Da qualche anno si assiste a un risveglio culturale sardo, a un nuovo rapporto con la tradizione e il territorio. Lontano dal “continente”, vecchio e nuovo sembrano intrecciarsi meglio che altrove. Come giudica questo processo dall’interno della Regione? E che spazio ha o può avere la Regione, in quanto istituzione, in questo risveglio?
È andata maturando una consapevolezza dei pericoli degli effetti della globalizzazione, che se produce molti vantaggi – nella conoscenza, nel miglioramento della qualità della vita, nella crescita della relazioni – porta anche con sé il pericolo dell’omologazione alle culture dominanti, con la possibile scomparsa della bellezza delle differenze. E quindi, come spesso ci capita di accorgerci delle cose quando si rischia di perderle, anche in Sardegna mentre è emerso questo pericolo ci siamo accorti della importanza che hanno la lingua dei nostri padri, i racconti, la musica, la bellezza del paesaggio, la semplicità delle architetture tradizionali, la ricchezza dei valori comunitari che hanno resistito sino a oggi. Oggi tutti ne parlano nell’ansia di perderli, con la volontà di mantenerli non come il passato ma come una parte della modernità.
Qualcuno ha detto che i sardi hanno il vantaggio di vivere a contatto con la preistoria: con testimonianze così antiche come i nuraghi, le domus de janas, le tombe dei giganti. E anche la presenza così importante del mestiere più antico, quello del pastore, l’uomo che passa gran parte del suo tempo da solo in campagna, ha fatto sì che siano arrivati fino ai nostri giorni valori che consideriamo antichi. Il pastore che ha fatto sì che si sedimentasse un atteggiamento filosofico naturale che ancora oggi riconosciamo quando cogliamo la differenza tra i nostri vecchi e l’invecchiare di oggi. Questi elementi hanno fatto sì che alle soglie della modernità, o alla modernità, forse ci arriviamo coi valori quali la famiglia, la comunità, l’amicizia, il rispetto, la festa, la tavola. E la scommessa è cercare di portare nella modernità una parte di questo atteggiamento per molti versi ancora arcaico.
Due mosse della sua presidenza hanno avuto un forte impatto nazionale: la battaglia della Maddalena, per un futuro non militare dell’isola, e la salvaguardia delle coste contro i mille abusivismi. C’è un filo sotterraneo che congiunge i due interventi? È possibile parlare di “bellezza”, di “paesaggio” e di “coste” senza limitare l’intervento della politica al solo ambito turistico?
Avevamo detto che c’erano innanzitutto delle questioni di dignità che andavano poste e che le servitù militari erano un problema di sviluppo economico, ma erano anche un problema di dignità. E non è dignitoso che in Sardegna si sparino circa l’80% di tutte le bombe che vengono esplose in Italia in tempo di pace. È una questione di equilibrio, è una questione di giustizia, è una questione di dignità, pretendere che anche la nostra terra sia rispettata e venga utilizzata anche agli scopi militari in maniera equilibrata rispetto alle altre terre, le altre regioni d’Italia. Questo punto credo che sia stato messo in maniera decisa da noi e credo che dei passi avanti siano stati fatti, e credo che dei passi avanti altrettanto più importanti verranno fatti nei mesi futuri.
Poi noi siamo partiti dalla considerazione che per colmare il ritardo di sviluppo della Sardegna abbiamo bisogno di tutte le nostre risorse a disposizione. Tra le risorse a disposizione, che dovrebbero essere a disposizione della nostra regione, per lo sviluppo, c’è Capo Teulada, c’è l’arcipelago della Maddalena. Alla Maddalena ci sono 180 lavoratori che lavorano, da civili, presso la base americana, ma ci sono oltre 2000 disoccupati, a cui evidentemente l’attività militare non è stata in grado di garantire un lavoro. Io credo che la restituzione agli usi civili di questi tratti importantissimi di territorio, dalla Maddalena fino a Capo Teulada, sarà capace di garantire un lavoro a un numero molto maggiore di maddalenini e di sardi, e anche questa quindi è un’attività che la Regione fa per la crescita del lavoro. E sono entrambe zone bellissime della Sardegna, che l’ultima cosa che verrebbe in mente poer loro è quella di tenerle vincolate per gli usi militari. Servono allo sviluppo di quei territori e di quelle comunità, innanzitutto, e poi è un fatto di giustizia.
Avevamo detto che attorno all’ambiente si può creare lavoro. Nell’uso sapiente dell’ambiente, non nel suo consumo. E il lavoro duraturo non è quello dell’edilizia, che ogni giorno consuma una fetta nuova d’ambiente, che non è paga magari di aver costruito 400.000 seconde case nelle coste della Sardegna, e ne vorrebbe costruire altre 300.000 o altre 400.000, in una specie di cantiere che non finisce mai, che però porta pochissima ricchezza alla nostra regione. Abbiamo capito, anche in materia d’entrate, che non porta quasi nessuna ricchezza fiscale. Non lascia lavoro stabile, perché appena si finisce una casa bisogna costruirne un’altra e prima o poi bisognerà smettere di costruirne. Si costruiscono cubature che non portano lavoro durante tutti i mesi dell’anno.
Abbiamo fatto una legge per cercare di riqualificare queste coste, queste cubature, trasformare seconde case in industria turistica-alberghiera. E stiamo facendo tutto quello che si può fare per la riqualificazione e per il riuso di cubature esistenti, che erano sciupate e inutilizzate da tanti anni. Credo dopo vent’anni di inattività, è stato fatto il bando per il riuso dei siti minerari dismessi: di Masua, di Ingurtosu e di Piscinas. Allo stesso modo, non è ancora uscito il bando, ma stiamo lavorando e nei prossimi mesi uscirà il bando per Monteponi. Allo stesso modo si sta lavorando per riutilizzare il sito di Campo Pisano, vicino a Iglesias. Si sta ricreando lavoro, laddove il lavoro c’era stato, era stato dismesso da decenni e per decenni non si era riusciti a far nulla.
Fare il “governatore”, anche in una regione a statuto speciale, vuol dire scontrarsi con il peso delle burocrazie. Come risponde alle accuse di “decisionismo”?
Il peso delle burocrazie deve essere indubbiamente limitato all’indispensabile e la pubblica amministrazione deve essere più snella, più leggera, in modo che sia il più possibile efficiente, chiara e trasparente per chi vi si rivolge. E in maniera che costi il meno possibile al sistema sociale. Questa è la nostra battaglia, nota a tutti dall’inizio. Una prima cosa di cui ci siamo occupati è la semplificazione della amministrazione regionale. È inoltre in fase di ultimazione il processo di cancellazione di 18 Comunità montane e la cancellazione di 12 Consorzi industriali. In agricoltura ci sono nove enti: stanno diventando due agenzie. E potrei continuare. Insomma, la Giunta regionale ha fatto la sua parte. Abbiamo fatto i disegni di legge necessari di riforma, alcune leggi abbiamo iniziato finalmente ad approvarle, molte di queste attività di moralizzazione, di miglioramento della pubblica amministrazione stanno andando in porto. E i partiti, devo dire con lungimiranza e generosità, stanno assecondando, per quanto possibile, questo processo.
Detto questo, vorrei anche aggiungere che io non ho mai fatto un distinguo tra il personale della pubblica amministrazione e la politica, e i politici. I cittadini, per primi, non distinguono quando dicono: “La Regione funziona male”. Non pensano che c’è un presidente bravo e un’amministrazione cattiva, o viceversa. Siamo nella stessa barca, questa è la verità: siamo uguali, siamo lo stesso corpo agli occhi dei cittadini, e a ragione.
E allora, portare avanti un cambiamento, dal mio punto di vista, dal punto di vista della Giunta regionale, significa riuscire a fare un percorso comune di cambiamento, e provare a essere migliori. Migliori noi politici nella capacità di ascolto e di guida, nella capacità anche di stimolo, e migliore il personale nella capacità di essere esecutore delle politiche della pubblica amministrazione e nella capacità anche di incoraggiarla, qualche volta, a una politica migliore. Quindi un percorso assieme, perché questa “storia” la si vince o la si perde assieme: non ci può essere buona politica senza buona amministrazione e non ci può essere una buona amministrazione senza buona politica.
Quanto al “decisionismo”... Da un lato è vero che in politica devi decidere: ad un certo punto è necessario fare sintesi e decidere. Però è una decisione che deve essere necessariamente una decisione per tutti: deve ascoltare e tener conto di tutti. Quindi è una decisione totalmente diversa da quella dell’imprenditore. La decisione dell’imprenditore di per sé è immediata, sapendo che i risultati, nel bene e nel male, saranno per sé o per la sua azienda. La decisione del politico, ha lo stesso nome, è sempre una “decisione”, ma una decisione opposta, direi, di segno opposto: è per gli altri e, nel bene e nel male, rappresenta le ragioni degli altri, non le ragioni tue. Questa è quella che si chiama democrazia. Una democrazia matura non si confronta muro contro muro. Non c’è uno che vince e uno che perde, il quale si aspetta poi che venga ribaltato un risultato elettorale per sostituirsi. Una democrazia matura ha qualcuno che detiene la responsabilità del governo, questo sì. Ha qualcuno che ha maggiormente la responsabilità del risultato di un’assemblea, ma chiama in ogni caso, sempre, tutte e due le parti, a collaborare al risultato complessivo dell’assemblea. Una democrazia matura non può essere separazione, non può essere solo “una parte”, ma è necessariamente la possibilità di prendere il meglio del tutto. Questo è quello che questa Giunta regionale intende fare e portare avanti.
Per un anno, tra la metà del 2005 e la metà del 2006, i governatori di centrosinistra sono stati forse il più importante argine istituzionale al berlusconismo senescente. Con il governo dell’Unione si apre una nuova fase?
Io credo che questo Governo si comporterà in maniera leale, avrà la capacità di ascolto e, per quanto ci riguarda, comprenderà che la questione sarda merita attenzione. E quindi abbiamo un’occasione molto importante per portare a casa dei risultati che sono stati attesi per tanti anni.
Ma vorrei dire anche questa cosa: la politica divide, e l’Italia in questo momento è estremamente divisa, purtroppo. E anche, direi, colpevolmente divisa. E a volte stacchiamo anche la riflessione, o riflettiamo poco, e vediamo solo “destra” e “sinistra”. È chiaro che ci sono differenze, è chiaro che le idee di un governo di centro-sinistra sono diverse da un governo di centro-destra, in tanti casi. Ma ci sono un sacco di altri casi in cui sono le stesse idee. E quindi si può lavorare insieme, e si può riflettere, e si può guardare a tutto quello che ci unisce invece che a quello che ci divide. E si può anche evitare di farci del male da soli: specialmente quando i sardi che pensano di far male al governo di centro-sinistra magari qualche volta stanno facendo male alla Sardegna stessa, più che al governo di centro-sinistra. E viceversa naturalmente. Quindi vale per il Paese, vale per la regione, vale a ogni livello: dobbiamo veramente avere la capacità di guardare al di là di queste cose, sapere che ci sono delle differenze, competere nel momento della competizione elettorale, però poi lavorare assieme. Perché è per tutti: e spero che si riesca a fare di più in futuro.
Come ha vissuto il passaggio da Tiscali alla politica? Tra la richiesta di nuove infrastrutture e quella di “autostrade digitali”, tra vecchia e nuova imprenditoria, vecchia e nuova finanza, qual è il futuro postmoderno della Sardegna?
Dal mio ingresso in politica sono passati due anni, ho avuto modo di parlarne in varie occasioni. Io, intanto, mi sono dimenticato di essere stato imprenditore. Oggi mi sento un cittadino che ha rappresentato il ruolo politico e lo vivo in maniera totale: e mi sento un politico, non più un imprenditore; ragiono da politico e non da imprenditore; e cerco di vivere quest’esperienza politica per le cose di cui sono capace. Naturalmente porto con me un bagaglio di conoscenza e di esperienza che può essere diverso da uno che invece ha fatto il professore universitario di lettere antiche oppure il magistrato, l’avvocato, l’artista o altre cose. Ci sono diverse esperienze che ci può capitare di fare prima di avere il ruolo di responsabilità, il ruolo politico, e nessuna è più o meno importante dell’altra. Fare l’imprenditore non è necessariamente un valore più importante rispetto ad altri per fare politica. Io credo in questa possibilità, nella necessità di fare politica, nel dovere di farla, e che ci sia spazio per tutti.
Per quanto riguarda il futuro della Sardegna tra vecchio e nuovo, come dice lei, riassumerei la questione in questo: modernità e maggior equità. Mi capita di dire: innovazione e giustizia sociale. Se potessi attuare qualcosa, riuscire a realizzare qualcosa, effettivamente, in questi anni di governo, mi piacerebbe che fosse esattamente questo: contribuire ad aumentare la capacità e il livello di innovazione di questa regione e aumentare la giustizia sociale. Questi sono i due punti, ai quali aggiungo la bellezza.
Abbiamo fatto di tutto per difendere l’industria, la grande industria esistente. Per difendere l’occupazione, per crescere e per dare sollievo a chi oggi ancora un lavoro non ce l’ha. Per sanare delle partite storiche di lavoratori socialmente utili, aziende storicamente in crisi che oggi hanno un nuovo futuro, come la Carbosulcis, i lavoratori dell’ex cartiera di Arbatax.
Cosa mi aspetto? Continuare su questa strada, una strada d’innovazione. Questa è una regione che vuole essere innovativa, che punta molto sulla capacità d’innovazione e di crescita della conoscenza e del sapere, quindi continuiamo a puntare sull’innovazione.
Mi aspetto molto nel campo della creatività e della bellezza. E quindi maggiore attenzione alla bellezza, alla pulizia, all’ordine, alla cura, all’attenzione che dedichiamo alla nostra Regione, ai nostri uffici, ai nostri paesi, alle nostre architetture, a tutto quanto. Credo che continueremo a lavorare su questi filoni: dell’innovazione, della giustizia e della bellezza.
Quello che esiste, in termini di lavoro, di imprese, di diritti, noi lo difendiamo con molta determinazione. La Regione sta giocando un ruolo di attenzione, sta facendo tutto quello che può e lo fa con il massimo impegno e la massima determinazione, affinché tutto il lavoro che il sindacato ha fatto negli anni per il piano per la chimica sia rispettato, affinché tutti gli investimenti promessi sulla chimica siano rispettati, e non ci sia un ulteriore impoverimento della Sardegna.
Facciamo questo, però ci diciamo che forse per il futuro e la nuova occupazione dobbiamo puntare sulle piccole e medie imprese che esistono in Sardegna e che devono aumentare nella nostra regione. La Regione ha fatto uscire un bando di 700 milioni di euro che è dedicato proprio a loro. Quindi va oltre le parole e per la prima volta mette in campo delle risorse di dimensioni straordinarie votate proprio a questo: far nascere delle piccole e medie imprese in Sardegna e far crescer le piccole e medie imprese che già esistono. Non ci saranno più partecipazioni statali. È difficile che attrarremo ancora un’impresa che si metta a fare alluminio laddove questo costa di meno 200 km più a sud e il lavoro costa molto meno. Ma sicuramente attrarremo nuova impresa se avremo le infrastrutture informatiche necessarie, quelle che lei ha chiamato “autostrade digitali”. E a questo stiamo lavorando da due anni e ormai siamo anche a buon punto. La prima cosa che è stata fatta: ci siamo dotati di una strategia. Una strategia che parte innanzitutto dalla rete. Per funzionare, l’informatica ha bisogno di una rete di telecomunicazioni. La Sardegna non ne era dotata, tanto meno ne era dotata l’amministrazione regionale. È stata fatta, è stato fatto un bando importante, è in fase di implementazione e completamento in questi mesi, la rete della pubblica amministrazione regionale, al quale potranno partecipare tutti.
Sono state fatte delle azioni importanti: ad esempio fare in modo che ci sia l’Adsl nel proprio Comune, e ci sono ancora oggi oltre 200 comuni della Sardegna che non hanno l’Adsl. Ora noi ci aspettiamo che in tempi brevissimi, assolutamente meno di un anno, la nostra regione sia la prima in Italia dove la banda larga sia accessibile per il cento per cento della popolazione, in tutti i comuni della Sardegna, fino al più piccolo, di poche centinaia di abitanti. E poi, fatta la rete per la pubblica amministrazione, resa la rete accessibile a tutti i comuni, tutti i cittadini, tutte le imprese della regione.
Il vero motore dell’economia al giorno d’oggi, nel mondo contemporaneo, è la conoscenza, il sapere, il livello di istruzione delle persone.
LA MADDALENA - Mazzata sul mercato privato dei paradisi naturali ceduti al miglior offerente. La Regione Sardegna comprerà le isole di Budelli e Mal di Ventre. L’annuncio è stato ieri mattina dal governatore Renato Soru mentre, a Villasimius, riceveva le Cinque Vele di Goletta verde e Legambiente per l’efficacia della sua politica di tutela ambientale.
La notizia è stata confermata dal sindaco di Cabras, Efisio Trincas. Nel suo territorio comunale ricade Mal di Ventre, cinque miglia a ovest delle coste dell’Oristanese. «Ad acquistare l’isola dal suo attuale proprietario, il lord inglese Rex Miller, sarà la Conservatoria regionale per i beni paesaggistici sardi da salvaguardare», ha chiarito il primo cittadino, visibilmente contento del positivo sviluppo creatosi in una faccenda che rischiava diversamente di attirare speculatori senza scrupoli. «La gestione concreta - ha poi proseguito Trincas - continuerà a venire affidata alla nostra amministrazione tramite l’oasi marina».
Soddisfatto della svolta anche l’assessore regionale per la Difesa dell’ambiente, Cicito Morittu: «Nel caso di Mal di Ventre, così come per Budelli e per tutte le altre situazioni nelle quali si ritenga indispensabile provvedere, è questa la soluzione più opportuna - ha spiegato con convinzione l’amministratore - Nello stesso ambito d’intervento, un domani, potrebbero rientrare molte pinete lungo le coste oggi ancora private e in un prossimo futuro destinate a diventare pubbliche».
Trattative già avviate, quindi. Prima di tutto con il nobile britannico proprietario di Mal di Ventre. Si tratta di un ingegnere che vive sull’isola di Jersey, tra Gran Bretagna e Francia, nel canale della Manica. E che nei giorni scorsi aveva fatto pubblicare un annuncio di vendita sull’ International Herald Tribune: "isola in vendita". E’ sttao proprio quell’annuncio a suscitare vasta eco in tutt’Italia e, probabilmente, a determinare la rapidissima decisione della Regione Sardegna.
Grande 81 ettari, l’isola di Mal di Ventre è un gioiello d’inestimabile valore anche sotto il profilo geologico e storico. In passato tra cale e spiagge sono stati trovati, fra l’altro, i resti di un insediamento nuragico e oltre a preziosissime testimonianze risalenti all’epoca romana.
Negoziato finora super segreto, invece, con gli attuali proprietari di Budelli, un chilometro e mezzo quadrato di litorali e baie magnifiche, tra cui la Spiaggia Rosa resa celebre dal film con di Lina Wertmuller con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato. L’isola, uno dei gioielli dell’arcipelago della Maddalena e del parco nazionale recentemente costituito da quelle parti, appartiene da oltre vent’anni a una società a responsabilità limitata, la Nuova Gallura. La rappresenta sul piano legale un avvocato elvetico, Vittorio Peer.
Per sapere come si svilupperanno le trattative, adesso, non resta che attendere. L’intera questione è infatti seguita con particolare interesse alla Maddalena, dove di recente è nato un braccio di ferro tra Comune e Parco. Al centro del contendere, i criteri di gestione dell’area protetta. Ma a suscitare contrasti è anche l’affidamento d’importanti beni pubblici che, una volta smilitarizzati dagli americani della base dei sommergibili nucleari e dalla stessa Marina italiana, entreranno a far del patrimonio della comunità civile.
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28 luglio 2007
Di Sardegna il mare e il suol...
di Guglielmo Ragazzino
La cosiddetta tassa Soru, che prende nome dal presidente della Sardegna, consiste in un'imposta regionale sulle seconde case ad uso turistico. Fino a tre chilometri dal mare si pagano 9 euro al metro quadro per alloggi fino a 60 metri e poi la tariffa sale per le case più grandi. Una casa di 60 metri quadri è così tassata per 540 euro; Silvio Berlusconi, sempre grandioso, ha invece calcolato di subire il carico maggiore: 50 mila euro. Per le case più vicine al mare, meno di 300 metri, è prevista una sovrimposta del 20%.
La «tassa Soru» non è apprezzata dal governo di Roma che la ritiene doppiamente illegittima, sul piano costituzionale. C'è un conflitto tra stato e regione in materia tributaria ed è messa a rischio l'uguaglianza dei cittadini. Il governo si è rivolto alla Corte una prima volta l'anno scorso, e il giudizio è pendente. Ha deciso di rifarsi sotto quest'anno, impugnando la legge e le modifiche apportate da Renato Soru nel maggio 2007.
E' una materia spinosa che si è ripresentata in un brutto frangente... e così ieri venerdì 27 luglio, quando alle 9,45 del mattino si è riunito il consiglio dei ministri, con un'agenda densa di decisioni da prendere, di nomine da fare, il tempo era veramente poco. Il comunicato ufficiale è trascritto in sei pagine; e per arrivare alla questione Soru si deve arrivare all'ultima che trascriviamo integralmente. «Il Consiglio, infine, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, ha esaminato alcune leggi regionali a norma dell'art. 127 della Costituzione. La seduta ha avuto termine alle ore 11,00.» Un consiglio dei ministri con la mente altrove, con altro da pensare per occuparsi di ambiente e beni comuni, di mare e libertà, di uguaglianza e ricchezze.
I temi presenti nella questione del mare di Sardegna e del federalismo fiscale, della costa e dei suoi padroni, delle case e dei sardi emigrati, sono tutti compressi nel richiamo all'articolo 127 della Carta. L'anno scorso, nel presentare la tassa, Soru ha detto che essa «si fondava sull'uso dell'ambiente, una risorsa pubblica scarsa». E aggiungeva che il tentativo era di «portare avanti un progetto di sviluppo del turismo; ma di un turismo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale». Sul problema del non rispetto eventuale dell'articolo 3 della costituzione, relativo all'uguaglianza tra i cittadini, i sardi, gli immigrati in «continente», i loro figli, Soru dichiarava la volontà di tenere aperta la discussione.
Infatti la soluzione adottata piace poco ai sardi ed è sempre avversata dal governo di Roma. Ma se esso intenda difendere l'uguaglianza, sia pure astrattamente intesa, dei cittadini di fronte al mare, oppure i diritti dei ricchi che il mare pensano di averlo comprato per sempre, forse non lo sanno neppure a Palazzo Chigi. Per ora, intanto, due su tre dei tassati non pagano, in attesa che una specie di condono li premi ancora una volta.
2 agosto 2007
La spia accesa sarda e i vandali di governo
di Pierluigi Sullo
Il manifesto ci ha fatto una prima pagina: scelta molto azzeccata. L'impugnazione da parte del governo della cosiddetta «tassa sul lusso» della Sardegna è un riassunto dell'atteggiamento del centrosinistra - la parte «coraggiosa» - sui temi del cosiddetto sviluppo. In altre parole, è la conferma di quanto il precipitare della crisi ambientale, lo stato di degrado in cui è il nostro assetto idro-geologico, il disastro della cementificazione e privatizzazione delle coste (che è all'origine dell'«emergenza incendi»), lo spettro della crisi idrica che sta ammazzando il Po, tutto questo sia ignorato dall'attuale governo. Anzi, ogni provvedimento (o non provvedimento) concorre a aggravare la situazione.
La legge sarda non si propone solo di far pagare un'imposta ai ricchi, quelli che hanno grandi barche o aerei privati, ma soprattutto di chiudere un cerchio che si è aperto con l'approvazione del piano paesistico regionale che proibisce nuove costruzioni a meno di tre chilometri dalle coste. Quel divieto salva il salvabile, dopo l'allegro saccheggio iniziato dall'Aga Khan in Costa Smeralda decenni fa, e permette all'isola di continuare a vendere la sua «merce» turistica, che altrimenti semplicemente si esaurirebbe. Ma in compenso, dice il presidente Soru, noi chiediamo ai non residenti, a coloro che posseggono una seconda casa e la usano uno o due mesi l'anno, di contribuire al salvataggio delle coste. Anche a loro vantaggio, perché non costruire più nulla darà ovviamente maggior valore a quel che c'è già.
Ora, che il governo si opponga in nome dell'esclusivo potere dello stato di imporre tasse (dopo tante fesserie sul federalismo) e dell'«eguaglianza dei cittadini» (quando è noto che la tassazione progressiva, e quella sarda lo è, è una delle basi dello stato moderno) è più che grottesco: è pericoloso. Perché suona inequivocabilmente come un incitamento ai trafficanti di cemento, tant'è vero che la destra sarda sta esultando, oltre a invitare a non pagare la famosa tassa (quasi il 50 per cento di chi dovrebbe, per altro, ha già pagato, perché evidentemente i cittadini sono più intelligenti dei loro ministri).
Ma appunto questa storia della Sardegna è l'ennesima spia rossa accesa sul cruscotto dell'automobile modello Italia. Lasciamo stare per una volta la Tav, che è troppo facile. Che dire di una Regione, come l'Umbria, che allo stesso tempo proclama lo stato di calamità a causa della scarsità d'acqua, e poi autorizza Rocchetta a utilizzare un pozzo che ammazzerebbe definitivamente un fiume, il Rio Fergia, così che tocca ai cittadini locali accorrere al suono delle campane per fermare le ruspe? E che dire di un parco nazionale, come quello del Gargano, dove le fiamme hanno divorato boschi e ucciso persone, che si oppone all'abbattimento di centinaia di case abusive e non fa una piega quando si vuole costruire un mega-hotel e centro commerciale in zone protette?
O di un'altra regione, il Lazio, dove lobby multiformi si agitano per ottenere il maggior numero possibile di inceneritori, solo perché sono resi assai convenienti dagli scandalosi Cip6 (la quota che tutti noi paghiamo nella bolletta per fonti rinnovabili fasulle e velenose come gli scarti del petrolio o i rifiuti, appunto), mentre il comune di Roma ha una ridicola quota di raccolta differenziata, il 20 per cento, e viene perciò premiato da Legambiente?
A Vicenza aspettano a pié fermo le ruspe che dovrebbero costruire la nuova base militare.
Se ci sono drammi sulle pensioni, la precarietà e il welfare (e ci sono), suggerisco alla sinistra di prendere nota di questi altri drammi. Il malessere sociale ha molte facce.
Tuteliamo l’ambiente,
lo sviluppo non è un blob
di Sandro Roggio
Sono abituato a leggere tra i sottintesi del confronto sui temi urbanistici, eppure questa volta ho difficoltà; e immagino quanto possano sembrare indecifrabili ai più le notizie sul dibattito che si svolge in Consiglio sulla legge urbanistica, tra attese e rinvii. Ci sarà modo di entrare nel merito quando si conoscerà la versione finale della legge. Dico che mi aspettavo meno indecisioni, sui punti di maggiore contrasto un messaggio più netto. Gli argomenti dei detrattori delle politiche di tutela - quelli che hanno detto tutto il male del Ppr in occasione del recente referendum - sembravano contraddetti una volta per tutte dai drammatici e innaturali disastri di Capoterra. E pure dall’insuccesso clamoroso del referendum.
Mi sfuggono le incertezze riguardo al vincolo della fascia di 300 metri dal mare che è già acquisito non solo in sarde leggi, ma pure nella consapevolezza dei sardi. Ammetto che mi aspettavo un simbolico avanzamento nella tutela di questo delicato pezzo di terra e sabbia che il Ppr protegge in modo esteso. E non una proposta di riduzione del vincolo. Perché ricordo che negli anni Settanta il vincolo costiero era di 150 mt e negli anni Ottanta di 300 mt - quando la coscienza sul valore dei beni comuni era un po’ meno solida e forse la politica più disposta a rischiare.
Credo pure che le campagne debbano essere conservate per la loro funzione e che le spinte a consentire usi non connessi all’agricoltura debbano essere contrastate, perché così è nelle regioni civili d’Europa. Capisco che nello sfondo di queste indecisioni resiste l’equivoco: quello secondo cui la tutela frena lo sviluppo e sviluppo sta per crescita dei cantieri edili aperti.
Eppure lo sviluppo non è quel blob che si può vedere grazie a Google Earth. Sviluppo non è ammettere che chi vuole possa usare la terra senza restituire nulla: sottraendo bellezza ai paesaggi, togliendo fertilità ai suoli, sopprimendo i segni di antiche frequentazioni.
Lo hanno capito i sardi che così non va, che la tutela - senza scappatoie - serve oggi e sarà utile nei prossimi anni. E siccome vorrei una buona legge, spero che la gran parte dei consiglieri siano convinti di questo.
Semplificate le procedure dei Puc
Dubbi sul vincolo dei 500 metri
di Alfredo Franchini
CAGLIARI. I lavori del Consiglio sulla nuova legge urbanistica erano stati avviati a rilento perché in molti avrebbero voluto un rinvio delle norme in commissione. La legge era arrivata in Consiglio subito dopo il referendum sulla cosiddetta legge salvacoste, promosso da Mauro Pili assieme ad altri esponenti del Centrodestra. La consultazione del 5 ottobre, però, non riuscì a superare il quorum e questo diede sicuramente una motivazione in più al Consiglio chiamato a mettere mano alla legge urbanistica. L’assemblea regionale, prima dello stop di giovedì scorso, aveva approvato quasi tutto l’impianto della legge. Ora da martedì è atteso lo sprint finale. La maggioranza da subito aveva cercato l’intesa sul vincolo dei 500 metri dal mare. E su questo c’era stata la prima spaccatura nella maggioranza di centrosinistra. Discutendo gli emendamenti all’articolo 10 della Legge Urbanistica l’aula, con una maggioranza risicata aveva dato il via libera al recepimento dei «livelli di tutela e vincolo di inedificabilità totale dei territori costieri» previsti dal Codice Urbani nella fascia costiera di 300 metri dalla battigia, con esclusione delle zone urbanizzate. Ma restava in piedi un emendamento all’articolo 28, presentato da Sinistra autonomista, che inaspriva i vincoli di tutela per i territori costieri in una fascia di 500 metri dal mare nell’ambito del Piano Paesaggistico regionale, che è norma sovraordinata ai Puc, senza escludere le aree urbanizzate (città come Cagliari o Olbia). Un emendamento che è stato giudicato «tecnicamente accoglibile». Tra gli articoli approvati quello che disciplina la pianificazione sovracomunale. Una norma che può riguardare gruppi di almeno quattro comuni o di enti locali con una popolazione complessiva di almeno 5000 abitanti i quali avranno la possibilità di adottare strumenti per il governo del territorio che assicurano priorità nel godimento di finanziamenti regionali per la costruzione di opere pubbliche.
Di grande rilevanza anche la disciplina dei Puc. È stato stabilito, infatti, che il Piano urbanstico comunale deve contenere un’analisi dello sviluppo demografico individuando il fabbisogno abitativo e i servizi necessari in ottica decennale e deve classificare il territorio in base agli obiettivi sociali e ambientali per poi individuare le aree da riqualificare, quelle da destinare all’apertura di strutture commerciali e le attività produttive da delocalizzare anche attraverso compensazione o riconoscimento di diritti edificatori. Via libera anche al principio della compensazione per lo scambio di diritti edificatori in caso di aree sottoposte a vincolo sia applicabile pure in ambito sovra comunale. La norma riguarda il ruolo di coordinamento attribuito alle Province.
La legge ora in discussione è indubbiamente “depeggiorata” rispetto a quella che, a su tempo, che è stata criticata su questo sito. Tuttavia è tutt’altro che soddisfacente per più d’un aspetto, e anche rischiosa. Non prevede una vera e propria pianificazione regionale degli interventi diversi da quelli di tutela del paesaggio. Si preoccupa troppo degli “snellimenti”, tanto che introduce forme pericolose di silenzio-assenso. E’ poco garantista in materia di perequazione e compensazioni urbanistiche. Affida troppo della tutela al Piano paesaggistico regionale, che è una garanzia molto più debole di quella di una legge. In questa chiave va letta anche la minacciata riduzione della fascia di rispetto della costa. Certamente il vincolo apposto dal Piano paesaggistico è più articolato e scientificamente corretto di quello, meramente geometrico, disposto dalla legislazione nazionale e regionale. Ma una maggioranza più “sviluppista” di quella di Soru potrebbe modificare un piano con molta meno fatica di quanta ne impiegherebbe per modificare una legge.
"L’indignato speciale", come veniva chiamato per le sue inchieste a tutela del territorio, già negli anni Cinquanta denunciava il "sacco di Roma"
Il suo modello erano le città del Nord Europa come Stoccolma o Amsterdam dove si costruiscono quartieri esemplari non per speculazione
L’Appia Antica, dove ora un casale ospita il suo centro di documentazione, è uno dei fili rossi che tiene insieme tutta la sua attività
Antonio Cederna torna sull’Appia Antica. Le sue carte, a più di dieci anni dalla morte, sono da oggi sistemate a Capo di Bove, in un casale che lo Stato ha acquisito nel 2002, a cinquecento metri dal Mausoleo di Cecilia Metella. In questa villa, dove gli scavi della Soprintendenza archeologica di Roma hanno portato alla luce un complesso termale del II secolo dopo Cristo, sorgerà un centro di documentazione che avrà come fulcro l’archivio che la famiglia Cederna ha donato alla Soprintendenza. E’ un archivio fatto di libri e poi di appunti, lettere, ritagli di giornale, documenti, che potranno essere consultati anche in rete: quasi cinquant’anni di battaglie, una storia della tutela e dell’urbanistica italiane vista da un protagonista di entrambe, che dal Mondo di Mario Pannunzio e poi sul Corriere della Sera, sull’Espresso e su Repubblica e, ancora, nei libri I vandali in casa, Mirabilia urbis, La distruzione della natura in Italia, Mussolini urbanista, fece la cronaca delle malversazioni subite dal territorio italiano, raccontò l’anomalia di un paese che, crescendo, dissipava la sua più grande risorsa. (L’archivio viene presentato oggi alle 10,30 a Capo di Bove, via Appia Antica 222, da Angelo Bottini, Rita Paris, Maria Pia Guermandi, Giovanni Bruno e Stefano De Caro).
Cederna, scomparso nell’agosto del 1996, raccoglieva in migliaia di cartelline il materiale che serviva per i suoi articoli. Aveva uno scrupolo dell’accertamento che sfiorava l’ossessione. In un fascicolo sul sacco edilizio di Monte Mario a Roma, dove si scatenò la Società Generale Immobiliare, sono conservati gli appunti delle riunioni dei consigli comunali che nei primi anni Cinquanta votavano le autorizzazioni a costruire. E fra le carte spunta anche lo schizzo di una piantina con la sagoma inquietante dell’Hotel Hilton, che sarà costruito nel 1960, circondato dalla selva di palazzine che gli avrebbero fatto da corona sui terreni che l’enorme albergo - centomila metri cubi - avrebbe valorizzato.
Un caso di scuola della speculazione romana viene rivissuto passo dopo passo.
Ma in una cartellina compare anche il dattiloscritto di una poesia datata 1964 e poi pubblicata, seppure in una versione leggermente diversa, in Brandelli d’Italia, un libro del 1991. Si intitola "A un architetto impegnato". E’ un epigramma, ha un tono burlesco. Cederna fornisce di sé un’immagine diversa da quella accigliata che gli è spesso attribuita e che gli valse il nomignolo di «indignato speciale». E’ dedicata a un architetto comunista, qui indicato come Paolo Cordini (ma è un nome di fantasia), il quale considera «i pubblici giardini / olandesi svizzeri svedesi / danesi tedeschi inglesi / oppio capitalistico / per la povera gente». A lui, invece, piacciono «coree, bidonville e borgate / le palazzine e le palazzate», perché solo vivendo in casermoni «senza prati né campi sportivi», si prendono «scoliosi e paramorfismi» che spingono «a salutari estremismi» e sono «garanzia di rivoluzione».
E’ un Cederna al quale si è poco abituati, radicale, ma avversario di quell’atteggiamento sintetizzabile nel «tanto peggio tanto meglio». La poesia è un piccolo manifesto anti-ideologico: Cederna non bandisce l’architettura moderna. Il suo modello sono le città del Nord Europa - Stoccolma, Oslo, Copenhagen, Amsterdam, Rotterdam - dove si costruiscono quartieri esemplari, in un contesto politico che va dal liberalismo alla socialdemocrazia, ma non frutto della speculazione che invece deforma il moderno a Roma e altrove, dove si sventrano i centri storici e li si caricano di funzioni alle quali non sono adatti e si allestiscono in periferia insediamenti inospitali, dormitori senza alcun pregio.
La conclusione della poesia è bruciante: «Da dialettico scaltro / tu dici sempre che il discorso è un altro: / e infatti invece di Pietralata / in fondo al cuore ti sta l’Olgiata» (Pietralata è un rione popolare di Roma, l’Olgiata l’emblema del quartiere di ville per ricchi).
L’Appia Antica è uno dei fili rossi che tiene insieme tutta l’attività di Cederna (altro nomignolo per lui: «l’appiomane»), dai primi anni Cinquanta fino alla morte, che lo coglie mentre è presidente dell’Azienda consortile per il Parco dell’Appia. Ed è quasi naturale, meglio, una specie di nèmesi, che le sue carte siano destinate in questa villa, una di quelle che Cederna descriveva negli articoli sul Mondo («I gangster dell’Appia», «La valle di Giosafat», «Lo stadio sulle catacombe».) - le «ville canili» che i proprietari negli anni Cinquanta decoravano incassando nei muri di cinta o nelle facciate pezzi di sarcofago, lapidi e iscrizioni.
All’Appia Cederna dedica un’attenzione costante. La tutela di quell’area, dei suoi valori archeologici e di paesaggio, non è solo dettata da ragioni di conservazione di un patrimonio che nessun’altra città al mondo può vantare. Le ragioni di salvaguardia dell’antico basterebbero, ma ad esse Cederna affianca motivi urbanistici. Ai suoi occhi una città per essere davvero moderna e per funzionare bene deve rispettare quei duemilacinquecento ettari di verde e di reperti antichi che si infilano fino al centro della città e che interrompono l’espansione «a macchia d’olio» dei quartieri. L’Appia Antica (di cui Cederna sottolineerà sempre il destino riservatole a partire dal 1965, quello di diventare parco pubblico) si oppone all’espansione di Roma verso il mare e verso i Castelli - «una spinta artificiale», la definisce - voluta dagli interessi della proprietà fondiaria. I vandali sono coloro che distruggono l’antico, spiega Cederna, ma il vandalismo, specialmente negli articoli dedicati all’Appia, è sempre l’antitesi della modernità.
«Espandendo Roma verso il Sud si fa piazza pulita dell’ultima campagna romana, che il buon senso, nonché le regole elementari dell’urbanistica, consigliavano di salvare come la pupilla degli occhi, e si dà l’ultimo tocco alla distruzione di tutto il verde intorno a Roma, da anni metodicamente perseguita, con grande vantaggio economico di alcuni latifondisti periferici, principi decaduti, appaltatori di immondizie, imprenditori e pie società immobiliari»: Cederna lo scriveva in «Lo stadio sulle catacombe».
Era l’ottobre del 1955 e Roma, grosso modo, occupava un quinto del suolo che occupa oggi.
Indice
TITOLO I - PRINCIPI GENERALI
Art. 1 - Oggetto della legge
Art. 2 - Principi informatori della pianificazione territoriale
Art. 3 - Pianificazione territoriale di livello regionale
Art. 4 - Pianificazione territoriale di livello provinciale
Art. 5 - Pianificazione territoriale di livello comunale
Art. 6 - Conferenze di pianificazione
Art. 7 - Acquisizione e gestione delle conoscenze per la pianificazione
TITOLO II - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE DI LIVELLO REGIONALE
Art. 8 - Contenuti del Piano territoriale regionale
Art. 9 - Quadro descrittivo
Art. 10 - Documento degli obiettivi
Art. 11 - Quadro strutturale
Art. 12 - Specificazioni settoriali o di ambito
Art. 13 - Efficacia del Piano territoriale regionale
Art. 14 - Procedimento di adozione del Piano territoriale regionale
Art. 15 - Procedimento di approvazione del Piano territoriale regionale
Art. 16 - Specificazione, aggiornamento, verifica, e varianti del Piano territoriale regionale
TITOLO III - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE DI LIVELLO PROVINCIALE
Art. 17 - Contenuti del Piano territoriale di coordinamento provinciale
Art. 18 - Descrizione fondativa
Art. 19 - Documento degli obiettivi
Art. 20 - Struttura del piano
Art. 21 - Efficacia del Piano territoriale di coordinamento provinciale
Art. 22 - Procedimento di approvazione del Piano territoriale di coordinamento provinciale
Art. 23 - Aggiornamento, verifica e varianti del Piano territoriale di coordinamento provinciale
TITOLO IV - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE DI LIVELLO COMUNALE
CAPO I - STRUTTURA E CONTENUTI DEL PIANO URBANISTICO COMUNALE
Art. 24 - Elementi costitutivi del Piano urbanistico comunale
Art. 25 - Descrizione fondativa
Art. 26 - Documento degli obiettivi
Art. 27 - Struttura del piano
Art. 28 - Ambiti di conservazione e riqualificazione
Art. 29 - Distretti di trasformazione
Art. 30 - Norme di conformità
Art. 31 - Norme di congruenza
Art. 32 - Sistema delle infrastrutture e dei servizi pubblici
Art. 33 - Peso insediativi
Art. 34 - Revisione degli standard urbanistici
Art. 35 - Disciplina delle aree di produzione agricola
Art. 36 - Territorio di presidio ambientale
Art. 37 - Territori non insediabili
CAPO II - PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL PIANO URBANISTICO COMUNALE
Art. 38 - Progetto preliminare del Piano urbanistico comunale
Art. 39 - Parere della Regione e della Provincia sul progetto preliminare di Piano urbanistico comunale
Art. 40 - Progetto definitivo del Piano urbanistico comunale
Art. 41 - Pubblicazione ed entrata in vigore del Piano urbanistico comunale
Art. 42 - Misure di salvaguardia
CAPO III - AGGIORNAMENTO, VARIAZIONE E REVISIONE DEL PIANO URBANISTICO COMUNALE
Art. 43 - Aggiornamento periodico del Piano urbanistico comunale
Art. 44 - Varianti al Piano urbanistico comunale
Art. 45 - Verifica di adeguatezza del Piano urbanistico comunale
Art. 46 - Formazione del nuovo Piano urbanistico comunale
Art. 47 - Termini per la formazione e la revisione del Piano urbanistico comunale nei Comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti
CAPO IV - SVILUPPO OPERATIVO DEL PIANO URBANISTICO COMUNALE
Art. 48 - Modalità di sviluppo operativo del Piano urbanistico comunale
Art. 49 - Concessione edilizia convenzionata
Art. 50 - Contenuti ed elaborati del Progetto urbanistico operativo
Art. 51 - Procedimento di formazione del Progetto urbanistico operativo
Art. 52 - Progetti urbanistici operativi ricadenti in zone soggette a vincolo paesaggistico-ambientale
Art. 53 - Margini di flessibilità dei Progetti urbanistici operativi rispetto al Piano urbanistico comunale
Art. 54 - Efficacia del Progetto urbanistico operativo
Art. 55 - Programma attuativo
CAPO V - DISPOSIZIONI COMUNI
Art. 56 - Procedure alternative
TITOLO V - PROCEDIMENTI SPECIALI CONNESSI ALLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE DI LIVELLO REGIONALE, PROVINCIALE E COMUNALE
Art. 57 - Accordo di pianificazione
Art. 58 - Accordo di programma
Art. 59 - Conferenze di servizi
Art. 60 - Disposizioni comuni all'accordo di programma e alla conferenza di servizi
Art. 61 - Intese ai sensi dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e successive modificazioni
TITOLO VI - DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE
CAPO I - DISPOSIZIONI FINALI
Art. 62 - Comitato tecnico misto per l'esame degli atti di pianificazione territoriale
Art. 63 - Comitati tecnici urbanistici provinciali. Sostituzione dell'articolo 10 della legge regionale 6 aprile 1987, n. 7
Art. 64 - Modifica degli articoli 4 e 5 della legge regionale 13 settembre 1994, n. 52
Art. 65 - Sistema informativo regionale della pianificazione territoriale
Art. 66 - Città Metropolitana
Art. 67 - Disposizioni finanziarie
CAPO II - DISPOSIZIONI TRANSITORIE
SEZIONE I - Disposizioni relative al Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico
Art. 68 - Validità del Piano territoriale di coordinamento paesistico
Art. 69 - Varianti al Piano territoriale di coordinamento paesistico
Art. 70 (Varianti al Piano territoriale di coordinamento paesistico di iniziativa regionale)
Art. 71 (Varianti al Piano territoriale di coordinamento paesistico di iniziativa provinciale)
Art. 72 (Varianti al Piano territoriale di coordinamento paesistico di iniziativa comunale)
Art. 73 (Varianti apportate al Piano territoriale di coordinamento paesistico in sede di approvazione di accordi di programma o di intese Stato-Regione)
Art. 74 - Deroghe al Piano territoriale di coordinamento paesistico
Art. 75 - Progetti di recupero paesistico-ambientale
SEZIONE II – Altre disposizioni transitorie
Art. 76 - Piani territoriali di coordinamento di cui alla l.r. 39/1984
Art. 76 bis - PTC dell'Area Centrale Ligure e PTC della Costa
Art. 77 - Formazione del primo Piano territoriale regionale
Art. 78 - Attivazione del sistema informativo regionale della pianificazione territoriale
Art. 79 - Formazione del primo Piano territoriale di coordinamento provinciale
Art. 80 - Espressione del parere regionale e provinciale sui Piani urbanistici comunali nella fase transitoria
Art. 81 - Strumenti urbanistici comunali assoggettati alla legislazione previgente
Art. 82 - Disposizioni applicabili nei confronti degli strumenti urbanistici generali da approvarsi a norma della legislazione previgente
Art. 83 - Varianti agli strumenti urbanistici generali vigenti per l'individuazione delle aree di produzione agricola, dei territori di presidio ambientale e dei territori non insediabili
Art. 84 - Disposizioni applicabili nei confronti dei vigenti strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica
Art. 85 - Competenze regionali e provinciali relative agli strumenti urbanistici comunali assoggettati alla legislazione previdente
Art. 86 (Modifiche alla legge regionale 24 marzo 1983, n. 9 e successive modificazioni)
Art. 87 - Concessione di contributi per la formazione degli strumenti urbanistici
Art. 88 - Sostituzione ed abrogazione di precedenti norme
Art. 1
Sono soggette alla presente legge a causa del loro notevole interesse pubblico:
1) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica;
2) le ville, i giardini e i parchi che, non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose d'interesse artistico o storico, si distinguono per la loro non comune bellezza;
3) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
4) le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
Art. 2
Delle cose di cui ai nn. 1 e 2 e delle località di cui ai nn. 3 e 4 del precedente articolo sono compilati, Provincia per Provincia, due distinti elenchi.
La compilazione di detti elenchi è affidata a una Commissione istituita in ciascuna Provincia con decreto del Ministero per l'educazione nazionale.
La Commissione è presieduta da un delegato del Ministero della educazione nazionale, scelto preferibilmente fra i membri del Consiglio nazionale dell'educazione, delle scienze e delle arti, ed è composta:
- del regio Soprintendente ai monumenti competente per sede;
- del Presidente dell'Ente provinciale per il turismo o di un suo delegato.
Fanno parte di diritto della Commissione:
- i Podestà dei Comuni interessati;
- i rappresentanti delle categorie interessate.
Il presidente della Commissione aggrega di volta in volta singoli esperti in materia mineraria o un rappresentante della Milizia nazionale forestale, o un artista designato dalla Confederazione professionisti e artisti, a seconda della natura delle cose e località oggetto della presente legge.
L'elenco delle località, così compilato, e ogni variante, di mano in mano che vi s'introduca sono pubblicati per un periodo di tre mesi all'albo di tutti i Comuni interessati della Provincia, e depositati oltrechè nelle segreterie dei Comuni stessi, presso le sedi delle Unioni provinciali dei professionisti e degli artisti, delle Unioni provinciali degli agricoltori e delle Unioni provinciali degli industriali.
Art. 3
Entro il termine di tre mesi dall'avvenuta pubblicazione i proprietari, possessori o detentori comunque interessati possono produrre opposizione al Ministero a mezzo della Soprintendenza. Nello stesso termine, chiunque ritenga di avere interesse, può far pervenire, alle rispettive organizzazioni sindacali locali, reclami e proposte in merito all'elenco, che, coordinati e riassunti ad opera di queste saranno trasmessi al Ministero dell'educazione nazionale entro il successivo trimestre per il tramite delle Soprintendenze.
Il Ministro, esaminati gli atti, approva l'elenco, introducendovi le modificazioni che ritenga opportune.
Art. 4
L'elenco delle località di cui ai numeri 3 e 4 dell'art. 1, approvato dal Ministro, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno.
Una copia del numero della Gazzetta Ufficiale che lo contiene è affissa per tre mesi all'albo di tutti i Comuni interessati; ed altra copia, con la planimetria, è contemporaneamente depositata presso il competente ufficio di ciascun Comune ove gli interessati hanno facoltà di prenderne visione.
Entro il successivo termine di tre mesi, i proprietari possessori o detentori interessati hanno facoltà di ricorrere al Governo del Re che si pronuncia, sentiti i competenti corpi tecnici del Ministero della educazione nazionale e il Consiglio di Stato.
Tale pronuncia ha carattere di provvedimento definitivo.
Art. 5
Delle vaste località incluse nell'elenco di cui ai numeri 3 e 4 dell'art. 1 della presente legge, il Ministro per l'educazione nazionale ha facoltà di disporre un piano territoriale paesistico, da redigersi secondo le norme dettate dal regolamento e da approvarsi e pubblicarsi insieme con l'elenco medesimo, al fine di impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica.
Il detto piano se compilato successivamente alla pubblicazione dell'elenco, è pubblicato a parte mediante affissione per un periodo di tre mesi all'albo dei Comuni interessati, e una copia di esso è depositata nella segreteria dei Comuni stessi affinché chiunque ne possa prendere visione.
Contro il piano territoriale paesistico gli interessati di cui all'art. 3, hanno facoltà di ricorrere nel termine e agli effetti di cui al terzo comma del precedente articolo.
Art. 6
Sulla base dell'elenco delle cose di cui ai numeri 1 e 2 dell'art. 1, compilato dalla Commissione provinciale, il Ministro per l'educazione nazionale ordina la notificazione in via amministrativa della dichiarazione del notevole interesse pubblico ai proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, degli immobili.
Tale dichiarazione trascritta a richiesta del Ministro, sui registri della Conservatoria delle ipoteche, ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore.
Contro la dichiarazione, così notificata, è ammesso il ricorso di cui al terzo comma dell'art. 4.
Art. 7
I proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dell'immobile, il quale sia stato oggetto di notificata dichiarazione o sia stato compreso nei pubblicati elenchi delle località non possono distruggerlo né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge.
Essi, pertanto debbono presentare i progetti dei lavori che vogliano intraprendere alla competente regia Soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione.
È fatto obbligo al regio Soprintendente, di pronunciarsi sui detti progetti nel termine massimo di tre mesi dalla loro presentazione.
Art. 8
Indipendentemente dalla inclusione nello elenco delle località e dalla notificazione di cui all'art. 6, il Ministro per la educazione nazionale ha facoltà:
1) di inibire che si eseguano, senza preventiva autorizzazione, lavori comunque capaci di recar pregiudizio all'attuale stato esteriore delle cose e delle località soggette alla presente legge;
2) di ordinare, anche quando non sia intervenuta la diffida di cui al numero precedente, la sospensione degli iniziati lavori.
Art. 9
Il provvedimento ministeriale adottato ai sensi dell'articolo precedente s’intende revocato se entro il termine di tre mesi non sia stato comunicato all'interessato che la Commissione di cui all'art. 2 ha espresso parere favorevole all'apposizione del vincolo che giustifica l'inibizione d'intraprendere lavori o la sospensione dei lavori iniziati.
Il provvedimento stesso è considerato definitivo dal trentesimo giorno da quello della notifica dell'approvazione all'interessato.
Art. 10
Per lavori su cose, né precedentemente incluse nel pubblicato elenco delle località, né precedentemente dichiarate e notificate di notevole interesse pubblico, dei quali sia stata ordinata la sospensione, senza che fosse stata intimata la preventiva diffida di cui all'art. 8, n. 1, è data azione per ottenere il rimborso delle spese sostenute sino al momento della notificata sospensione. Le opere già eseguite sono demolite a spese del Ministero dell'educazione nazionale.
Art. 11
Nel caso di aperture di strade e di cave, nel caso di condotte per impianti industriali e di palificazione nell'ambito e in vista delle località di cui ai nn. 3 e 4 dell'articolo 1 della presente legge, ovvero in prossimità delle cose di cui ai nn. 1 e 2 dello stesso articolo, il regio Soprintendente ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso di esecuzione, le quali, tenendo in debito conto l'utilità economica dell'intrapreso lavoro, valgano ad evitare pregiudizio alle cose e luoghi protetti dalla presente legge.
Art. 12
L'approvazione dei piani regolatori o d'ampliamento dell'abitato deve essere impartita, quanto ai fini della presente legge, di concerto con il Ministro della educazione nazionale.
Art. 13
I provvedimenti da adottare ai sensi della presente legge relativi ai luoghi che interessano aziende patrimoniali del demanio dello Stato devono essere emessi di concerto con il Ministro delle finanze.
I provvedimenti che riguardano beni compresi nell'ambito del demanio pubblico marittimo devono essere emessi di concerto con il Ministro per le comunicazioni e, qualora si riferiscano ad opere portuali, di concerto anche con il Ministro dei lavori pubblici.
I provvedimenti di carattere generale interessanti le località riconosciute stazioni di soggiorno, di cura, di turismo a sensi del regio decreto-legge 15 aprile 1926-IV, n. 765, devono essere emessi di concerto con il Ministro della cultura popolare.
Tutti i provvedimenti, infine, che riguardano opere pubbliche, devono essere emessi di concerto con le singole Amministrazioni interessate.
Art. 14
Nell'ambito e in prossimità dei luoghi e delle cose contemplati dall'art. 1 della presente legge non può essere autorizzata la posa in opera di cartelli o di altri mezzi di pubblicità se non previo consenso della competente regia Soprintendenza ai monumenti o all'arte medioevale e moderna, alla quale è fatto obbligo di interpellare l'Ente provinciale per il turismo.
Il Ministro per l'educazione nazionale ha facoltà di ordinare per mezzo del Prefetto, la rimozione, a cura e spese degli interessati, dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicità non preventivamente autorizzati che rechino, comunque, pregiudizio all'aspetto o al libero godimento delle cose e località soggette alla presente legge.
È anche facoltà del Ministro ordinare per mezzo del Prefetto che nelle località di cui ai nn. 3 e 4, dell'articolo 1 della presente legge, sia dato alle facciate dei fabbricati, il cui colore rechi disturbo alla bellezza dell'insieme, un diverso colore che con quella armonizzi.
In caso di inadempienza, il Prefetto provvede all'esecuzione d'ufficio a’ termini e agli effetti di cui all'art. 20 del vigente testo unico della legge comunale e provinciale.
Art. 15
Indipendentemente dalle sanzioni comminate dal codice penale, chi non ottempera agli obblighi e agli ordini di cui alla presente legge è tenuto, secondo che il Ministero dell'educazione nazionale ritenga più opportuno, nell'interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche, alla demolizione a proprie spese delle opere abusivamente eseguite o al pagamento d’una indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione.
Se il trasgressore non provvede alla demolizione entro il termine prefissogli ha facoltà di provvedere d'ufficio il Ministero dell'educazione nazionale, per mezzo del Prefetto. La nota delle spese è resa esecutoria con provvedimento del Ministro ed è riscossa secondo le norme della vigente legge sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato.
L'indennità di cui al primo comma è determinata dal Ministro per l'educazione nazionale in base a perizia degli uffici del Genio civile o della Milizia forestale assistiti dal regio Soprintendente.
Se il trasgressore non accetta la misura fissata dal Ministro l'indennità è determinata insindacabilmente da un collegio di tre periti da nominarsi uno dal Ministro, l'altro dal trasgressore e il terzo dal Presidente del tribunale. Le relative spese sono anticipate dal trasgressore.
Il provvedimento emesso dal Ministro ai sensi del terzo comma di questo articolo è esecutivo quando l'interessato abbia dato la sua adesione in iscritto, o quando entro tre mesi dalla notificazione, egli non abbia aderito né, facendo il prescritto deposito delle spese, abbia dichiarato di voler provocare il giudizio del collegio peritale.
Il provvedimento emesso dal Ministro in seguito alla pronuncia del collegio dei periti è immediatamente esecutivo.
L'indennità, comunque determinata, è riscossa nei modi di cui al comma 2° di questo articolo e affluisce a uno speciale capitolo del bilancio di entrata dello Stato.
Art. 16
Non è dovuto indennizzo per i vincoli imposti agli immobili di proprietà privata a norma dei precedenti articoli.
Tuttavia, nei soli casi di divieto assoluto di costruzione sopra aree da considerarsi come fabbricabili, potrà essere concesso, previa perizia estimativa dell'Ufficio tecnico erariale, uno speciale contributo nei limiti della somma da stanziarsi in apposito capitolo dello stato di previsione delle spese dell'educazione nazionale, in relazione al gettito dei proventi di cui all'articolo 15 della presente legge, secondo le modalità stabilite dal regolamento.
Allo stesso capitolo vanno imputate le spese inerenti alla protezione delle cose o località di cui all'articolo 1, comprese quelle per commissioni, missioni o sopraluoghi ed esclusi i premi di operosità e rendimento.
Art. 17
Se l'imposizione del vincolo a termini della presente legge, determina un'effettiva riduzione del reddito degli immobili, il possessore può richiedere la variazione dell'estimo dei terreni ai sensi dell'articolo 43 del testo unico delle leggi sul nuovo catasto approvato con regio decreto 8 ottobre 1931-IX, n. 1572, ancorché nel Comune sia in vigore il vecchio catasto, ovvero la revisione parziale del reddito dei fabbricati ai sensi dell'art. 21 della legge 26 gennaio 1865, n. 2136, e dell'art. 10 della legge 11 luglio 1889, n. 6214, sempreché ricorrano gli estremi previsti dalle disposizioni medesime.
Art. 18
Le notifiche d'importante interesse pubblico delle bellezze naturali o panoramiche, eseguite in base alla legge 11 giugno 1922, n. 778, sono da considerare valide a tutti gli effetti della presente legge.
Art. 19
La legge 11 giugno 1922, n. 778, e ogni altra disposizione che sia in contrasto con quelle della presente legge, sono abrogate.
Art. 1
Con il decreto ministeriale di costituzione della Commissione provinciale per la compilazione degli elenchi delle bellezze naturali sono nominati, oltre che il Presidente, il regio Soprintendente ai monumenti, competente per la circoscrizione, il Presidente dell'Ente provinciale per il turismo e i rappresentanti, uno per ciascuna categoria, delle Unioni provinciali dei professionisti e artisti, degli agricoltori e degli industriali.
La scelta del rappresentante degli agricoltori deve cadere su un proprietario, degli industriali su un proprietario di fabbricati.
Vice presidente della Commissione è il regio Soprintendente.
Art. 2
Le nomine di cui all'articolo precedente hanno la durata d’un quadriennio.
Il Presidente, che sia scelto fra i membri del Consiglio nazionale dell'educazione, delle scienze e delle arti, non cessa dalla carica se perda tale qualità.
Chi non prenda parte a tre consecutive adunanze della Commissione provinciale può, con provvedimento del Ministro, essere dichiarato decaduto e sostituito sino al termine del quadriennio.
Tutti i componenti della Commissione provinciale possono essere confermati allo scadere del quadriennio.
Art. 3
La Commissione provinciale ha sede nel capoluogo della Provincia presso l'ufficio della locale regia Soprintendenza ai monumenti e, ove questo manchi, presso gli uffici della Provincia.
Nel primo caso è segretario della Commissione un impiegato della regia Soprintendenza, nel secondo un impiegato della Provincia scelto dal Preside.
Art. 4
Il Podestà del Comune deve essere convocato a quelle adunanze nelle quali si discute delle bellezze naturali che si trovino nel suo territorio.
I membri aggregati di cui al 5° comma dell'art. 2 della legge sono rispettivamente designati dai competenti Distretto minerario e Sindacato degli artisti e dal comandante della coorte o centuria della Milizia forestale nella cui circoscrizione è compresa la Provincia. Essi sono convocati dal Presidente allorché lo richieda la natura degli argomenti posti all'ordine del giorno.
Il Podestà e i membri aggregati hanno voto deliberativo, limitatamente a quegli oggetti che ne determinarono la convocazione.
Art. 5
La Commissione provinciale è convocata dal Presidente, di sua iniziativa o su richiesta del vice-presidente.
Le adunanze della Commissione provinciale sono valide quando siano presenti almeno quattro dei suoi componenti.
La Commissione provinciale si pronuncia a maggioranza di voti. Prevale, in caso di parità, il voto del Presidente.
Art. 6
Ai membri della Commissione provinciale spetta a carico del bilancio del Ministero dell'educazione nazionale un’indennità di lire 25 al lordo del doppio dodici per cento, per ogni giornata di adunanza.
Le eventuali indennità di viaggio e di soggiorno a favore dei membri effettivi o aggregati che risiedono fuori del capoluogo della Provincia sono a carico degli enti, associazioni e amministrazioni da essi rappresentate.
Art. 7
La Commissione provinciale si pronuncia, in ciascuna adunanza, sugli oggetti posti all'ordine del giorno che è compilato dal Presidente d'intesa con il regio Soprintendente.
Può la Commissione richiedere che altri oggetti siano inscritti all'ordine del giorno di una successiva adunanza.
Art. 8
Gli atti della Commissione provinciale si conservano presso la competente regia Soprintendenza ai monumenti.
Ogni adempimento relativo alle pronuncie della Commissione stessa compete al regio Soprintendente.
Art. 9
Nel pronunciarsi se uno degli oggetti contemplati dall'articolo 1 della legge meriti di essere protetto, la Commissione provinciale deve conciliare, per quanto è possibile, l'interesse pubblico con l'interesse privato. Deve poi tener presente, in modo particolare:
1. che fra le cose immobili contemplate dall'art. 1, n. 1, della legge sono da ritenere compresi quegli aspetti e quelle conformazioni del terreno o delle acque o della vegetazione che al cospicuo carattere di bellezza naturale uniscano il pregio della rarità;
2. che la singolarità geologica è determinata segnatamente dal suo interesse scientifico;
3. che a conferire non comune bellezza alle ville, ai giardini, ai parchi concorrono sia il carattere e l'importanza della flora sia l'ambiente, soprattutto se essi si trovino entro il perimetro di una città e vi costituiscano una attraente zona verde;
4. che nota essenziale d'un complesso di cose immobili costituenti un caratteristico aspetto di valore estetico e tradizionale è la spontanea concordanza e fusione fra l'espressione della natura e quella del lavoro umano;
5. che sono bellezze panoramiche da proteggere quelle che si possono godere da un punto di vista o belvedere accessibile al pubblico, nel qual caso sono da proteggere l'uno e le altre.
Art. 10
La Commissione provinciale si può pronunciare sulle bellezze così individue (nn. 1 e 2 dell'art. 1 della legge) come d'insieme (nn. 3 e 4 del citato articolo) o mediante un unico elenco o facendo seguire al primo elenco uno o più elenchi suppletivi.
L'elenco appena compilato è trasmesso se si tratta di bellezze individue dal regio Soprintendente al Ministero affinché questo possa provvedere ai sensi dell'art. 6 della legge; è invece pubblicato e depositato a' sensi dell'ultimo comma dell'art. 2 della legge stessa se si tratta di bellezze di insieme.
La trasmissione dell'elenco delle bellezze d'insieme ai Comuni interessati e alle Unioni provinciali dei professionisti e artisti, degli agricoltori e degli industriali, affinché sia pubblicato agli albi, rispettivi, è fatta contemporaneamente.
Art. 11
L'approvazione dell'elenco delle bellezze individue è data dal Ministro con decreto motivato per ciascuna delle cose indicate nell'elenco stesso.
Tale provvedimento deve contenere tutti quei dati che valgono a bene individuare la cosa che si vuole proteggere e deve indicare, altresì, per quanto è possibile, le concrete limitazioni derivanti dal vincolo.
L'originale e una copia del provvedimento sono trasmesse, per la notificazione all'interessato, dal Ministero al Podestà del luogo, il quale restituisce al Ministero l'originale con la relazione dell'avvenuta notificazione.
Altra copia è trasmessa dal Ministero al regio Soprintendente affinché provveda alla sua trascrizione presso la regia Conservatoria delle ipoteche, rimettendo poi al Ministero la prova dell'eseguita trascrizione.
Art. 12
L'elenco delle bellezze d'insieme è approvato dal Ministro con decreto motivato da pubblicarsi integralmente nella Gazzetta Ufficiale del Regno insieme con l'elenco stesso.
La trasmissione ai Comuni del numero della Gazzetta Ufficiale contenente il decreto e l'elenco suddetti, come pure la trasmissione della relativa planimetria è fatta dal Ministero, per il tramite della regia Soprintendenza, entro un mese dalla data di pubblicazione del numero predetto.
La regia Soprintendenza comunica al Ministero la data dell'effettiva affissione del numero della Gazzetta Ufficiale all'albo dei Comuni interessati.
Art. 13
Il ricorso al Governo del Re, consentito dagli articoli 4 e 6 della legge, deve essere presentato al Ministero dell'educazione nazionale.
Il competente corpo tecnico che il Ministro ha l'obbligo di consultare a termini del citato art. 4 della legge, è la V sezione del Consiglio nazionale dell'educazione, delle scienze e delle arti. Può inoltre il Ministro richiedere del loro avviso, intorno alle questioni tecniche sollevate dal ricorso, collegi, uffici e istituzioni che abbiano particolare competenza sull'argomento, ma questi avvisi debbono precedere il parere della detta V sezione e del Consiglio di Stato ai quali hanno da essere comunicati.
Art. 14
Quando siano venute a mancare o a mutare le esigenze che lo avevano determinato, può il Ministro, di sua iniziativa o su domanda degli interessati, togliere o restringere il vincolo, sentita la Commissione provinciale, sia su bellezze individue sia su bellezze d'insieme.
Art. 15
I progetti di lavori da presentarsi alla regia Soprintendenza a' sensi dell'art. 7 della legge possono limitarsi a rappresentare, mediante fotografie e disegni, l'aspetto esteriore dell'immobile così come si trova e a indicare i dati e le linee essenziali delle opere che si vogliono intraprendere in modo che sia possibile apprezzare in che cosa precisamente consista la modificazione che quell'esteriore aspetto dell'immobile debba subire per effetto dei progettati lavori.
I progetti sono presentati in triplice esemplare. Uno di essi è conservato dalla regia Soprintendenza, un altro è restituito all'interessato con l'annotazione di approvazione o di ripulsa e il terzo è trasmesso al Ministero.
Art. 16
Il regio Soprintendente prima di provvedere sui progetti di lavori presentatigli a' termini del precedente articolo può consigliare quelle modificazioni le quali valgono a ottenere che movimenti e valori di masse, effetti di chiaro scuro, importanza e distribuzione di elementi decorativi, rapporti di colore armonizzino le nuove o rinnovate costruzioni con l'ambiente in cui esse debbano sorgere.
Egli può consigliare altresì norme particolareggiate sulla vegetazione da introdurre come elemento sussidiario dell'architettura.
Quando l'entità o la natura dei lavori lo richieda, il regio Soprintendente, concessa l'autorizzazione di massima, ha facoltà di richiedere, prima di concedere l'autorizzazione definitiva, che gli siano presentati i progetti d'esecuzione.
L'autorizzazione vale per un periodo di cinque anni, trascorso il quale, l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione.
Art. 17
Il divieto di eseguire lavori senza preventiva autorizzazione, contemplato nell'art. 8 della legge, è dato dal Ministro ed è comunicato all'interessato per mezzo del regio Soprintendente.
L'ordine di sospendere i lavori, contemplato nello stesso articolo di legge è dato dal Ministro e trasmesso al Prefetto, il quale provvede alla notificazione dell'ordine stesso entro il terzo giorno da quello del suo ricevimento.
Altra copia dell'ordine di sospensione è trasmessa dal Ministero alla competente regia Soprintendenza.
Tanto il divieto di eseguire lavori quanto l'ordine di sospenderli debbono essere motivati.
Art. 18
Quando ricorrano gli estremi per l'applicazione dell'art. 13 della legge i provvedimenti del regio Soprintendente e del Ministro contemplati nei due precedenti articoli debbono essere adottati d'accordo con le Amministrazioni interessate.
Art. 19
Entro trenta giorni dalla notificazione del divieto di eseguire lavori o dell'ordine di sospenderli anche quando sia stato accordato un termine, deve il regio Soprintendente curare che sia convocata la Commissione provinciale affinché questa si pronunci se l'immobile al quale si riferiscono i vietati o sospesi lavori sia da proteggere ai sensi dell'art. 1 della legge.
Entro i successivi dieci giorni il regio Soprintendente comunica al Ministero il parere pronunciato dalla Commissione provinciale.
Art. 20
Il parere pronunciato dalla Commissione provinciale ai termini del precedente articolo, ove sia favorevole all’imposizione del vincolo, è comunicato dal Ministero all'interessato entro il termine di cui all'art. 9 della legge per mezzo del messo comunale.
Art. 21
I provvedimenti ministeriali che debbono ritenersi revocati a' sensi dell'art. 9 della legge non possono essere rinnovati se il pregiudizio allo stato esteriore delle cose e delle località di cui all'art. 8 della legge stessa non provenga da nuovi elementi che giustifichino diversi apprezzamenti.
Art. 22
La domanda per il rimborso delle sostenute spese a' sensi dell'art. 10 della legge è rivolta al Ministero per il tramite della regia Soprintendenza. Alla domanda dovranno essere allegati i documenti dimostrativi delle spese e l'elenco riassuntivo del loro ammontare.
Il regio Soprintendente, ottenuto il parere dell'Ufficio del Genio civile fa la proposta di liquidazione al Ministero, cui spetta di provvedere al riguardo.
Art. 23
I piani territoriali paesistici di cui all'articolo 5 della legge hanno il fine di stabilire:
1. le zone di rispetto;
2. il rapporto fra aree libere e aree fabbricabili in ciascuna delle diverse zone della località;
3. le norme per i diversi tipi di costruzione;
4. la distribuzione e il vario allineamento dei fabbricati;
5. le istruzioni per la scelta e la varia distribuzione della flora.
La redazione d'un piano territoriale paesistico è commessa dal Ministro alla competente regia Soprintendenza, la quale vi attende secondo le ricevute direttive, valendosi della collaborazione degli uffici tecnici dei Comuni interessati.
Art. 24
Il piano territoriale paesistico, redatto a norma del precedente articolo, è sottoposto, prima dell'approvazione ministeriale, al parere di una speciale Commissione nominata volta a volta dal Ministro, della quale dovrà far parte un rappresentante del Ministro dei lavori pubblici.
Per la pubblicazione e deposito del piano territoriale paesistico valgono le norme stabilite per le bellezze d'insieme.
Art. 25
Sia nella zona dei piani territoriali paesistici sia nell'ambito delle bellezze d'insieme, quando sia stato imposto il vincolo ai termini della legge e del presente regolamento, i Podestà non possono concedere licenza di costruzione se non previo favorevole avviso della competente regia Soprintendenza.
Tale avviso può essere provocato direttamente dall'interessato prima di chiedere la detta licenza.
Sono applicabili in materia gli articoli 16 e 17 del presente regolamento.
Art. 26
Il Ministro che di sua iniziativa o su domanda degli interessati intenda modificare i vincoli imposti dal piano territoriale paesistico deve consultare la medesima Commissione speciale che diede il parere a' sensi del precedente art. 24 e, ove questa non si possa più convocare, altra Commissione costituita in guisa non diversa.
Art. 27
Il ricorso al Governo del Re, di cui all'art. 5 della legge, contro il piano territoriale paesistico è presentato al Ministero dell'educazione nazionale.
Vale anche per detto ricorso la norma di cui al secondo comma dell'art. 13 del presente regolamento.
Art. 28
I criteri da seguire nella redazione dei piani regolatori e d'ampliamento dell'abitato debbono essere preventivamente concordati, quanto ai fini della protezione delle bellezze naturali e panoramiche, fra gli uffici interessati e la locale regia Soprintendenza, la quale li comunicherà al Ministero.
Il Ministero prima di consentire l'approvazione dei piani stessi, potrà udire, ove sembri opportuno, la Commissione provinciale per la compilazione degli elenchi delle bellezze naturali.
Art. 29
Gli uffici tecnici delle Amministrazioni governative o locali ai quali compete di pronunciarsi sui progetti dell'apertura di strade, delle condotte per impianti industriali e delle palificazioni contemplate dall'art. 11 della legge, debbono chiedere il preventivo avviso del regio Soprintendente.
La disposizione di cui al comma precedente non si applica alle palificazioni delle linee telegrafiche e telefoniche.
Art. 30
I provvedimenti a termini della legge e del presente regolamento quando si riferiscono all'apertura o all'esercizio di cave sono adottati previo avviso dell'Ufficio minerario distrettuale; quando si riferiscono a impianti industriali sono adottati di concerto col Ministero delle corporazioni.
Art. 31
Nell'esercizio delle facoltà di cui al primo e secondo comma dell'art. 14 della legge dovrà essere sentito l'avviso del competente ufficio dell'Azienda autonoma statale della strada.
Art. 32
Il regio Soprintendente nel caso previsto dal penultimo comma dell'art. 14 della legge può richiedere al proprietario d'un fabbricato che sia dato alla facciata di esso un diverso colore.
Ove il proprietario non soddisfi entro il termine d'un anno la richiesta del regio Soprintendente, questi ne riferisce al Ministero.
L'ordine del Ministero conterrà l'ingiunzione che debba essere eseguito entro un termine non inferiore ai sei mesi.
Art. 33
Il Ministero nel fissare la misura dell'indennità di cui al primo comma dell'art. 15 della legge può consentire che essa sia pagata in un congruo numero di rate bimestrali.
Art. 34
Per l'applicazione dell'art. 17 della legge, i competenti organi finanziari richiedono l'avviso del regio Soprintendente.
Art. 35 - Disposizioni transitorie
Gl’impianti pubblicitari situati nell'ambito o in prossimità delle zone protette a' sensi della legge saranno mantenuti sino alla scadenza della rispettiva concessione salvo quelle immediate rimozioni che in via eccezionale il Ministro per l'educazione nazionale reputi necessarie.
Art. 36
Entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione del presente regolamento saranno costituite le Commissioni provinciali di cui all'art. 2 della legge.
I componenti delle medesime rimarranno in carica sino al 31 dicembre 1943.
Art. 1
Sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale o della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria.
Sono protette altresì dalla presente legge le bellezze panoramiche.
Art. 2
Le cose contemplate nella prima parte del precedente articolo non possono essere distrutte né alterate senza il consenso del Ministero dell’istruzione pubblica.
Il Ministero dell’istruzione pubblica ha facoltà di procedere, in via amministrativa alla notificazione della dichiarazione del notevole interesse pubblico ai proprietari ed ai possessori o detentori a qualsiasi titolo degli immobili di cui è parola nel precedente articolo. Tale dichiarazione dev'essere, su istanza del Ministro stesso, iscritta nei registri catastali e trascritta nei registri delle Conservatorie delle ipoteche, ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario possessore o detentore a qualsiasi titolo.
I proprietari possessori o detentori a qualsiasi titolo degli immobili i quali siano stati oggetto di detta dichiarazione, sono tenuti a presentare preventivamente alla competente Sovraintendenza dei monumenti i progetti delle opere di qualsiasi genere relative agli immobili stessi, per ottenere l'autorizzazione ad eseguirle dal Ministero dell’istruzione pubblica, il quale provvede, sentito il parere della Giunta del Consiglio superiore per le antichità e belle arti.
Contro la dichiarazione ministeriale è ammesso il ricorso al Governo del Re che decide, sentita la Giunta del Consiglio superiore per le antichità e belle arti e il Consiglio di Stato e il ricorso alla IV sezione del Consiglio di stato e il ricorso in via straordinaria al Re.
Art. 3
Anche indipendentemente dalla preventiva notificazione della dichiarazione di pubblico interesse, di cui nel precedente articolo, il Ministero della istruzione pubblica ha facoltà di ordinare la sospensione dei lavori iniziati su gli immobili soggetti alla presente legge.
Entro il termine di un mese il Ministero della istruzione pubblica dovrà procedere alla notificazione della dichiarazione di cui all’art. 2. Trascorso questo termine senza che il Ministero abbia provveduto alla notificazione, l’ordine di sospensione si considera revocato.
Nel caso di non avvenuta preventiva notificazione di cui all’art. 2, se la sospensione non è revocata, è riservata agli aventi diritto l’azione per indennità limitata al rimborso delle spese.
Art. 4
Nei luoghi nei quali si trovano cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni ed attuazioni di piani regolatori possono essere prescritte dall'Autorità governativa le distanze, le misure e le altre norme necessarie affinché le nuove opere non danneggino lo aspetto e lo stato di pieno godimento delle cose e delle bellezze panoramiche contemplate nell'art. 1.
L’autorità governativa potrà altresì prescrivere opere di tutela strettamente necessarie per impedire danneggiamenti a bellezze naturali.
Art. 5
È vietata l'affissione con qualsiasi mezzo di cartelli e di altri mezzi di pubblicità. i quali danneggino l'aspetto e lo stato di pieno godimento delle cose e delle bellezze panoramiche di cui nell'art. 1.
Questo divieto riguarda anche i cartelli e gli altri mezzi di pubblicità affissi anteriormente alla presente legge.
Il Ministero dell’istruzione pubblica, a mezzo del prefetto o sottoprefetto, ordina la rimozione dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicità dei quali è vietata l'affissione a norma del presente articolo.
Art. 6
Chiunque contravviene agli obblighi ed agli ordini di cui negli articoli 2, 3 e 5 della presente legge, è punito con l’ammenda da lire 300 a lire 1000.
Indipendentemente dall'azione penale, il Ministero dell'istruzione pubblica, con ordinanza motivata, può ordinare la demolizione delle opere abusivamente eseguite e la rimozione dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicità indebitamente affìssi o mantenuti.
Trascorsi quindici giorni dalla notificazione dell'ordinanza in via amministrativa, la demolizione delle opere abusivamente fatte e la rimozione dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicità indebitamente affissi o mantenuti è eseguita d'ufficio, a carico del proprietario del fondo, salvo il diritto di rimborso da parte di esso contro i responsabili della trasgressione.
La nota delle spese relative è resa esecutoria con ordinanza del Ministero dell'istruzione, e rimessa all'esattore competente che ne fa la riscossione nelle forme e coi privilegi delle imposte prediali.
Art. 7
Gli Ispettori Onorari, le Commissioni provinciali previste nell'articolo 47 della legge 27 giugno 1907, n. 386, gli uffici comunali o provinciali, gli uffici di dipartimenti forestali e del Genio civile e gli uffici tecnici di finanza devono segnalare alle Sopraintendenze dei monumenti e al Ministero dell'istruzione pubblica le opere progettate o iniziate, nonché l'affissione dei cartelli ed altri mezzi di pubblicità che contravvengono alle disposizioni della presente legge.
Indice
TITOLO I - FINALITÀ E PRINCIPI DELLA PIANIFICAZIONE
CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1 - Oggetto della legge
Art. 2 - Obiettivi della pianificazione territoriale e urbanistica
Art. 3 - Articolazione dei processi di pianificazione
Art. 4 - Cooperazione istituzionale nei processi di pianificazione
Art. 5 - Partecipazione e pubblicità nei processi di pianificazione
Art. 6 - Strumenti di cooperazione e pubblicità della pianificazione
Art. 7 - Competenze
Art. 8 - Sussidiarietà
Art. 9 - Efficacia dei piani
Art. 10 - Salvaguardia
Art. 11 - Flessibilità della pianificazione sovraordinata
Art. 12 - Accordi di programma
TITOLO II - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E URBANISTICA
CAPO I - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE REGIONALE
Art. 13 - Piano territoriale regionale
Art. 14 - Piani settoriali regionali
Art. 15 - Procedimento di formazione del piano territoriale regionale
Art. 16 - Varianti al piano territoriale regionale
Art. 17 - Sistema informativo territoriale
CAPO II - PIANIFICAZIONE TERRITORIALE PROVINCIALE
Art. 18 - Piano territoriale di coordinamento provinciale
Art. 19 - Piani settoriali provinciali
Art. 20 - Procedimento di formazione del piano territoriale di coordinamento provinciale
Art. 21 - Varianti al piano territoriale di coordinamento provinciale
CAPO III - PIANIFICAZIONE URBANISTICA COMUNALE
Art. 22 - Strumenti urbanistici comunali
Art. 23 - Piano urbanistico comunale
Art. 24 - Procedimento di formazione del Piano urbanistico comunale
Art. 25 - Atti di programmazione degli interventi
Art. 26 - Piani urbanistici attuativi
Art. 27 - Procedimento di formazione dei piani urbanistici attuativi
Art. 28 - Regolamento urbanistico edilizio comunale
Art. 29 - Procedimento di formazione del regolamento urbanistico edilizio comunale
CAPO IV - ELABORATI DA ALLEGARE AGLI STRUMENTI URBANISTICI E DEFINIZIONE DEGLI STANDARD
Art. 30 - Elaborati da allegare agli strumenti urbanistici
Art. 31 - Standard urbanistici
CAPO V - SISTEMI DI ATTUAZIONE DELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA
Art. 32 - Perequazione urbanistica
Art. 33 - Comparti edificatori
Art. 34 - Attuazione del comparto edificatorio
Art. 35 - Espropriazione degli immobili per l'attuazione della pianificazione urbanistica
Art. 36 - Società di trasformazione urbana e territoriale
Art. 37 - Contenuto delle convenzioni
CAPO VI - VINCOLI URBANISTICI
Art. 38 - Disciplina dei vincoli urbanistici
CAPO VII - POTERI SOSTITUTIVI REGIONALI E SUPPORTI PER L’ATTIVITÀ DI PIANIFICAZIONE
Art. 39 - Poteri sostitutivi
Art. 40 - Supporti tecnici e finanziari alle province e ai comuni
CAPO VIII - NORME IN MATERIA EDILIZIA E DI VIGILANZA SULL’ABUSIVISMO
Art. 41 - Norme regolanti l'attività edilizia
Art. 42 - Vigilanza sugli abusi edilizi
Art. 43 - Accertamenti di conformità delle opere edilizie abusive
TITOLO III - DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
CAPO I - DISPOSIZIONI TRANSITORIE
Art. 44 - Regime transitorio degli strumenti di pianificazione
Art. 45 - Regime transitorio della strumentazione in itinere
Art. 46 - Norme in materia di inquinamento acustico
Art. 47 - Valutazione ambientale dei piani
Art. 48 - Funzioni subdelegate
CAPO II - DISPOSIZIONI FINALI
Art. 49 - Disposizioni finali, abrogazioni e modificazioni
Art. 50 - Dichiarazione di urgenza
Avevamo anticipato che avremmo dedicato un post a spiegare cosa è un Programma Integrato di Intervento e quali sono i suoi scopi.
Per far questo ci siamo rivolti ad un soggetto particolarmente qualificato, un funzionario pubblico di alto rango, che da molti anni opera nell'urbanistica.
Il nostro interlocutore lavora presso la Regione. Quando gli abbiamo spiegato le ragioni della nostra intervista ha accettato di collaborare, ma solo dopo aver avuto assicurazione del fatto che non avremmo pubblicato il suo nome.
Ciò che segue è l'esatta trascrizione dell'intervista, abilmente stenografata da una mia collaboratrice, Ivana, che ringrazio a nome di tutta la squadra di Salviamopiazzatorre.
Le domande le ho poste io, Paolo.
D. Grazie per avere accettato l'incontro. Ci dice cosa sono i programmi integrati di intervento (PII) e a cosa servono?
R. Cercherò di essere il più chiaro possibile, voi non vi rivolgete ad un pubblico specializzato, giusto?
P. Esatto.
R. Essenzialmente sono strumenti urbanistici, un po' particolari, ma comunque volti a decidere cosa fare in una determinata porzione del territorio di un comune: quali funzioni insediare, in che tipo di strutture, quali opere (strade, piazze, impianti) sono necessarie, quali servizi devono accompagnare la realizzazione delle opere.
D. Si usano spesso?
R. Molto, sì, molto spesso. Sono diventati il mezzo principale per pianificare il territorio, piani regolatori a parte.
D. Piani di Governo del Territorio?
R. Siete preparati vedo. I Piani di Governo del Territorio sono gli strumenti di pianificazione urbanistica generale più recenti. Pochi comuni li hanno già approvati, tutti gli altri dovranno farlo entro l'anno prossimo, ma per ora si devono avvalere dei vecchi prg, ed i programmi integrati vengono utilizzati per apportare varianti ai prg.
D. Quindi i PII vengono utilizzati per apportare varianti urbanistiche.
R. Certo, nella maggior pare dei casi i PII sono varianti ai piani generali, e poi i comuni li utilizzano per "portare a casa" più denaro e più opere.
D. Legalmente?
R. Sì. I PII sono strumenti che prevedono la possibilità, per il comune, di pretendere quelli che sono stati definiti "standard qualitativi" ovvero maggiori oneri a carico degli operatori, in termini di opere o aree cedute, o denaro che viene versato nelle casse del comune.
D. Chi approva un PII?
R. Il comune. Solo in pochi casi, ovvero sia per quei PII che rientrino nella definizione di strumento di interesse regionale, per esempio se c'è di mezzo un centro commerciale o infrastrutture di interesse regionale o statale, allora interviene la Regione attraverso una procedura detta accordo di programma. Altrimenti è il comune a promuovere il programma, ad adottarlo ed infine ad approvarlo.
D. Senza che nessun altro interferisca?
R. Per i PII in variante è obbligatorio chiedere il parere della provincia.
D. Quindi un comune non può approvare un PII se la provincia dice di no.
R. In teoria è così..
D. Ma?
R. Ma i casi in cui una provincia è davvero in grado di incidere su un PII si contano sulle dita di una mano. In realtà le province devono fare sì i piani territoriali di coordinamento, ma la verità è che sono piani quasi totalmente privi di efficacia.
D. Ah! E perché?
R. (esita un po', ndr) La legge regionale non lascia molto spazio alle province, la politica della Regione, in tema di territorio, è di lasciar fare ai comuni quasi tutto quello che vogliono.
D. Per quale ragione?
R. Il peso politico dei comuni è nettamente superiore a quello delle province.
D. E il territorio ne fa le spese.
R. Diciamo che, tecnicamente, la scelta della Regione non è giustificata appieno.
D. Torniamo ai PII. Lei ritiene vengano utilizzati bene?
R. A volte sì, a volte no. Spesso lo spirito originario della legge sui PII, che in Lombardia esistono dal 1999, viene tradito. I PII erano stati pensati per superare le rigidità dei prg, ma anche per innalzare la qualità delle trasformazioni del territorio operate in variante ai prg.
D. E invece?
R. Invece, troppo spesso si sono tramutati in banali piani di lottizzazione, oltretutto utilizzati per "fare le varianti" laddove una variante ordinaria non si sarebbe potuta fare attraverso altri strumenti urbanistici.
D. Chi controlla se un PII risponde alla legge?
R. Nessuno.
D. Prego?
R. Nessuno, i controlli di legittimità sono stati abrogati da anni, in tutta Italia, la norma era nazionale, una delle leggi Bassanini.
D. Quindi uno strumento così delicato, se non è d'interesse regionale e quindi se non ci siete di mezzo voi, il comune se lo approva senza che nessuno dica nulla neppure in caso di violazioni di legge?
R. In teoria è possibile, le province non possono valutare la legittimità degli atti adottati dai comuni. Certo per i sindaci la responsabilità sarebbe gravissima, anche penale.
D. Mi scusi, ma non crede che sarebbe necessario controllare di più l'utilizzo di strumenti come questi?
R. Vede, oggi l'autonomia dei comuni è fortissima, la Costituzione è cambiata, di fatto sono loro i primi artefici del loro destino. Lo Stato non ha pressoché più competenze in materia urbanistica, le regioni dettano la disciplina e quindi è la politica di ciascuna regione a decidere sino a che punto si vuole essere incisivi rispetto all'autonomia dei comuni. La Lombardia ha scelto la strada di una sussidiarietà molto spinta, può piacere o no ma è così.
D. Detto molto brutalmente, lo sapete che ci sono comuni che con i PII ci giocano in modo un po' disinvolto, vero?
R. E' una delle voci che girano.
D. Lasciamo stare. Prima di chiederle l'intervista le ho accennato al caso concreto che ci sta a cuore, senza fornirle dati più precisi, glieli sottopongo ora (gli passo una copia del documento di sintesi del PII ed altri documenti in mio possesso). Li legga al volo e mi dica il suo pensiero. (sfoglia rapidamente la documentazione, per un paio di minuti, soffermandosi sui dati principali)
R. Eh, un bel programmino!
P. Si, eh?
D. Cosa la colpisce?
R. Se quel che si dice qui risponde al vero, con un solo PII realizzano abitazioni sufficienti a raddoppiare la popolazione, certo, è tutto relativo, in un paese di cinquanta anime basta costruire quattro case e la popolazione rischia di aumentare del trenta per cento, qui poi si dice che ci sono seconde case per oltre settemila persone, una bella botta. Certo non mi sembra un programma ispirato alla lungimiranza, però, che vuole che li dica, in sé l'operazione non sembra illecita.
D. Inopportuna?
R. Non saprei.
D. Urbanisticamente inopportuna?
R. Questo è possibile, forse probabile. Urbanisticamente inutile direi.
D. Cioè?
R. Inutile, inadeguata rispetto agli obiettivi del comune. Operazioni di questo genere non sono una novità. Alla fine, ovvero trascorsi tot anni dall'attuazione tutti scoprono che chi ci guadagna davvero sono gli operatori, ai comuni restano le briciole, a volte neppure quelle perché gli tocca mettere i soldi per rimediare ai danni o alle manchevolezze degli operatori privati.
D. Ma i PII non sono strumenti negoziali? Non prevedono una convenzione?
R. Certo, ovvio. Ma lei crede che un comune di questa dimensione (Piazzatorre, ndr) abbia la forza e la capacità di negoziare con gente che negozia tutti i santi giorni da anni, con decine di amministrazioni diverse, anche ben più strutturate e organizzate di questa? E poi chi pensa che scriva le convezioni?
D. I privati?
R. E certo! I Comuni se va bene le modificano un po'. Se no si limitano a firmarle.
D. Un'altra domanda. La valutazione ambientale, può avere un ruolo per limitare i danni?
R. Se ben fatta sì, tuttavia tenga conto che nella maggior parte dei casi la si affronta semplicemente come procedura, non come disciplina scientifica. Una volta redatti documenti come questo (il documento di sintesi, ndr) ci si toglie il pensiero affermando che non ci sono problemi per l'ambiente, ma il più delle volte è vero il contrario.
D. Insomma, sperare in una pianificazione urbanistica più accorta è utopico.
R. (allarga le braccia)
P. Grazie dottore, arrivederci.
R. Arrivederci.
MORALE: i disastri sono dietro l'angolo, ma stavolta, i loro padri, anche se sono più d'uno (la politica ha leggi diverse da quelle della biologia), non sono ignoti.
Nota: il blog da cui è tratta questa intervista si trova a http://salviamopiazzatorre.blogspot.com ; sul caso del piccolo comune letteralmente devastato dalle seconde case vedi anche Piazzatorre Fantozziland (f.b.)
È iniziato in Commissione Ambiente della Camera l’esame di due proposte di legge concernenti il governo del territorio. Si tratta del ddl Lupi “Princìpi fondamentali per il governo del territorio” e del ddl Mariani “Princìpi fondamentali per il governo del territorio. Delega al Governo in materia di fiscalità urbanistica e immobiliare”.
Entrambe le proposte di legge – ha spiegato il relatore Franco Stradella – sono dirette ad introdurre nell'ordinamento, da un lato, norme di principio e, dall’altro, procedure e modalità di intervento che devono essere condivise e concordate fra lo Stato, le regioni e gli enti locali.
Escludendo qualsiasi intenzione di invadere le competenze regionali, il relatore sottolinea che le proposte di legge riguardano principalmente la materia “governo del territorio”, assegnata, dal terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione, alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni. Sono inoltre disciplinati aspetti relativi alla materia urbanistica ed edilizia, rientranti nell’ambito del governo del territorio e, quindi, di competenza concorrente fra Stato e regioni. In tale ambito, le proposte fissano norme di principio e non disposizioni di dettaglio.
Secondo l’opposizione, è necessario che il Paese si doti di una nuova legge sul governo del territorio, non solo perché la legge 1150/1942 è ormai superata, ma soprattutto perché si avverte l’urgenza e la necessità di ricondurre ad un quadro di principi unitari la ormai ricca legislazione regionale in materia.
Quanto al contenuto delle proposte di legge in esame, Roberto Morassut rileva una serie di punti qualificanti: il primo punto, nell’ambito di una più generale riflessione sui corretti rapporti fra i diversi “livelli di pianificazione” (distinzione tra piano strutturale, piano operativo e regolamentazione urbanistica ed edilizia), riguarda la necessità di procedere finalmente - superando la vecchia impostazione della legge 1150/1942 - ad una equiparazione della portata e della durata dei diritti edificatori fra aree private e aree destinate a servizi pubblici.
Il secondo punto attiene invece alla definizione e fissazione sul piano normativo di standardurbanistici minimi (in termini di dotazione necessaria di attrezzature e servizi pubblici). È fondamentale – secondo Morassut – che il dettato normativo non perda di vista la necessità di strumenti attuativi efficaci, capaci di garantire anche sul piano quantitativo l'indicazione e il rispetto di livelli minimi di dotazioni territoriali. Ritiene inoltre opportuno un richiamo esplicito alla raccolta differenziata dei rifiuti e all’uso (anche nella costruzione degli edifici) di tecnologie atte a favorirne la diffusione.
Il terzo punto riguarda l’edilizia sociale e la necessità, da un lato, di fissare standard nazionali per la dotazione di alloggi di edilizia pubblica residenziale, e dall’altro, di mettere le Regioni in condizione di definire l’effettivo fabbisogno di edilizia sociale e farsi carico della domanda sottostante, anche con interventi operativi in contesti urbani integrati.
Sottolinea, infine, la necessità di indicare chiaramente sul piano normativo il metodo perequativo e compensativo come strumento essenziale degli interventi di programmazione territoriale, predisponendo una cornice di principi, ma anche i necessari provvedimenti applicativi.
Come preannunciato da Guido Dussin, la Lega ha predisposto una proposta di legge in materia di governo del territorio che non incida sulle competenze regionali e che si limiti all’indicazione di principi generali, possibilmente evitando di dettare norme stringenti di natura urbanistica. Il relatore Franco Stradella precisa che la tutela dell'autonomia non può sfociare nell'anarchia e sostiene la necessità di fissare un quadro di principi certi, senza imporre vincoli o rigide regole alle regioni e agli enti locali.
L’esame dei disegni di legge continuerà nelle prossime settimane, con la nomina di un Comitato ristretto che procederà ad eventuali audizioni informali.
Qui la cartella di eddyburg dedicata alla Legge Lupi
L’immagine è tratta dal sito lannaronca
Caro Eddyburg,
La seconda delle tre questioni emergenti e urgenti, di cui ho scritto nella mia precedente nota, riguarda la legge urbanistica in discussione al Parlamento. Penso che, per parlarne a ragion veduta, sia utile fare prima un po’ di storia della vecchia legge.
Questa nasce per opera degli urbanisti italiani raccolti nell’INU dopo oltre un decennio di pensamenti e discussioni. E’ caratterizzata da una forte connotazione pubblicistica, per la quale si può dimostrare che il Regime ha pesato poco. E’ distribuita su tre titoli fondamentali (a parte il quarto transitorio), dei quali il primo riguarda l’ordinamento dei servizi urbanistici dello Stato, il secondo la disciplina urbanistica, ossia gli strumenti e procedure di pianificazione, distinti e articolati su vari gradi e livelli, il terzo l’indennità di espropriazione, ossia il rapporto pubblico-privato conseguente all’applicazione della legge. Avrebbe dovuto essere seguita da un Regolamento, che avrebbe potuto integrarla e migliorarla. I migliori spiriti liberali del tempo pensavano che quella legge avrebbe dovuto essere “tradotta” in termini più democratici, e oggi, si può aggiungere, di partecipazione e cittadinanza attiva.
Il Dicastero di Porta Pia, cui fu attribuita la gestione della legge, preferì la strada delle circolari esplicative, che hanno solo impoverito e complicato la materia, esasperando il ruolo del P.R.G., il quale, generalizzato a comuni di qualche decina di ettari e poche centinaia di abitanti, fa il paio con l’altro orrore costituzionale che affida l’urbanistica alle Regioni. La successiva legge ponte, anche se opportuna, non ha sostanzialmente raddrizzato il percorso, sul quale la corte Costituzionale ha calato la sua scure, né hanno potuto più che tanto le ultime leggi, venute alla luce nell’età della deregulation insorgente. Per non parlare dell’opera dei governi di centro sinistra, decisionisti o trasformisti che fossero, e lasciando stare ovviamente quelli di centro destra.
Credo che oggi ci sia bisogno di un intelligente e paziente opera di recupero giuridico, istituzionale, politico; e ha ragione Gigi Scano di proporre una “legge manifesto”, ossia, se capisco bene, di un momento di nuovo pensamento e discussione, come si è fatto la prima volta. Come allora bisognerà capire che l’urbanistica è per sua natura affare eminentemente pubblico, e che affidarne le sorti al mercato, quando non è malafede, è pia illusione. In tale prospettiva penso e ripeto, a costo di apparire monotono, che due sono le questioni essenziali su cui centrare l’attenzione. Quella della cosiddetta rendita immobiliare, la quale è prodotta in massima parte dalla collettività, e deve tornare (ed eventualmente essere perequata) a vantaggio di questa, non a suo danno, come è stato negli ultimi due secoli di crescita urbana. Non so se una legge urbanistica da sola può avere questo effetto, e lascio il quesito al giurista; so che non può non farsene carico, per quanto le spetta.
E’ certamente materia di legge urbanistica l’altre questione cosiddetta del piano, ossia del metodo, mezzi e procedure per provvedere con la pianificazione al miglior assetto insediativo possibile. Penso che la vecchia legge offra una traccia in questo senso, e che, se la breve disamina che ne ho fatto sopra è corretta, questa traccia sia stata sostanzialmente trasgredita. Di ciò qualche responsabilità dobbiamo pur averla anche noi urbanisti; ai quali compete oggi di riprendere il cammino interrotto. Metodo, mezzi e procedure della pianificazione territoriale urbanistica sono, a mio giudizio ed esperienza, un campo ampio e fertile ancora da coltivare, se ci saranno quel nuovo pensamento e discussione che sembra suggerire l’amico di Venezia, e per i quali questa mia nota vuole essere un esplicito invito.
Scano proponeva, nella sua relazione, una serie di punti sui quali le numerose forze politiche presenti a quel convegno (Roma, 3 febbraio 2004) si erano dette d'accordo. Erano punti sintetici, di merito: perciò appunto un "manifesto". Io partirei da quei punti, invece che dalla legge 1150/1942: hanno il vantaggio da essere, appunto, proposte di merito e non technicalities. Sarebbe bene che se ne tenesse conto nelle discussioni che si apriranno per un programma della maggioranza alternativa.
Quello che faccio è uno strano mestiere che sta a cavallo tra le tecniche e le interpretazioni, tra i metodi quantitativi e quelli qualitativi, fra i modelli e la comunicazione; il tutto nell’idea che bisogna governare la città, che la città è – nel suo insieme – un bene comune (anche se molte cose della città possono e debbono essere “merci”, così non è per la città nel suo insieme; e la stessa cosa succede per molte altre cose in molti altri campi) e che a governarla debbono essere i cittadini (non per capirci i “portatori di interesse” o i percettori di rendite).
Vorrei ribadire questo concetto con un esempio: il mercato, un luogo fondamentale della città, è un luogo pubblico, anche se le merci che vi si scambiano sono beni privati, come luogo pubblico viene programmato, progettato, regolato, “mantenuto”; non vi si svolge solo lo scambio di merci, ma è luogo di relazioni, di discussioni, di trame, di seduzioni, di intrattenimento (i fieranti, che vanno a quei particolari mercati occasionali che sono le fiere, i saltimbanchi, i malandrini, i giocatori delle tre carte, … si trovano al mercato); l’agorà era il luogo dello scambio, ma anche della democrazia; spesso vi sono state anche “città dei mercati”, a volte stagionali o mobili.
“Alcune centinaia di anni fa c'era la piazza del mercato. I mercanti ritornavano da mari lontani con spezie, sete e pietre preziose e magiche. Delle carovane arrivavano attraverso deserti brucianti portando datteri e fichi, serpenti, pappagalli e scimmie, strane musiche e strani racconti. La piazza del mercato era il cuore della città ... La gente si alzava presto e veniva qui per il caffè e le verdure, le uova e il vino, le pentole e i tappeti, gli anelli e le collane, i regali e i dolci ... Venivano qui per guardare e ascoltare e meravigliarsi, per comprare e per divertirsi. Ma molti venivano qui soprattutto per incontrarsi gli uni con gli altri. E per parlare.”
Levine R., Locke C, D. Searls e Weinberger D . Cluetrain Manifesto La fine del business as usual Fazi, Roma 2001 pag,23
Poi mi occupo di giochi, in generale – come deve essere – per divertimento e, qualche volta, come è possibile, in quanto essi sono una “tecnologia educativa” ed uno strumento utile per capire la città e per capire come la si può guidare.
C’è solo una giustificazione per un esordio così personale: che esso sia utile; credo che lo sia perché nell’esperienza che raccontiamo mi sono “allargato” un po’ troppo, proponendo alle mie studentesse e ai miei studenti un percorso – riferito alle periferie di Sassari - che arrivasse sino al progetto, non limitandosi all’analisi e alla diagnosi, come avrei dovuto.
Le considerazioni che seguono sono – in molti sensi – il riferimento teorico ed il quadro concettuale di quei progetti che potete trovare insieme con altri utili saggi e saggetti nel volume che ho curato per i tipi di Franco Angeli Al centro le periferie. Il ruolo degli spazi pubblici e dell’attivazione delle energie sociali in un’esperienza didattica per la riqualificazione urbana, che a noi che l’abbiamo fatto pare molto umilmente utile e utilmente umile.
1. Governare le trasformazioni
La prima considerazione serve a definire il quadro di riferimento dell’intera costruzione logica e concettuale del progetto; governare le trasformazioni della città è necessario, governare le trasformazioni della città è possibile.
Il fatto che sia difficile e che debba essere fatto in modo diverso che in passato, non vuol dire che non si debba e non si possa fare.
Governare la città è difficile ed ha molte implicazioni ed oggi avviene in modo diverso da ieri, soprattutto per quanto riguarda la progettazione e la pianificazione del suo futuro.
2. Governare per che cosa?
La seconda considerazione ci indica a cosa deve tendere il governo, in generale e per quanto riguarda le trasformazioni del territorio.
Saper leggere, descrivere, interpretare, orientare e governare le trasformazioni radicali della città, del territorio e dell’ambiente, all’interno dell’ obiettivo di fondo di uno sviluppo che garantisca equità, sostenibilità, diritti è il compito e la sfida che dobbiamo porci, ciascuno di noi dal proprio punto di vista.
Uso la parola “sviluppo” con prudenza, ma con convinzione ed in qualche modo la associo alla parola “progresso”.
3. Città e sostenibilità
La terza considerazione riguarda la questione della sostenibilità.
La città non è mai stata "sostenibile" in nessuno dei sensi in cui questa espressione è usata, in particolare se si pensa all’accezione che Latouche definisce “eco-centrata”: anzi la città è il luogo della vita umana organizzata in cui la crescita dell'entropia è massima.
Ovviamente qui mi riferisco al raffronto con stili di vita “locali” e autosufficienti come quelli della campagna non alla situazione devastante dello sprawl che estremizza, senza averne la qualità, il consumo di suolo e la dissipazione energetica.
Per la città il problema del limite è sempre esistito, ma forse ora per la prima volta, assume dimensioni non solo locali e non solo contenute nel tempo.
Molte città, la stragrande maggioranza di esse, si sono estinte per aver distrutto il loro ambiente, le condizioni per la propria sopravvivenza, per autofagia.
Ma il limite della città, l'ambito della sua divorante famelicità era sino a ieri prevalentemente "locale", i danni ambientali (diretti quantomeno) erano legati alla "prossimità", alla contiguità spaziale.
Negli ultimi decenni la crescita dell'urbanizzazione e l'aumento dei consumi urbani stanno determinando una globalizzazione anche degli effetti ambientali, sia in termini di impatto momentaneo che di pressione stabile: non solo viene investito tutto il mondo attuale, ma viene "consumato” tutto il mondo futuro.
4. Città di ieri e città di oggi
In quarto luogo si tratta di identificare i caratteri distintivi della città.
Vale la pena partire da alcune “affermazioni” che mi appaiono evidenti per le città di sempre:
- nelle dinamiche urbane si intrecciano permanenza (le stratificazioni) e cambiamenti, sicché il futuro di ogni città non è indipendente dalla sua storia;
- la città è la nicchia ecologica della specie umana, anche perché si tratta di una specie sommamente adattabile, sicché la forma città, pur mutevole, è resistente e resiliente;
- la città rende possibile isolarsi e rende inevitabile stare con gli altri, sicché gli spazi di relazione e quelli dell’abitare sono entrambi essenziali e la qualità urbana dipende dalla qualità di entrambi: le “città” senza spazi pubblici o che distruggono lo spazio pubblico non sono città; in esse i "non-luoghi" divengono gli unici simulacri della città, come d’altro lato non sono città le “città” senza abitanti;
- la città è il luogo dell’interazione sociale fra diversi, sicché le città “ideali” non sono città e le città-fortezza (le Gated Cities) non sono città.
5. Urbs, civitas e polis
La quinta considerazione riguarda la perdita del ruolo politico della città, che è un bel problema anche per il senso delle parole.
Un’altra causa del declino e della scomparsa delle città nelle storia è stata il venir meno della loro capacità di garantire forme adeguate di cittadinanza, nei modi storicamente possibili e quindi diversi da un’epoca all’altra; l’inclusione forse non coincide con i diritti di cittadinanza, ma essi ne sono la condizione: “l’aria della città rende liberi” non era solo un modo di dire.
Un’evoluzione della città contemporanea è quella di originare città senza abitanti, ovvero senza cittadini; una non-città che dissolve in uno stesso tempo la “forma” della città (l’urbs) e la società (la civitas): si perde il cittadino se si perde la città e si perde così la politica e così si perde la democrazia; il cittadino diviene solo consumatore è la “città” una delle tante (neppure la più importante) “macchina per il consumo”, una marmellata in cui gli unici grumi sono le cittadelle del consumo che spesso assumono l’aspetto fantasmatico di città fittizie.
6. In sesto luogo bisogna capire cosa sono oggi le periferie.
L’incendio di un condominio fatiscente a Parigi, vicino a Place d’Italie, e il fatto che in quell’incendio, a causa dello stato di abbandono dell’edificio, siano morte 17 persone fra cui 14 bambine e bambini, tutti immigrati regolari dall’Africa, è solo l’emergenza tragica del problema delle condizioni dell’abitare in tutte le città contemporanee, in cui progressivamente è stata abbandonata ogni azione per il “diritto alla casa”, azioni che erano elemento centrale, cardine della politica urbanistica delle amministrazioni pubbliche soprattutto nel primo dopoguerra, in cui a dirigere l’Ufficio per le attività edilizia del Comune di Berlino era Martin Wagner e in cui nella Vienna “rossa” sorsero le grandi Hof.
La nascita delle moderne periferie (anche le città antiche avevano i propri suburbia, ma il fenomeno delle periferie è un fenomeno moderno che possiamo far partire dal periodo di abbattimento delle mura, anche se ha assunto poi forme e modi diversi in varie parti del mondo) e la crisi dei processi di integrazione economica, culturale e sociale determinano l’esistenza nelle città, a volte nel loro più interno centro, di aree di esclusione permanenti, escluse dal presente e dal futuro, aree cui si contrappongono i ghetti dorati delle gated city o le città “specializzate”.
7. Le periferie al centro
Una settima considerazione riguarda il nodo politico e culturale più rilevante: come ridare qualità alla vita urbana; la maggiora parte degli abitanti della città, che sono la maggior parte degli abitanti del mondo, vive in periferia, talvolta – come abbiamo detto in città che sono tutte e solo periferie.
E come abbiamo detto una questione, forse la prima questione è il peso ed il ruolo della rendita.
Le periferie hanno molto poco della civitas, molto poco dell’ urbs e tuttavia nelle “normali” città non sono dei vuoti, dei buchi neri; in esse nascono fenomeni culturali importanti, autonomi, creativi, in esse si sviluppano energie sociali, che hanno bisogno di sbocchi, li cercano e ne trovano molti e diversi, uno dei quali è la violenza.
L’attivazione delle energie sociali (la scoperta di quella che è stata definita insurgent city) strettamente collegata con la definizione di obiettivi concreti di sostenibilità ambientale (concreti vuol dire radicali, soprattutto per quanto riguarda trasporti, rifiuti e consumi energetici) e l’attenzione al contesto, sono aspetti necessari di ogni strategia di “salvezza” della città.
La “partecipazione” proprio per questo serve: non si tratta di partecipazione come costruzione del consenso o come semplice decentramento istituzionale, si tratta di partecipazione come espressione dell’azione di trasformazione che viene dalle pratiche sociali, cui si dà struttura, visibilità, efficacia, potere; per usare un termine tecnico si tratta dell’ empowerment, ovvero della conquista di potere di decisione e di diritti reali da parte dei diversi soggetti.
8. Chi decide? La frattura sociale e la secessione
L’ottava considerazione riguarda il problema della democrazia e del potere di decisione nell’epoca della rinascita dei semidei.
La questione della democrazia è nel mondo dell’ultima, recente globalizzazione un punto critico quasi disperato; è vero che esiste in molti cittadini una sensibilità acuta ed una pronta capacità di mobilitazione e ciò comunque è un bene, ma questi cittadini “avvertiti” si misurano con i problemi sempre e comunque in quanto questioni “locali” e soprattutto essi spesso si percepiscono e si rappresentano come “utenti”, rivendicano non tanto potere e responsabilità, ma soprattutto servizi e rispetto delle regole; la loro voce parla solo per loro, per il qui, per ciò che è loro diritto avere, raramente per tutti (e solo un progetto per tutti è un progetto di organizzazione e gestione del territorio), per uno spazio più ampio del nostro spazio, per conquistare nuovi diritti; ed è soprattutto vero che quelli che non hanno voce non trovano nessuno che vuole dargliela (al massimo – e non è poco – si offre loro pietà e compassione).
I semidei, duecento anni dopo la Rivoluzione Francese e molto di più che allora, popolano di nuovo la terra: l’abisso tra ricchi, sciolti da ogni legge e virtualmente onnipotenti, che hanno il solo limite di essere mortali, e la gente comune, tra cui anche i miserabili delle periferie del mondo, ma non solo loro, è sempre più ampio, tanto che essi vivono vite separate in mondi separati, senza quasi intersezioni, senza relazioni.
9. Città e periferie: che fare?
La nona considerazione riguarda quel che è possibile fare e suggerisce qualche strada.
Quel che in primo luogo chiedono gli abitanti delle periferie, come tutti gli esseri umani è la base della condizione umana in un sistema di relazioni sociali: il rispetto.
“ On n'estpas des racailles mais des êtres humains. On existe. La preuve: les voitures brûlent” (“Non siamo feccia, ma esseri umani. Esistiamo. La prova: le macchine bruciano)”.
L’interpretazione dell’urlo di chi è senza futuro è quella dettata dalle politiche della sicurezza. La violenza espressa dall’odio per una condizione inaccettabile e senza speranze riceve la risposta che separa gli umani tra di loro, perché non volgano gli occhi verso i semidei.
Solo se il controllo delle dinamiche di sviluppo è sottratto al dominio della rendita e governato, sulla base dei rapporti di forza fra le classi, dal potere pubblico; solo se i protagonisti delle trasformazioni sono gli abitanti tutti dei quartieri e se la ricchezza delle loro espressioni (che, tra l’altro, i “padroni delle mode” saccheggiano, senza pagare dazio) trova riconoscimento e interlocuzione, solo se il lavoro è una dimensione consistente e ricca di prospettive e proiettata al futuro, garanzia di riconoscimento e di promozione (chi mai riconosce a sé stesso dignità nella prospettiva di lavori precari o nel friggere polpette, per tutta la vita?) e di reddito e di valore, solo se si danno queste condizioni, gli interventi architettonici, urbanistici, culturali hanno speranza di successo, possono sottrarre le periferie alla loro condizione di luoghi del bando.
10. Che fare a Sassari
Infine, la decima considerazione è quella che ci dettato le linee di intervento operative nelle situazioni concrete.
Certo Sassari non è Parigi e neppure Napoli e dunque gli effetti della condizione periferica assumono dimensioni meno ampie e meno drammatiche, potremmo dire più “tradizionali”.
Intanto vi è a Sassari una “periferia centrale”, che corrisponde grosso modo all’intera area del centro storico all’interno del cerchio delle antiche mura, in cui il progressivo degrado del patrimonio abitativo si è inevitabilmente accompagnato alla perdita di funzioni e di diversità sociale.
In alcuni quartieri di periferie periferiche sono confinate le “classi pericolose”, anche se il problema della violenza e della criminalità non è oggettivamente grave a Sassari e non è neppure percepito come molto rilevante, se non localmente in situazioni particolari.
Nelle periferie di Sassari alla domanda “ti piace dove stai”, la risposta è molto spesso “no”; alla domanda “te ne vorresti andare” la risposta è altrettanto spesso “no”; questa terra è la mia terra, ma così non mi piace.
Nessuno può trascurare il fatto che le cose stanno così: per chi progetta è un buon punto di partenza (se il progettista non guarda il suo ombelico).
Il decreto legge sulla finanziaria (n° 112 del 25 giu. 2008, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”), quello approvato in nove minuti e mezzo dal Consiglio dei ministri, ha suscitato molte critiche, specialmente a ragione dei pesanti tagli alla spesa. Con riguardo al settore dei beni culturali Salvatore Settis ha argomentato, in un intervento che ha avuto larga eco, che tali decurtazioni pregiudicherebbero lo stesso regolare funzionamento del Ministero e delle soprintendenze, sì da prefigurare, di fatto, una loro estinzione.
La gravità di queste previsioni ha però messo in secondo piano altre misure contenute nel decreto, forse meno appariscenti ma altrettanto dannose, e che interessano l’insieme del’organizzazione del territorio e del suo governo. Ne segnalo rapidamente alcune.
“Impresa in un giorno”
Così s’intitola l’art. 38 del decreto, il quale con un solenne richiamo al “diritto di iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della Costituzione” si propone di tutelare l’attività imprenditoriale a partire dalla presentazione della dichiarazione d’inizio attività o dalla richiesta del titolo autorizzatorio (comma 1). Si tratta in sostanza di una rielaborazione della normativa sullo sportello unico, dove fra le novità di rilievo va segnalata (comma 3, lettera c) la possibilità di affidare a soggetti privati (“agenzie per le imprese”) l’attività istruttoria sulla sussistenza dei requisiti per l’esercizio dell’attività, per cui la loro semplice dichiarazione di conformità verrebbe a costituire titolo autorizzatorio.
Ma interessano di più le disposizioni di cui alle lettere f, g ed h dello stesso comma 3:
“f) lo sportello unico, al momento della presentazione della dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti previsti per la realizzazione dell’intervento, rilascia una ricevuta che, in caso di d.i.a., costituisce titolo autorizzatorio. In caso di diniego, il privato può richiedere il ricorso alla conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n° 241;
“g) per i progetti di impianto produttivo eventualmente contrastanti con le previsioni degli strumenti urbanistici, è previsto un termine di trenta giorni per il rigetto o la formulazione di osservazioni ostative, ovvero per l’attivazione della conferenza di servizi per la conclusione certa del procedimento;
“h) in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine previsto per le altre amministrazioni per pronunciarsi sulle questioni di loro competenza, l’amministrazione procedente conclude in ogni caso il procedimento prescindendo dal loro avviso; in tal caso, salvo il caso di omessa richiesta dell’avviso, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata emissione degli avvisi medesimi”.
Non si tratta d’altro, come i lettori di eddyburg avranno compreso, che di una riproposizione, peggiorata come vedremo, del cosiddetto ddl Capezzone, presentato nella scorsa legislatura e soprannominato a sua volta – un po’ meno ambiziosamente di questo – “un’impresa in sette giorni”. Allora se ne denunciò da più parti la pericolosità (raccogliendo l’appello di eddyburg) e si riuscì ad impedirne l’approvazione. Nel segno della continuità bipartisan (Capezzone è passato dal centro-sinistra alla destra), eccolo rispuntare adesso in un articolo del DL 112/2008.
Abbiamo quindi il silenzio-assenso, con termini estramemente brevi e per interventi suscettibili di sconvolgere l’assetto del territorio e dell’ambiente. Non solo, ma abbiamo un silenzio-assenso, per così dire, blindato e allargato. Se infatti, a parte quella procedente, anche le “altre amministrazioni” (ad esempio quella dei Beni culturali) saranno silenti, il provvedimento andrà avanti ugualmente e il funzionario comunale responsabile del procedimento non ne risponderà. Detto altrimenti, l’atto autorizzativo, benché privo dei pareri previsti per legge, sarà comunque efficace. Pensiamo, per riferirci a casi concreti, a richieste di costruire una fabbrica o un grande albergo in zona vincolata. Se poi teniamo a mente il “combinato disposto” di tale micidiale norma con gli annunciati tagli ai fondi ed al personale delle amministrazioni pubbliche (dai comuni alle soprintendenze), lo scenario che ci si apre davanti è a dir poco terrificante.
Il criticatissimo ddl Capezzone, almeno sotto questo profilo, si sforzava di porre qualche modesto argine: per esempio si indicava come prerequisito per il rilascio delle autorizzazioni la conformità “alla vigente disciplina ambientale, sanitaria, di tutela dei beni culturali e paesaggistici, di sicurezza sul lavoro e di tutela della pubblica incolumità” e si escludeva la possibilità di avviare immediatamente gli interventi quando la verifica di conformità comportasse valutazioni discrezionali da parte della pubblica amministrazione per i profili sopra ricordati (fra cui quelli attinenti alla tutela dell’ambiente e del “patrimonio archeologico, storico, artistico, culturale e paesaggistico”).
Siamo ormai abituati al peggio, ma si resta ugualmente senza parole e la speranza, a fronte di uno stravolgimento così brutale dei cardini stessi della corretta utilizzazione del territorio e della tutela, è che la palese incostituzionalità di queste disposizioni porti ad un loro rapido affossamento. Con buona pace dei teorici del “diritto di iniziativa privata” senza limiti, l’art. 41 della Costituzione, da costoro goffamente richiamato, ha anche un secondo comma, importante quanto il primo, ed è pacifica, finché almeno la nostra carta dei diritti non sarà modificata, la prevalenza su tutti gli altri dei valori costituzionali primari, a partire da quelli garantiti dall’art. 9.
L’altra speranza è che i comuni, cui in definitiva è affidata l’attuazione della legge, sappiano difendere il loro territorio sulla base di piani urbanistici correttamente formati.
La privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico
L’obiettivo è “valorizzare” il patrimonio immobiliare pubblico: dove “valorizzare” significa mettere sul mercato, in definitiva privatizzare: trasferire dal pubblico al privato un altro pezzo del patrimonio comune, fra quelli socialmente più rilevanti. Questo obiettivo è perseguito soprattutto in dua articoli: l’articolo 13 (“Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico”) e l’articolo 58 (“Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali”).
Il primo dei due articoli stabilisce che “al fine di valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e di favorire il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in sede di Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n° 281, la conclusione di accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei predetti Istituti”. Il prezzo dovrà essere determinato non in relazione al valore di mercato, ma “in proporzione al canone di locazione”. Diritto di prelazione avrebbero gli attuali assegnatari.
Il “soddisfacimento dei fabbisogni abitativi”, che sembra costituire l’obiettivo della norma, sarebbe da conseguire fra l’altro, come specifica l’art. 11 (“Piano casa”) del d.l., proprio attraverso “le risorse derivanti dalla alienazione di alloggi di edilizia pubblica” (sul significato e sulle conseguenze del “piano casa” si veda l’articolo di Gianfranco Cerea e la postilla di eddyburg).
Veniamo all’altro articolo, il 58 (“Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali”):. Questo è già stato criticato da eddyburg (Continua il grande furto). Meritano particolare attenzione i commi 1 e 2 dell’art. 58:
“1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di Governo individua, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il Piano delle Alienazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione.
“2. L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del Piano delle Alienazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni”.
Detto altrimenti, il semplice inserimento negli elenchi, approvato in blocco con una semplice delibera di consiglio, andrà a costituire ex se variante al piano urbanistico comunale, senza godere di nessuna delle garanzie previste dalla legislazione urbanistica (pubblicazione, osservazioni, controdeduzioni, vaglio degli uffici regionali, conformità con i provvedimenti e i piani di tutela, ecc.). Per fare di nuovo un esempio concreto, i cambi di destinazione di immobili di proprietà dei comuni potranno provocare una fioritura di alberghi in zone anche delicate, senza che nessuno – stando al testo della legge – possa obiettare nulla.
E ancora una volta, per valutare appieno gli effetti esiziali di un simile provvedimento bisogna inquadrarlo in un contesto in cui i comuni, afflitti dalla crisi finanziaria che conosciamo a ragione non avranno altra scelta che vendere o svendere il loro patrimonio immobiliare, e tutti sappiamo bene a chi.
Per concludere
È difficilmente comprensibile il silenzio che circonda le operazioni che abbiamo rapidamente esaminato. Silenzio della stampa e delle emittenti radio-televisive, silenzio delle opposizioni in Parlamento, silenzio dei partiti politici. Il territorio e il bene pubblico che esso costituisce – nel suo insieme e nelle sue porzioni che appartenngono anche patrimonialmente alla collettività – possono essere svenduti al miglior offerente. Le regole che dovrebbero consentire la razionalità della sua utilizzazione sono calpestate senza neppure che chi governa (dalla maggioranza o dall’opposizione) se ne renda conto. Gli stessi “esperti”, nella loro maggioranza, sembrano ignorare ciò che sta accadendo. Gli spazi che si aprono alla speranza sembrano davvero pochi.
I deputati milanesi Maurizio Lupi (allora FI, oggi PdL) e Pierluigi Mantini (allora Margherita, oggi PD), nel dicembre del 2005, presentarono all’Urban Center del Comune di Milano il loro libro “I nuovi principi dell’urbanistica” (Edizioni Il Sole/24 ore), in cui provavano a teorizzare l’orizzonte tecnico-giuridico e politico-culturale – quello della “consensualità” degli atti amministrativi tra amministrazione pubblica e proprietà fondiario-immobiliare – che connotava loro inusitata iniziativa di un disegno di legge bipartisan di maggioranza e opposizione sul governo del territorio, ispirato dall’esperienza lombarda delle leggi regionali Vega e Adamoli e dall’estensione nazionale fattane con l’emendamento Botta-Ferrarini (deputati DC e PSI) all’art. 16 della L. 179/92, istitutivo dei Programmi Integrati di Intervento (PII).
Com’è noto il Ddl Lupi/Mantini fu poi approvato da uno dei due rami del Parlamento, ma non riuscì a giungere ad approvazione nell’altro prima della fine della legislatura, nel 2006; mentre nello scorcio di legislatura succedutasi, i due si dovettero acconciare a presentare disegni di legge distinti, ancorché ispirati da forti affinità elettive nei contenuti.
In occasione della presentazione di quel libro, essi raccolsero con favore l’indicazione di alcuni interventi che coglievano il nucleo fondante dei nuovi principi annunciati dal titolo nell’abbandono della concezione di un progetto pubblico dell’uso di città e territorio, tipico della – a loro avviso obsoleta – visione dell’ urbanistica e nell’avvento di una nuova visione dettata dall’economistica.
Non deve quindi sorprendere che, in questa legislatura, a promuovere l’evoluzione dell’urbanistica in economistica - pur nello spirito dell’invincibile attrazione fatale tra i due, nuovamente eletti in Parlamento in schieramenti dai programmi politici virtualmente alternativi su tutto eccetto le regole istituzionali - sia, ancor più che un nuovo ddl sul governo del territorio, il Documento Economico Programmatico Finanziario di Tremonti, approvato dal Governo per decreto-legge nel giugno scorso.
Tremonti, del resto, aveva già dato prova del suo modo subalterno di considerare l’uso della risorsa territorio rispetto alle contingenti esigenze del bilancio economico quando, nel 2005, in risposta ad un quesito dell’Associazione Nazionale delle Tesorerie al Ministero delle Finanze sulla mancata riproposizione nel Testo Unico sull’edilizia (DPR n. 380/2001, a seguito della Riforma Bassanini delle procedure amministrative) dell’obbligo imposto dalla L. n. 10/77 (Bucalossi) di allocare gli oneri di urbanizzazione in un apposito capitolo di bilancio vincolato alla esecuzione di tali opere, fece rispondere che se nel testo quel disposto non c’era (ancorché illegittimamente !), l’obbligo doveva considerarsi decaduto. Si aprì per i Comuni la manna della possibilità di far fronte alle ristrettezze contingenti dei bilanci, consentendo nuove previsioni edificatorie a sostegno delle spese correnti; a onor del vero, occorre aggiungere che nemmeno il Governo Prodi ha posto rimedio a questa illegittima stortura, anzi, nella sua ultima Finanziaria, ne ha esplicitamente previsto la prosecuzione per il prossimo triennio.
Nel DPEF di giugno si stabilisce, quindi, che, nell’attuale congiuntura economica di riduzione del potere d’acquisto di salari e stipendi e di ristagno della produttività delle imprese, gli Enti pubblici facciano fronte alla sempre più pressante domanda di servizi sociali in campo socio-abitativo in una condizione di crescenti ristrettezze economiche dei propri bilanci, per un verso massimizzando la redditività delle loro alienazioni patrimoniali anche in deroga alle destinazioni urbanistiche vigenti e, per altro verso, consentendo ai privati di edificare edilizia sociale, a prezzo convenzionato per un decennio, sulle aree vincolate a uso pubblico ma ancora di loro proprietà; infine, per incentivare la produttività delle imprese, si vorrebbe consentire loro di autocertificare la conformità dei propri immobili alle norme urbanistiche, in modo da accelerarne costruzione e trasformazione. Su quest’ultimo aspetto, il rischio, in parte già sperimentato con istituti quali quello dello “sportello unico” per le imprese, è che, di fronte ad autocertificazioni sbarazzine e comuni distratti o conniventi, le associazioni e i cittadini non possano nemmeno più ricorrere alla tutela del giudizio del tribunali amministrativi (TAR), perché le autocertificazioni non rientrerebbero nelle loro competenze giurisdizionali. Tuttavia, anche sugli aspetti più consueti delle procedure urbanistiche i TAR e il Consiglio di Stato (in istanza d’appello, cui costantemente ricorrono le proprietà se soccombenti, mentre è assai difficile e oneroso farlo per i singoli cittadini) tendono sempre più a limitare la possibilità di associazioni e cittadini di intromettersi nelle trattative dirette tra amministrazioni comunali e proprietà fondiarie, ponendo sempre maggiori requisiti di legittimazione a ricorrere.
Insomma, come già anticipato dai principi della recente legislazione regionale lombarda (dalla LR 12/05 con i PGT quinquennali senza più piano di struttura, e le successive ripetute integrazioni - sino alla L. n. 4/08, che in un empito di proto-federalismo urbanistico stabilisce di disapplicare l’odiato decreto ministeriale nazionale sugli standards pubblici; alla legge regionale per l’edilizia sociale sulle aree private a vincolo pubblico decaduto), si propone di affidare alle contingenze del mercato l’esito della costruzione dell’assetto urbano urbano e territoriale, aggirando o disarticolando in modo incoerente il patrimonio giuridico-lesgislativo e di strumenti e disperdendo un demanio di aree ed opere pubbliche che dalla Legge urbanistica n. 1150/42 alla Legge n. 10/77 sul regime dei suoli e col Piano decennale per la Casa della L. 865/71, sia pur lentamente e non senza irrisolte contraddizioni (durata e indennizzo dei vincoli espropriativi, separazione tra proprietà e diritti edificatori, diritto di superficie, ecc.), si era andato definendo e consolidando.
Come sarà possibile, in questa prospettiva, dare un senso reale alle procedure di Valutazione Ambientale Strategica imposte agli strumenti pianificatori dalle direttive UE e, a parole, recepiti nei percorsi procedurali prescritti: che “sostenibilità strategica” potrà mai esserci in un orizzonte quinquennale, di volta in volta mutevole e, oltre tutto, derogabile in itinere e ad libitum da strumenti derogativi più o meno recenti (Programmi Integrati di Intervento (PII), Accordi di Programma, ecc.) e dai nuovi incentivi di valorizzazione economica del patrimonio fondiario-immobiliare ?
A questo riguardo, occorre segnalare che il panorama dei PII approvati in deroga alle prescrizioni di PRG va costellandosi in Piemonte, Lombardia e Veneto di indagini delle Procure penali di competenza in relazione ad ipotesi corruttive, concussive e collusive su come siano stati determinati ed approvati dai Comuni i relativi contenuti, in particolare quando inferiori a quelli dei PRG vigenti in termini di aree pubbliche realizzate, e sui criteri di quantificazione del valore delle aree non cedute e monetizzate o convertite in maggiori opere. Il caso più noto per dimensione e clamore è quello del PII Citylife sull’area dell’ex Fiera di Milano, dove la Procura di Milano indaga sia in relazione ad illecito smaltimento dei detriti delle demolizioni in corso negli scavi dei cantieri per la TAV, ma anche in relazione ad irregolarità dei contenuti urbanistici approvati che potrebbero aver procurato un illecito arricchimento di Fondazione Fiera, a fronte di un peggioramento della qualità urbana ed ambientale del contesto urbano. Molti altri, tuttavia sono i casi più minuti, più diffusi e meno noti su cui vi sono indagini in corso; e c’è da chiedersi cosa accada in Regioni più condizionate dal peso della criminalità organizzata.
Non si tratta, tuttavia, solo di singoli episodi degenerativi: i Comuni, quasi senza più differenza tra amministrazioni di destra o di sinistra e sempre più diffusamente di fronte alle ristrettezze di bilancio, sembrano ritenere di poter ricorrere “ad libitum” alla modifica dei PRG tramite lo strumento dei PII, a patto di dimostrare che una quota stabilita discrezionalmente del vantaggio economico che ne deriva al privato venga devoluta loro e che dell’utilizzo di tale quota possano poi disporre a piacimento. Il territorio è visto un supporto “corvéable à merci” rispetto alle esigenze di valorizzazione economica richieste dal mercato, visto che le ricadute negative si vengono a manifestare molto più in là nel tempo rispetto a quelli della congiuntura economica e delle scadenze politico-amministrative.
Ad esempio, i Comuni di Milano e di Sesto S.G., pur con maggioranze amministrative alternative, competono allegramente tra loro nel proporre previsioni edificatorie di 1 mq/mq di indice territoriale, con il quale è impossibile non solo attuare i 26,5 mq/abitante di spazi pubblici della gloriosa Legge Regionale del 1975 (la prima ad essere approvata dopo l’avvento delle Regioni nel 1970; tutte le altre, poi, si sono attestate su standards pubblici tra i 24 e i 28 mq/ab.), ma quasi neppure i 18 mq/abitante del DM del 1968; e, comunque, i 17,5 mq/abitante di servizi pubblici generali dei PRG si attuerebbero così a carico dei cittadini, tramite l’aumento del carico edificatorio, anziché dei promotori fondiario-immobiliari, come voleva la Legge Ponte del 1967.
A mio avviso occorre contrastare il diffondersi di questo nuovo “senso comune”, in quanto i contenuti del PRG, attraverso il complesso ed articolato meccanismo di formazione che ha come orizzonte il progetto urbano complessivo, rivestono un carattere di interesse pubblicistico generale rispetto al quale i contenuti dei PII debbono dimostrare di conseguire, almeno localmente, dotazioni quantitativamente valutabili e comparativamente maggiori, sia in termini di aree pubbliche che di valore delle opere pubbliche proposte, rispetto a quelle previste dal PRG.
E’ questo il senso pregnante del disposto dell’art. 16 della L.179/92 (Programmi integrati di intervento) che “al fine di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale”consente ai comuni di promuovere “la formazione di programmi integrati relativi a zone in tutto o in parte edificate o da e destinare anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana e ambientale.”
Altrimenti, può accadere che gruppi di pressione convergenti in veri e propri “comitati di affari”, con maggioranze spesso anche trasversali ai programmi politico-elettorali, possano tentare di indirizzare contingentemente le scelte dei Comuni, contraddicendo l’interesse pubblicistico generale garantito dal progetto urbano generale del PRG senza perseguire nemmeno localmente quell’ incremento delle dotazioni di spazi ed attrezzature pubbliche, in grado di garantire il “fine della riqualificazione urbana e ambientale” che solo giustifica il ricorso al PII in alternativa ai contenuti del PRG o sue eventuali varianti.
Sono proprio le logiche del PRG e quelle dei PII ad essere contrastanti: per il PRG i conti devono “tornare” per l’intero territorio comunale; per il PII basta che i conti ”tornino” all’interno della propria area di intervento. Se il PRG ha una quantità di standards abbastanza sovrabbondante, con alcuni PII si possono un po’ limare i margini di “grasso” eccedente, ma se l’uso dei PII si diffonde o se si è vicini ai minimi di legge, bisogna cercare di non far vedere che ciò che si fa coi PII collide col PRG; che ciò che si consente ad alcuni non è ciò che può valere per tutti, e che il bilancio finale, strutturale, la sostenibilità strategica o ambientale di quelle “attuazioni” senza progetto complessivo è in perdita.
Insomma, quella “città occasionale” di cui Francesco Indovina indicava i guasti in un suo libro di qualche anno fa, non sarebbe più legata alla necessità di dover periodicamente escogitare eventi eccezionali in grado di giustificare deregolamentazioni episodiche, ma diventerebbe la regola di un assetto urbano e territoriale eterodiretto dalla prevalenza del mercato, senza più progetto pubblico complessivo.
In fondo, è una situazione non molto diversa da quella già vissuta negli Anni Cinquanta/Sessanta con le “convenzioni” senza Piano regolatore e che si concluse con il clamoroso episodio della frana di Agrigento nel 1966, simbolo dell’esito generalizzato un uso subalterno delle risorse territoriali rispetto allo sviluppo economico durante il “boom” del dopoguerra: occorrerà un evento ancor più catastrofico (magari, questa volta, non di carattere edilizio, ma ecologico-ambientale) per rendersi conto della strada su cui ci si è tornati a mettere ?
Certo, le norme scaturite dalla Legge Ponte del 1967 e il conseguente decreto ministeriale del 1968 su quantità minime di spazi pubblici, densità edificatorie, altezze e distanze tra gli edifici sono ancora tutte all’interno di una concezione pre-ambientalista che, entro quei limiti imposti, consentirebbe tuttavia di coprire l’intero territorio nazionale, e vanno, quindi, aggiornate e sussunte entro una valutazione di sostenibilità ambientale del fenomeno urbano.
Ma convergere con il neoliberismo economico, oggi prevalente, nel ritenere un lusso insostenibile le regole di un progetto pubblico di territorio e città, socialmente individuato e condiviso (come con scarsa pervicacia mi sembrano fare quelle sensibilità ambientaliste - dai “pentiti” alla Chicco Testa ai “collaborazionisti” di Legambiente, a istituzioni tradizionalmente di sinistra come la Regione Toscana che prevede sconti sugli oneri urbanizzativi sino al 50% per edifici ad alto risparmio energetico; che direste se proponessi che a fronte di contenuti urbanistici più gravosi, si potesse inquinare di più ?) - che ne accettano la progressiva demolizione a fronte della promessa di edifici “intelligenti”, “verdi”, “energeticamente autosufficienti”, in uno scambio ineguale tra libertinaggio pubblico e virtù privata – credo sarebbe la resa ad un “pensiero unico” (tanto il territorio ha “spalle grosse”, non c’è più sensibilità diffusa a volerlo proteggere, non è reato abusarne) cui è colpevole rassegnarsi.
Proprio in questi giorni l’Associazione nazionale dei produttori di pasta e pane lancia l’allarme sul fatto che le risorse autoctone di cereali coprono solo sette mesi di autonomia, che il mercato globale di cereali è sotto tensione di fronte a nuova domanda di consumo e crescita dei prezzi del petrolio, ed è, quindi, necessario accrescere le aree interne coltivate a cereali.
Ma c’è ancora qualcuno che voglia davvero dar seguito coerente alle parole d’ordine di “città e territorio come beni comuni”, risorsa strategica da sottrarre, quindi, alla dominanza univoca del mercato ?
Chiunque può riprodurre l’articolo, alla condizione di citare l’autore e indicare la fonte come segue: “tratto dal sito http://eddyburg.it”
Indice
CAPO I – DISPOSIZIONI GENERALI
Artt. 1 - 10
CAPO II – DISPOSIZIONI PER LA CONSERVAZIONE, INTEGRITÀ E SICUREZZA DELLE COSE
Artt. 11 - 22
CAPO III – DISPOSIZIONI SULLE ALIENAZIONI E GLI ALTRI MODI DI TRASMISSIONE DELLE COSE
SEZIONE I - Delle cose appartenenti allo Stato o ad altri enti morali
Artt. 23 - 29
SEZIONE II - Delle cose appartenenti a privati
Artt. 30 - 34
CAPO IV – DISPOSIZIONI SULLA ESPORTAZIONE ED IMPORTAZIONE
SEZIONE I - Esportazione
Artt. 35 - 41
SEZIONE II - Importazione temporanea
Art. 42
CAPO V – DISCIPLINA DEI RITROVAMENTI E DELLE SCOPERTE
Artt. 43 - 50
CAPO VI – DISCIPLINA DELLE RIPRODUZIONI E DEL GODIMENTO PUBBLICO
Artt. 51 - 53
CAPO VII – DISCIPLINA DELLE ESPROPRIAZIONI
Artt. 54 - 57
CAPO VIII – SANZIONI
Artt. 58 - 70
DISPOSIZIONI TRANSITORIE
Artt. 71 - 73
D.L. 312/1985 nella versione originaria (testo storico)
Art. 1
1. Fino alla data di entrata in vigore delle norme e dei provvedimenti previsti dalla legge che disciplinerà la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e, comunque, non oltre il 31 dicembre 1985, sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497; con eccezione dei centri abitati delimitati dagli strumenti urbanistici vigenti oppure ai sensi del l'articolo 41-quinquies, lettera a), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo modificato dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, i seguenti beni e luoghi:
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative ripe per una fascia di 150 metri ciascuna;
d) le montagne per la parte eccedente 1600 metri sul livello del mare;
e) i ghiacciai ed i circhi glaciali;
f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
g) i boschi e le foreste;
h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
i) le zone umide incluse nell'elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;
l) i vulcani.
2. Le funzioni di vigilanza e tutela sull'osservanza del vincolo di cui al comma 1 sono esercitate anche dagli organi del Ministero per i beni culturali e ambientali, che provvedono altresì al rilascio del parere di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497. Relativamente ai beni di cui alle lettere f) ed i) del comma 1 dette funzioni sono esercitate dal Ministro per i beni culturali e ambientali, d'intesa con il Ministro per l'ecologia.
3. Per le opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale, il parere si intende reso favorevolmente qualora gli organi del Ministero per i beni culturali e ambientali non si siano pronunciati entro centoventi giorni dalla data di ricevimento del progetto.
4. Sono esclusi dall'obbligo di acquisire il parere preventivo degli organi del Ministero per i beni culturali e ambientali gli interventi di manutenzione ordinaria e quelli urgenti.
5. Per gli interventi di manutenzione straordinaria sono previsti:
a) l'invio del progetto ai competenti organi del Ministero per i beni culturali e ambientali prima dell'inizio dei lavori;
b) la facoltà degli organi stessi di dettare prescrizioni a tutela degli immobili di interesse culturale.
6. Sono in ogni caso fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano.
Art. 2
Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
D.L. 312/1985, convertito in L. 431/1985 (testo coordinato)
Art. 1
All'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
" Sono sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497:
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c) i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
d) le montagne per la parte eccedente 1600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
e) i ghiacciai e i circhi glaciali;
f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento;
h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
i) le zone umide incluse nell'elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;
l) i vulcani;
m) le zone di interesse archeologico.
Il vincolo di cui al precedente comma non si applica alle zone A, B e - limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.
Sono peraltro sottoposti a vincolo paesaggistico, anche nelle zone di cui al comma precedente, i beni di cui al n. 2) dell'articolo 1 della legge 29 giugno 1939, n. 1497.
Nei boschi e nelle foreste di cui alla lettera g) del quinto comma del presente articolo sono consentiti il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia.
L'autorizzazione di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, deve essere rilasciata o negata entro il termine perentorio di sessanta giorni. Le regioni danno immediata comunicazione al Ministro per i beni culturali e ambientali delle autorizzazioni rilasciate e trasmettono contestualmente la relativa documentazione. Decorso inutilmente il predetto termine, gli interessati, entro trenta giorni, possono richiederel'autorizzazione al Ministro per i beni culturali e ambientali, che si pronuncia entro sessanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta. Il Ministro per i beni culturali e ambientali può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l'autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione.
Qualora la richiesta di autorizzazione riguardi opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali, il Ministro per i beni culturali e ambientali può in ogni caso rilasciare o negare entro sessanta giorni l'autorizzazione di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, anche in difformità dalla decisione regionale.
Per le attività di ricerca ed estrazione di cui al regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, l'autorizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali, prevista dal precedente nono comma, è rilasciata sentito il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.
Non è richiesta l'autorizzazione di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici, nonché per l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi per costruzioni edilizie od altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio.
Le funzioni di vigilanza sull'osservanza del vincolo di cui al quinto comma del presente articolo sono esercitate anche dagli organi del Ministero per i beni culturali e ambientali.”.
Art. 1 bis
1.Con riferimento ai beni e alle aree elencati dal quinto comma dell'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dal precedente articolo 1, le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, da approvarsi entro il 31 dicembre 1986.
2. Decorso inutilmente il termine di cui al precedente comma, il Ministro per i beni culturali e ambientali esercita i poteri di cui agli articoli 4 e 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616.
Art. 1 ter
1. Le regioni, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, possono individuare con indicazioni planimetriche e catastali, nell'ambito delle zone elencate dal quinto comma dell'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dal precedente articolo 1, nonché nelle altre comprese negli elenchi redatti ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, le aree in cui è vietata, fino all'adozione da parte delle regioni dei piani di cui al precedente articolo 1 bis, ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici. La notificazione dei provvedimenti predetti avviene secondo le procedure previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e dal relativo regolamento di esecuzione approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357.
2. Restano fermi al riguardo le competenze ed i poteri del Ministro per i beni culturali e ambientali di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616.
Art. 1 quater
1. In relazione al vincolo paesaggistico imposto sui corsi d'acqua ai sensi del quinto comma, lettera c), dell'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dal precedente articolo 1, le regioni, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, determinano quali dei corsi d'acqua classificati pubblici, ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, possono, per la loro irrilevanza ai fini paesaggistici, essere esclusi, in tutto o in parte, dal predetto vincolo, e ne redigono e rendono pubblico, entro i successivi trenta giorni, apposito elenco.
2. Resta ferma la facoltà del Ministro per i beni culturali e ambientali di confermare, con provvedimento motivato, il vincolo di cui al precedente comma sui corsi d'acqua inseriti nei predetti elenchi regionali.
Art. 1 quinquies
1.Le aree e i beni individuati ai sensi dell'articolo 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1984, sono inclusi tra quelli in cui è vietata, fino all'adozione da parte delle regioni dei piani di cui all'articolo 1 bis, ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici.
Art. 1 sexies
1. Ferme restando le sanzioni di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, per la violazione delle disposizioni di cui al presente decreto, si applicano altresì quelle previste dall'articolo 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
2.Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in ripristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato.
Art. 2
Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
D.L. 312/1985 conv. in L. 431/1985, con modifiche ex D.lgs. 490/1999 (testo vigente)
Art. 1
(abrogato dall’art. 166 del D.lgs. 490/1999)
Art. 1 bis
(abrogato dall’art. 166 del D.lgs. 490/1999)
Art. 1 ter
1. Le regioni, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, possono individuare con indicazioni planimetriche e catastali, nell'ambito delle zone elencate dal quinto comma dell'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dal precedente articolo 1, nonché nelle altre comprese negli elenchi redatti ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e del regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, le aree in cui è vietata, fino all'adozione da parte delle regioni dei piani di cui al precedente articolo 1 bis, ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici. La notificazione dei provvedimenti predetti avviene secondo le procedure previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e dal relativo regolamento di esecuzione approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357.
2. Restano fermi al riguardo le competenze ed i poteri del Ministro per i beni culturali e ambientali di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616.
Art. 1 quater
(abrogato dall’art. 166 del D.lgs. 490/1999)
Art. 1 quinquies
1. Le aree e i beni individuati ai sensi dell'articolo 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1984, sono inclusi tra quelli in cui è vietata, fino all'adozione da parte delle regioni dei piani di cui all'articolo 1 bis, ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici.
Art. 1 sexies
(abrogato dall’art. 166 del D.lgs. 490/1999)
Art. 2
(abrogato dall’art. 166 del D.lgs. 490/1999)
TITOLO I – BENI CULTURALI
CAPO I – OGGETTO DELLA TUTELA
SEZIONE I - Tipologia dei beni
Art. 1 - Oggetto della disciplina
Art. 2 - Patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico, librario
Art. 3 - Categorie speciali di beni culturali
Art. 4 - Nuove categorie di beni culturali
SEZIONE II - Individuazione
Art. 5 - Beni di enti pubblici e privati
Art. 6 - Dichiarazione
Art. 7 - Procedimento di dichiarazione
Art. 8 - Notificazione della dichiarazione
Art. 9 - Accertamento dell'esistenza di beni archivistici
SEZIONE III - Disposizioni generali e transitorie
Art. 10 - Ambito di applicazione
Art. 11 - Coordinamento con funzioni e competenze di regioni ed enti locali
Art. 12 - Regolamento
Art. 13 - Notificazioni effettuate a norma della legislazione precedente
Art. 14 - Raccolte ex-fidecommissarie
Art. 15 - Vigilanza e cooperazione
Art. 16 - Catalogazione
Art. 17 - Funzione consultiva
Art. 18 - Provvedimenti legislativi particolari
Art. 19 - Beni culturali di interesse religioso
Art. 20 - Convenzioni internazionali
CAPO II – CONSERVAZIONE
SEZIONE I - Controlli
Art. 21 - Obblighi di conservazione
Art. 22 - Collocazione
Art. 23 - Approvazione dei progetti di opere
Art. 24 - Interventi di edilizia
Art. 25 - Conferenza di servizi
Art. 26 - Valutazione di impatto ambientale
Art. 27 - Lavori provvisori urgenti
Art. 28 - Sospensione dei lavori
Art. 29 - Vigilanza sui beni culturali
Art. 30 - Vigilanza sugli archivi delle amministrazioni statali e versamenti agli Archivi di Stato
Art. 31 - Archivi storici di organi costituzionali
Art. 32 - Ispezione
Art. 33 - Controllo sui beni librari
SEZIONE II - Restauro ed altri interventi
Art. 34 - Definizione di restauro
Art. 35 - Autorizzazione e approvazione del restauro
Art. 36 - Procedure urbanistiche semplificate
Art. 37 - Misure conservative
Art. 38 - Procedura di esecuzione
Art. 39 - Provvedimenti in materia di beni librari
Art. 40 - Obblighi di conservazione degli archivi
Art. 41 - Intervento finanziario dello Stato
Art. 42 - Erogazione del contributo
Art. 43 - Contributo in conto interessi
Art. 44 - Oneri a carico del proprietario
Art. 45 - Apertura al pubblico degli immobili restaurati
Art. 46 - Restauro di beni dello Stato in uso ad altra amministrazione
Art. 47 - Custodia coattiva
Art. 48 - Deposito negli archivi di Stato
SEZIONE III - Altre forme di protezione
Art. 49 - Prescrizioni di tutela indiretta
Art. 50 - Manifesti e cartelli pubblicitari
Art. 51 - Distacco di beni culturali
Art. 52 - Studi d'artista
Art. 53 - Esercizio del commercio in aree di valore culturale
CAPO III – CIRCOLAZIONE IN AMBITO NAZIONALE
SEZIONE I - Alienazione e altri modi di trasmissione
Art. 54 - Beni del demanio storico, artistico e archivistico
Art. 55 - Alienazioni soggette ad autorizzazione
Art. 56 - Autorizzazione alla permuta
Art. 57 - Altri casi di alienazione
Art. 58 - Denuncia
SEZIONE II - Prelazione
Art. 59 - Diritto di prelazione
Art. 60 - Condizioni della prelazione
Art. 61 - Esercizio della prelazione
SEZIONE III - Commercio
Art. 62 - Obbligo di denuncia dell'attività commerciale e di tenuta del registro
Art. 63 - Attestati di autenticità e di provenienza
Art. 64 - Commercio di documenti
CAPO IV - CIRCOLAZIONE IN AMBITO INTERNAZIONALE
SEZIONE I - Uscita e ingresso nel territorio nazionale
Art. 65 - Divieto di uscita dal territorio nazionale
Art. 66 - Attestato di libera circolazione
Art. 67 - Ricorso
Art. 68 - Acquisto coattivo
Art. 69 - Uscita temporanea
Art. 70 - Ingresso nel territorio nazionale
SEZIONE II - Esportazione dal territorio dell'Unione europea
Art. 71 - Denominazioni
Art. 72 - Esportazione di beni culturali dal territorio dell'Unione europea
SEZIONE III - Restituzione di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro dell'Unione europea
Art. 73 - Restituzione
Art. 74 - Assistenza e collaborazione a favore degli Stati U.E.
Art. 75 - Azione di restituzione
Art. 76 - Prescrizione dell'azione
Art. 77 - Indennizzo
Art. 78 - Pagamento dell'indennizzo
Art. 79 - Custodia temporanea dei beni ed altri adempimenti
Art. 80 - Azione di restituzione a favore dell'Italia
Art. 81 - Destinazione del bene restituito
Art. 82 - Informazioni alla Commissione europea e al Parlamento nazionale
Art. 83 - Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti
Art. 84 - Accordi con gli alti Stati membri dell'Unione europea
CAPO V – RITROVAMENTI E SCOPERTE
Art. 85 - Ricerca di beni culturali
Art. 86 - Concessione di ricerca
Art. 87 - Scoperta fortuita
Art. 88 - Appartenenza e qualificazione dei beni ritrovati
Art. 89 - Premio per i ritrovamenti
Art. 90 - Determinazione del premio
CAPO VI – VALORIZZAZIONE E GODIMENTO PUBBLICO
SEZIONE I - Espropriazione
Art. 91 - Espropriazione di beni culturali
Art. 92 - Espropriazione per fini strumentali
Art. 93 - Espropriazione per interesse archeologico
Art. 94 - Dichiarazione di pubblica utilità
Art. 95 - Indennità di esproprio per i beni culturali
Art. 96 - Rinvio a norme generali
Art. 97 - Interventi di valorizzazione
SEZIONE II - Fruizione
Art. 98 - Beni demaniali
Art. 99 - Apertura al pubblico di musei, monumenti, aree e parchi archeologici, archivi e biblioteche
Art. 100 - Biglietto d'ingresso
Art. 101 - Ricerche e letture negli archivi di Stato e delle biblioteche pubbliche statali
Art. 102 - Mostre o esposizioni
Art. 103 - Vigilanza
Art. 104 - Cooperazione con le regioni e gli enti locali
Art. 105 - Accordi per la promozione della fruizione
Art. 106 - Visita pubblica di beni culturali
Art. 107 - Accesso agli archivi di Stato
Art. 108 - Accesso agli archivi storici degli Enti pubblici
Art. 109 - Accesso agli archivi privati
Art. 110 - Declaratoria di riservatezza
Art. 111 - Fruizione da parte delle scuole
Art. 112 - Servizi di assistenza culturale e di ospitalità
Art. 113 - Concessione dei servizi
SEZIONE III - Uso individuale
Art. 114 - Uso dei beni culturali
Art. 115 - Uso strumentale e precario - riproduzione dei beni culturali
Art. 116 - Catalogo di immagini fotografiche e di riprese di beni culturali
Art. 117 - Pagamento di canoni e corrispettivi
CAPO VII – SANZIONI
SEZIONE I - Sanzioni penali
Art. 118 - Opere illecite
Art. 119 - Uso illecito
Art. 120 - Collocazione e rimozione illecita
Art. 121 - Inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta
Art. 122 - Violazioni in materia di alienazione
Art. 123 - Esportazione illecita
Art. 124 - Violazioni in materia di ricerche archeologiche
Art. 125 - Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato
Art. 126 - Collaborazione per il recupero di beni culturali
Art. 127 - Contraffazione di opere d'arte
Art. 128 - Casi di non punibilità
Art. 129 - Inosservanza dei provvedimenti amministrativi
SEZIONE II - Sanzioni amministrative
Art. 130 - Omessa redazione degli elenchi dei beni culturali
Art. 131 - Ordine di reintegrazione
Art. 132 - Danno ai beni culturali ritrovati
Art. 133 - Violazioni in materia di affissione
Art. 134 - Perdita di beni culturali
Art. 135 - Violazioni in atti giuridici
Art. 136 - Omessa esibizione di documenti per l'esportazione
Art. 137 - Omessa restituzione di documenti per l'esportazione
TITOLO II – BENI PAESAGGISTICI E AMBIENTALI
CAPO I – INDIVIDUAZIONE
Art. 138 - Beni ambientali
Art. 139 - Beni soggetti a tutela
Art. 140 - Elenchi
Art. 141 - Approvazione dell'elenco
Art. 142 - Pubblicità dell'elenco
Art. 143 - Dichiarazione dei beni indicati alle lettere a) e b) dell'articolo 139
Art. 144 - Integrazione degli elenchi
Art. 145 - Revoca o modifica degli elenchi
Art. 146 - Beni tutelati per legge
Art. 147 - Censimento e catalogazione
Art. 148 – Convenzioni internazionali
CAPO II – GESTIONE DEI BENI
Art. 149 - Piani territoriali paesistici
Art. 150 - Coordinamento della disciplina urbanistica
Art. 151 - Alterazione dello stato dei luoghi
Art. 152 - Interventi non soggetti ad autorizzazione
Art. 153 - Inibizione o sospensione dei lavori
Art. 154 - Rimborso spese a seguito della sospensione dei lavori
Art. 155 - Interventi soggetti a particolari prescrizioni
Art. 156 - Opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali
Art. 157 - Cartelli pubblicitari
Art. 158 - Colore delle facciate dei fabbricati
Art. 159 - Vigilanza
Art. 160 - Notifiche eseguite ed elenchi compilati ai sensi della normativa previgente
Art. 161 - Regolamento
Art. 162 - Disposizione transitoria
CAPO III – SANZIONI PENALI E AMMINISTRATIVE
Art. 163 - Opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa
Art. 164 - Ordine di rimessione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria
Art. 165 - Violazione in materia di collocamento o affissione di mezzi di pubblicità
Art. 166 - Norme abrogate
PARTE PRIMA – DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1 - Principi
Art. 2 - Patrimonio culturale
Art. 3 - Tutela del patrimonio culturale
Art. 4 - Funzioni dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale
Art. 5 - Cooperazione delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio culturale
Art. 6 - Valorizzazione del patrimonio culturale
Art. 7 - Funzioni e compiti in materia di valorizzazione del patrimonio culturale
Art. 8 - Regioni e province ad autonomia speciale
Art. 9 - Beni culturali di interesse religioso
PARTE SECONDA – BENI CULTURALI
TITOLO I – TUTELA
CAPO I - OGGETTO DELLA TUTELA
Art. 10 - Beni culturali
Art. 11 - Beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela
Art. 12 - Verifica dell'interesse culturale
Art. 13 - Dichiarazione dell'interesse culturale
Art. 14 - Procedimento di dichiarazione
Art. 15 - Notifica della dichiarazione
Art. 16 - Ricorso amministrativo avverso la dichiarazione
Art. 17 - Catalogazione
CAPO II - VIGILANZA E ISPEZIONE
Art. 18 - Vigilanza
Art. 19 - Ispezione
CAPO III - PROTEZIONE E CONSERVAZIONE
SEZIONE I - Misure di protezione
Art. 20 - Interventi vietati
Art. 21 - Interventi soggetti ad autorizzazione
Art. 22 - Procedimento di autorizzazione per interventi di edilizia
Art. 23 - Procedure edilizie semplificate
Art. 24 - Interventi su beni pubblici
Art. 25 - Conferenza di servizi
Art. 26 - Valutazione di impatto ambientale
Art. 27 - Situazioni di urgenza
Art. 28 - Misure cautelari e preventive
SEZIONE II - Misure di conservazione
Art. 29 - Conservazione
Art. 30 - Obblighi conservativi
Art. 31 - Interventi conservativi volontari
Art. 32 - Interventi conservativi imposti
Art. 33 - Procedura di esecuzione degli interventi conservativi imposti
Art. 34 - Oneri per gli interventi conservativi imposti
Art. 35 - Intervento finanziario del Ministero
Art. 36 - Erogazione del contributo
Art. 37 - Contributo in conto interessi
Art. 38 - Apertura al pubblico degli immobili oggetto di interventi conservativi
Art. 39 - Interventi conservativi su beni dello Stato
Art. 40 - Interventi conservativi su beni delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali
Art. 41 - Obblighi di versamento agli Archivi di Stato dei documenti conservati dalle amministrazioni statali
Art. 42 - Conservazione degli archivi storici di organi costituzionali
Art. 43 - Custodia coattiva
Art. 44 - Comodato e deposito di beni culturali
SEZIONE III - Altre forme di protezione
Art. 45 - Prescrizioni di tutela indiretta
Art. 46 - Procedimento per la tutela indiretta
Art. 47 - Notifica delle prescrizioni di tutela indiretta e ricorso amministrativo
Art. 48 - Autorizzazione per mostre ed esposizioni
Art. 49 - Manifesti e cartelli pubblicitari
Art. 50 - Distacco di beni culturali
Art. 51 - Studi d'artista
Art. 52 - Esercizio del commercio in aree di valore culturale
CAPO IV - CIRCOLAZIONE IN AMBITO NAZIONALE
SEZIONE I - Alienazione e altri modi di trasmissione
Art. 53 - Beni del demanio culturale
Art. 54 - Beni inalienabili
Art. 55 - Alienabilità di immobili appartenenti al demanio culturale
Art. 56 - Altre alienazioni soggette ad autorizzazione
Art. 57 - Regime dell'autorizzazione ad alienare
Art. 58 - Autorizzazione alla permuta
Art. 59 - Denuncia di trasferimento
SEZIONE II - Prelazione
Art. 60 - Acquisto in via di prelazione
Art. 61 - Condizioni della prelazione
Art. 62 - Procedimento per la prelazione
SEZIONE III - Commercio
Art. 63 - Obbligo di denuncia dell'attività commerciale e di tenuta del registro. Obbligo di denuncia della vendita o dell'acquisto di documenti
Art. 64 - Attestati di autenticità e di provenienza
CAPO V - CIRCOLAZIONE IN AMBITO INTERNAZIONALE
SEZIONE I - Uscita dal territorio nazionale e ingresso nel territorio nazionale
Art. 65 - Uscita definitiva
Art. 66 - Uscita temporanea per manifestazioni
Art. 67 - Altri casi di uscita temporanea
Art. 68 - Attestato di libera circolazione
Art. 69 - Ricorso amministrativo avverso il diniego di attestato
Art. 70 - Acquisto coattivo
Art. 71 - Attestato di circolazione temporanea
Art. 72 - Ingresso nel territorio nazionale
SEZIONE II - Esportazione dal territorio dell'Unione europea
Art. 73 - Denominazioni
Art. 74 - Esportazione di beni culturali dal territorio dell'Unione europea
SEZIONE III - Restituzione di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro dell'Unione europea
Art. 75 - Restituzione
Art. 76 - Assistenza e collaborazione a favore degli Stati membri dell'Unione europea
Art. 77 - Azione di restituzione
Art. 78 - Termini di decadenza e di prescrizione dell'azione
Art. 79 - Indennizzo
Art. 80 - Pagamento dell'indennizzo
Art. 81 - Oneri per l'assistenza e la collaborazione
Art. 82 - Azione di restituzione a favore dell'Italia
Art. 83 - Destinazione del bene restituito
Art. 84 - Informazioni alla Commissione europea e al Parlamento nazionale
Art. 85 - Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti
Art. 86 - Accordi con gli altri Stati membri dell'Unione europea
SEZIONE IV - Convenzione UNIDROIT
Art. 87 - Beni culturali rubati o illecitamente esportati
CAPO VI - RITROVAMENTI E SCOPERTE
SEZIONE I - Ricerche e rinvenimenti fortuiti nell'ambito del territorio nazionale
Art. 88 - Attività di ricerca
Art. 89 - Concessione di ricerca
Art. 90 - Scoperte fortuite
Art. 91 - Appartenenza e qualificazione delle cose ritrovate
Art. 92 - Premio per i ritrovamenti
Art. 93 - Determinazione del premio
SEZIONE II - Ricerche e rinvenimenti fortuiti nella zona contigua al mare territoriale
Art. 94 - Convenzione UNESCO
CAPO VII - ESPROPRIAZIONE
Art. 95 - Espropriazione di beni culturali
Art. 96 - Espropriazione per fini strumentali
Art. 97 - Espropriazione per interesse archeologico
Art. 98 - Dichiarazione di pubblica utilità
Art. 99 - Indennità di esproprio per i beni culturali
Art. 100 - Rinvio a norme generali
TITOLO II – FRUIZIONE E VALORIZZAZIONE
CAPO I - FRUIZIONE DEI BENI CULTURALI
SEZIONE I - Principi generali
Art. 101 - Istituti e luoghi della cultura
Art. 102 - Fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica
Art. 103 - Accesso agli istituti ed ai luoghi della cultura
Art. 104 - Fruizione di beni culturali di proprietà privata
Art. 105 - Diritti di uso e godimento pubblico
SEZIONE II - Uso dei beni culturali
Art. 106 - Uso individuale di beni culturali
Art. 107 - Uso strumentale e precario e riproduzione di beni culturali
Art. 108 - Canoni di concessione, corrispettivi di riproduzione, cauzione
Art. 109 - Catalogo di immagini fotografiche e di riprese di beni culturali
Art. 110 - Incasso e riparto di proventi
CAPO II - PRINCIPI DELLA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI
Art. 111 - Attività di valorizzazione
Art. 112 - Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica
Art. 113 - Valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata
Art. 114 - Livelli di qualità della valorizzazione
Art. 115 - Forme di gestione
Art. 116 - Tutela dei beni culturali conferiti o concessi in uso
Art. 117 - Servizi aggiuntivi
Art. 118 - Promozione di attività di studio e ricerca
Art. 119 - Diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole
Art. 120 - Sponsorizzazione di beni culturali
Art. 121 - Accordi con le fondazioni bancarie
CAPO III - CONSULTABILITÀ DEI DOCUMENTI DEGLI ARCHIVI E TUTELA DELLA RISERVATEZZA
Art. 122 - Archivi di Stato e archivi storici degli enti pubblici: consultabilità dei documenti
Art. 123 - Archivi di Stato e archivi storici degli enti pubblici: consultabilità dei documenti riservati
Art. 124 - Consultabilità a scopi storici degli archivi correnti
Art. 125 - Declaratoria di riservatezza
Art. 126 - Protezione di dati personali
Art. 127 - Consultabilità degli archivi privati
TITOLO III – NORME TRANSITORIE E FINALI
Art. 128 - Notifiche effettuate a norma della legislazione precedente
Art. 129 - Provvedimenti legislativi particolari
Art. 130 - Disposizioni regolamentari precedenti
PARTE TERZA – BENI PAESAGGISTICI
TITOLO I – TUTELA E VALORIZZAZIONE
CAPO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 131 - Salvaguardia dei valori del paesaggio
Art. 132 - Cooperazione tra amministrazioni pubbliche
Art. 133 - Convenzioni internazionali
Art. 134 - Beni paesaggistici
Art. 135 - Pianificazione paesaggistica
CAPO II - INDIVIDUAZIONE DEI BENI PAESAGGISTICI
Art. 136 - Immobili ed aree di notevole interesse pubblico
Art. 137 - Commissioni provinciali
Art. 138 - Proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico
Art. 139 - Partecipazione al procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico
Art. 140 - Dichiarazione di notevole interesse pubblico e relative misure di conoscenza
Art. 141 - Provvedimenti ministeriali
Art. 142 - Aree tutelate per legge
CAPO III - PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA
Art. 143 - Piano paesaggistico
Art. 144 - Pubblicità e partecipazione
Art. 145 - Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione
CAPO IV - CONTROLLO E GESTIONE DEI BENI SOGGETTI A TUTELA
Art. 146 - Autorizzazione
Art. 147 - Autorizzazione per opere da eseguirsi da parte di amministrazioni statali
Art. 148 - Commissione per il paesaggio
Art. 149 - Interventi non soggetti ad autorizzazione
Art. 150 - Inibizione o sospensione dei lavori
Art. 151 - Rimborso spese a seguito della sospensione dei lavori
Art. 152 - Interventi soggetti a particolari prescrizioni
Art. 153 - Cartelli pubblicitari
Art. 154 - Colore delle facciate dei fabbricati
Art. 155 - Vigilanza
CAPO V - DISPOSIZIONI DI PRIMA APPLICAZIONE E TRANSITORIE
Art. 156 - Verifica e adeguamento dei piani paesaggistici
Art. 157 - Notifiche eseguite, elenchi compilati, provvedimenti e atti emessi ai sensi della normativa previgente
Art. 158 - Disposizioni regionali di attuazione
Art. 159 - Procedimento di autorizzazione in via transitoria
PARTE QUARTA – SANZIONI
TITOLO I - SANZIONI AMMINISTRATIVE
CAPO I - SANZIONI RELATIVE ALLA PARTE SECONDA
Art. 160 - Ordine di reintegrazione
Art. 161 - Danno a cose ritrovate
Art. 162 - Violazioni in materia di affissione
Art. 163 - Perdita di beni culturali
Art. 164 - Violazioni in atti giuridici
Art. 165 - Violazione di disposizioni in materia di circolazione internazionale
Art. 166 - Omessa restituzione di documenti per l'esportazione
CAPO II - SANZIONI RELATIVE ALLA PARTE TERZA
Art. 167 - Ordine di rimessione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria
Art. 168 - Violazione in materia di affissione
TITOLO II - SANZIONI PENALI
CAPO I -SANZIONI RELATIVE ALLA PARTE SECONDA
Art. 169 - Opere illecite
Art. 170 - Uso illecito
Art. 171 - Collocazione e rimozione illecita
Art. 172 - Inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta
Art. 173 - Violazioni in materia di alienazione
Art. 174 - Uscita o esportazione illecite
Art. 175 - Violazioni in materia di ricerche archeologiche
Art. 176 - Impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato
Art. 177 - Collaborazione per il recupero di beni culturali
Art. 178 - Contraffazione di opere d'arte
Art. 179 - Casi di non punibilità
Art. 180 - Inosservanza dei provvedimenti amministrativi
CAPO II - SANZIONI RELATIVE ALLA PARTE TERZA
Art. 181 - Opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa
PARTE QUINTA – DISPOSIZIONI TRANSITORIE, ABROGAZIONI ED ENTRATA IN VIGORE
Art. 182 - Disposizioni transitorie
Art. 183 - Disposizioni finali
Art. 184 - Norme abrogate
In allegato, anche il testo del D. lgs. 42/2004, nella versione aggiornata ai D. lgs.i 156/2006 e 157/2006 (formati .doc e .pdf)
INDICI
Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156
Art. 1 - Modifiche alla Parte prima
Art. 2 - Modifiche alla Parte seconda
Art. 3 - Modifiche alla Parte quarta
Art. 4 - Modifiche alla Parte quinta
Art. 5 - Modifiche all'Allegato A
Art. 6 - Abrogazioni
Decreto Legislativo 24 marzo 2006, n. 157
Art. 1 - Modifiche all'articolo 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 2 - Modifiche all'articolo 6 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 3 - Modifiche all'articolo 131 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 4 - Modifiche all'articolo 134 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 5 - Sostituzione dell'articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 6 - Modifiche all'articolo 136 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 7 - Sostituzione dell'articolo 137 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 8 - Sostituzione dell'articolo 138 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 9 - Sostituzione dell'articolo 139 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 10 - Sostituzione dell'articolo 140 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 11 - Sostituzione dell'articolo 141 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 12 - Sostituzione dell'articolo 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 13 - Sostituzione dell'articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 14 - Modifiche all'articolo 144 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 15 - Modifiche all'articolo 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 16 - Sostituzione dell'articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 17 - Modifiche all'articolo 147 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 18 - Sostituzione dell'articolo 148 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 19 - Modifiche all'articolo 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 20 - Modifiche all'articolo 150 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 21 - Modifiche all'articolo 152 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 22 - Modifiche all'articolo 154 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 23 - Modifiche all'articolo 155 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 24 - Sostituzione dell'articolo 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 25 - Modifiche all'articolo 157 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 26 - Sostituzione dell'articolo 159 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 27 - Sostituzione dell'articolo 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 28 - Modifiche all'articolo 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 29 - Modifiche all'articolo 182 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
Art. 30 - Modifiche all'articolo 183 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
I decreti legislativi 26 marzo 2008, n. 62 e 26 marzo 2008, n. 63, contenenti “Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali” e “…al paesaggio” In allegato, anche il testo del D. lgs. 42/2004, nella versione aggiornata ai D. lgs.i 62/2008 e 63/2008 (formati .doc e .pdf)
INDICI
Decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62
Art. 1 - Modifiche alla Parte prima
Art. 2 - Modifiche alla Parte seconda
Art. 3 - Modifiche alla Parte quinta
Art. 4 - Abrogazioni e interpretazione autentica
Decreto Legislativo 26 marzo 2008, n. 63
Art. 1 - Modifiche alla Parte prima
Art. 2 - Modifiche alla Parte terza
Art. 3 - Modifiche alla Parte quarta
Art. 4 - Modifiche alla Parte quinta
Art. 5 - Abrogazioni
Art. 1
Sono soggette alle disposizioni della presente legge le cose immobili e mobili che abbiano interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico.
Ne sono esclusi gli edifici e gli oggetti d'arte di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant'anni.
Tra le cose mobili sono pure compresi i codici, gli antichi manoscritti, gli incunabuli, le stampe e incisioni rare e di pregio e le cose d'interesse numismatico.
Art. 2
Le cose di cui all'articolo precedente sono inalienabili quando appartengono allo Stato, a comuni, a provincie, a fabbricerie, a confraternite, a enti morali ecclesiastici di qualsiasi natura e ad ogni ente morale riconosciuto.
Il Ministero della pubblica istruzione, su le conformi conclusioni del Consiglio superiore per le antichità e belle arti, istituito con la legge 27 giugno 1907, n. 386, potrà permettere la vendita e la permuta di tali cose da uno a un altro degli enti sopra nominati quando non derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomato il pubblico godimento.
Art. 3
I sindaci, i presidenti delle deputazioni provinciali, i fabbriceri, i parroci, i rettori di chiese, ed in generale tutti gli amministratori di enti morali presenteranno al Ministero della pubblica istruzione, secondo le norme che saranno sancite nel regolamento, l'elenco descrittivo delle cose di cui all'art. 1, di spettanza dell'ente morale da loro amministrato.
Art. 4
Il Ministero della pubblica istruzione, sentito il parere della Giunta del Consiglio superiore per le antichità e le belle arti, ha facoltà di provvedere, ove occorra, all'integrità e alla sicurezza delle cose previste nell'art. 2, facendole trasportare e custodire temporaneamente in pubblici istituti.
In caso di urgenza il Ministero potrà procedere ai provvedimenti conservativi di cui sopra anche senza parere della Giunta suddetta, ma gl'interessati potranno richiamarsi al Consiglio superiore.
Sentito il parere della Giunta del Consiglio superiore il Ministero ha anche la facoltà di far restaurare, ove occorra, le predette cose e di adottare tutte le provvidenze idonee ad impedirne il deterioramento. Le spese saranno a carico dell'ente proprietario, se ed in quanto l'ente medesimo sia in grado di sostenerle.
Contro il giudizio sulla necessità della spesa e la possibilità dell'ente a sostenerla è dato ricorso alla V Sezione del Consiglio di Stato.
Art. 5
Colui che come proprietario o per semplice titolo di possesso detenga una delle cose di cui all'art. 1, della quale l'autorità gli abbia notificato, nelle forme che saranno stabilite dal regolamento, l'importante interesse, non può trasmetterne la proprietà o dimetterne il possesso senza farne denuncia al Ministero della pubblica istruzione.
Art. 6
Il Governo avrà il diritto di acquistare la cosa al medesimo prezzo stabilito nel contratto di alienazione. Questo diritto dovrà essere esercitato entro due mesi dalla data della denuncia; il termine potrà essere prorogato fino a quattro mesi quando per la simultanea offerta di più cose il Governo non abbia in pronto le somme necessarie agli acquisti.
Durante questo tempo il contratto rimane sottoposto alla condizione risolutiva dell'esercizio del diritto di prelazione e l'alienante non potrà effettuare la tradizione della cosa.
Art. 7
Le cose di che all'art. 5, siano mobili o immobili, qualora deteriorino o presentino pericolo di deterioramento e il proprietario non provveda ai necessari restauri in un termine assegnatogli dal Ministero dell'istruzione pubblica, potranno essere espropriate.
Il diritto di tale espropriazione spetterà oltre che allo Stato, alle provincie ed ai comuni, anche agli enti che abbiano personalità giuridica e si propongano la conservazione di tutte le cose in Italia, ai fini della cultura e del godimento pubblico.
Art. 8
È vietata l'esportazione dal Regno delle cose che abbiano interesse storico, archeologico o artistico tale che la loro esportazione costituisca un danno grave per la storia, l'archeologia o l'arte ancorché per tali cose non sia stata fatta la diffida di cui all'art. 5.
Il proprietario o possessore delle cose di che all'art. 1/a, il quale intende esportarle, dovrà farne denunzia all'Ufficio di esportazione, il quale giudicherà, in numero di tre funzionari a ciò preposti, sotto la loro personale responsabilità, se sono della natura di quelle di cui è vietata l'esportazione come sopra.
Nel caso di dubbio da parte dell'Ufficio o di contestazione da parte di chi chiede la esportazione intorno alla natura delle cose presentate all'esame dell'ufficio, la risoluzione del dubbio o della contestazione sarà deferita al Consiglio superiore.
Art. 9
Entro il termine di due mesi che può essere prorogato a quattro per la ragione di cui all'art. 6, il Governo potrà acquistare la cosa denunciata per l'esportazione. L'acquisto seguirà al prezzo dichiarato dall'esportatore, e la cosa, durante il termine anzidetto, sarà custodita a cura del Governo.
Se però si riscontrino nella cosa le qualità per cui a norma del precedente articolo, è vietata l'esportazione e il Governo intenda addivenirne all'acquisto, avrà facoltà, quando l'offerta non venga accettata e ove l'esportatore vi consenta, di provocare il giudizio di una commissione peritale, la quale determinerà il prezzo ponendo a base della stima il valore della cosa all'interno del Regno. Quando il prezzo determinato dalla commissione peritale non sia accettato dalle parti, ovvero quando l'esportatore non acconsenta di addivenire al giudizio dei periti o comunque il Governo non acquisti la cosa, essa verrà restituita al proprietario col vincolo di non esportarla e di mantenerla secondo le norme stabilite dalla presente legge e dal relativo regolamento.
La commissione peritale di cui sopra sarà nominata per metà dall'esportatore e per metà dal Ministero dell'istruzione. Quando si abbia parità di voti deciderà un arbitro scelto di comune accordo, e dove tale accordo manchi, l'arbitro sarà nominato dal primo Presidente della Corte d'appello.
Art. 10
Indipendentemente da quanto è stabilito nelle leggi doganali, l'esportazione di qualunque cosa di cui all'art. 1/a, è soggetta ad una tassa progressiva applicabile sul valore della cosa, secondo la tabella annessa alla presente legge.
Il valore è stabilito in base alla dichiarazione dell'esportatore riscontrata con la stima degli uffici di esportazione.
In caso di dissenso il prezzo è determinato da una commissione nominata come è detto sopra. La stima sarà fatta coi criteri di che all'articolo precedente; ma il giudizio dei periti sarà definitivo e non soggetto a richiamo, così da parte dell'esportatore come del Governo.
Art. 11
La tassa di esportazione non è applicabile alle cose importate da paesi stranieri, qualora ciò risulti da certificato autentico, secondo le norme da prescriversi dal regolamento purché la riesportazione non avvenga oltre il termine di cinque anni, e salvi i diritti acquisiti avanti alla promulgazione della presente legge.
Questo termine sarà prorogato di cinque in cinque anni, alla sua scadenza, su richiesta degli interessati.
Art. 12
Le cose previste nell'art. 2 non potranno essere demolite, rimosse, modificate, né restaurate senza l'autorizzazione del Ministero della pubblica istruzione.
Contro il rifiuto dell'autorizzazione è dato ricorso all'autorità giudiziaria.
Art. 13
La stessa disposizione è applicabile alle cose di cui all'art. 5, immobili per natura o reputate tali per destinazione a norma dell'art. 414 del Codice civile, quando sono di proprietà privata.
Contro il rifiuto del Ministero è dato ricorso all'autorità giudiziaria.
Art. 14
Nei comuni, nei quali si trovano cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, possono essere prescritte, nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni, piani regolatori, le distanze, le misure e le altre norme necessarie allo scopo che le nuove opere non danneggino la prospettiva o la luce richiesta dai monumenti stessi.
Art. 15
Il Governo può eseguire scavi per intenti archeologici in qualunque punto del territorio dello Stato, quando con decreti del Ministero della pubblica istruzione ne sia dichiarata la convenienza.
Il proprietario del fondo, ove si eseguiscono gli scavi, avrà diritto a compenso per il lucro mancato e per il danno che gli fosse derivato. Ove il detto compenso non possa fissarsi amichevolmente, esso sarà determinato con le norme stabilite dagli articoli 65 e seguenti della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in quanto siano applicabili.
Le cose scoperte appartengono allo Stato. Di esse sarà rilasciata al proprietario del fondo una quarta parte, oppure il prezzo equivalente, a scelta del Ministero della pubblica istruzione. Il valore delle cose verrà stabilito come all'art. 9; ma il giudizio dei periti sarà definitivo, salvo il richiamo al Consiglio superiore.
Invece del compenso di cui al secondo comma, il Governo potrà rilasciare al proprietario del fondo, che ne faccia richiesta, una maggior quota delle cose scoperte, o anche la loro totalità, quando esse non siano giudicate necessarie per le collezioni dello Stato.
Art. 16
Ove il Governo lo creda opportuno, potrà espropriare i terreni in cui dovranno eseguirsi gli scavi.
La stessa facoltà gli compete quando occorra provvedere così alla conservazione di ruderi e di monumenti, venuti in luce casualmente o in seguito a scavi, come alla delimitazione della zona di rispetto e alla costruzione di strade di accesso.
La dichiarazione di pubblica utilità di tale espropriazione, previo parere del Consiglio superiore per le antichità e belle arti, è fatta con decreto reale su proposta del Ministro della pubblica istruzione, nel modo indicato all'art. 12 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e il prezzo dello stabile da espropriarsi sarà determinato con le norme del Capo IV (Titolo I), di detta legge.
Nella stima del fondo non sarà però tenuto conto del presunto valore delle cose di interesse archeologico, che si ritenga potervisi rinvenire.
Art. 17
Potrà il Ministero della pubblica istruzione concedere a enti ed a privati licenza di eseguire ricerche archeologiche, purché essi si sottopongano alla vigilanza degli ufficiali dell'amministrazione e osservino tutte le norme che da questa saranno imposte nell'interesse della scienza.
Delle cose scoperte sarà rilasciata agli enti o ai privati la metà oppure il prezzo equivalente alla metà, a scelta del Ministero della pubblica istruzione. Il valore delle cose sarà stimato come all'art. 15.
La licenza sarà immediatamente ritirata ove non si osservino le prescrizioni di cui nella prima parte di questo articolo.
Il Governo potrà pure revocare la licenza, quando voglia sostituirsi ai detti enti o ai privati nella iniziativa o nella prosecuzione dello scavo. In tale caso però dovrà concedersi ad essi il rimborso delle spese per gli scavi già eseguiti, senza pregiudizio della eventuale partecipazione loro, nella misura sopraindicata, alle cose che fossero già state scoperte al momento della revoca della licenza.
Potrà il Ministro, sul conforme parere del Consiglio superiore delle antichità e belle arti, consentire che tutte le cose scavate rimangano in proprietà di provincie o di comuni che siano proprietari di un museo.
Art. 18
Tanto il fortuito scopritore di oggetti di scavo o di resti monumentali, quanto il detentore di essi debbono farne immediata denuncia all'autorità competente e provvedere alla loro conservazione temporanea lasciandoli intatti fino a quando non siano visitati dalla predetta autorità.
Trattandosi di oggetti di cui non si possa altrimenti provvedere alla custodia potrà lo scopritore rimuoverli per meglio guarentirne la sicurezza e la conservazione fino alla visita di cui sopra.
Il Ministero della pubblica istruzione li farà visitare entro trenta giorni dalla denuncia.
Delle cose scoperte fortuitamente sarà rilasciata la metà o il prezzo equivalente, a scelta del Ministero della pubblica istruzione, al proprietario del fondo, fermi stando i diritti riconosciuti al ritrovatore dal Codice civile verso il detto proprietario.
Art. 19
Le stesse facoltà spetteranno al Governo allorché si tratti di cose scoperte in seguito a scavi di cui fosse stata concessa licenza a istituti o cittadini stranieri o che da loro fossero state fortuitamente scoperte; e qualora il Governo ritenga di poter rilasciare a detti istituti o cittadini stranieri parte delle cose scoperte a norma dei due precedenti articoli, esse non potranno venire esportate dal territorio dello Stato, ma dovranno essere mantenute in condizioni da giovare alla pubblica cultura in Italia, qualora siano di quelle di che al primo comma dell'art. 8.
Art. 20
Per le licenze di scavo concedute anteriormente alla promulgazione della presente legge e per le ricerche archeologiche comunque intraprese a tale epoca dallo Stato, da enti o da privati varranno le norme della legge 12 giugno 1902, n. 185.
Art. 21
La riproduzione delle cose di cui all'art. 1/a, che siano di proprietà dello Stato, quando sia di volta in volta permessa, andrà soggetta alle norme e alle condizioni da stabilirsi nel regolamento.
Art. 22
L'introito della tassa d'ingresso alle gallerie ed ai musei del Regno è destinato interamente a beneficio dei singoli istituti da cui proviene. Gli istituti, il cui introito superi ventimila lire, non avranno più alcun assegno a titolo di dotazione, e il fondo relativo si devolverà ad esclusivo vantaggio degli istituti che hanno proventi minori.
Le somme rimaste disponibili alla chiusura dell'esercizio finanziario sul capitolo “Musei, gallerie, scavi di antichità e monumenti - spese da sostenersi con la tassa d'entrata” saranno conservate fra i residui anche se non impegnate; e sul fondo complessivo delle assegnazioni di competenza e dei residui potranno imputarsi tanto le spese di competenza propria dell'esercizio, quanto le spese residue, senza distinzione dell'esercizio cui le spese stesse si riferiscono, purché pertinenti ai fini della presente legge e di quella del 27 maggio 1875.
Art. 23
Alla denominazione del capitolo inscritto nel bilancio del Ministero della pubblica istruzione, agli effetti dell'art. 3 della legge 27 giugno 1903, n. 242, con lo stanziamento di L. 30,000 è sostituita la seguente: “Somme da versarsi al conto corrente istituito presso la cassa depositi e prestiti per l'acquisto eventuale di cose d'arte e d'antichità”.
In aumento a tale capitolo verranno altresì portate, mediante decreto del Ministro del tesoro, le somme corrispondenti ai proventi ottenuti dalla vendita di pubblicazioni ufficiali, fotografie ed altre riproduzioni di cose di antichità e d'arte, dall'applicazione delle tasse, delle pene pecuniarie e delle indennità stabilite dalla presente legge.
Art. 24
Presso la Cassa depositi e prestiti è aperto un conto corrente fruttifero intestato al Ministero della pubblica istruzione, al quale dovranno affluire:
a) la somma di L. 1,000,000, già versata in conto corrente fruttifero presso la Cassa depositi e prestiti in virtù dell'art. 3 della legge 14 luglio 1907, n. 500;
b) gli interessi della rendita consolidata di lire 4,000,000 regolarmente versati alla Cassa stessa, a norma della legge summentovata. Detti interessi verranno riscossi alle scadenze semestrali a cura della Cassa dei depositi e prestiti;
c) le somme stanziate da stanziarsi in bilancio come all'art. 23;
d) gli interessi da liquidarsi annualmente sul credito del conto corrente;
e) le somme che da enti morali o da privati vengono destinate ad accrescere il fondo di che al comma c.
Art. 25
Il Ministero della pubblica istruzione ha facoltà di disporre degli interessi di cui al comma b) dell'articolo precedente e degli interessi delle somme di cui al comma e), al fine di contrarre mutui e costituire rendite vitalizie destinate agli acquisti di cui alla legge 14 luglio 1907, n. 500.
Gli interessi su detti mutui e l'ammontare delle rendite vitalizie non potrà mai superare complessivamente le somme disponibili secondo il comma precedente.
Art. 26
Con regolamento si determinano le norme con le quali, sentito il Consiglio superiore delle antichità e belle arti, si può procedere a detti acquisti con mutui o costituzione di rendite vitalizie.
Art. 27
Il Ministero della pubblica istruzione potrà valersi del credito risultante dal conto corrente istituito presso la Cassa dei depositi e prestiti per gli eventuali acquisti di cui alla presente legge e a quella del 14 luglio 1907, n. 500, prelevando da esso, mediante appositi decreti, le somme all'uopo occorrenti.
Però dalla somma di L. 1,000,000 versata al conto corrente suddetto, potrà il Ministero della pubblica istruzione prelevare non oltre L. 700,000 nell'esercizio finanziario 1909-910 e L. 300,000 nel 1910-911, con facoltà di valersi negli esercizi successivi delle somme non prelevate precedentemente.
Art. 28
Le somme prelevate dal conte corrente, a norma del precedente articolo, verranno versate in tesoreria con imputazione ad uno speciale capitolo del bilancio dell'entrata con la denominazione: “Somme prelevate dal conto corrente con la Cassa dei depositi e prestiti costituito dalle assegnazioni destinate all'acquisto di cose d'arte e di antichità”, e inscritte, mediante decreto del Ministro del tesoro, ad apposito capitolo del bilancio della pubblica istruzione con la denominazione: “Acquisto di cose d'arte e di antichità”.
A carico del detto capitolo verrà altresì imputato pel residuo debito il pagamento dell'annua somma di L. 100,000, di cui all'art. 2, comma terzo, delle legge 9 giugno 1901, n. 203, concernente l'acquisto del museo Boncompagni-Ludovisi.
Art. 29
Le alienazioni, fatte contro i divieti contenuti nella presente legge, sono nulle di pieno diritto.
Art. 30
Gli amministratori e gli impiegati degli enti morali, che abbiano trasgredito alle disposizioni dell'art. 2 sono puniti con multa da 200 a 10,000 lire.
Art. 31
L'omissione della denuncia, di cui all'art. 5 o la violazione delle disposizioni, di cui al secondo comma dell'art. 6, sono punite con multa da 500 a 10,000 lire.
Art. 32
Senza pregiudizio di quanto si dispone per i casi di cui al successivo articolo, se per effetto della violazione degli articoli 2, 5 e 6 la cosa non si può più rintracciare o è stata esportata dal Regno, il trasgressore dovrà pagare un'indennità equivalente al valore della cosa. L'indennità, nel caso di violazione dell'art. 2, potrà essere devoluta all'ente danneggiato.
Art. 33
Sarà considerato contrabbando e come tale punito a norma degli articoli 97 a 107, 109 e 110 del testo unico della legge doganale, approvato con R. decreto 26 gennaio 1896, n. 20, l'esportazione consumata o tentata delle cose di cui nella presente legge:
a) quando la cosa non sia presentata alla dogana;
b) quando la cosa sia presentata, ma con falsa dichiarazione o nascosta, o frammista ad oggetti di altro genere, in modo da far presumere il proposito di sottrarla alla licenza di esportazione e al pagamento della tassa relativa.
La cosa sarà inoltre confiscata a favore dello Stato, o, qualora concorra il caso di violazione dell'art. 2 della presente legge, dell'ente direttamente danneggiato. Ove non sia più possibile d'impossessarsene, saranno applicabili le disposizioni di cui all'articolo precedente.
La ripartizione delle multe sarà fatta nel modo che verrà stabilito dal regolamento per l'esecuzione della presente legge.
Art. 34
Alle violazioni degli articoli 12 e 13 è applicabile la multa indicata nell'art. 31.
Se il danno è in tutto o in parte irreparabile il trasgressore dovrà pagare un'indennità equivalente al valore della cosa perduta od alla diminuzione del suo valore.
Art. 35
Le violazioni degli articoli 17 e 18 sono punite con la multa da 1000 a 2000 lire e in caso di danni in tutto o in parte irreparabili si applicherà la disposizione del capoverso dell'articolo precedente.
Le cose rinvenute sono confiscate.
Art. 36
L'amministratore dell'ente morale che, entro il termine di tre mesi, prorogabile a nove, dall'invito direttogli dal Ministero della pubblica istruzione, non presenterà l'elenco delle cose di che all'art. 3 o presenterà una denuncia dolosamente inesatta, sarà punito nel primo caso con la multa da 200 a 10,000 lire e nel secondo con la multa da 1000 a 10,000 lire.
Art. 37
Alle pene di cui agli articoli 30 e 31 soggiace altresì il compratore quando sia a conoscenza dei divieti quivi menzionati.
Se il fatto è imputabile a più persone, queste sono tenute in solido al pagamento dell'indennità.
Qualora per lo stesso fatto si incorra anche in sanzioni penali stabilite da altre leggi, si applicano le disposizioni di cui all'art. 77 del codice penale.
Art. 38
Quando nella presente legge si fa richiamo al Consiglio superiore si intende designata quella Sezione che è competente a conoscere per ragioni di materia.
Art. 39
Con regolamento da approvarsi con decreto reale, sentito il parere del Consiglio di Stato, saranno determinate le norme per l'esecuzione della presente legge.
Fino a quando detto regolamento non avrà vigore varranno, agli effetti degli articoli 5, 6, 7 e 13 della presente legge, le notificazioni di pregio fatte a norma della legge 12 giugno 1902, n. 185, e del relativo regolamento.
Art. 40
Sono abrogate le leggi 12 giugno 1902, n. 185, 27 giugno 1903, n. 242, e 020708, n. 396, e tutte le altre disposizioni in materia, salvo quanto è stabilito con l'art. 4 della legge 28 giugno 1871, n. 286, con gli articoli 2 e 3 della legge 14 luglio 1907, n. 500, e nelle leggi 8 luglio 1883, n. 1461, e 7 febbraio 1892, n. 31.
Art. 41
Le tasse di esportazione sono applicate secondo la seguente tabella:
- sulle prime L. 5000 il 5 per cento
- sulle seconde L. 5000 il 7 per cento
- sulle terze L. 5000 il 9 per cento
- sulle quarte L. 5000 l'11 per cento
e così di seguito fino a raggiungere con l'intera tassa il 20 per cento del valore della cosa esportata.
Art. 42
È data facoltà al Governo del Re di coordinare in testo unico questa legge e le altre sulla medesima materia.
Art. 1
Le disposizioni della legge 20 giugno 1909, n. 364, sono applicabili anche alle ville, ai parchi ed ai giardini che abbiano interesse storico o artistico.
Art. 2
Alle violazioni dell’art. 14 della legge 20 giugno 1909, n. 364, sono applicabili le pene di cui all’art. 34 della legge medesima.
Art. 3
All’art. 14 della legge 20 giugno 1909, n. 364, è sostituito l’articolo seguente:
“Nei luoghi nei quali si trovano monumenti o cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni ed attuazione di piani regolatori, possono essere prescritte dall’autorità governativa le distanze, le misure e le altre norme necessarie, affinché le nuove opere non danneggino la prospettiva ela luce richiesta dai monumenti stessi.“.