amministratori, imprese, magistrato alle acque, ministeri, guardia di finanza, corte dei contiLa meritevole azione collegiale degli organi preposti al ripristino della legalità che tanta attenzione mediatica sta provocando rischia però di relegare in secondo piano la sostanza del sistema che interessa il Mose.
Si sta assistendo ad un atteggiamento diffuso di non voler sapere, di non approfondire, dimenticare o volutamente ignorare cos’è e cosa è stato tecnicamente il Mose nel suo divenire. Ed è sulla base di questa per alcuni versi morbosa attenzione verso l’operato della Magistratura che rimane sullo sfondo o addirittura scompare la contrarietà motivata a questa opera, alla sua natura, alla sua struttura, alla sua funzionalità; sembra quasi che un destino ineludibile debba far portare a compimento questa opera datata così com’è stata voluta dai progettisti e da coloro che l’hanno approvata.
Tutto procede senza ripensamenti: il rigore scientifico, il “cogito ergo sum “, l’eustatismo incipiente che cancellerà definitivamente quest’opera non ”rientrano” nello stato di avanzamento dei lavori.
Così sulla questione del Mose si continua a ignorare o fraintendere quanti interventi possibili ed alternativi alle bocche si potrebbero realizzare fin da subito evitando così il perseverare di azioni il cui effetto peggiorerebbe i vari livelli di criticità dell’opera con ricadute negative sull’equilibrio lagunare , sulla portualità e sui bilanci pubblici.
Nell’ambito degli interventi per la difesa di Venezia dalle acque alte, va applicata una linea di azione (costruita sulla base di una modellistica matematica - modelli bidimensionali a fondo fisso e mobile - applicata all’idrodinamica ed alla morfodinamica lagunare il cui riferimento scientifico rimane la scuola idraulica padovana –dipartimento di ingegneria idraulica, marittima, ambientale e geotecnica) che dimostra:
- che si può operare alle bocche di porto con la riduzione parziale delle sezioni attraverso il rialzo dei fondali e l’inserimento di opere di restringimento trasversali sia fisse che removibili stagionalmente in modo da aumentare le resistenze al flusso delle correnti di marea con una significativa riduzione dei livelli marini in laguna rispetto al mare;
- che si può ottenere con una riduzione permanente degli attuali scambi mare-laguna un migliore regime idraulico della laguna permettendo fra l’altro di contrastare la perdita sistematica di sedimenti attraverso le bocche, ultimo anello dei drammatici processi erosivi in atto che stanno devastando la morfologia lagunare
- che va separata la logica degli interventi delle acque medio-alte da quelle necessarie per la difesa dalle acque alte eccezionali
-che va ridotta la penalizzazione della portualità veneziana attraverso la differenziazione delle funzioni portuali delle tre bocche, con la chiusura parziale dei varchi mobili per le acque medio-alte e con la chiusura totale per le sole acque alte eccezionali
-che si può così impiegare il tempo necessario per perfezionare e sviluppare i metodi di difesa più idonei, anche a più vasta scala territoriale, conseguenti ai cambiamenti climatici prevedibili (interventi di iniezioni di fluidi su strati geologici profondi volti al sollevamento antropico).
L’immediato l’inserimento di opere removibili stagionalmente ha il vantaggio di permettere di operare sulle bocche di porto con due diversi gradi di restringimento: meno spinto nel periodo estivo, quando in linea di principio è auspicabile un maggiore scambio tra mare e laguna, più spinto nel periodo tardo autunnale ed invernale durante il quale le acque alte si presentano con maggiore frequenza e un meno vivace ricambio delle acque è più sopportabile dalla laguna.
Per quanto riguarda poi quelle strutture che provvederanno alla chiusura dei varchi mobili vanno individuate quelle soluzioni tecnologiche (per esempio pontoni sommergibili removibili con paratoie a gravità) che escludano quei fenomeni legati alla risonanza ed alla instabilità dinamica che le paratoie del Mose presentano e che ancora oggi incomprensibilmente si evita di verificare.
Questi interventi rappresentano una una prima fase che consente una forte riduzione dei colmi di marea, in particolare per quanto attiene a quelli medio-alti che sono quelli che si verificano con maggiore frequenza in città, il che ha anche l’effetto, fondamentale, di fornire il tempo necessario per perfezionare e sviluppare in una seconda fase i metodi di difesa più idonei, anche a più vasta scale territoriale, conseguenti ai cambiamenti climatici prevedibili.
Tutto ciò rappresenta una radicale variante del progetto Mose, di fatto un suo abbandono. Ed il nuovo onere finanziario da sostenere, pur beneficiando di un drastico abbattimento degli alti costi di manutenzione e gestione che la struttura del Mose impone e di un parziale recupero di materiali già esistenti e messi in opera per il Mose, deve prendere atto della perdita di danaro speso per tutti quegli interventi che non possono a nessun titolo venir recuperati e che sono figli di una sciagurata impostazione progettuale avvalorata da un regime malavitoso.
Qualora si insista nel proseguimento dell’opera senza tener conto delle criticità denunciate , e dal momento che la sua non funzionalità si potrà constatare solo in futuro ad opera ultimata, bisogna prefigurare un danno erariale a fecondità ripetuta mettendo sotto sequestro cautelativo il patrimonio di tutti quei soggetti, politici e tecnici, che con la loro firma su specifici documenti ( documentazione depositata dal Comune di Venezia presso tutte le istituzioni interessate all’iter procedimentale del Mose ) hanno contribuito a far sì che il Presidente del Consiglio Prodi e parte del suo governo respingessero le proposte alternative indicate dal Comune di Venezia nel 2006 ( che sviluppano peraltro concetti scientifici propri del “Progettone” del 1981 a cui fanno seguito autorevoli pareri del Consiglio Superiore dei LL.PP. degli anni successivi o della Valutazione di Impatto Ambientale del 1998), il cui impianto ancora oggi può verosimilmente rappresentare soluzioni più funzionali, anche per il riequilibrio lagunare oltre che per la portualità, con un’ottica di diminuire drasticamente gli alti costi di manutenzione e gestione del Mose e di una maggiore consapevolezza dell’evoluzione dell’aumento dei livelli del mare.
Tutto questo però non può sfuggire alla domanda che tanti si pongono: ma vale la pena bloccare i lavori di un’opera che sta volgendo al termine e che è già costata quasi 6000 milioni di euro?
Una legittima domanda a cui ne potrebbe far seguito un’altra: ma vale la pena, anche in nome di un rigore scientifico che ha sempre caratterizzato le azioni della salvaguardia, voler ultimare un’opera che si sa già che non raggiungerà gli obiettivi per cui è stata concepita e che comporterà ingenti oneri di manutenzione e gestione nei prossimi 100 anni (tanto è il tempo di vita previsto dell’opera) che graveranno peraltro sul nostro debito pubblico? Ultimare un’opera sbagliata, che si sa sbagliata per la conoscenza di critiche fondate e documentate, rappresenta in uno stato di diritto un altro delitto punibile.
Ed ancora: a fronte di uno scenario di riscaldamento globale con l’innalzamento dei livelli marini in Adriatico in base alle previsioni del 4° Rapporto IPCC presentato alla Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi del 1° dicembre 2015 perché insistere come una sorta di accanimento terapeutico sul proseguimento di un’opera che i valori di quello stesso Rapporto mettono già all’indice?
Il riscatto dello scandalo Mose può passare solo attraverso il riconoscimento degli errori commessi, la sua sostanziale messa in discussione progettuale e con la rivincita-affermazione di quel sapere scientifico indipendente che la storia malavitosa della “grande opera” ha volutamente respinto ed ignorato.
Un giusto riconoscimento alle mobilitazioni ed a quella Assemblea Permanente NO MOSE che aveva coniato l’indovinato slogan “ Il Mose: un’opera utile solo a chi la fa”
Armando Danella per l’ Associazione Ambiente Venezia - gennaio 2018
___________________________________________________________
Scheda sintetica
Un’opera sbagliata che è stata approvata e ha potuto evolversi avvalendosi di un sistema corruttivo diffuso e ramificato, come è stato accertato dalle indagini della Magistratura del 2013 e 2014.
Il sistema MoSE è :
- inutile perché esistevano ed esistono efficienti alternative,
- pericoloso come dimostrano gli studi di “Principia” sul rischio di tenuta delle paratoie in particolari condizioni di mare, (pericolo di collasso),
- dannoso e incompatibile con il sistema lagunare e le attività portuali per le previsioni sul numero delle chiusure e sui danni alle attività portuali e sull’aumento dei livelli di inquinamento delle acque lagunari.
Numerosi sono gli incidenti, le anomalie, i danni, che si sono verificati in questi anni e che mostrano i molti punti critici del progetto che erano già stati evidenziati e segnalati nel documento della Commissione Tecnica VIA che il 10 dicembre 1998 esprimeva un parere di compatibilità ambientale negativo, che bocciava il progetto MoSE.
Bisogna bloccare i lavori del MoSE, con varianti in corso d’opera, riconvertendo le opere marittime realizzate, attraverso soluzioni progettuali delle bocche sperimentali, graduali e reversibili.
Se il drammatico trend di aumento del livello medio marino risultasse confermato non c’è progetto alle bocche di porto e in laguna che tenga!
Bisognerebbe chiudere le paratie quasi tutti i giorni (due volte al giorno d’inverno). Quindi per la riduzione dei livelli di marea in Laguna vanno:
-ridotte le profondità dei fondali alle bocche di porto- posti pennelli traversali alle bocche per ridurre ulteriormente la portata idraulica- eseguito ilcurvamento dei tratti terminali dei moli e scogliere a mare di fronte alle bocche per ridurre l'onda montante da vento di scirocco
postilla
Nell’Eddytoriale 174 abbiamo raccontato la storia vergognosa del MoSE, degli errori clamorosi chefurono compiuti nella scelta di quella soluzione, delle ragioni perverse percui altre soluzioni, migliori da tutti i punti di vista, furono scartate, delgigantesco edificio corruttivo che ha permesso di realizzarsi. E deicosti che la collettività aveva pagato e avrebbe continuato a pagare per un’operache giù allora appariva inutile e dannosa. Armando Danella riprende e completala narrazione della triste vicenda. La arricchisce con un suggerimento checondividiamo pienamente, e che qui riprendiamo testualmente:
Da qui l’esigenza di pubblicare saggi e pamphlet, inchieste, ricerche documentate e riflessioni su una città che non vuole morire e che, per ritrovarsi, deve partire dal conoscere se stessa. Ad accompagnare Marina in quest’impresa coraggiosa e un po’ folle, l’amica di una vita Lidia Fersuoch, oggi presidente della sezione veneziana di Italia Nostra, e Edoardo Salzano, gigante dell’urbanistica italiana, da sempre schierato contro gli interessi di palazzinari e speculatori. «Sono convinto» spiega Salzano, «che qui ci siano molto piccole isole di resistenza, affogate però da un mare di ignoranza. Bisogna aiutarle a sopravvivere, a espandersi, cercando al contempo di superare la mancanza di consapevolezza su quello che Venezia è realmente. Una città cioè ineguagliabile, unica perché viva e abitata da gente comune. In questo consiste la grande modernità di Venezia».
la Nuova Venezia, 30 novembre 2017. «Venezia. Il professor D’Alpaos: il livello del mare nei prossimi 30 anni crescerà di 50 centimetri: il porto sarà a lungo fuori uso
VENEZIA. «L’idea di mettere le grandi navi a Marghera è morta in partenza. È una soluzione impossibile. Perché fra vent’anni il porto non sarà più agibile, per l’aumento del livello del mare e le chiusure del Mose. Dunque per non penalizzare la portualità, le crociere devono andare fuori. Come anche il traffico commerciale».
Il professor Luigi D’Alpaos, 74 anni, ingegnere idraulico di chiara fama, stronca sul nascere l’ipotesi di una nuova Marittima dentro la laguna. Da anni si batte da tecnico per dimostrare quali danni irreversibili gli interventi dell’uomo stanno provocando all’equilibrio lagunare. Oggi pomeriggio sarà alle 18 in sala San Leonardo, per spiegare in un dibattito pubblico organizzato dalla Municipalità, la sua idea su cosa si intenda per salvaguardia.
Professor D’Alpaos, perché Marghera non va bene?
«Marghera, come la Marittima e il Vittorio Emanuele, sono interventi che non tengono conto di come sarà lo scenario nei prossimi vent’anni. Il porto non sarà più agibile. Dunque bisogna portare all’esterno della laguna non solo le crociere, ma anche il traffico commerciale. Di questi fattori mi pare non si sia tenuto conto nella scelta annunciata».
Lei è d’accordo con l’off-shore.
«Non si può dire che io sia un amico dell’ex sindaco e presidente del Porto Paolo Costa. Ma quella mi sembra un’idea che guarda al futuro. È stata scartata con troppa fretta».
Perché, lei dice, il porto non sarà più agibile?
«Per l’innalzamento del livello medio del mare, che nei prossimi trent’anni aumenterà di almeno 50 centimetri».
Tra gli scienziati ci sono sfumature diverse sulle previsioni.
«Sì, ma ormai è certo che l’aumento sarà di quell’ordine di grandezza. Il Consorzio Venezia Nuova e il Corila avevano vergognosamente sottovalutato questo aumento quando hanno progettato il Mose. Non tenendo conto tra l’altro del vento di bora che aumenta il livello dell’acqua in laguna centrale anche a bocche di porto chiuse.
Dunque?
«Ho fatto uno studio sulle maree degli ultimi dieci anni. Con l’aumento del livello del mare di 50 centimetri la laguna sarebbe chiusa per 4500 ore, senza contare l’anticipo e i falsi allarmi. Dunque, per metà anno. Impossibile».
Poi c’è l’aspetto ambientale.
«Lo ripeto da troppo tempo ormai. L’ho detto e scritto in tutte le salse. Ma la politica non sempre ascolta la scienza. Quando in laguna passa una nave da 150 mila tonnellate, il suo dislocamento induce fenomeni indotti secondari come l’erosione e la perdita di sedimenti di una laguna già al collasso. Più grandi sono le navi, più grande è il danno. Per fare arrivare le navi a Marghera bisognerebbe anche raddoppiare il canale dei Petroli. Non bastano i danni che ha già fatto così»?
Allora qual è la soluzione?
«Il porto turistico deve stare fuori della laguna. Al Lido, a Pellestrina. Con limitazioni alla grandezza delle navi».
Le compagnie armatrici non saranno d’accordo.«Pazienza. Io proporrei anche di fare dei corsi per i turisti che vengono a Venezia. Insegnare loro la storia, la particolarità di una laguna unica al mondo che vogliono visitare. Finché non imparano, devono restare in quarantena»
l'articolo è tratto da la Nuova Venezia online, e l'originale è accessibile qui:Le mega navi solo fuori della Laguna
postilla
Se per mega navi s'intendono quelle che, insieme ai treni e agli aerei, portano masse sterminate di turisti a Venezia allora ogni soluzione (anche quella proposta dal prof D'Alpaos) è inutile, ai fini della tutela di ciò che rimane della città. L'Urbs rimane, ricorda D'Alpaos, ma senza Civitas, e Polis è andata a remengo, finendo con un clown di nome Brugnaro.
il Fatto Quotidiano, 20 novembre 2017. «Padroni a casa nostra, esultava il governatore Zaia dopo la vittoria al referendum autonomista. Ma tra la città svenduta ai turisti e i miraggi post-industriali di Marghera si vedono i disastri compiuti dai poteri locali di ogni colore». (p.d.)
la Nuova Venezia, 20 novembre 2017. Analisi critica del documento Delrio per spostare le navi da San Marco. «Con pregiudizio, senza pianificazione e rispetto delle norme, la Pubblica amministrazione non può procedere nel perseguimento dell'interesse generale». (m.p.r.)
Per le dichiarazioni del ministro Delrio, entro tre anni le navi da crociera di grandi dimensioni saranno dirottate a Marghera (canale nord, sponda nord). Nel testo del "Documento programmatico di percorso", "Documento Delrio", presentato nel corso dell'ultimo Comitato di indirizzo, coordinamento e controllo ex art. 4 legge 798/84 (Comitatone) relativo al punto dell'ordine del giorno "Prospettive e sviluppo per la crocieristica nella laguna di Venezia", sono presenti errori di riferimento normativo e omissioni di parti di Atti presi dallo stesso Comitato, nella riunione dell'8 agosto 2014, oltre ad attribuzioni di funzioni non previste e assunzioni di metodologie di valutazione discrezionali e non reperibili nella normativa e quindi di alcun valore.
Anche l'art. 6 del precedente testo dell'art. 8, è stato completamente sostituito (dall'art. 7, comma 1, decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169) e ha cambiato contenuto, al comma 12 recita: all'interno delle circoscrizioni portuali, le Adsp amministrano, in via esclusiva, in forza di quanto previsto dalla presente legge e dal codice della navigazione, le aree e i beni del demanio marittimo, fatte salve le eventuali competenze regionali e la legislazione speciale per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna, a dire quindi che l'Autorità portuale di Venezia non è sola a poter decidere financo sulle vie di navigazione qualora provvedimenti contrastino con la salvaguardia della laguna e di Venezia.
la Nuova Venezia, 17 novembre 2017. L'intelligente lavoro volontario di un vasto gruppo di cittadini per la rinascita e la fruizione comune di un bene pubblico cancellata dal Demanio. i pescecani del turismo sono in agguato. (m.p.r.) con riferimenti in calce
Doveva essere il giorno dell'accordo, ma si è rivelato quello della rottura. Ieri mattina il Demanio ha comunicato all'Associazione Poveglia che la concessione dell'isola fino al successivo bando non è più fattibile. Uno schiaffo agli oltre 4500 soci che, dopo sedici incontri con il Demanio e numerosi dossier su come spendere i 350 mila euro della colletta, si sono sentiti presi in giro. «Siamo offesi e arrabbiati» ha detto il presidente dell'Associazione Poveglia Lorenzo Pesola «Sono due anni che chiediamo di sistemare il verde, facciamo tutto come richiesto, ci prendiamo cura dell'isola. È uno sfregio agli sforzi di tutti noi che ci abbiamo messo tempo e competenze. Purtroppo è emblematico di una città dove i cittadini non sono ascoltati».
riferimenti
Su eddyburg la Lettera che l'associazione "Poveglia per tutti" ha inviato al direttore dell'agenzia centrale del Demanio, sollecitando una risposta alla richiesta di concessione dell'isola e una nota del costituzionalista Paolo Maddalena. Altre notizie sono facilmente raggiungibili digitando la parola "Poveglia" nel nostro "cerca"
la Nuova Venezia, 17 novembre 2017. «Le anomalie dell'ultimo Comitatone finiscono in Parlamento. “La Legge speciale non tutela lo sviluppo del crocierismo ma la laguna”». (m.p.r.)
«La Legge Speciale non prevede la tutela dello sviluppo crocieristico ma della laguna. Per questo Venezia è questione di preminente interesse nazionale. L'ultima riunione del Comitatone si è conclusa con un nulla di fatto, e ha dato soltanto all'opinione pubblica internazionale un messaggio ingannevole: che il problema sia stato risolto. Ma non è così». Nella polemica sulle grandi navi interviene il senatore Felice Casson. Ex candidato sindaco, autore nel 2014 dell'ordine del giorno che aveva chiesto al governo di «confrontare tutte le soluzioni alternative». Iniziativa che adesso riporta il dibattito sulle grandi navi in Parlamento. Perché Casson chiama in causa il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. E chiede di sapere «se il premier sia a conoscenza di quanto accaduto nella riunione del 7 novembre», e «quale valore politico e giuridico attribuisca ai lavori del "Comitatone" del 7 novembre e alle sue conclusioni». Dove si parla di «presa d'atto» e «invito» alle amministrazioni». Ma non c'è traccia di Atti di Indirizzo o di provvedimenti del governo.
Ampia analisi dell'ideologia, delle strategie, degli strumenti amministrativi e tecnici, grazie ai quali la salvaguardia della Laguna di Venezia si è tradotta nella sua distruzione (e in un gigantesco affare per una banda di pescicani). Con riferimenti
Cercare alle radici del fallimento
Il 4 novembre del 1966 avevo 17 anni. Da una vita tento di capire come mai si sia potuto scegliere di costruire un marchingegno così mastodontico, inappropriato e di incerto funzionamento – oltre che inutilmente costoso – come lo sono i quattro sbarramenti con paratoie elettromeccaniche a spinta di galleggiamento, incernierate al fondale delle bocche di porto della laguna di Venezia. La risposta che mi sono dato è già nel bellissimo titolo della giornata dedicata al Mose organizzata dall’associazione PER Venezia Consapevole il 21 ottobre all’Iuav: «Il senso delle cose sta oltre tutti i linguaggi che le rappresentano». Che, a mio vedere, è un altro modo per esprimere un concetto ecologico: non bisogna confondere una parte di un sistema con il tutto, poiché la somma delle singole parti che compongono un organismo non basta a spiegare il suo funzionamento. Peggio: la separazione e la frantumazione degli elementi di un ecosistema porta alla sua morte. Il Mose è il risultato di una riduzione a questione idraulica del problema della preservazione dell’ecosistema lagunare collocato nella ancora più vasta bioregione che va dall’Adriatico alle Dolomiti, dalla Piave al Po. A monte della scelta degli sbarramenti di separazione mare/laguna c’è un difetto culturale profondo e diffuso, una drammatica insipienza tanto “scientifica” quanto “politica”e, per contro, una sconfitta del pensiero ecologista proprio nel punto in cui la sfida si presentava più necessaria, alta ed evidente.
Di fronte al conclamato fallimento della gigantesca rubinetteria del Mose - perché è di questo che stiamo parlando - non ci dobbiamo accontentare di risposte facili, pur vere, ma parziali e, alla fine, persino psicologicamente consolatorie: la corruzione, l’affarismo, l’abdicazione della comunità scientifica. Da Nicolazzi a Matteoli, da Bernini a Galan. Questi sono stati i “nostri” ministri e governatori. Ma anche alti funzionari dello stato, dirigenti di Regione, persino magistrati e finanzieri hanno pilotato un progetto che altrimenti non sarebbe mai stato approvato. La tesi delle “mele marce”, dei parassiti approfittatori in proprio, non regge. Il Sistema Mose è lo stesso di tutte le “grandi opere” (strade e autostrade, treni ad alta velocità e aeroporti, persino ospedali), del business facile delle concessioni alle grandi imprese di costruzione di cui il Consorzio Venezia Nuova è stato solo l’apripista. Così come sistematica è la sussunzione dei centri di ricerca pubblici e delle università da parte delle imprese. Consulenze, collaudi, direzioni lavori, porte girevoli tra pubblico e privato sono la regola dei rapporti tra Stato e imprese.
Come è potuto accadere tutto questo? Indagare su Venezia può essere istruttivo per capire come va l’intero paese. Venezia è un caso di scuola per studiare non solo gli effetti nefasti dell’avvento dell’industrializzazione (manifatturiera prima, turistica ora) sull’ambiente (subsidenza, alluvioni, anossia, inquinamenti…), ma anche sulla perdita di memoria e di empatia degli abitanti nei riguardi del proprio territorio, di “coscienza di luogo”, come direbbe Alberto Magnaghi. Un processo lento di sradicamento, legato al “grande esodo” della popolazione autoctona e al prevalere di un’economia di rapina. Solo chi ha imparato ad andare a remi e a nuotare in laguna può capire cosa significa estraneazione culturale della città d’acqua dal suo ambiente.
Ha scritto recentemente Edoardo Salzano: «Due visioni si sono scontrate a Venezia: una logica sostanzialmente meccanicistica, che intendeva isolare i problemi e a dare loro soluzioni indipendenti e fortemente ingegneristiche, e una logica sistemica, che si proponeva di evidenziare le correlazioni tra tutte le dinamiche in atto». (Editoriale del 1 ottobre 2017 su www.eddyburg.it ). Proviamo a capirne di più con l’aiuto dell’ecologa Vandana Shiva: «I sistemi viventi evolvono, si adattano, si rigenerano. Non sono ingegnerizzabili. Il dominio del paradigma ingegneristico inizia con l’era dell’industrialismo e del meccanicismo (…) Un sistema di conoscenza fondato su un paradigma meccanicistico, riduzionista e materialistico (…) Crediamo di essere al di fuori e sopra della Terra, crediamo di controllarla, di esserne i padroni. Lo crediamo [ma] ecco che i cambiamenti climatici, gli eventi estremi, i disastri ci ricordano con sempre maggiore frequenza che siamo parte della Terra. Ogni atto di violenza che distrugge i sistemi ecologici minaccia anche le nostre vite (…) Dobbiamo trasformarci da specie predatrice e incurante a specie che si prende cura, che lavora in co-creazione e co-evoluzione con la Terra». (V. Shiva, Solo il carbonio vivo salverà la terra, “il manifesto”, 22 settembre 2017). Potremmo continuare a lungo citando altri riferimenti scientifici ad una concezione di “ecologia integrale” – come la chiama Bergoglio nella enciclica Laudato si’ – o sistemica, come la chiama il grande fisico Fritjof Capra: «Una vera concezione della vita implica pensare in termini di relazioni, configurazioni e contesti, che nella scienza è conosciuto come “pensiero sistemico”». (F. Capra, Vita e Natura, Aboca, 2014).
Scientia [et] Potentia generano mostri
La ragione di fondo per cui la politica (nel discorso pubblico corrente e nel modus operandi delle istituzioni) preferisce l’approccio deterministico, lineare piuttosto che quello ecologico, ricorsivo sta – a mio avviso – nel fatto che la forma mentis, il modo di pensare e il linguaggio della politica sono quelli del dominio. La politica è vista e vissuta come affermazione ed esercizio del potere come comando. Il potere di disporre sugli altri e sulla natura. Non importa con quali mezzi e a quale prezzo. L’importante è “dare risposte”, rassicurare, conquistare il consenso popolare. In questa logica, per definizione, non è ammessa l’esistenza di problemi che non siano nella disponibilità della volontà di potenza del potere. Se qualche cosa si frappone al volere del governo essa va semplificata, rimossa e annullata.
La politica del dichiarare/decidere/disporre non può rispettare i tempi della conoscenza, dell’ascolto, della partecipazione condivisa delle popolazioni insediate. Procedure come la Valutazione degli Impatti Ambientali nate per far partecipare le popolazioni locali al percorso decisionale o direttive internazionali per la trasparenza degli atti come la Convenzione di Aarhus, non sono ammesse a fronte della “straordinarietà ed eccezionalità” degli interventi e dell’“l’interesse nazionale” prevalente delle opere. La militarizzazione della Val di Susa docet. Ma non meno gravi sono state anche le forzature operate da vari governi per giungere all’approvazione del Mose nonostante pareri negativi della commissione nazionale Via, del Consiglio nazione dei Lavori Pubblici, della Corte dei conti.
Per queste ragioni il linguaggio della politica non può essere ecologico, ma ingegneristico. Per imporsi, questo modo di fare politica ha bisogno della mediazione del linguaggio scientista (che è il contrario del metodo scientifico, per intenderci, quello che mette permanentemente in dubbio i saperi esistenti). I decisori pubblici, a corto di argomentazioni davvero convincenti, hanno bisogno di allearsi ai chierici delle “scienze esatte” per imporre le proprie scelte. Parafrasando Francis Bacon (Scientia est potentia) potremmo dire che l’alleanza tra scienza e potere ha generato molti mostri. Per validare “razionalmente e oggettivamente” le decisioni prese senza concedere possibilità di replica, sono chiamati in gioco gli esperti, i supertecnici, i saggi, i sapienti… La storia dei progetti per la salvaguardia di Venezia è costellata di commissioni e comitati scientifici (ne ho contati almeno otto) chiamati a proporre e a giudicare le migliori soluzioni proposte dagli uffici tecnici delle imprese di costruzione.
La complessa realtà biofisica e socioeconomica del territorio lagunare è stata parcellizzata, segmentata, numerata e modellizzata con l’intento di riprodurla in scala (vedi la ridicola storia del modello fisico della laguna di Valtabarozzo) e di imitare il suo funzionamento con software sempre più evoluti. Peccato che ogni tentativo di modellizzare grandi ecosistemi naturali, influenzati da complessi fenomeni meteorologici, biologici e antropologici comporti inevitabilmente una riduzione della complessità della realtà e una perdita di rappresentatività. L’imponente mole di dati e studi prodotti dal Consorzio di imprese Venezia Nuova è stato mirato a sostenere le scelte progettuali con il risultato di azzerare gli uffici statali (ad iniziare da quello idrografico del Magistrato alle Acque) e di mettere fuori gioco i “saperi diffusi”, esperenziali e contestuali sulla laguna basati sulla osservazione diretta dei fenomeni naturali (Ufficio maree del Comune, Biologia del mare e Grandi masse del CNR).
I “saperi esperti” degli istituti di idraulica chiamati a supporto delle scelte progettuali delle imprese di costruzioni (in pratica ristrette baronie universitarie di Padova e Genova) hanno avuto il monopolio della certificazione della scientificità del Mose. Roberto Ferrucci, nel suo ultimo bel racconto Venezia è laguna, li chiama: «I truffatori del buonsenso, i sabotatori del paesaggio». Per anni i tecnici accreditati dal Consorzio Venezia Nuova ci hanno spiegato con grafici, modelli e disegnini animati che la profondità dei canali portuali non è causa di erosione della laguna, che lo scambio mare-laguna è in equilibrio, che le acque medio alte più frequenti non sono un problema per la città, che le barene possono essere ricostruite con burghe di pietrame, ed ora, ci vogliono far credere anche che le grandi navi non fanno onde!
Può essere istruttivo riascoltare Giovanni Cecconi, uno dei massimi responsabili tecnici del CVN, incaricato di comunicare le meraviglie del Mose, ad una televisione amica, qualche tempo prima che scoppiasse lo scandalo del Mose.
Shock Economy in laguna
Per attecchire il decisionismo politico e il determinismo scientifico hanno bisogno di procedere lungo una sequenza logica che può essere definita così: emergenzialismo, decretazione, contrattazione. Provo a spiegarmi seguendo l’esempio veneziano.
A sinistra: Il Gazzettino del giorno dopo. A destra: Il sindaco Favretto Fisca con Ted Kennedy e la contessa Foscari in sopralluogo a Pellestrina |
Ma mentre le indicazioni organiche della commissione si sono tradotte in legge (peraltro del tutto disapplicata) solo nel 1989 (legge n.183 sui piani di bacini idrogeologici e la difesa del suolo e delle acque), i decisori politici hanno preferito dare risposte parziali e specifiche alle varie “emergenze”. La legge speciale per Venezia n.171 del 1973 è una di queste. Un modo di procedere che ha avuto nella Legge Obiettivo del 2001 (tutt’ora operante) di Lunardi e Berlusconi la sua più compiuta codificazione. Vale a dire l’abbandono di ogni approccio programmatico e pianificatorio, coerente e permanente, a favore di interventi concentrati, sporadici, contrattati di volta in volta tra stato centrale e sistema delle autonomie regionali e affidabili a grosse associazioni tra imprese.
L’arte di trasformare l’ordinario in straordinario è una tattica ampiamente usata anche in altri paesi del mondo che la giornalista ambientalista canadese Nomi Klein ha chiamato shock economy, dopo aver assistito al disastro di Katrina a New Orleans nel 2005. La tattica consiste in questo: primo, lasciare precipitare la situazione di degrado trascurando la cura ordinaria e la manutenzione del territorio; secondo, considerare i disastri ambientali come un potente acceleratore dei processi di liberazione del patrimonio immobiliare dagli abitanti autoctoni più poveri; terzo, concentrare finanziamenti pubblici straordinari capaci di innescare grandi business e di rivalorizzare il patrimonio immobiliare.
Le “specificità” di Venezia sono state usate per giustificare l’approvazione di una normativa e di una strumentazione “straordinarie”, ipercentralistiche e falsamente efficientistiche che hanno nel tempo permesso di derogare a tutte le più elementari regole della buona amministrazione. In un articolo del 1 agosto del 1989 su Repubblica, Giuseppe Galasso, insigne storico e già sottosegretario ai beni culturali e ambientali, ebbe a scrivere: «In Italia tutte tende a farsi straordinario: non solo i terremoti o la mafia; ora anche le alghe». Era il tempo dell’eutrofizzazione dei mari e dell’invasione della Bava Mucillaginosa.
Governare per decretazione
Il secondo modo di procedere tipico del determinismo autoritario è il governo per decretazione. Anche qui il caso del Mose ci viene d’aiuto. Non è stata la Legge speciale del 1973 a compiere la scelta progettuale. La Legge speciale, nello stabilire gli obiettivi generali, si limitava ad affermare che: «La Repubblica garantisce la salvaguardia dell'ambiente paesistico, storico, archeologico ed artistico della città di Venezia e della sua laguna, ne tutela l'equilibrio idraulico, ne preserva l'ambiente dall'inquinamento atmosferico e delle acque e ne assicura la vitalità socioeconomica nel quadro dello sviluppo generale e dell'assetto territoriale della Regione».
Saranno gli “indirizzi” del Governo, un paio d’anni dopo (marzo 1975) a scendere nel particolare e stabilire le modalità tecniche necessarie a realizzare gli obiettivi della legge: «La conservazione dell’equilibrio idrobiologico e l’abbattimento delle acque alte (…) devono essere ottenute mediante un sistema di opere di regolazione fisso alle bocche di porto che possa essere successivamente integrato da parti manovrabili».
Nessuna commissione tecnica, nessuna istituzione scientifica si era azzardata a scendere a tanta precisione progettuale (tant’è che nel corso degli anni l’indicazione è stata modificata). Ma le esigenze della politica richiedevano una dimostrazione di capacità decisionale a prescindere dallo stato degli approfondimenti conoscitivi scientifici, anche in mancanza di un quadro d’insieme degli interventi e di un piano generale di riassetto del bacino idrografico lagunare, che ancora stiamo aspettando. La politica intesa come mero esercizio di potere ha le sue logiche e deve poter affermare coram populo l’avvenuta soluzione dei problemi.
La retorica del potere ha reso necessarie varie “inaugurazioni” del Mose. La prima volta ad annunciare “la sopravvivenza e lo sviluppo di Venezia” è stato Fanfani nel 1982 nel discorso alla Camera di insediamento del suo V° governo. Poi è stata la volta di Craxi in Palazzo Ducale, l’8 novembre del 1986 nel ventennale dell’alluvione con i ministri Granelli, Gullotti, Degan, Di Lorenzo, Visentini, il sindaco Laroni, il presidente della Regione Bernini e ospiti d’onore come Gianni Agnelli e Carlo De Benedetti. Quindi De Michelis il 3 novembre del 1988 per il varo del prototipo del Mose con i ministri Fracanzani, Ferri il sindaco Casellati e il presidente della Regione Bernini. Infine è venuto il turno di Berlusconi, il 24 maggio 2003 al collegio navale Morosini, con il cardinale Scola, il sindaco Paolo Costa, i ministri Lunardi, Matteoli e Buttiglione.
Un susseguirsi di fanfare e cori entusiasti. Ad esempio scrive Roberto Bianchin su Repubblica il 30 ottobre 1988: «Quattro grandi torri rosse, una lingua d’acciaio nascosta dentro, il tricolore dipinto sul fianco, il ferro da gondola, simbolo del Conorzio di imprese Venezia Nuova, disegnato da Forattini. E un nome, Mose, che i tecnici si affannano a spiegare che vuol dire modulo sperimentale elettromeccanico ma che tutti, a cominciare dal vicepresidente del consiglio Gianni De Michelis, ribattezzano subito Mosè, con l’accento sulla é. É la diga, dal nome biblicamente evocatore, che salverà Venezia dalle acque alte».
Bianchin non era il solo. «Ecco Mose, salverà Venezia», titolava la Stampa. «Mose ha fatto il miracolo. Perfettamente riuscito l’esperimento di Venezia», titolava il Giorno. «Ore 11,14 La paratoia si solleva. Un attimo di emozionata concordia», titolava il Gazzettino.
Ciò che ora chiamiamo Mose un tempo si chiamava più bonariamente Progettone, Progetto preliminare di massima, ed era solo una parte del Progetto Venezia. Era un intervento tra i molti che avrebbero dovuto affrontare, in una strategia integrata ambientale, socio-economica e istituzionale, il “Problema di Venezia”. Con il tempo abbiamo assistito ad un abbandono di ogni coerenza e organicità degli interventi e ad un procedere a foglie di carciofo. Tuttora non esiste un piano di bacino idrogeologico delle acque. Il Magistrato alle acque è stato (giustamente) sciolto a seguito dello scandalo del Mose, ma non è stato sostituito né dalla autorità di bacino “ordinaria” (ex lege 183), né dalla “agenzia” che avrebbe dovuta essere costituita per sovraintendere il funzionamento e gestire le chiusure mobili.
Il Piano comprensoriale è stato insabbiato illo tempore dalla Regione assieme ad ogni organica architettura della Città metropolitana. Il parco naturale della laguna è uscito dalla Legge quadro nazionale e quello di iniziativa locale è stato azzerato dal Comune. L’allontanamento dei traffici petroliferi dalla laguna (prescrizione di legge dal 1973) non è stato realizzato mentre è aumentato a dismisura quello crocieristico. La riapertura delle valli da pesca e la loro ri-acquisizione al demanio (sentenza n. 3665 del 14 febbraio 2011 della Corte di Cassazione in occasione di una infinita disputa che riguarda le valli da pesca) non sono state attuate. Abbandonato il progetto per la rimodulazione del Canale dei petroli. Nessun rilancio del Cnr, dell’Ispra e degli altri istituti di ricerca pubblici. Persino le sale dedicate alla laguna del Museo di storia naturale non sono state allestite. Per non parlare delle politiche abitative, sociali e produttive completamente liquefatte.
A fronte di tanti e tali fallimenti il vecchio Progettone ha via, via conquistato l’intera scena. Con il giovane avvocato Luigi Zanda presidente del CVN (dal 1985 al 1995) il Progettone ha subito una rivoluzione linguistica degna del miglior marketing aziendale. Il nuovo Mosé è la tecnologia made in Italy, l’Ottava meraviglia del mondo. Più ancora - dirà in un appassionato intervento Zanda al convegno organizzato dal P.C.I. “12 parchi nel Veneto”: «Mi azzardo a dire che il nostro progetto è il primo di una nuova generazione di opere pubbliche. Reti autostradali, ponti sugli stretti, sono cose imponenti e impegnative ma tradizionali. La nostra è la prima opera pubblica che dopo anni di disattenzione e di imprudenze, ripropone la centralità dell’ambiente. Le tecnologie più avanzate si devono plasmare ed adattare per fare, appunto della “ingegneria dell’ambiente”.(…) La tecnologia è stata spesso additata come elemento di rottura: noi la riproponiamo come strumento di riequilibrio». (Venezia 26 settembre 1986).
Parole analoghe orientate all’ecologia saranno pronunciate poche settimane dopo da Craxi in Palazzo Ducale per il ventennale dell’alluvione: «Il progetto Venezia è il primo di una nuova generazione di opere pubbliche che pongono la tecnologia al servizio dell’ambiente, per rigenerare nuove condizioni di equilibrio e di armonia che l’uomo, e in parte la stessa natura, avevano modificato. Si tratta di ricostruire un vero e proprio “ecosistema”, che era stato violato, attraverso il riequilibrio idrogeologico e una vasta opera di disinquinamento agricolo, industriale ed urbano. E’ una impresa che non si materializza in un grande cantiere, in una grande opera fisica, ma richiede uno studio, una intelligenza, una invenzione continua per andare alla radice dei fenomeni che hanno causato il deterioramento e rimuoverne globalmente le cause» (Venezia 8 novembre 1989).
La svolta ecologista di Zanda e Craxi durerà poco. Servirà a gettare un po’ di fumo negli occhi ad una opinione pubblica scettica e ai rilievi critici del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e della Corte dei Conti. Esaurita la realizzazione del lungo elenco delle “opere complementari” e “preliminari”, le dighe di separazione mare/laguna, sono tornate ad essere il fulcro del sistema, lo scopo stesso dell’esistenza del Consorzio di imprese Venezia Nuova.
Il caso Venezia sta tutto dentro questo dilemma: porto o salvaguardia. Siamo ancora al punto di partenza. 35 anni fa l’Associazione degli industriali e l’Ente zona industriale di Porto Marghera si chiedevano se si potesse «difendere Venezia senza uccidere il porto» (Massimo Mazzariol riferisce sul il Gazzettino del 14 novembre 1982). Per esserne certi affidarono uno studio ad una équipe di docenti di Cà Foscari: Muscarà, Marguccio, Elio Canestrelli e Paolo Costa. «Il responso dei quattro docenti è confortante: la chiusura temporanea delle bocche di porto ha un costo sopportabile, ma non tutti i rischi sono valutabili», riporta il giornalista. Quindi, dicono i professori: «Meglio costruire una paratia alla volta, piuttosto che tutte e tre simultaneamente».
Passa il tempo, cambiano i ruoli, ma siamo ancora qui. Pochi giorni orsono, il 10 ottobre 2017, il giornalista Albero Zorzi sul Corriere del Veneto, scrive: «Era lo spauracchio del presidente uscente dell’Autorità portuale Paolo Costa e lo è anche del suo successore Pino Musolino. L’acqua alta, le paratoie del Mose sollevate a chiudere la bocca di porto di Malamocco e le navi che aspettano fuori o che percorrono lentamente la conca di navigazione (…) il porto di Venezia rischia di essere piano piano abbandonato. Ed è partendo da qui che il provveditore interregionale alle opere pubbliche Roberto Linetti sta pensando ad un modo per ridurre il più possibile le chiusure del Mose a Malamocco». (Mose a metà per salvare il porto. Così passano anche le crociere, pag. 5 14/10/2017).
Venezia può venire inghiottita dalle acque, ma le navi potranno passarci sopra. Come bene documenta questa foto.
Riferimenti
Tra i numerosi articoli dedicati da eddyburg all’argomento si vedano, tra i più recenti. l’Eddytoriale n. 174, in gran parte dedicato alla banda, Consorzio Venezia Nuova, che inventò, progettò costruì, gestisce (e soprattutto beneficio degli ingenti finanziamenti pubblici impiegati per l’opera, l’articolo di Paola Somma "La città del Mose", che illustra il contesto metropolitano nel quale il “sistema Mose” agisce, quelli di Edoardo Salzano "Venezia e la modernità" , con la replica di Piero Bevilacqua, di Armando Danella, "Il rischio Mose".
Più 10 per cento. Da solo, l’ostello con i suoi 85 mila clienti ècome se avesse aumentato del 10% le presenze turistiche, stimate a Mestre in 2milioni e 900 mila l’anno. «A Mestre si viaggia con un più 4% di presenze»,ricorda l’assessore al turismo Paola Mar. Le presenze a Mestre sono passate dai2 milioni e 800 mila del 2015 a 2 milioni e 927 mila del 2016, con un più 4,5%.E la permanenza sale a 1,9 giorni.
Tante le famiglie che approfittano dell’offerta diavere i figli, fino a 18 anni, gratis in camera coi genitori. «I viaggi nellecittà possono essere terribilmente costosi per le famiglie, ma noi lo rendiamoalla portata di tutti», spiega la Wallmann. E prosegue: «Il nostro clientetipico non spende molto tempo nella stanza in albergo, perché ha tanto da farea Venezia e poco tempo per vedere tutto. Il nostro prodotto è essenzialmente ilpernottamento. Non c’è un ristorante o l‘area spa e anche l’attrezzatura dellecamere è molto basic (senza minibar o telefono), perché non si usa la stanzaper nient‘altro che per dormire. Poi si va in città e non si ritorna fino allasera».
Il viaggiatore, aggiunge, «vuole spendere più per mangiare bene, fare loshopping o andare in museo». A beneficio di Venezia, di giorno e di Mestre lasera. Se si trova cosa fare.
Mestre in fermento. Forse l’effetto dormitorio con scelteintelligenti si può evitare. «Noi di AO vediamo una grande opportunità perMestre. Ogni giorno ritornano i nostri ospiti da Venezia e ci chiedono dove sipuò andare per mangiare o dove sono i bar. Siamo contenti di dare suggerimentilocali. Siamo l’inizio del cambiamento a Mestre e vogliamo che tutti nebeneficino», conclude la Wallmann.
Altri 1.900 posti letto. Altri investimenti, austriaci, valore 70 milionidi euro, stanno costruendo di fronte all’ostello altri 4 alberghi per 1.900camere pronte per aprile 2019. Questo significa che tra due anni la degradatavia Ca’ Marcello diventerà distretto alberghiero con 3.900 posti letto.
Cambiamenti e servizi. E cambierà volto. Qualcosa già si muove: bar epizzerie si rinnovano. Actv ha potenziato le corse del bus 4L per Venezia perl’aumento di turisti indotto dall’ostello. Nell’area dei quattro alberghi silavora ad un marciapiede che conduca dentro la stazione. E la città si muove?Molto lentamente.
«Sui servizi stiamo lavorando. Ai commercianti non faccio che ricordare leopportunità . Ci sono nuovi locali aperti tra Corso del Popolo e via Torino»,ricorda l’assessore Mar. «Mi risulta che alcuni commercianti ad agosto abbiamo fattoil loro fatturato solo grazie ai turisti. Ma c’è tanto da fare. Dai menù chedevono essere anche in inglese e in lingue orientali, per esempio, allamentalità generale da cambiare. I primi segnali ci sono, ma il turismo è unaoccasione che Mestre non deve perdere», ricorda. «Noi ci mettiamo gli eventi,come l’Happy Friday».
Salgono a 90 le Frecce da e per Venezia: Due nuove corseFrecciarossa tra Roma e Venezia e due tra Milano e Venezia, portano a 90 icollegamenti con la Laguna. Il Frecciarossa 9402 parte da Roma Termini alle5.35 con fermate a: Roma Tiburtina (a. 5.43 - p. 5.45), Firenze Santa MariaNovella (a. 7.07 - p. 7.15), Bologna (a. 7.50 - p. 7.53), Padova (a. 8.52 - p.8.54), Venezia Mestre (a. 9.08 - p. 9.10) e arrivo a Venezia Santa Lucia alle9.20.
Il Frecciarossa 9415 invece parte da Venezia Santa Lucia alle 9:35 con fermatea Venezia Mestre (a. 9.45 - p. 9.47), Padova (a. 10.01 - p. 10.03), Bologna (a.11.02 - p. 11.05), Firenze Santa Maria Novella (a. 11.40 - p. 11.48), RomaTiburtina (a. 13.08 - p. 13.10) e arrivo a Roma Termini alle 13:20.
Sulla rotta Torino - -Milano - Venezia, una nuova corsa Frecciarossaproveniente da Torino Porta Nuova alle 13.02 è prevista da Milano Centrale alle14:15 con arrivo a Venezia Santa Lucia alle 16:40. Da qui invece la nuovapartenza è prevista alle 12:20 e l’arrivo a Milano Centrale alle 14.45.
Il Frecciarossa 1000 arriva anche a Venezia: I plus del Frecciarossa1000 arrivano anche sulla Trasversale Padana (Torino - Milano - Venezia).Quattro corse che uniscono attualmente Torino, Milano e Venezia beneficiano deivantaggi del prodotto di punta di Trenitalia in previsione anche delle futurevelocizzazioni rese possibili da questa tipologia di convogli.
la Nuova Venezia e Corriere del Veneto, 12 novembre 2017. La confusione regna sovrana. Una sola certezza: di proseguire la distruzione della Laguna (Canale dei Petroli) non frega niente a nessuno. Articoli di Silvio Testa e Alberto Zorzi (m.p.r.)
«No Navi al Tar e alla Corte dei Conti: Comitatone illegittimo. Il ministero: tutto regolare»
Si dice «combattivo, non arrabbiato». Ma i suoi legali, in primis l’ex sindaco di Genova Giuseppe Pericu sono già al lavoro sull’esito del Comitatone e sulla scelta di Marghera per il futuro delle grandi navi. «Noi avevamo già scritto prima a tutti i membri, contestando l’iter, ma non ci hanno ascoltati e ora siamo pronti a fare i ricorsi», dice Cesare De Piccoli, ex viceministro dei Traporti, proponente con la società Duferco del progetto Venis Cruise 2.0, che prevede un terminal di scalo alla bocca di Lido, in modo da tenere le grandi navi da crociera fuori dalla laguna: da lì verrebbero infatti portati all’attuale Marittima con delle motonavi di ultima generazione, senza smog e senza moto ondoso.
Un progetto che l’Autorità portuale, già con Paolo Costa e ora anche con il nuovo presidente Pino Musolino, ha bocciato senza appello: quest’ultimo ha presentato al ministero un’analisi «multicriteria» che ha visto il Venis finire sempre all’ultimo posto in cinque classifiche diverse, mentre a vincere è stata l’ipotesi del Canale industriale nord, sponda nord, sposata dal governo e dal ministro Graziano Delrio. Ed è questo il primo punto che non va giù a De Piccoli. «Di questo studio non sappiamo nulla, non siamo stati interpellati - ironizza De Piccoli - ma questa procedura ha violato il decreto Clini-Passera (quello che per primo ha avviato la ricerca di vie alternative al passaggio davanti a San Marco, ndr ): in primis perché l’individuazione delle ipotesi, come avvenuto nel 2013/2014, spettava alla Capitaneria di Porto e non all’Autorità portuale, poi perché non tiene conto della commissione Via, massimo organo tecnico dello Stato». Via che ha promosso, seppur con prescrizioni, il progetto Duferco, mentre, in una fase preliminare, aveva sollevato dubbi su Marghera.
Dubbi che lo stesso De Piccoli fa propri, non prima però di una premessa. «La scelta di Marghera in un certo senso ci aiuta, perché si ammette la possibilità di un terminal diverso dalla Marittima e con il coinvolgimento di privati, che sono due critiche fatte dal Porto nel ricorso al Tar contro la nostra Via - dice - Addirittura quello è un progetto su terreni privati, mentre il nostro sarebbe su area demaniale. Per questo chiedo a Musolino di ritirare il ricorso». Ma la critica all’ipotesi Marghera è tecnica: «Sul canale nord ci stanno due navi, così hanno detto - dice De Piccoli - e le altre 2-3 necessarie per replicare l’attuale Marittima dove le mettono? Cosa succederà quando nei sabato e domenica estivi le grandi compagnie vorranno portare le navi da 140 mila tonnellate? Ci sarà una lotteria?». C’è poi il problema dell’accessibilità nautica: «La Via ha già detto delle cose: ci sono interferenze con i traffici nautici, criticità ambientali, rischi della zona industriale». In realtà su quest’ultimo punto la Capitaneria si era espressa di fronte a «coni di rischio» che poi sono stati aggiornati. De Piccoli boccia anche il Vittorio Emanuele, previsto da Musolino nella fase transitoria. «Il piano regolatore portuale prevede una profondità di 11 metri e una cunetta di 80 - dice - Ma questo significa che ci passano al massimo navi da 30-32 metri, non certo le “medie” di cui si parla. Ma di fronte a questo scenario le compagnie sono d’accordo? Io non lo credo».
Al Tar e alla Corte dei Conti sono pronti ad andare anche i No Nav, che venerdì si sono riuniti in assemblea. «Al momento del voto era presente solo il ministro Delrio e non è stato possibile, per mancanza del numero legale, approvare una delibera, ma solo un anomalo “Documento programmatico” - dicono - Valuteremo dei ricorsi per bloccare decisioni assurde e pasticciate». Dalle Infrastrutture nessuna replica ufficiale, ma solo la sottolineatura che ogni ministero era rappresentato da un delegato e che c’erano stati numerosi incontri preparatori.
Corriere del Veneto, 12 novembre 2017. Una dura critica al "project finanzing all'italiana (paga sempre il contribuente), e un consiglio: cancellare il CVN, padrone del Mose
Venezia. Dell’immane lavoro dei commissari sul Mose «ancora non si vedono i frutti», ammette; avverte che «i project financing possono creare un danno enorme alle casse pubbliche» e quando sente ripetere la solfa che la sua authority sta ingessando i lavori pubblici, sbotta: «Il problema della corruzione è diventato il problema dell’anticorruzione. Un clima preoccupante».
Il presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffale Cantone è come Mr Wolf di Pulp Fiction: risolve problemi. Dopo quelli di Expo e Mose, l’Anac affronterà anche i risarcimenti per le banche venete e a breve dirà la sua anche sulla terza convenzione tra la Regione e Sis sulla Pedemontana Veneta.
Presidente, un emendamento alla legge di stabilità presentato da alcuni senatori veneti incarica l’Anac di gestire il costituendo Fondo per le vittime dei reati finanziari. Ha già indicazioni sui criteri di risarcimento?
«In realtà non ne so nulla. Come presidente dell’Anac, invece, presiedo il collegio arbitrale che dovrà decidere i risarcimenti ai titolari di obbligazioni subordinate di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. Ci è stato detto che ci sarà un’estensione alle due venete ma per le obbligazioni subordinate. Mai saputo di risarcimenti per le azioni».
Anac si sta invece occupando del Mose, attraverso i commissari del Consorzio. Ci sono problemi di cassa, di pagamento delle rate del prestito Bei, i cantieri sono fermi, Mantovani è in crisi con 260 lavoratori e accusa i commissari di avergli tolto 100 milioni di lavori. Cosa sta accadendo?
«A metà degli anni Duemila la Commissione Europea ha verificato che c’era stata una totale restrizione della concorrenza e si decise che una serie di opere dovessero essere assegnate con appalti. Cosa che non è avvenuta con la precedente gestione e i commissari ritengono che le opere ora debbano andare a gara per rispettare il quadro di regole concordate con la Commissione. Non so se Mantovani ha ragione ad avanzare le sue rimostranze ma l’ingresso dei commissari ha portato alla necessità di rispettare le indicazioni europee».
I commissari fanno un sforzo enorme per capire meccanismi, leggere le gestioni passate, rimettere in asse il concessionario unico. Eppure non si vede ancora la luce, sul Mose.
«Non si vedono ancora i frutti del commissariamento, sono d’accordo. Il Consorzio gestiva soldi pubblici con la logica di rappresentare le imprese, una situazione di conflitto di interessi. Era una macchina che poteva marciare solo con un certo autista e quando questo è cambiato ed è diventato indipendente, si sono creati problemi enormi. La difficoltà sta nel dover continuare nella struttura del Consorzio ma nel rispetto delle regole. La situazione è oggettivamente entrata in crisi».
Sta dicendo che sarebbe opportuno eliminare il Consorzio Venezia Nuova, il concessionario unico?
«Non spetta a me dirlo. Ma è un ginepraio che richiede interventi legislativi, l’anomalia del Consorzio deve essere risolta in maniera politica. Il ministero deve decidere se questo meccanismo ha le condizioni per andare avanti. Pochi giorni fa ho parlato con Delrio, col quale c’è totale sintonia, per capire quale strada intraprendere per uscire dall’impasse: una soluzione va trovata e il Mose va ultimato».
Il rispetto delle regole sta creando problemi alle imprese: giovedì il presidente dell’Ance veneta Ugo Cavallin ha chiesto a Renzi di sospendere il codice degli appalti, la norma che vieta rapporti con la pubblica amministrazione a chi ha una condanna in primo grado e ha detto che l’Autorità Anticorruzione ha determinato una paralisi.
«Anche l’Ance nazionale ha chiesto la sospensione del codice con toni di una durezza inaudita. Sembra che il problema della corruzione sia diventata l’anticorruzione! Vorrei si usassero toni così accesi quando emergono fatti gravi di corruzione come quelli del Mose, anche cacciando i corruttori dalle associazioni di categoria. Per quanta riguarda l’esclusione delle imprese con condanna di primo grado, l’Anac ha raccolto un suggerimento del Consiglio di Stato ma riguarda solo reati di particolare gravità. L’Autorità è nata per spostare l’asse dalla repressione penale alla prevenzione amministrativa. Se le regole ingessano, qual è l’alternativa? Le mani libere? Non mi pare che leggi che hanno consentito di avere le mani libere come la Legge Obiettivo abbiano accelerato le opere pubbliche e anzi hanno favorito il malaffare».
La scorsa primavera lei aveva espresso dubbi sul terzo contratto tra Regione e concessionario Sis sulla Pedemontana. Ora l’atto è firmato e i bond sono stati collocati. Anac ha tratto le conclusioni?
«Ci sono alcune perplessità di cui daremo conto all’esito di un’istruttoria che sta per essere chiusa. Uno dei prossimi Consigli sarà dedicato alla Pedemontana e l’Autorità farà sapere a breve cosa ne pensa dell’atto aggiuntivo. In generale, il partenariato pubblico-privato, che funziona negli altri Paesi del mondo, da noi si sta rivelando un meccanismo a rischio. I Project nascono come libri dei sogni spacciati come fattibili. Ma poi vengono riportati a terra dai fatti quando le opere vengono iniziate, e con l’alibi che non possono non essere concluse, si chiede al pubblico di intervenire cambiando le regole del gioco. Le casse pubbliche rischiano di avere un enorme esborso dall’accoglimento di progetti sbagliati».
la Nuova Venezia e Corriere del Veneto, 11 novembre 2017. «Il sindaco di Venezia ha anche richiesto la costruzione del mini offshore commerciale per navi container a Santa Maria del Mare, un luogo di grande valore paesaggistico, nel cantiere dei cassoni del Mose che per legge deve invece essere smantellato». (m.p.r.)
la Nuova Venezia
Il Comitatone del 7 novembre ha approvato una delibera, che, per sviluppare la crocieristica, reale scopo del Governo, individua ben tre accessi, e forse altri ancora, alla laguna. Unico voto contrario, quello del sindaco Ferro di Chioggia, vero eroe della giornata perché il solo a tutelare la Laguna. Grazie a Delrio, ai comuni di Mira, Venezia, Cavallino - Treporti e Jesolo, a Zaia e ai Ministeri competenti, la Laguna diventa così un colabrodo, un porto diffuso che nemmeno Paolo Costa poteva sognare e che invece gli ambientalisti o semplicemente le persone interessate alla tutela della bellezza e fragilità di Venezia e della sua Laguna potevano immaginare nei peggiori incubi.
Il grottesco è che non si pongono limiti massimi di tonnellaggio, bensì limiti minimi! E non si individua una via di accesso alternativa a quella vietata (come prescriverebbe il decreto Clini-Passera) ma se ne indicano ben tre! Se oggi il limite posto dal decreto sarebbe 40 mila tonnellate ma di fatto è 96 mila, la delibera del Comitatone prevede per le navi sopra (sottolineiamo sopra!) le 130 mila tonnellate l'ingresso per la bocca di Malamocco, il passaggio per il Canale dei Petroli e l'attracco a Marghera, nel Canale Nord; per quelle sotto alle 130 mila tonnellate consente egualmente il transito per il canale dei Petroli e poi per il canale Vittorio Emanuele (da escavarsi, e per cui non c'è nemmeno la certezza della Via!) e l'approdo alla Marittima; per quelle sotto le 40 mila tonnellate conferma l'ingresso per il Lido, il passaggio per il Bacino e l'attracco alla Marittima, di cui ribadisce la centralità.
Ma non solo: per queste navi minori sono possibili anche altri attracchi, forse Chioggia o chissà. Interessante notare che il sindaco di Venezia ha ottenuto che, quale approdo delle grandi navi a Marghera, nella delibera non venisse genericamente indicato il Canale Nord, com'era in bozza, ma precisamente la sponda nord del Canale Nord. Area di più facile accesso da terra, ma privata, e fra le più inquinate di Marghera, trovandovi luogo, un tempo, la lavorazione del carbone. Tempi lunghi dunque e incerto futuro. Certissima invece è la mancanza di limitazione alle dimensioni delle navi, se non quella imposta dalla presenza delle linee dell'elettrodotto, che il sindaco di Venezia durante la seduta ha chiesto venga presto interrato. Nessun limite!
Il sindaco di Venezia ha anche richiesto come necessaria la costruzione del mini offshore commerciale per navi container, probabilmente come vorrebbe il presidente dell'Autorità di sistema portuale a Santa Maria del Mare, un luogo di grande valore paesaggistico, nel cantiere dei cassoni del Mose che per legge deve invece essere smantellato. La Laguna diventerà dunque un porto diffuso per navi commerciali e crocieristiche di ogni stazza e lunghezza, ma prevalentemente di enorme tonnellaggio, assecondando l'imperante tendenza al gigantismo. La Laguna si piega così alle navi e agli armatori. E il canale dei Petroli, artefice della distruzione della laguna, dovrà essere potenziato e verosimilmente raddoppiato e delimitato da scogliere (il progetto c'è già e data al 2013), dovendo accogliere come minimo 1000 transiti navali in più e di navi sempre più grandi.
Ricordiamo che gli studi scientifici, reperibili anche in rete, provano indiscutibilmente che l'erosione di cui soffre il bacino lagunare centrale (vale a dire la voragine ai lati del primo tratto del canale dei Petroli nonché l'atrofizzazione della rete dei canali naturali) è dovuta agli effetti idraulici del canale stesso e al traffico navale che vi si svolge. Secondo le leggi e i piani vigenti, il canale dei Petroli deve essere invece ridimensionato e riconfigurato, riducendone l'impatto negativo. Le Leggi speciali prevedono infatti - come ha ricordato inutilmente con una lettera a Delrio il nostro presidente nazionale - il «riequilibrio idrogeologico dellalaguna», «l'arresto e inversione del processo di degrado del bacino lagunare e l'eliminazione delle cause che lo hanno provocato», e «l'innalzamento delle quote dei fondali determinatesi per l'erosione presso le bocche di porto e nei canali di navigazione».
Rileviamo inoltre che si rischia di imboccare una strada simile a quella presa per il Mose: la decisione di ieri si qualifica come meramente politica, aprioristica, non presa sulla base di un progetto definito (che non è stato presentato), e svincolata da qualsiasi valutazione scientifica. Rileviamo anche l'assoluta mancanza di informazione e trasparenza, per non parlare dell'assenza del dibattito pubblico e della comparazione fra i progetti, da sempre richiesti da Italia Nostra e prescritti dal nuovo Codice dei contratti pubblici.
Dal Comitatone nessuna tutela della laguna, dunque. E rimarchiamo, oltre all'incredibile assenza del ministro dell'Ambiente, quella del ministro dei Beni e delle attività culturali, Franceschini, che ha presenziato solo alla discussione del primo punto all'ordine del giorno, riguardante la Legge speciale, e non alla discussione del secondo, relativo al problema della crocieristica (nonostante la laguna sia sottoposta alle norme di tutela del Codice dei beni culturali e del paesaggio). Posizione grave, che ci fa intendere come nemmeno dal ministero dei Beni culturali la laguna venga considerata un bene culturale, prima che ambientale, di inestimabile valore.
Lidia Fersuoch è Presidente della sezione di Venezia di Italia Nostra Venezia
Corriere del Veneto
CROCIERE A MARGHERA, IL NODO DELLE AREE
«I proprietari: aspettiamo le proposte. L’ipotesi dei parcheggi. Il ruolo di D’Agostino»
Venezia. Chiudete gli occhi per un secondo e al posto di quelle due piccole navi nere attraccate proprio in punta immaginate due «grattacieli del mare» da 140 mila o più tonnellate. Canale industriale nord, sponda nord. Qui il governo, con il Comitatone dell’altro giorno, ha deciso che arriveranno le grandi navi da crociera, risolvendo finalmente il problema del passaggio davanti a San Marco, anche se non prima di 3 o 4 anni. Qui, dove una volta veniva stoccato il carbone della Italiana Coke e, nella punta, c’era un’attività di importazione di cemento, e dove ora ci sono terreni deserti e con lavorazioni minime, sorgerà il nuovo terminal crociere: qui, con i due approdi previsti inizialmente, arriverebbero 10 mila crocieristi al giorno.
La linea è tracciata, ora però si apre il percorso tecnico. E il primo problema è quello delle aree. Problema che il presidente dell’Autorità portuale Pino Musolino ha già iniziato ad affrontare in questi mesi, vedendo in gran segreto alcuni dei proprietari, che sono sostanzialmente quattro. La Fabbrica Concimi di Crema è proprietaria proprio dell’area in punta, 25 mila metri quadri con 300 metri di banchina sul canale nord. «Siamo stati contattati dal presidente Musolino alcuni mesi fa e abbiamo dato una disponibilità di massima», dice l’ingegner Nicola Ferrari, della St Srl, professionista veneziano che segue l’azienda lombarda.
Ovviamente il Porto ha, da parte sua, la forza dell’esproprio, qualora il progetto fosse dichiarato di pubblica utilità, come sarà; dall’altro però i privati potrebbero opporsi e andare in tribunale e questo allungherebbe i tempi. Per questo sul tavolo sarebbe stata messa la possibilità di coinvolgerli nell’operazione, lasciando, per esempio, la gestione dei parcheggi. L’idea è infatti quella di un project financing, in cui potrebbe entrare anche Vtp, sebbene ci sia il problema che difficilmente la concessione sarà estesa in automatico dalla Marittima al terminal di Marghera e dunque si ripartirà da zero con una gara europea o comunque sarà prevista nell’ipotesi di project .
C’è poi la questione dei tempi. Delrio e Musolino hanno parlato di 3-4 anni, pensando a un anno per la progettazione e le procedure burocratiche - soprattutto per le bonifiche, visto che non dovrebbe essere prevista la Via - e poi 2-3 per la realizzazione. St Srl aveva già fatto una bozza di progetto, in cui veniva prevista una spesa di 62 milioni di euro e 630 giorni tra iter e realizzazione, ma solo per attrezzare la banchina, chiudere i marginamenti e dragare il canale industriale nord, dove andrebbero le navi, che ha una quota di appena due metri. Qui i fanghi dovrebbero essere abbastanza «puliti», a differenza di quelli del canale Brentella, dove ci sarebbe qualche problema in più. Ci sarà infine da gestire il rapporto con Roberto D’Agostino e l’Ati che, proprio su quella stessa area, ha protocollato una proposta di project financing da 250 milioni: difficile far finta che non esista.
la Nuova Venezia
«RICORSO AL TAR CONTRO
IL VOTO DEL COMITATONE»
Le varie anime del comitato No Grandi Navi si sono ritrovate ieri pomeriggio in Sala San Leonardo per discutere sulle decisioni assunte dal Comitatone martedì scorso. Un dibattito acceso, che ha accompagnato una disamina approfondita della situazione e l'annuncio di un'assemblea cittadina il 2 dicembre sempre in Sala San Leonardo e, una settimana dopo, a Marghera. Prima, una delegazione del Comitato andrà in Sovrintendenza per chiedere un incontro urgente con il ministro Franceschini e in Capitaneria di Porto, perché - come spiegano - l'ordinanza transitoria prevista dal documento del Comitatone durerà dieci anni.
la Nuova Venezia
CROCIERE A CHIOGGIA
il Fatto Quotidiano, la Nuova Venezia, la Repubblica, Corriere del Veneto, 8 novembre 2017. Comitatone: tutti i portatori di interessi rappresentati tranne uno: la Laguna. Articoli di Giuseppe Pietrobelli, Alberto Vitucci, Francesco Bottazzo, Francesco Furlan, con postilla
il Fatto Quotidiano
GRANDI NAVI
«Dalle prime indiscrezioni che giungono da Roma sembra che l’avevamo vista giusta. I distruttori della Laguna vogliono continuare con le loro opere assurde e devastanti» è il commento a caldo di Luciano Mazzolin, del Comitato No Grandi Navi. «Vogliono approvare la peggiore soluzione possibile, con attracchi a Porto Marghera per le navi da crociera più grandi (che oggi non entrano in Laguna) e per le altre navi da crociera (superiori alle 40.000 tonnellate di stazza) il passaggio attraverso il canale Vittorio Emanuele per arrivare ancora in Marittima». Secondo gli ambientalisti, questa soluzione, se realizzata, avrà effetti devastanti sull’equilibrio lagunare, penalizzerà la portualità commerciale e la vocazione industriale e manifatturiera di Porto Marghera, ma avrà anche «oggettivi ostacoli per lo sviluppo prevedibile e sostenibile delle grandi navi da crociera a Venezia». E’ per questo che No Grandi Navi preannuncia azioni di mobilitazione, sulla scia del referendum che in primavera ha bocciato l’ingresso delle navi in Laguna e che a settembre ha creato una rete dell’ambientalismo europeo a tutela dei territori.
Il ministro Delrio ha spiegato: «A regime le grandi navi andranno tutte nel canale nord di Marghera. Non ci saranno interferenze con il traffico commerciale. Le due realtà possono coesistere in questa fase transitoria fino a quando il terminal di Marghera sarà attrezzato. Metteremo in campo una nuova determinazione dell’autorità Marittima per disciplinare il traffico temporaneo con nuovi criteri che tengano conto di tutte le variabili architettoniche, paesaggistiche e ambientali per preservare al massimo la laguna. Continuiamo a studiare ed esplorare la possibilità di sfruttare gli attuali canali perché non se ne scavino di nuovi”.
La via di transito sarà quindi il canale di Malamocco, come ha spiegato il sottosegretario Pierpaolo Baretta: «Dopo anni di incertezze siamo giunti a una decisione capace di proiettare Venezia e l’intera laguna nel futuro. La soluzione rappresenta un punto di equilibrio tra tutela ambientale, sviluppo territoriale e attività imprenditoriale”.
la Nuova Venezia
GRANDI NAVI A MARGHERA
Venezia. Grandi navi a Marghera, in canale Industriale Nord, sponda Nord. Stop al Vittorio Emanuele, per cui vanno fatti ulteriori studi per risolvere le criticità degli scavi e analizzarne i rischi. Centralità della esistente Stazione Marittima, ma solo per le navi «medio-piccole». Il Comitatone ha approvato ieri a Roma la delibera di intesa sulla soluzione al transito delle navi in bacino San Marco, a cinque anni e mezzo di distanza dal decreto Clini Passera.
la Repubblica
VENEZIA, GRANDI NAVI VIA DA SAN MARCO
Corriere del Veneto
GIGANTI DEL MARE A MARGHERA
«Giganti del mare via da San Marco. Lo ha deciso il Comitatone riunito ieri a Roma. Nell’arco di tre anni, attraverso il canale di Malamocco, andranno a Marghera tutte le navi da 130 mila tonnellate. Il ministro Delrio ha spiegato che non ci saranno interferenze con il traffico commerciale. «Le due realtà possono coesistere in questa fase transitoria fino a quando il terminal di Marghera sarà attrezzato». Archiviata definitivamente quindi la soluzione Contorta-Sant’Angelo del 2014 «per mancanza di presupposti». Reazioni positive, dal sindaco Brugnaro al governatore Zaia. Ma è scontro con gli enti locali sulla Marittima».
Roma. Ancora per tre o quattro anni le grandi navi da crociera passeranno davanti a San Marco, ma con nuovi limiti, non più basati sul tonnellaggio (e quindi sulla grandezza) ma sulla qualità (se cioè inquinano meno e sono più sicure). Poi, quelle più grandi, da 130 mila tonnellate, faranno tappa a Marghera. Le più piccole, quelle che passano già ora, continueranno ad arrivare alla Marittima entrando in laguna però dalla bocca di porto di Malamocco, costeggiando le fabbriche e percorrendo il canale Vittorio Emanuele che dovrà essere scavato.
Il governo ha deciso – condividendo la posizione con il Comune, la Regione e l’Autorità di sistema portuale di Venezia e Chioggia – di mettere un tetto alle crociere davanti a San Marco, ma ha lasciato la porta aperta sul canale Vittorio Emanuele, su cui servono ulteriori approfondimenti, da fare velocemente, compresa l’assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale. «Dopo tanti mesi di studio abbiamo trovato una soluzione vera per un attraversamento sostenibile della laguna senza penalizzare una presenza turistica importante per Venezia», dice soddisfatto il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio al termine del Comitatone (il comitato interministeriale per la salvaguardia di Venezia), a cui hanno partecipato anche il ministro ai Beni culturali Dario Franceschini, il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, i sindaci di Venezia, Cavallino, Mira, Chioggia e Jesolo, il governatore del Veneto, il presidente del Porto e il provveditore interregionale alle Opere pubbliche. L’ultimo era stato l’8 agosto 2014, quando fu deciso di valutare tutti i progetti alternativi al passaggio delle navi a San Marco.
D’accordo, serviranno studi e probabilmente anche la Via (anche se si tratterebbe solo di scavi limitati: dai 7,5-9 metri ai 10,5 necessari), ma difficilmente verrà messo da parte. Del resto nel documento finale votato all’unanimità (tranne dal sindaco di Chioggia) si parla chiaramente di centralità dell’esistente stazione marittima per le navi di dimensione medio-piccola. L’importante è che «non siano scavati nuovo canali», ha precisato il ministro. «Dopo anni di incertezza - commenta Baretta - siamo giunti finalmente a una decisione capace di proiettare Venezia e l’intera laguna nel futuro». «Finalmente c’è un piano di lavoro - ha commentato il governatore del Veneto Luca Zaia - La Marittima sarà destinata ad accogliere il turismo luxury che porta valore».
la Nuova Venezia
Roma. Chioggia torna da Roma con un gruzzoletto importante della Legge speciale, ma con forti timori sulla crocieristica. Il sindaco Alessandro Ferro potrà contare a breve su 3 milioni di euro di risorse legate alle annualità 2016 e 2017 e successivamente su altri finanziamenti di 1.5 milioni all'anno. «Sono risorse importanti», spiega il sindaco, «che dovremmo subito mettere a frutto prevedendo progetti veloci per evitare che finiscano negli avanzi di amministrazione. I primi 3 milioni dovrebbero arrivare entro fine anno, ci metteremo subito in moto. Abbiamo anche ottenuto promesse importanti sull'alleggerimento dei vincoli del Patto di stabilità che non ci permettono di utilizzare i 60 milioni di euro di residui di Legge speciale che abbiamo fermi in deposito. Ci saranno alleggerimenti progressivi, per usare piccole parti delle risorse accantonate, fino alla liberalizzazione totale nel 2021».
postilla
Questi chiacchieroni che straparlano su Venezia e Laguna non hanno compreso che l'una e l'altra si stanno degradando irrimediabilmente per tre motivi: (A) perché l' aggressione provocata dal turismo, ricco e povero che sia è incompatibile con le dimensioni, la delicatezza la fragilità delle carattristiche fisiche della città; (B) perché gli effetti del turismo sono devastanti per la struttura sociale della città; (C) che la ragione prima della distruzione della Laguna è nella costruzione del Canale dei Petroli, che infatti mezzo secolo fa si era deciso di eliminare. Se lo avessero compreso non continuerebbero nel proporre interventi "salvifici" tutte le soluzioni "tutelatrici" che: (1) non riducono di uno il numero dei turisti; (2) consolidano e raddoppiano il Canale dei Petroli.
Su la Repubblica di oggi Il grande fotografo Gianni Berengo Gardin esulta perché alle Grandi navi verrebbe impedito il passeggio dinnanzi al Palazzo ducale e Piazza San Marco. I vedutisti dunque hanno vinto. Ma Venezia e la sua Laguna corrono verso la distruzione.
la Nuova Venezia, 4 novembre 2017. Ciò che resta della città storica si sfalda come una nocciolina schiacciata tra due potenti ganasce: le Grandi Navi dall'acqua, i Grandi Alberghi dalla terra. Intanto, la Laguna, con postilla
«Mestre. AO avvia i lavori per il secondo edificio per 300 camere. Gru alte fino a 45 metri di altezza e accordo per il nuovo porticato»
MESTRE. Cinque grandi gru svettano in via Ca’ Marcello nella grande area di espansione dei nuovi alberghi di Mestre. Due grandi braccia metalliche, la più alta arriva a 45 metri, sono arrivate nel “cratere” a fianco dell’ostello della AO per sancire il via al cantiere del raddoppio della struttura alberghiera che nascerà con un nuovo edificio, dalle ceneri dell’ex agenzia delle Entrate, demolita nei mesi scorsi. Come promesso, i cantieri sono veloci: i lavori di costruzione del nuovo complesso alberghiero in via Ca’ Marcello hanno mosso i primi passi con l’arrivo delle grandi gru. Dall’altra parte ce ne sono tre, la più alta arriva a 40 metri, nella grande area ex Demont dove gli austriaci del fondo Mtk corrono per costruire altri 4 alberghi, di fasce differenti.
L’ostello AO è stato aperto alla fine di luglio con 300 camere e un migliaio di posti letto. Dopo la demolizione dell’ex palazzo dell’Agenzia delle Entrate, attiguo al nuovo ostello che attrarre turisti, soprattutto giovani e famiglie del Nord Europa, si va al raddoppio. Richiamati al lavoro gli operai della stessa impresa impegnati a realizzare l’edificio “gemello” per altre 300 camere. Un tunnel sopraelevato, spiega il progettista, l’architetto Sandro Bisà, collegerà i due edifici ma il nuovo ampliamento avrà una propria reception ed uno stile architettonico del tutto identico a quello del primo edificio, nato anch’esso da una demolizione: quella dell’ex officina Vempa.
I due edifici “gemelli”, spiega ancora Bisà, avranno in comune anche il porticato. L’obiettivo di AO è quello di realizzare un porticato in continuità tra i due edifici, che crei un percorso coperto dalla stazione verso l’ostello.
Ma il sedime dell’ex Agenzia delle Entrate, demolita, è arretrato rispetto a quello del vicino ostello in piena attività e di conseguenza la società sta discutendo con il Comune di Venezia per ottenere la disponibilità di una striscia di terreno, di proprietà comunale, per portare il porticato in linea con quello esistente e allungare il percorso coperto in direzione della stazione. A quanto è dato sapere, l’accordo in sostanza c’è già ma mancano una serie di adempimenti burocratici.
Nel frattempo il cantiere comincia a mettersi in moto dopo il rilascio da parte del Comune del permesso a costruire lo scorso mese di agosto e dopo che l’area di cantiere è stata interamente liberata dai detriti della demolizione dell’ex Agenzia delle Entrate, chiusa da anni. Il conto alla rovescia è iniziato: l’obiettivo della AO Hostels è quello di aprire il raddoppio, con altre 300 camere, «entro la primavera del 2019». Dall’altra parte della strada c’è grande fermento anche nel cantiere degli austriaci di Mtk che hanno, con un investimento di 70 milioni di euro, avviato i lavori per costruire quattro nuovi alberghi con due silos parcheggi per 745 nuove camere d’albergo e 1.900 posti letto. Gli edifici cominciano a prendere lentamente forma. I contratti con i nuovi alberghi sono siglati.
Arriveranno in via Ca’ Marcello la anglo-irlandese “Stay City” specializzata nei rent apartment; l’albergo a 4 stelle della catena tedesca “Leonardo Hotels” , del gruppo israeliano Fattal; l’ ostello “Wombat’s” del gruppo City Hostels. E i cinesi della Plateno, gigante alberghiero a cinque stelle che sbarca a Nordest per la prima volta. Aperture in calendario per aprile 2019, ribadusce l’architetto Luciano Parenti.
Via Ca’ Marcello, vista dal cavalcavia di Mestre, cambia ogni settimana. Gli edifici crescono in un’area degradata che sta vivendo un fermento edilizio e di presenze: grazie all’ostello tedesco in due mesi sono passate di qui già 50 mila persone. Un via vai di viaggiatori che si porta dietro l’apertura, verso la stazione, di nuovi bar e pizze al taglio.
postilla
Il Moloch che divora tutto è il turismo. Le Grandi Navi da un lato, adesso si aggiungono i Grandi Alberghi dall'altro. Il movimento di resistenza non si è ancora accorto del parallelismo dei fini e degli effetti: forse la comune lotta contra gli uni e gli altri è una dei possibili legami tra i cittadini dell'una e l'altra parte della città per combattere contro il vecchio che avanza.
Intanto la Laguna (senza la quale Venezia è impensabile) vacilla contro i colpi menati col maglio dell'approfondimento del Canale dei petroli, che vorrebbero consolidare costruendo due argini in c.a. per consentire alle Gransi navi di raggiungere Porto Marghera: quel devastante Canale dei petroli che Parlamenti avveduti avevano imposto dagli anni 1970 di eliminare, per ricostituire l'unitarietà della Laguna.
I veneziani? Gran parte di essi si accontenta di raccogliere con lingue servizievoli le briciole che il Moloch lasca cadere; gli altri, i sopravvissuti, si approssimano a chiedere il regime di "riserva indiana". Potranno così sperare in ottenere una parte della spesa che pagano per far ingrassare il Moloch: sapete che un contribuente veneziano paga, per la sola eliminazione dei rifiuti, 355 € all'anno, contro i 222 dei milanesi, i 212 dei bolognesi, i 160 dei trentini e dei triestini (vedi Repubblica online, AF del 3 novembre)
la Nuova Venezia, 3-4 novembre 2017. Prosegue l'emersione di frammenti dello scandalo più grande del secolo: l'azione della banda denominata Consorzio Venezia Nuova, nato e cresciuto con l'obiettivo di trasformare il recupero dell'equilibrio ecologico della Laguna in un enorme affare basato sulla costruzione di un gigantesco insieme di opere in c.a. e acciaio.
Il "giallo" delle opere ambientali mai fatte: 266 milioni di euro di lavori di cui si è persa ogni traccia. Eppure era stata l'Unione europea a stabilire dieci anni fa che per chiudere la procedura di infrazione per "danni ambientali" provocati dai cantieri del Mose, il Consorzio avrebbe dovuto realizzare «interventi di compensazione» in laguna. Accantonando ogni anno le somme necessarie: 266 milioni che adesso mancano all'appello. Uno dei temi di cui si discuterà al prossimo Comitatone, convocato per il 7 novembre a palazzo Chigi. Due i temi all'ordine del giorno: la Legge Speciale (e il Mose) e le grandi navi, con la proposta del nuovo terminal a Marghera.
LE OPERE AMBIENTALI
SONO DIVENTATE CEMENTO
Corriere del Veneto, 25 ottobre 2017. «La Regione vuole le competenze che sono già della Città metropolitana. Il nodo al Comitatone». A Napoli dicono: "Mbbruoglio aiutame. Intanto, i poteri reali li ha la banda CVN.
Venezia. Chi gestisce la laguna, controllerà anche il Mose. Ed è affollata la schiera di pretendenti: la Città Metropolitana che le competenze le ha già e manca solo l’ultimo miglio del decreto attuativo, il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche che con la nuova presidenza di Roberto Linetti ha ritrovato vigore e autorevolezza nella gestione della salvaguardia. E lunedì si è accodata ufficialmente anche la Regione, che è entrata nella partita dalla porta del disegno di legge sull’autonomia approvato dalla giunta Zaia dopo il referendum. Tra i 56 articoli ce n’è uno, il 29, che rivendica la gestione del demanio marittimo; della costruzione, bonifica e manutenzione dei porti; della difesa delle coste. E della salvaguardia di Venezia. Tutte funzioni dell’ex Magistrato, abolito dopo la scandalo MoSE.
Il disegno di legge approvato l’altro ieri, in realtà è lo stesso che la giunta su proposta del governatore Luca Zaia aveva già validato a marzo del 2016, dunque è da un po’ che Palazzo Balbi accarezza l’idea. Ma per legge le competenze ora come allora erano già della Città Metropolitana, ente non troppo caro alla Regione: nell’agosto 2014, su proposta del deputato Pd Andrea Martella, i poteri furono trasferiti grazie ad un emendamento e quel passaggio di consegne è legge dallo scorso anno. «Questa ipotesi della Regione contrasta con la legge approvata l’anno scorso, che disponeva che le competenze sulla laguna sarebbero state trasferite al Comune - conferma Martella - competenze di salvaguardia e di risanamento della città di Venezia e dell’ambiente lagunare, di polizia lagunare e organizzazione della vigilanza lagunare nonché di tutela dell’inquinamento delle acque. È vero, mancano i decreti attuativi e su questo il governo è un po’ in ritardo, ma la linea è stata tracciata. Zaia andrà misurato sulla capacità di chiedere le competenze dell’articolo 116 della costituzione e questa non è prevista, dunque meglio che eviti richieste astruse, che peraltro darebbero vita a un nuovo centralismo regionale».
Neocentralismo veneto? Il sindaco Luigi Brugnaro schiva la polemica ma le competenze sono una partita che sta trattando con Palazzo Chigi: «Abbiamo parlato di tutto col presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, anche dei poteri dell’ex Magistrato alle Acque». Il decreto attuativo è alla firma e sarà uno dei temi all’ordine del giorno del Comitatone del 7 novembre. La Regione smorza la polemica. «La legge c’è ma manca il decreto attuativo e c’è sempre il tema dell’operatività e delle risorse - nota l’assessore allo Sviluppo Roberto Marcato - Noi chiediamo queste competenze per essere più efficaci. E poi lo declineremo in accordo con la Città Metropolitana, con la quale stiamo lavorando a strettissimo contatto su Porto Marghera. Nessuna volontà di scippare competenze».
Eppure il problema delle funzioni date con parsimonia alla Città c’è: l’urbanistica è stata ritirata a Ca’ Corner ma non alle altre Province e non è mai più tornata a casa. Sarà il tema caldo delle consultazioni della Regione con gli enti locali sul progetto di legge dell’autonomia che dovrà approvare il consiglio Regionale. L’articolo 116 della Costituzione dispone che le maggiori competenze possono essere chieste «sentiti gli enti locali». La partita è aperta.
Corriere del Veneto, 25 ottobre 2017. Un lungo e costoso intervento di recupero e restauro dicono. Trattasi in realtà di nuova costruzione in cui si è conservato solo una facciata. Per farne cosa? «un tempio dello shopping popolare». (m.p.r.)
Venezia. Nella sua lunga storia è stato birreria e albergo, quindi sede di uffici, poi comando dei vigili, anche magazzino e perfino mensa. Ora è pronto a cambiare ancora vita, trasformato in tempio dello shopping popolare, a pochi passi da piazza San Marco. Il complesso «ex Pilsen», costituito da quattro edifici interconnessi e affacciato sul bacino Orseolo, venerdì riaprirà al pubblico sotto le insegne del colosso della moda Zara, trasformandosi nel primo negozio del marchio spagnolo in centro storico (senza il reparto «home»). Una nuova vita dopo anni di battaglie legali, polemiche, ma soprattutto al termine di un intervento di recupero e restauro difficile, durato quasi quattro anni e arrivato a costare più di 14 milioni di euro. Il palazzo è di proprietà della Mediterraneo Sviluppo di Piero Coin che ha affidato i restauri allo studio dell’architetto Alberto Torsello.
La facciata in «cocciopesto» è pressoché identica, con le vetrine, le finestre e la balconata uguali a quelle di inizio Novecento. La complessità dell’intervento sta nella sua «invisibilità». «All’interno infatti è stato cambiato tutto, mantenendo solo i muri perimetrali e costruendo uno scheletro di acciaio, legno e tiranti per sostenere l’intero edificio mentre smontavamo piani e solai – spiega Torsello – In quella fase non dormivamo la notte, preoccupati da tutto». Le demolizioni prima e le costruzioni sono state rocambolesche per l’impraticabilità dei canali vicini: in bacino Orselolo lo spazio è tutto delle gondole, e anche se ci fosse stato campo libero, in realtà curve e percorsi dei canali per eventuali barche sono davvero minimi.
«Durante il giorno sbriciolavamo calcinacci e li chiudevamo sottovuoto, perché occupassero meno spazio possibile – continua l’architetto – poi, durante la notte, li trasportavamo fino alla barca che ci aspettava in Canal Grande usando carriole elettriche». Lo stesso criterio ha anche guidato la scelta dei materiali e delle tecniche per la ricostruzione, ecco perché nei locali si avranno putrelle e bulloni a vista, testimonianza dei faticosi compromessi di operai e progettisti. Diversa la sorte dell’ala ottocentesca, affacciata sulla Frezzaria: lì, dove il piano terra comune a tutto il complesso era già occupato dai negozi, ci si è limitati ad un restauro conservativo, cambiando solo gli elementi troppo deteriorati per resistere (arrivando a volte a sostituire i singoli mattoni sfilandoli dai muri).
All’interno, dove tutto diventerà un ambiente unico, il cambio di passo sarà evidente: le travature in acciaio cederanno il posto ai vecchi soffitti, in un accostamento peculiare di antico e moderno. All’esterno, invece, quasi niente tradirà l’intervento: uguali le facciate, uguali gli stucchi (rossi per l’ala novecentesca, gialli per quella del secolo precedente). L’unico segno diverso (e all’inizio contestato) è il muro laterale di congiunzione, che si intravede sopra il tetto dell’Hard Rock Café: qui, per mascherare il cambio di livello e l’adeguamento dei piani, è stata innalzata una parete aggiuntiva, con alte finestre a feritoia in pietra d’Istria capaci di ingannare gli osservatori.
In totale l’ex Pilsen ora conta una superficie di 2.800 metri quadri (contro i precedenti 3.400, che comprendevano alcuni solai aggiuntivi) di cui solo 1.500 saranno adibiti a spazio commerciale, mentre il resto verrà occupato da magazzini, elevatori, collegamenti e scale di emergenza; quattro le scale mobili previste - una per piano, ma solo in salita – mentre i soffitti spazieranno da un’altezza di 3,70 metri fino a sfiorare i sei. «Avremmo potuto trasformare il palazzo in albergo, c’era già il progetto e l’autorizzazione – spiega Coin – Si trattava però di un piano senza respiro, con tante piccole camere e quote basse. Sicuramente avrebbe garantito un ottimo ritorno commerciale, ma non avrebbe aggiunto niente alla città».
Come, quando e perché «si è deciso che Venezia non era una “città”, ma solo il quartiere turistico di una grande conurbazione che aveva bisogno di grandi opere infrastrutturali per massimizzare l’accessibilità al centro»
Dice Italo Calvino a proposito di Maurilia «città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome… anche i nomi degli abitanti restano uguali… ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei».
Tali parole si addicono perfettamente alla città, costruita negli ultimi cinquant’anni, che continuiamo a chiamare Venezia, malgrado non abbia nulla in comune, se non il sito, con la città preesistente. Per quanto possano esteriormente apparire simili, infatti, la città del doge e la città del Mose sono ontologicamente diverse. Nella prima, le mutazioni fisiche e le attività umane interagivano adeguandosi le une alle altre con continui interventi e aggiustamenti, mentre la seconda è una vera e propria città di fondazione, nel senso che, come avviene in occasione di un evento catastrofico- distruzione bellica, calamità naturale, decisione di un invasore di radere al suolo e ricostruire ex novo - la nuova Venezia è sorta sulla base di un piano. E non a caso Consorzio Venezia Nuova è il nome del suo committente, costruttore, reggente e amministratore delegato.
L’idea e il piano
Ogni piano urbanistico si concreta in soluzioni architettoniche, dislocazione di gruppi di abitanti e attività economiche, regole di governo, che riflettono una determinata idea di città e allo stesso tempo contribuiscono alla sua costruzione.
Nel caso di Venezia Nuova l’idea, altrimenti detta la vision, non è diversa da quella che si è affermata ovunque nella seconda parte del secolo scorso, quando la nozione di città come intreccio indissolubile di urbs-civitas-polis è stata sostituita da quella di giacimento di risorse, da porre sul mercato a disposizione degli investitori di ventura, per essere sfruttate e gestite come una società per azioni. La sola differenza rispetto ad altre situazioni è che la risorsa alla quale si è attribuito il maggior potenziale di profittabilità, perché disponibile in grande quantità e “sottoutilizzata”, non è il suolo, ma l’acqua, nelle sue due accezioni di acqua della laguna e di acqua alta. Da un lato, quindi, la laguna è stata trattata come una superficie inutilmente vuota che, diversamente dalle periferie normali, non era stata adeguatamente valorizzata, cioè lottizzata ed edificata. Dall’altro, l’alluvione del 1966, con la sua risonanza mondiale, ha consentito di incanalare flussi di denaro pubblico mai visti né immaginati, facendo diventare la città del Mose un esempio da manuale di quella che, assai opportunamente, Naomi Klein ha definito l’economia dei disastri.
La sovrapposizione dell’idea di città/risorsa alle conseguenze dell’evento del 1966 ha fatto sì che l’obiettivo della salvezza delle acque, che era rimasto per secoli una priorità per la città del doge, fosse sostituito con quello della salvezza dalle acque.
Cogliere questo mutamento di paradigma è necessario per capire quello che è successo da quando, nel 1967, Giulio Obici, nel suo scritto Venezia fino a quando, si rifiutava di credere che “la Laguna possa essere trattata come un vuoto da riempire, un terreno di conquista, uno strumento di disordinata espansione finanziaria”, al convegno organizzato dall’ordine degli ingegneri nel 2011, dal titolo “Laguna: ottavo sestiere”, nel quale i relatori dopo essersi posti il quesito se la Laguna vada considerata come “opportunità o come problema”, si sono dichiarati d’accordo sul fatto che la Laguna sia “l’ottavo sestiere, foriero di spazi per la residenza, lo svago, il lavoro”. Tale opinione bene sancisce la conclusione di un periodo nel quale al lavoro dei disegnatori di città si è affiancato l’impegno degli studiosi che hanno messo a punto e divulgato l’apparato teorico necessario a rendere inconfutabile un progetto di valorizzazione della Laguna che si fonda su tre presupposti.
Il primo è l’omologazione di Venezia a qualsiasi altro insediamento urbano, nel quale si può individuare una zona centrale con edifici monumentali; un anello, la cosiddetta periferia interna, con edilizia di minor pregio ed i cui spazi vuoti possono essere riempiti con parcheggi, sia di automobili che di natanti; una corona di acqua da adibire ad amenità turistiche; una periferia esterna in terraferma, sulla gronda lagunare.
Il secondo assunto è che Venezia era una città non finita, rimasta indietro rispetto alla modernità, e che per colmare il “ritardo” si doveva intervenire nelle aree libere, ma mature per lo sviluppo, e completare la bella incompiuta.
Infine, si è deciso che Venezia non era una “città”, ma solo il quartiere turistico di una grande conurbazione che aveva bisogno di grandi opere infrastrutturali per massimizzare l’accessibilità al centro e potenziare i punti di sbarco - aeroporto, porto, stazione, parcheggi, darsene- necessari all’invasione turistica.
Lo sfollamento e i nuovi abitanti
Il contesto culturale nel quale il Mose ha attecchito, e allo stesso tempo ha rafforzato e arricchito, non era di per sé sufficiente a far si che le ipotesi progettuali venissero realizzate. Per tradurre in azioni concrete il piano dei fautori della rinascita di Venezia era anche necessario eliminare, o almeno rendere ininfluente, qualsiasi opposizione o forma di resistenza.
Se ovunque, in un’epoca in cui i cittadini sono visti come un ostacolo all’esercizio del potere, gli abitanti sono considerati un ostacolo allo sviluppo delle economie urbane, questo si è dimostrato particolarmente vero a Venezia la cui popolazione, che nel 1966 ammontava a circa centoventimila anime, viene sempre spregiativamente bollata come nemica della modernità. Il suo sgombero e la contemporanea sostituzione con altre persone dagli “stili di vita” e dal potere d’acquisto più consono al tipo di consumatore auspicato per la città, è stata quindi sempre più esplicitamente riconosciuto come la precondizione per rivitalizzare Venezia.
Il lessico usato per giustificare il ricambio selettivo della popolazione è mutato nel corso degli anni, passando da un generico riferimento alla necessità di rinnovo del tessuto demografico, alla intenzionale ricerca dei modi per far arrivare quelli che il vicesindaco della giunta di Massimo Cacciari definiva «gli abitanti ideali di cui Venezia ha bisogno per rinascere», e che più efficacemente l’attuale sindaco Luigi Brugnaro chiama «la bella gente che voglio in città».
La distruzione e/o la svendita dell’edilizia pubblica, la indiscriminata chiusura di pubblici servizi, una tassazione punitiva per chi abita, associata ad una evasione fiscale protetta se non incoraggiata per gli altri, e infine la distrazione delle risorse economiche, prima destinate alla manutenzione ordinaria (pulizia dei canali, sistema fognario, disinquinamento, rialzo delle zone basse, manutenzione edilizia privata) e che negli anni novanta sono tutte state dirottate al Mose, hanno reso sempre più faticoso e costoso per un normale cittadino continuare a vivere a Venezia.
E così, oggi gli abitanti sono poco più di cinquantamila, l’intera Giudecca viene propagandata dalle agenzie immobiliari con lo slogan “è come stare a Brooklyn e vedere Manhattan” e si promette che presto anche lo waterfront di Marghera diventerà come “il New Jersey da cui si vede Manhattan”!
Le tappe
La costruzione della città del Mose ha proceduto parallelamente su tre fronti, rispettivamente impegnati nella creazione di nuovi manufatti e di interventi sulla struttura fisica, nella alterazione irreversibile della demografia e dell’organizzazione sociale, in una modificata distribuzione di poteri ai vari organi di governo. In particolare alla amministrazione locale della nuova città è stato attribuito il compito di promuoverne il marchio, cercare finanziamenti, ampliare e rendere sempre più appetibile e competitiva l’offerta della merce città.
La cronologia degli avvenimenti che dalla decisione iniziale si sono succeduti fino alla situazione attuale di “quasi completamento” del Mose è nota. Scarsa attenzione si presta, però, a quello che è nel corso degli anni è successo sugli altri fronti e che può emergere solo da una lettura incrociata delle decisioni e delle iniziative attuate dai diversi attori, Consorzio Venezia Nuova, comune, università, Biennale.
Per esempio, e per limitarsi ad alcuni momenti particolarmente significativi:
Nel 1984, anno della prima convenzione fra il ministero dei lavori pubblici e il consorzio Venezia Nuova, gli abitanti sono circa ottantasettemila, il comune avvia la costruzione di case per gli sfrattati e l’istituto delle case popolari bandisce un concorso per demolire e ricostruire l’intero complesso di campo di Marte alla Giudecca.
Nel 1989, gli abitanti sono calati a meno di ottantamila. Il comune, l’università e il consorzio Venezia Nuova creano il Centro città d’acqua che si dedica a propagandare gli waterfront come “nuova frontiera urbana”. Nella pubblicazione del consorzio intitolata “Venezia: quali progetti” ci si compiace, perché “ è riemersa la capacità progettuale, è rinata la capacità di realizzazione e i finanziamenti sono diventati il catalizzatore di importanti iniziative”. Una cordata di imprese si associa per promuovere la candidatura di Venezia all’Expo 2000.
Nel 2003 gli abitanti sono sessantaquattromila (circa la metà rispetto al 1966). Il consorzio avvia i lavori della costruzione vera e propria del Mose e contestualmente stipula una convenzione con l’università IUAV alla quale affida “un programma di ricerca a supporto della progettazione definitiva dell’inserimento architettonico delle opere mobili alle bocche naturali”. All’epoca il rettore Marino Folin dichiarò “da tecnico voglio dire una cosa soltanto. Gli appalti sono già stati affidati, il progetto va avanti, i lavori stanno per cominciare. A questo punto è nostro dovere fare in modo che quelle opere siano le migliori possibili…. si tratta di intervenire sull'inserimento architettonico delle opere e sul loro uso… stiamo pensando a posti barca e ormeggi. Gli edifici per il controllo delle paratoie saranno interrati, con il verde in mezzo. Insomma, potrà essere un'occasione di valorizzare il territorio». Nello stesso periodo il comune, che non si dichiarava favorevole al Mose, avvia la costruzione della “sua” grande opera, il ponte di Calatrava. Nel 2004, il centro città d’acqua espone alla Biennale di architettura il padiglione flottante, un prototipo di piattaforma che può essere agganciata a qualsiasi isola della Laguna per ampliarne la superficie utilizzabile.
Oggi, se la trasformazione dei cinquantacinquemila ettari di Laguna in lotti fabbricabili con affaccio sull’acqua non è ancora avvenuta, l’idea dell’acqua come suolo è entrata nel senso comune e ipotesi di strade galleggianti, ponti e tunnell, recinti d’acqua, nuove isole vengono avanzate di continuo. Ormai compiuta, invece, è la conquista dei tre capisaldi della struttura urbana da parte delle forze di occupazione che li hanno trasformati nei loro quartieri generali.
Piazza san Marco è piazza delle Generali, Rialto è il ponte del Fontego e all’Arsenale si ventila l’idea di costruire un edificio (più grande del palazzo Ducale!) per i signori del Mose che hanno collocato davanti alle mura un mostro giallo recante l’etichetta Mose/VENEZIA. Una sorta di cavallo di Troia da cui ormai i nemici sono usciti per introdursi in città, distruggerla e ricostruirla a loro profitto, mentre la popolazione superstite, annichilita o dispersa, non reagisce quasi più.
la Nuova Venezia, 17 settembre 2017 Ecco in mano a chi è questa disgraziata città. Ma questi sgovernanti, se si sono arresi perché non se ne vanno?
«Il Comune? E cosa può fare il Comune? Qui siamo di fronte alla liberalizzazione, non abbiamo strumenti per intervenire contro le leggi nazionali e il codice civile. Piuttosto bisognerebbe che ai veneziani tornasse la voglia di lavorare». Di fronte all'emergenza turismo che sta trasformando la città e il suo tessuto abitativo e commerciale, l'assessore all'Urbanistica e all'Edilizia privata Massimiliano De Martin allarga le braccia. Anche l'ultimo decreto che velocizza le procedure per gli interventi edilizi in aree vincolate viene salutato come un intervento dovuto, per semplificare gli iter.