Le misure previste dal governo rafforzano e indeboliscono al tempo stesso l'edilizia pubblica. La scelta di vendere le case popolari agli assegnatari è solo apparentemente una soluzione per le difficoltà, anche finanziarie, degli Iacp. In realtà, la liquidazione del patrimonio e la convivenza forzata di proprietari e di inquilini che appartengono invece a fasce sociali problematiche finiranno per creare le premesse per l'ingovernabilità del sistema. Soprattutto nelle grandi realtà urbane, dove più acuti sono i problemi e maggiori i bisogni.
Il nostro sistema di protezione sociale ha una “prima linea” piuttosto sguarnita. Ogni intervento che vada a rafforzarla colma una lacuna e ci avvicina all’Europa.
La manovra finanziaria varata in giugno dal governo si occupa anche di edilizia pubblica, rafforzandola e indebolendola al tempo stesso. Nel saldo finale, tuttavia, sembra prevalere il segno negativo. Il giudizio non riguarda solo la quantità di alloggi a disposizione per tutelare i giovani e la fascia più debole della comunità, ma anche e soprattutto il destino finale dell’edilizia sociale. La scelta di vendere le case popolari agli inquilini rappresenta solo apparentemente una soluzione capace di risolvere le difficoltà, anche finanziarie, in cui si trovano gli istituti autonomi case popolari. In realtà, la liquidazione del patrimonio e la convivenza forzata di proprietari e di inquilini appartenenti a fasce sociali problematiche finiranno per creare le premesse per la complessiva ingovernabilità del sistema, soprattutto nelle grandi realtà urbane, dove più acuti sono i problemi e maggiori i bisogni.
L'edilizia sociale nella manovra
Il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 contiene due norme sull’edilizia sociale che pure è da tempo competenza delle Regioni e non più dello Stato.
Il Piano casa, previsto dall’articolo 11, riprende interessanti modelli di carattere “sussidiario”, già adottati da alcune Regioni italiane, ad esempio la Lombardia e il Trentino, e previsti dall’ultima Legge finanziaria, all'articolo 1, comma 1154. Contiene infatti una serie di disposizioni per la realizzazione di alloggi secondo le logiche della finanza di progetto, ovvero riducendo al minimo indispensabile il ricorso a risorse gravanti sui bilanci pubblici.
La norma del decreto legge definisce nel dettaglio i potenziali beneficiari, individuandoli in un’area adiacente a quella del tradizionale disagio sociale più acuto, ovvero tra soggetti che possono sostenere canoni contenuti, ma comunque in grado di coprire i servizi del debito e gli oneri connessi alla finanza di progetto: le giovani coppie a basso reddito, i nuclei monoparentali, gli studenti, gli sfrattati. La stessa norma prevede la possibilità di utilizzare strumenti di finanziamento, come i fondi immobiliari, e il ricorso a incentivi di tipo urbanistico-edificatorio per coinvolgere i privati e ampliare l’offerta di edilizia sociale (anche l’urbanistica, per inciso, è competenza delle Regioni e non dello Stato).
Il secondo intervento, previsto all’articolo 13, riguarda invece misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico delle Regioni. In particolare, l’indicazione è che si semplifichino le procedure per l’alienazione degli immobili degli istituti autonomi case popolari (Iacp), comunque denominati. Il secondo comma dello stesso articolo prevede che il valore degli immobili, da cedere agli assegnatari, sia definito con riferimento al canone di locazione pagato.
La previsione del decreto legge appare per molti aspetti problematica e contraddittoria.
Il primo aspetto riguarda il rapporto Stato-Regioni. Tutta la norma appare come una evidente invasione di campo di stampo “antifederalista”. Se il fondo previsto al comma 9 dell’articolo 11 sarà erogato alle Regioni con vincolo di destinazione, il provvedimento potrebbe risultare in conflitto rispetto ai pronunciamenti della Corte costituzionale in materia di rapporti finanziari Stato-Regioni. È poi probabile che non tutte le realtà territoriali si muoveranno con tempestività e sensibilità adeguate, soprattutto se le risorse dello Stato saranno, come sembrano, di consistenza modesta rispetto alle ambizioni del Piano casa. (1)
Il secondo aspetto riguarda l’impatto che potrà avere la combinazione delle misure previste all’articolo11 rispetto a quanto indicato nell’articolo 13.
L’articolo 11 allarga il patrimonio dell’edilizia sociale, con il ricorso a strumenti innovativi per l’esperienza italiana, ma l’articolo 13 prevede l’alienazione dell’esistente. Come già è avvenuto in passato, probabilmente si assisterà a una vendita a prezzi di favore, una svendita, da cui si ricaveranno risorse modeste. Occorrerà alienare almeno cinque alloggi per reperire le risorse necessarie a costruirne uno. E se la procedura si reiterasse nel tempo, è facile prevedere che nell’arco di qualche decennio, a forza di svendere l’esistente per finanziare il nuovo, l’edilizia sociale delle Regioni finirebbe per essere cancellata.
Una resa definitiva
Vi è poi un altro aspetto da rimarcare. La scelta di vendere sembra segnare la resa definitiva del pubblico come soggetto gestore dell’edilizia sociale. La crisi che attraversa gli istituti autonomi case popolari è nota e grave. Da anni, il patrimonio decade qualitativamente per assenza di adeguate manutenzioni. L’occupazione abusiva o in sub-affitto di alloggi è frequente. La morosità ampia. L’impunità diffusa. La responsabilità di tutto ciò va ricondotta in primo luogo a una normativa del settore concepita quando l’edilizia sociale era intesa come lo strumento in grado di garantire un alloggio ad ampie fasce di operai, artigiani e dipendenti pubblici. Per anni la “casa popolare” è stata intesa come un modo diverso per essere comunque proprietari: canoni molto contenuti, diritto alla permanenza anche con redditi abbastanza elevati, possibilità di subentro nell’alloggio da parte dei figli.
Il contesto economico-sociale è ora mutato e il modo migliore per valorizzare il patrimonio esistente dell’edilizia sociale è accrescere il turn-over degli alloggi. Oggi, i canoni sociali risultano per tutti gli inquilini estremamente modesti, e non solo per i più poveri. Un loro adeguamento è fattibile e consentirebbe di recuperare flussi consistenti di risorse da destinare a manutenzioni e nuove realizzazioni. Si potrebbe anche superare l’attuale rapporto di tipo amministrativo tra Iacp e inquilini, sostituendolo con un regolare contratto di affitto a condizioni convenzionate e di durata definita, anche se rinnovabile nel tempo se permangono le stesse condizioni economico-sociali. Agendo sulle soglie di permanenza e creando adeguati incentivi al rilascio di alloggi, soprattutto se di ampia superficie rispetto alle mutate esigenze di nuclei di vecchi occupanti, si potrebbero rendere disponibili appartamenti per nuove famiglie.
Questa strada si scontra ovviamente con interessi consolidati e ben rappresentati. Èperò in grado di dare una prospettiva a una politica sociale che rischia altrimenti di spegnersi, anche se potenzialmente e giustamente associata a una seconda componente di natura più sussidiaria, come quella implicita nel modello basato sulla finanza di progetto. Inoltre, la linea indicata dal decreto legge produrrà effetti sulla gestione stessa dell’edilizia pubblica. Difficilmente la vendita riguarderà tutte le unità di un singolo immobile. Di norma, vi saranno situazioni in cui, all’interno dello stesso edificio, convivranno proprietà pubblica e proprietà privata, inquilini abbienti che si sono comperati l’alloggio e altri che non se lo sono potuto permettere. Compariranno gli interessi di finanziatori privati che stipuleranno patti di futura vendita con assegnatari in età avanzata. Ci saranno nuclei di proprietari o persone che pagano canoni di mercato, per alloggi ormai privati, accanto a ex detenuti o tossicodipendenti, inviati dai servizi sociali. E tutto ciò sarà più accentuato nelle aree urbane, dove più necessaria è la presenza di edilizia pubblica da “prima linea”.
La compresenza di inquilini proprietari e inquilini ex-detenuti non ci sembra l’aspetto più preoccupante di queste norme. L’autore trascura invece un aspetto molto grave sotto il profilo urbanistico (e dell’equità). Le norme dell’articolo 11, commi 5 e 7 (vedi l' allegato in calce), consentono infatti agli operatori privati di realizzare alloggi usufruendo di aree e di “diritti edificatori” pubblici e di alienarli a prezzi di mercato dopo dieci anni. In parole povere: dispongo di un’area che il piano urbanistico destina all’agricoltura o a spazi pubblici (standard); mi impegno a realizzare “edilizia sociale”; il comune mi dà il “diritto edilizio”, e quindi la possibilità di costruire alloggi; li affitto per dieci anni ai prezzi stabiliti e poi ne faccio ciò che voglio. Prima dell’egemonia berlusconiana si chamava sordida speculazione immobiliare. Oggi si chiama “edilizia sociale”.
Allegato
Stralcio dal Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria"
Art. 11. Piano Casa
1. Al fine di superare in maniera organica e strutturale il disagio sociale e il degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa, il CIPE approva un piano nazionale di edilizia abitativa, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro per le politiche giovanili, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il Ministero trasmette la proposta di piano alla Conferenza unificata entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
2. Il piano e' rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di alloggi di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinati prioritariamente a prima casa per le seguenti categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione:
a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;
b) giovani coppie a basso reddito;
c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;
d) studenti fuori sede;
e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;
f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 1 della legge n. 9 del 2007;
g) immigrati regolari.
3. Il Piano nazionale ha ad oggetto la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente o di costruzione di nuovi alloggi ed e' articolato, sulla base di criteri oggettivi che tengano conto dell'effettivo disagio abitativo presente nelle diverse realtà territoriali, attraverso i seguenti interventi:
a) costituzione di fondi immobiliari destinati alla valorizzazione e all'incremento dell'offerta abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l'acquisizione e la realizzazione di immobili per l'edilizia residenziale;
b) incremento del patrimonio abitativo di edilizia sociale con le risorse derivanti dalla alienazione di alloggi di edilizia pubblica in favore degli occupanti muniti di titolo legittimo;
c) promozione da parte di privati di interventi ai sensi della parte II, titolo III, del Capo III del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
d) agevolazioni, anche amministrative, in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi in esame, potendosi anche prevedere termini di durata predeterminati per la partecipazione di ciascun socio, in considerazione del carattere solo transitorio dell'esigenza abitativa;
e) realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia sociale e nei sistemi metropolitani ai sensi del comma 5.
4. L'attuazione del Piano nazionale e' realizzata con le modalità di cui alla parte II, titolo III, del Capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ovvero, per gli interventi integrati di valorizzazione del contesto urbano e dei servizi metropolitani, ai sensi dei commi da 5 a 8.
5. Al fine di superare i fenomeni di disagio abitativo e di degrado urbano, concentrando gli interventi sulla effettiva consistenza dei fenomeni di disagio e di degrado nei singoli contesti, rapportati alla dimensione fisica e demografica del territorio di riferimento, attraverso la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia sociale e nei sistemi metropolitani e di riqualificazione urbana, anche attraverso la risoluzione dei problemi di mobilità, promuovendo e valorizzando la partecipazione di soggetti pubblici e privati, con principale intervento finanziario privato, possono essere stipulati appositi accordi di programma, promossi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per l'attuazione di interventi destinati a garantire la messa a disposizione di una quota di alloggi, da destinare alla locazione a canone convenzionato, stabilito secondo criteri di sostenibilità economica, e all'edilizia sovvenzionata, complessivamente non inferiore al 60% degli alloggi previsti da ciascun programma, congiuntamente alla realizzazione di interventi di rinnovo e rigenerazione urbana, caratterizzati da elevati livelli di qualità in termini di vivibilità, salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed energetica. Gli interventi sono attuati, attraverso interventi di cui alla parte II, titolo III, Capo III del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, mediante le seguenti modalità:
a) trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo destinato alla locazione a canone agevolato, con la possibilità di prevedere come corrispettivo della cessione dei diritti edificatori in tutto o in parte la realizzazione di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore di categorie sociali svantaggiate, di cui al comma 2;
b) incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana;
c) provvedimenti mirati alla riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o degli oneri di costruzione e strumenti di incentivazione del mercato della locazione;
d) costituzione di fondi immobiliari di cui al comma 3, lettera a), con la possibilità di prevedere altresì il conferimento al fondo dei canoni di locazione, al netto delle spese di gestione degli immobili.
6. Ai fini della realizzazione degli interventi di cui al presente articolo l'alloggio sociale, in quanto servizio economico generale, e' identificato, ai fini dell'esenzione dell'obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, come parte essenziale e integrante della più complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie.
7. In sede di attuazione dei programmi di cui al comma 5, sono appositamente disciplinate le modalità e i termini per la verifica periodica e ricorrente delle fasi di realizzazione del piano, in base al cronoprogramma approvato e alle esigenze finanziarie, potendosi conseguentemente disporre, in caso di scostamenti, la diversa allocazione delle risorse finanziarie pubbliche verso modalità di attuazione più efficienti. Gli alloggi realizzati o alienati nell'ambito delle procedure di cui al presente articolo non possono essere oggetto di successiva alienazione prima di dieci anni dall'acquisto originario.
8. Per la migliore realizzazione dei programmi, i comuni e le province possono associarsi ai sensi di quanto previsto dal testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. I programmi integrati di cui al comma 5 sono dichiarati di interesse strategico nazionale al momento della sottoscrizione dell'accordo di cui all'accordo di cui al comma 5. Alla loro attuazione si provvede con l'applicazione dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e successive modificazioni ed integrazioni.
9. Per l'attuazione degli interventi previsti dal presente articolo e' istituito un Fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel quale confluiscono le risorse finanziarie di cui all'articolo 1 comma 1154 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 nonche' di cui agli articoli 21, 21-bis e 41 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222. Gli eventuali provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni legislative citate al primo periodo del presente comma, incompatibili con il presente articolo, restano privi di effetti. A tale scopo le risorse di cui agli articoli 21, 21-bis e 41 del citato decreto-legge n. 159 del 2007, ivi comprese quelle già trasferite alla Cassa depositi e prestiti, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere iscritte sul Fondo di cui al presente comma, negli importi corrispondenti agli effetti in termini di indebitamento netto previsti per ciascun anno in sede di iscrizione in bilancio delle risorse finanziarie di cui alle indicate autorizzazioni di spesa.
Art. 12. [omissis]
Art. 13. Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico
1. Al fine di valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e di favorire il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la conclusione di accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei predetti Istituti.
2. Ai fini della conclusione degli accordi di cui al comma 1, si tiene conto dei seguenti criteri:
a) determinazione del prezzo di vendita delle unità immobiliari in proporzione al canone di locazione;
b) riconoscimento del diritto di opzione all'acquisto in favore dell'assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in favore del coniuge in regime di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente more uxorio, purche' la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli conviventi, dei figli non conviventi;
c) destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo.
3. Nei medesimi accordi, fermo quanto disposto dall'articolo 1, comma 6, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, può essere prevista la facoltà per le amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con società di settore per lo svolgimento delle attività strumentali alla vendita dei singoli beni immobili.