Convegno dell'11 giugno 2019 sull'analisi degli impatti e dei conflitti legati alla progressiva turistificazione delle città e degli spazi di vita. Con una sezione dedicata alle contro-progettualità (attivate o attivabili) capaci di prefigurare possibili alternative socio-economiche rispetto alla monocoltura dell’industria turistica. (i.b.) Qui maggiori info.
Oltre la monocultura del turismo
La crescita costante ed apparentemente inarrestabile dell’industria turistica è un fenomeno ormai consolidato, tanto su scala globale quanto nel contesto italiano. A questa crescita continua si accompagnano da alcuni anni crescenti preoccupazioni sugli impatti che questa particolare specializzazione economica apporta alla vita dei territori, che vedono infatti significativamente sorgere un sempre maggior numero di conflitti in rapporto al peculiare uso del territorio che questa industria determina. Nel dibattito pubblico e scientifico si moltiplicano così gli approfondimenti in merito ai temi dell’overtourism, alle politiche di gestione dei flussi di visitatori, alla trasformazione delle dinamiche abitative generate dall’affermazione dello short term rental e alle tematiche inerenti alla sostenibilità ambientale, palesando l’urgenza dell’elaborazione di un discorso critico complessivo attorno ai problemi della turistificazione dei territori. Questo fenomeno infatti, estendendosi ormai ad una vasta pluralità di territori urbani e non, realizza un modello economico capace di ridefinire profondamente l’organizzazione spaziale, sociale ed economica nazionale nella direzione dell’attrazione turistica, plasmata a partire dall’immagine commerciale stereotipata della “Destinazione Italia”.
Il settore turistico assume quindi i contorni di un tema di politica industriale: orienta infatti in maniera significativa tanto le scelte infrastrutturali quanto le politiche dei beni culturali; plasma i panorami antropici di città, paesi e territori rurali, espellendo progressivamente la residenza in favore di un uso temporaneo del patrimonio abitativo; mina conseguentemente l’esercizio del diritto all’abitare; trasforma la struttura socio-economica di borghi e centri storici, intervenendo sulla natura dell’offerta commerciale; produce uno sfruttamento intensivo delle risorse patrimoniali ed ambientali ai fini della loro valorizzazione economica; costruisce un mercato del lavoro tendenzialmente di scarsa qualità, a bassa rimunerazione e a basse qualifiche, e a minima tutela dei lavoratori; genera conflitti rispetto alle possibilità di utilizzo dello spazio pubblico, colonizzandolo; produce ulteriore scarsità nel welfare urbano. In sintesi, l’uso turistico e ricreativo di città e territori si mostra ormai come un potente dispositivo di trasformazione territoriale, che rischia di favorire la produzione di uno spazio sociale finalizzato al consumo e all’estrazione di valore di scambio piuttosto che alle esigenze di vita delle popolazioni insediate.
All’interno di questa cornice nasce l’idea di un convegno rivolto a quanti, ricercatori o attivisti, singoli o collettivi, si stiano confrontando con le problematiche legate all’intensificazione dello sfruttamento turistico dei territori, siano essi spazi urbani, rurali, montani o costieri.
A partire dal confronto collettivo tra esperienze di ricerca e di mobilitazione, l’intento è quello di elaborare un discorso complessivo sulle criticità urgenti ed inesplorate riguardanti la progressiva turistificazione degli spazi di vita. Nello specifico l’intento è quello di produrre una mappatura: 1) delle conflittualità disseminate sul territorio dall’instaurazione progressiva di un modello turistico estrattivo, che concentra i profitti e socializza le perdite; 2) delle contro-progettualità (attivate o attivabili) capaci di prefigurare possibili alternative socio-economiche rispetto alla monocoltura dell’industria turistica.
Invitiamo pertanto i partecipanti ad attraversare le seguenti questioni:
Ai partecipanti viene inoltre chiesto di riflettere su come i singoli casi presentati possano affrontare o illustrare in modo originale questioni di carattere generale, suggerendo spunti per altri contesti territoriali.
La comunicazione della selezione per la partecipazione al convegno avverrà entro il 15 maggio.
A valle del convegno verrà eventualmente chiesto ai partecipanti di produrre un paper di 20.000 – 30.000 caratteri da far confluire all’interno di una pubblicazione.
Qui il link al sito e a facebook
Il futuro è già cominciato: una satira distopica per leggere una città e il suo governo. A volte la fantasia ci aiuta ad immaginare dove potremmo andare a finire. Bisogna vedere se i fiorentini saranno capace di scongiurare il rischio alle elezioni di fine mese. (i.b.)
Per vincere l’ambìto premio, la città gigliata optò per un progetto molto ambizioso: far arrivare le grandi navi a Firenze. L’idea, che mai Leonardo aveva osato formulare, venne al sindaco: “Firenze è la città che navighiamo”. Si dimostrò lungimirante.
Fu una benedizione anche quella grande buca, detta di Foster. Un progetto infrastrutturale folle, mai compiuto, e certo un inghiottitoio di denaro pubblico che mise in ginocchio le finanze di Roma, quando ancora l’Urbe contava qualcosa. La buca, guarda caso, aveva le dimensioni adatte per ospitare una grande nave.
Anche l’aeroporto fu una benedizione. Da decenni in stallo, il progetto della pista convergente-parallela offriva l’occasione per alimentare la darsena. Il nuovo aeroscalo era infatti a rischio di sommersione. Secondo il masterplan redatto nelle segrete stanze in deroga alle leggi ambientali e a quelle dell’idrodinamica, il Fosso Reale avrebbe dovuto essere deviato in direzione di Prato e, perciò, risalire di quota. Solo tecniche molto sofisticate avrebbero consentito all’acqua del dannato fosso di scorrere in contropendenza (cioè in salita), nella Piana già ricolma di nocività.
I decisori, di necessità fecero virtù. Immaginarono allora di condurre il Fosso Reale verso Firenze, per raggiungere la Foster. Previdero l’adduttore, lo scolmatore, l’allaccio navigabile con il Bisenzio e quindi con l’Arno.
Tutto funzionò. Firenze vinse il bando e nella darsena giunse l’acqua.
Così, ogni anno, cento milioni di croceristi poterono godere della vista della cupola brunelleschiana e della città antica, finalmente liberata degli abitanti. Nei caldi pomeriggi, sui ponti dei transatlantici si gustava il gelato prodotto nelle sale degli Uffizi. La sera si danzava al suono dell’orchestrina Dario&theStakeholders.
Tutto funzionò anche quando il livello del mare cominciò a salire: il turismo era resiliente.
Le acque divagarono. Il mare si insinuò nel fiordo della Gonfolina. Le grandi navi poterono finalmente dimenticare la poco romantica (e molto manifatturiera) rotta Càscina-Santa Croce-Empoli. Colossali navigli pluripontati risalivano ora verso Firenze all’ombra delle scogliere del Malmantile. Alla svolta delle Signe, la vista da cartolina richiamava alla mente gli ultimi istanti della perduta Venezia.
La cupola del Duomo si rifletteva sul grande specchio d’acqua, i flutti ne lambivano i fianchi; sulla lanterna del Battistero, ridotta a boa, riposavano i gabbiani. Di tanto in tanto, il silenzio era rotto dagli idrovolanti che, per solida consuetudine, solcavano il lago in direzione convergente-parallela.
Il manifesto, 23.04.2019. Un regolamento comunale limita a 90 giorni l'affitto turistico delle abitazioni ordinarie. Purtroppo per noi, succede a Madrid e non in Italia. (m.b.)
«Finché i grossi capitali ricorreranno al mattone come strumento speculativo nessuna legge a livello locale sarà abbastanza efficace». Parla Jorge García Castaño, ex assessore comunale per la zona centro e attualmente responsabile economico del governo cittadino di Ahora Madrid, la formazione nata come sigla municipale di Podemos e ora in rotta con il partito di Pablo Iglesias. Castaño è stato uno degli artefici e dei promotori della normativa comunale per la regolamentazione degli appartamenti approvata lo scorso 27 marzo con l’appoggio del Psoe. Un severo giro di vite sul mercato degli affitti turistici, il cui effetto deterrente rischia tuttavia di restare in buona parte sulla carta per le limitate competenze del municipio in materia d’affitti. I due grandi punti deboli del decreto sono l’impossibilità da parte del comune di imporre multe (che invece a Barcellona hanno avuto un forte effetto dissuasorio), le lungaggini dell’iter per la chiusura degli immobili illegali e la difficoltà nell’individuarli senza la collaborazione dei portali di annunci.
Il decreto relegherà nell’illegalità circa il 95% degli appartamenti turistici di Madrid. Regolamentazione o proibizionismo?
Non c’è nessun intento proibizionista: anzi, la normativa consente a chiunque di affittare la propria casa legalmente per 90 giorni all’anno. L’obiettivo, insomma, non è quello di perseguire l’attività sporadica, che rientra nell’ambito dell’economia collaborativa, ma di colpire la speculazione, l’attività lucrativa prolungata e sistematica, che deve essere normata per preservare la disponibilità residenziale, evitare la lievitazione degli affitti e impedire che i grandi capitali si lancino all’assalto del mercato immobiliare.
Perché si è deciso di intervenire?
Perché la pressione turistica è cresciuta esponenzialmente durante i primi due anni di legislatura creando un problema di decoro e di convivenza, ma anche economico e sociodemografico. Un esempio su tutti: il quartiere di Lavapiés, che ha subito un aumento fulminante ed esponenziale del prezzo degli affitti, con conseguente esodo massivo dei residenti.
Perché allora non agire sul prezzo degli affitti e sulla legislazione che li regola?Perché il comune non ha competenza in merito. Le modifiche alla legge sugli affitti competono, a diversi livelli, alla regione (controllata dal Pp, ndr) e al governo centrale: noi potevamo intervenire solo a livello urbanistico per cui abbiamo affrontato il problema sfruttando l’unico spazio di manovra possibile a livello comunale.
Ed è sufficiente?
Nemmeno città come Amsterdam o Berlino, che hanno ottime legislazioni in materia, sono riuscite a estirpare il problema, perché la questione, più che con l’urbanismo o con il turismo in sé, ha a che vedere con la finanza globale. Finché i grossi capitali potranno utilizzare il mattone come un vantaggioso strumento speculativo nessuna legge a livello locale sarà abbastanza efficace. Perché cambi qualcosa è necessaria un’iniziativa coordinata a tutti i livelli, cominciando dall’Unione europea.
Come farete rispettare la legge?
Abbiamo aumentato il numero di ispettori e stipulato accordi con società di analisi di dati per filtrare gli annunci pubblicati sui grandi portali. Recentemente, visto il volume d’affari che muove, anche l’Agenzia delle entrate ha cominciato a sorvegliare attentatamene l’affitto turistico condividendo dati fiscali che possono essere incrociati efficacemente con le altre misure di controllo. L’ideale sarebbe poter disporre di uno strumento legale, magari a livello europeo, che obblighi le piattaforme a condividere i dati con le istituzioni locali, ma finora né la Ue né il governo centrale hanno preso provvedimenti in questo senso.
Avete un filo diretto con Airbnb?Sì, e ovviamente non sono molto contenti di questo giro di vite, anche se, in realtà, colpisce più i grandi proprietari che le piattaforme di intermediazione. Ad ogni modo farebbero bene a collaborare, perché un’entità con un modello di business così legato alle città e alla loro immagine, dovrebbe assumere un impegno a favore del territorio su cui basa i suoi guadagni.
Ai Magazzini del Sale di Venezia, il 17 aprile si inaugura la mostra sulla turistificazione di Venezia e Barcellona e la resistenza di chi le abita, per riflettere sul modello di turismo dominante che minaccia la sopravvivenza delle due città. La voce narrante è quella dei comitati, movimenti e associazioni che lottano per la difesa dell'ambiente e dei beni comuni. Qui il programma completo (i.b.)
MAREE DI GENTE
La turistificazione di Venezia e Barcellona e la resistenza di chi le abita
17 aprile – 5 maggio 2019
Inaugurazione 17 aprile ore 19
Magazzini del Sale, Dorsoduro 265, Venezia
Maree di gente è una mostra realizzata da Claudia Cavion in collaborazione con S.a.L.E. Docks (Sign And Lyrics Emporium) che indaga l’impatto che l’industria turistica ha su Barcellona e Venezia.
Maree di gente, che sarà visitabile dal 17 aprile fino alla prima settimana di maggio presso i Magazzini del Sale di Venezia, evidenzia le problematiche comuni alle due città patrimoniali e ne affronta sotto vari punti di vista i diversi effetti.
La voce narrante è quella dei collettivi, dei comitati, e delle associazioni che, lottando attivamente in difesa dell’ambiente e dei beni comuni, vedono nel modello di sviluppo turistico predominate una minaccia alla sopravvivenza delle due città patrimoniali.
Attraverso foto, manifesti, materiale audiovisivo, installazioni interattive ed altri strumenti, cittadini e turisti saranno chiamati a riflettere su come i propri comportamenti e le proprie azioni quotidiane possono incidere sui processi di deterioramento culturale e urbano. Si approfondiranno altresì fenomeni allarmanti come la gentrificazione, la perdita del diritto alla casa, l’impatto delle crociere e delle masse turistiche, la trasformazione delle attività commerciali e la perdita di alcune tradizioni locali. L’obiettivo è quello di favorire una presa di coscienza sui valori del patrimonio a rischio, rafforzare la reazione collettiva di denuncia nonché sollecitare l’intervento delle istituzioni in merito.
La mostra rappresenta inoltre il tentativo di creare, tramite la comparazione dei due casi caratterizzati da processi di turistificazione e impatti simili, una piattaforma di condivisione di opinioni e alternative a livello internazionale.
Eventi collaterali
Giovedì 2 Maggio
Sabato 4 Maggio
S.a.L.E. Docks è uno spazio indipendente per l’arte contemporanea che da sempre vede nelle pratiche artistiche uno strumento di analisi e intervento nella città. La collaborazione con Claudia Cavion nasce dalla volontà di riprendere e sviluppare il progetto di fine master “Maree di gente! Venezia e Barcellona due città patrimoniali a rischio”, che indaga la storia dello sviluppo del modello turistico nelle città suddette e ne raccoglie le varie esperienze di lotta collettiva comune.
Per info e contatti:
Sintesi del secondo incontro della rete SET sulle dinamiche e l'impatto della turistificazione, che sta causando un vero e proprio «urbanicidio». Urgono azioni concertate tra movimenti sociali e politici che si battono per il diritto alla casa e al lavoro, per la difesa dell’ambiente e dei beni comuni. (i.b)
A Firenze dal 1 al 3 marzo 2019 si è svolto il secondo incontro nazionale della rete S.E.T. (Sud Europa di fronte alla turistificazione), che ha visto la partecipazione dei nodi di Barcellona, Bologna, Genova, Firenze, Napoli, Palermo, Roma e Venezia, con l’obiettivo di costruire azioni comuni per contrastare la turistificazione.
Gli incontri si sono tenuti presso la Facoltà di Architettura, il C.S.A Next Emerson e La Polveriera Spazio Comune e si sono articolati intorno a due temi: “L’abitare e la turistificazione” e “Al Gran Bazar della città neoliberista: nuove infrastrutture e turismo globale”.
Il dibattito ha messo in luce le criticità connesse all’industria turistica rispetto a una molteplicità di temi tra i quali:
1. l’emergenza abitativa – aggravata dall’impatto delle locazioni turistiche, dall’aumento delle strutture ricettive e dagli investimenti dei gruppi finanziari nel mercato immobiliare;
2. l’espropriazione dello spazio pubblico e del patrimonio collettivo – dovuta a politiche di “riqualificazione” e a operazioni “anti degrado” che provocano la mercificazione degli spazi;
3. la vendita di aree e immobili per il recupero di “vuoto urbano” a fini speculativi;
4. la realizzazione di opere infrastrutturali, finalizzate all’incremento dei flussi turistici, che alterano irreversibilmente il territorio, gli ecosistemi e il clima;
5. la complicità delle amministrazioni locali nel facilitare e incentivare i processi di speculazione e turistificazione.
La dinamica della turistificazione sta svuotando le città da chi le abita, causando un vero e proprio urbanicidio. Questo rende necessaria una risposta istituzionale urgente ed efficace, in sinergia con i movimenti sociali e politici per il diritto alla casa e al lavoro, con le lotte in difesa dell’ambiente e dei beni comuni.
La rete S.E.T. ha individuato alcuni obiettivi e strategie di intervento:
· l’organizzazione di assemblee e azioni politiche per la riappropriazione dello spazio pubblico;
· la realizzazione di inchieste in ogni città per smascherare i processi di speculazione in corso;
· l’apertura di vertenze con le istituzioni per spingerle a governare in modo efficace l’industria turistica;
· la sensibilizzazione e responsabilizzazione di vecchi e nuovi abitanti;
· l’allargamento della rete attraverso il coinvolgimento di altre città e di altri soggetti, singoli o organizzati, all’interno di ciascun nodo;
· la collaborazione con giuristi e urbanisti per approfondire gli aspetti tecnici e normativi del fenomeno.
I prossimi appuntamenti della Rete S.E.T.:
Roma, 23 marzo – Marcia per il clima e contro le grandi opere inutili;
Siviglia, 6 aprile – Incontro europeo della Rete S.E.T.;
Berlino, Barcellona, Napoli, 6 aprile – Manifestazione contro la bolla degli affitti;
Napoli, 6 aprile – Incontro con Salvatore Settis “Il diritto alla città al tempo del turismo”, organizzato da SET Napoli e dal laboratorio “Ecologie politiche del presente”;
Maggio (data da definire) – Azione internazionale simultanea contro la vendita delle città.
A Firenze venerdì 1, sabato 2 e domenica 3 marzo 2019 proseguono i lavori della rete SET - Sud Europa di fronte alla turistificazione, con il secondo convegno nazionale, per continuare la lotta contro gli effetti devastanti dell'industria turistica. Qui il programma e riferimenti. (i.b.)
Si legga il manifesto fondativo della rete pubblicato da eddyburg ad Aprile, e i contenuti del primo convegno della Rete su «Città italiane di fronte alla turistificazione».
PROGRAMMA DEL CONVEGNO
Firenze, 1-3 marzo 2019
Turismo nei territori e nelle città: beni comuni addio?
VENERDÌ 1° MARZO
ore 10.00 sotto la sede della Città Metropolitana in via Cavour, 1
Presidio contro la vendita di Mondeggi Bene Comune
ore 17.45, piazza de' Ciompi
Performance pubblica
SABATO 2 MARZO
ore 10.00 CSA Next Emerson, Via di Bellagio 15
10.00-18.00
TAVOLO 2 – La dimensione territoriale
Al Gran Bazar della città neoliberista: nuove infrastrutture e turismo globale
Logistica e infrastrutture come effetto o causa della monocoltura turistica, espulsione e pendolarismo di lavoratori e abitanti nel parco a tema, impatto ambientale dell'industria turistica, land grabbing e appropriazioni speculative, paesaggio da bene comune a merce, il territorio al servizio della turistificazione.
Pratiche di resistenza e riappropriazione: lotta alle grandi e meno grandi opere, prospettive ecologiche, uso civico e collettivo dei beni e dei luoghi non alienabili, ricostruzione di paesaggi e narrazioni nel territorio urbanizzato.
LABORATORIO 1 - Storia, strategie e tattiche per destabilizzare il Nuovo Ordine Urbano con Ex-Voto fecit.
L’obiettivo del laboratorio è fornire ai partecipanti una conoscenza base sulle forme e le pratiche di resistenza creativa.
LABORATORIO 2 - Maschere per la città
Laboratorio Aperto e Creativo per preparare i manufatti, le azioni e le immaginazioni necessari al carnevale delle autogestioni con RibellArti e Míles Eri
DOMENICA 3 MARZO
ore 10.00 La Polveriera Spazio Comune, Via Santa Reparata 12
10.00-13.00 Finalizzazione dei preparativi per il Carnevale delle Autogestioni
14.30-18.30 Carnevale delle Autogestioni
Azioni e interventi in difesa dei Beni e dei Luoghi Comuni
Beni comuni e patrimonio storico: contro lo sgombero della Polveriera Spazio Comune e di Mondeggi- Fattoria senza padroni.
Azioni conclusive dei laboratori, portare SET nello spazio pubblico.
Una proposta concreta per trasformare parte delle affittanze turistiche in affittanze per residenti di medio periodo e arginare la turistificazione di Venezia, restituendo vivibilità e opportunità economiche al di fuori dell'industria del turismo.
L’ultimo fine settimana di settembre di quest’anno hanno attraccato alla Stazione Marittima 17 navi da crociera, di cui 6 superiori alle 70 mila tonnellata di stazza, e ognuna di queste trasporta una media di 2700 passeggeri. Aggiunti i passeggeri delle navi minori, considerato l’imbarco e lo sbarco, si è scaricata in città una ondata di 50.000 crocieristi e membri di equipaggio, un numero pari all’intera popolazione residente nel centro storico. A questo flusso si aggiungono i 50/60.000 escursionisti che visitano la città in un qualsiasi fine settimana di settembre.
In controtendenza è di poche settimane fa l’allarme sul fatto che la spesa del turista medio in città va costantemente declinando e che gli alberghi segnano un calo delle presenze, è il pericoloso segnale di un esito distorto dell’attrattività turistica mondiale di questa città.
Oggi gli escursionisti giornalieri non solo superano i turisti “pernottanti” – di per sé segnale di un deterioramento della qualità del turismo - ma superano l’insieme di questi ultimi e dei residenti. Uno tsunami che deteriora l’offerta di servizi (negozi, ristoro, trasporti) che ad esso si adegua e che soddisfa ormai prevalentemente la domanda del turista di passaggio (e il crocierista è un turista escursionista). E’ senza senso dire che tanti turisti fanno bene all’economia della città perchè rappresentano comunque un aumento della domanda (il “frigorifero pieno” del sindaco) senza interrogarci sulla qualità del contenuto. E’ pieno di patate o di funghi porcini?
In queste condizioni fare una politica che accresca il flusso dei turisti, qualsiasi essi siano, “basta riempire il frigorifero”, equivale a fare il male della città.
Sono necessarie invece delle misure che invertano il trend al declino della qualità del turismo, e salvino i brandelli rimasti di quella coesione sociale della città che pur permane. Ne abbiamo avuto un esempio nei tanti cittadini convenuti sulla riva delle zattere e a bordo del centinaio di imbarcazioni che hanno manifestato nel canale della Giudecca la scorsa domenica contro il passaggio delle grandi navi. Si può pensare a una politica turistica diversa?
Innanzitutto la città ha bisogno di energie giovani e ringiovanire una città “vecchia” si può fare solo immettendo forze fresche dall’esterno utilizzando appieno la sua straordinaria attrattività. Pensiamo agli artisti, agli studenti, ai ricercatori, a coloro che praticano le attività legate al mare, al restauro, all’erosione, alle lagune, a chi lavora nei campi dove la città ha un innegabile vantaggio “storico e naturale”. Pensiamo a una Biennale, che unisca a una meritoria attività espositiva e di documentazione, un’attività di laboratorio d’ arte, che incentivi e aiuti la permanenza di giovani a Venezia; cosa fattibile specialmente oggi che la biennale gestisce una grande parte dell’Arsenale. Pensiamo alle tante università straniere che di frequente guardano a sedi estere per rendere i loro studenti sempre più cittadini del mondo, unendo allo studio la permanenza in un altro paese, l’incontro con altre realtà.
Si deve puntare gradualmente alla trasformazione di parte delle affittanze turistiche in affittanze per residenti di medio periodo, che lavorano in campi nei quali Venezia esercita una specifica attrattiva, e che hanno esigenze e consumi affini a quelli dei residenti. Le risorse per quanto riguarda gli alloggi ci sono. Pernottano oggi a Venezia almeno 30-40.000 persone al giorno in media e gli appartamenti ad uso turistico superano le 5.000 unità. Non si può dirottare il 20% dell’offerta di tali alloggi alla residenza di questi ceti giovanili? Non si possono sperimentare limiti e incentivi sulle locazioni, con accorgimenti che stanno prendendo piede in tutte le principali città? Berlino, Parigi, Madrid, Londra, Amsterdam, NY, San Francisco oltre la solita Barcellona? Si riducano le giornate massime di locazione turistica (come in tutte le città sopra ricordate), si crei la categoria del residente temporaneo con dei vantaggi tariffari e fiscali, si controlli finalmente l’evasione nell’affitto turistico che è altissima e si pretenda la tassa di soggiorno (aumentata) alla fonte, e il dirottamento dell’offerta di alloggi seguirà. Berlino ha limitato l’affitto turistico di “appartamenti interi”, e con questa misura ha riportato sul mercato della residenza 8.000 unità, 1/3 dello stock. Certo tutto questo dopo aver doverosamente messo in locazione le case sfitte del patrimonio pubblico, meglio se in forme di autorestauro, senza esborso di denaro pubblico (che per queste cose manca sempre), e anche qui Venezia può tracciare una strada con forme di autorestauro molto interessanti, già in essere, che vanno valorizzate.
Obiettivo è condividere una diversa idea di città rispetto a quella di oggi. Se distruggiamo la vita della città, distruggiamo il patrimonio che ci è stato consegnato ma distruggiamo anche la esperienza che della vita di Venezia il visitatore può fare, e così rinunciamo alla parte più dinamica, ricca e interessante degli stessi flussi turistici, quella che andrebbe invece attratta e valorizzata in tutti i modi.
Bibliografia di riferimento
Giuseppe Tattara e Gianni Fabbri autori, con R.Bartoloni e F. Migliorini, “Governare il turismo e organizzare la città”, 2018
Rete SET - Italia, 07 Ottobre 2018. Si consolida in Italia la costruzione di una rete di città unificate dalla volontà di costruire una voce critica ed una forma attiva di resistenza contro l'attuale modalità di gestione dello sviluppo turistico nel nostro Paese. (c.z.)
Qui il manifesto fondativo della rete pubblicato da Eddyburg in Aprile.
CITTÀ ITALIANE DI FRONTE ALLA TURISTIFICAZIONE
Napoli 18 - 19 - 20 ottobre 2018
Il 24 aprile 2018 è stato pubblicato il manifesto fondativo della rete SET – Sud Europa di fronte alla Turistificazione. Un’iniziativa nata in particolar modo dall’esperienza di alcune città europee, tra cui Venezia e Barcellona, che prima di altre hanno dovuto affrontare gli effetti deleteri del turismo di massa. In Italia, nel giro di pochissime settimane la rete si è ampliata raccogliendo adesioni da parte di associazioni, movimenti, attivisti, ricercatori e cittadini che si sono mobilitati e uniti in molte città, a dimostrazione dell’urgenza di porre con forza la questione della turistificazione anche laddove il processo non ha ancora raggiunto i devastanti effetti dell’overtourism. Questo perché la trasformazione della scena urbana, all’aumentare del flusso turistico mondiale, avviene oggi ad una velocità tale che lascia ben poco spazio alle realtà locali per negoziare un proprio modello sostenibile di ospitalità e gestione del flusso. L’impatto del turismo si materializza in modo dirompente investendo l’abitare, il commercio, lo spazio pubblico, il lavoro, l’ambiente, non solo a Venezia e a Firenze, ma anche a Napoli, Bologna, Genova, Roma, Rimini e in molti altri luoghi di un Paese che vanta da sempre numeri da record nel settore turistico. Le ricadute sono complesse e non è sempre facile prevederne i rischi. Per queste ragioni SET sta creando uno spazio di confronto e di approfondimento continuo tra città e territori investiti dal processo di turistificazione, operando nell’Europa del Sud e in particolar modo contrastando l’idea, al momento egemone, che per alcune città non ci sia altra fonte di ricchezza economica se non il turismo di massa. La vita e la morte di questi luoghi sembra quindi giocarsi sulla sottile soglia tra il vivere anche di turismo e il vivere solo di turismo. Ma sappiamo bene che svendere la città e allontanare da essa il suo elemento costitutivo, la cittadinanza, non è la soluzione.
Il manifesto SET dello scorso aprile ha pertanto inquadrato gli aspetti critici comuni alle diverse esperienze locali: l’aumento della precarizzazione del diritto all’abitare, l’aumento del costo della vita, la trasformazione delle attività commerciali locali e dei servizi per i residenti in attività turistiche, la precarizzazione delle condizioni lavorative, l’ampliamento costante e spesso nocivo delle infrastrutture, la massificata occupazione di strade e piazze da parte del flusso dei visitatori, l’aumento dei tassi di inquinamento (rifiuti urbani, aerei, navi da crociera ecc.), fino alla trasformazione del centro storico in parco tematico. Tutto questo adesso diventa materia di discussione e di confronto in una densa tre giorni di incontri, dibattiti e tavole rotonde organizzata a Napoli dall’assemblea locale e dalla rete SET italiana. Giovedì 18, venerdì 19 e sabato 20 ottobre, discuteremo le varie modalità attraverso le quali il processo di turistificazione si declina nelle città italiane coinvolte, condividendo esperienze, strumenti e proposte da mettere in campo. Con noi ci saranno Salvatore Settis, Tomaso Montanari e Filippo Celata.
PROGRAMMA DELL'INCONTRO SET – ITALIA
Napoli 18-19-20 Ottobre 2018
GIOVEDì 18 POMERIGGIO Stato dell’arte
Sede: Ex-Asilo Filangieri – Vico Giuseppe Maffei 4
Ore 17.30_ Presentazione rete SET e assemblea plenaria
VENERDì 19 MATTINA Tavoli tematico-propositivi
Sede: Santa Fede Liberata - Via S. Giovanni Maggiore Pignatelli, 2
Ore 10.30_ Inizio lavori
Tavolo 1: Piattaforme locazioni brevi e questione casa
(inasprimento del mercato immobiliare, difficoltà di accesso alla casa, espulsione di popolazione)
Tavolo 2: Lavoro e commercio
(che genere di attività porta la turistificazione, che condizioni di lavoro connesse, quali attività locali stiamo perdendo)
Tavolo 3: Spazio pubblico tra turismo e militarizzazione
(in che modo le geografie della militarizzazione, l’operazione strade sicure dell’esercito italiano, l’arredo urbano anti-sfondamento e anti-sosta, interagiscono con la costruzione delle enclave turistiche all’interno della città)
Tavolo 4: La narrazione tossica dell'industrializzazione turistica
(confronto tra le narrazioni, ruolo degli attori strategici, processo di specializzazione del territorio e retoriche connesse)
Ogni tavolo sarà coordinato da due persone e produrrà un report per il dibattito del pomeriggio, cercando di inquadrare azioni, proposte e strumenti da consolidare/sperimentare/adottare/confrontare (se già adottati altrove).
Sede: Cortile di Santa Chiara – angolo Via Santa Chiara/Via Benedetto Croce (in alternativa cappella di Santa Fede Liberata - Via S. Giovanni Maggiore Pignatelli, 2)
Ore 16.30_ Report e discussione dei diversi tavoli al Santa Fede
A seguire_ Dibattito e assemblea pubblica nel cortile di Santa Chiara
Sede: Santa Fede Liberata - Via S. Giovanni Maggiore Pignatelli, 2
Ore 11.00_ Come comunica SET (al suo interno e con l’esterno)
A seguire passeggiata nei luoghi simbolo della trasformazione in corso a Napoli.
Internazionale, 3 agosto 2018. E' l'emblema del turismo di massa e del conflitto tra turisti e abitanti, sul quale si stanno concentrando molte critiche. Un suo controllo è certamente indispensabile, ma non è l'unico aspetto da rivedere se non si vuole lasciare le città in balia della turistificazione. (i.b.)
Svegliarsi in un appartamento affittato su Airbnb può dare un senso di smarrimento. Dove siete? L’acciaio satinato, le lampadine a vista, l’arredamento anni cinquanta. Le pareti vivaci e la libreria (una guida per padroni di casa raccomanda di aumentare “la personalità, non gli oggetti personali”). La cartina plastificata del quartiere, l’inglese non impeccabile e infarcito di punti esclamativi. Il wi-fi eccellente. Potreste essere a Lisbona, ma forse siete a San Pietroburgo.
La rivista online The Verge descrive l’estetica di Airbnb come l’“allucinazione della normalità”, una frase presa in prestito dall’architetto olandese Rem Koolhaas. È per questo che può anche offrire al viaggiatore stanco l’impressione di una casa autentica.
Non tutti gli europei la pensano allo stesso modo. Quest’anno i visitatori che si preparano alla stagione delle vacanze potrebbero ricevere uno spiacevole benvenuto. Le proteste contro i turisti sono diventate, in alcune città, un rituale estivo. Nell’agosto 2017 duecento abitanti hanno occupato una spiaggia di Barcellona per dire ai visitatori di sloggiare (o perlomeno di alloggiare in albergo).
In varie città è emerso un genere di protesta ricorrente. I viaggiatori che usano Airbnb stravolgono alcuni quartieri e fanno arrabbiare i residenti. Gli alimentari e le biblioteche sono stati trasformati in caffè tutti uguali tra loro e in negozi di affitto delle biciclette per turisti. Mano a mano che gli affitti di case colonizzano nuove zone, gli abitanti vengono cacciati via (il 18 per cento degli alloggi nel centro di Firenze è affittato su Airbnb, secondo uno studio). Gli “oligarchi” di Airbnb accumulano alloggi e profitti. Mercati immobiliari già di per sé saturi come Amsterdam sono ulteriormente soffocati quando i proprietari ritirano dalla vendita o dall’affitto a lungo termine le loro case, riservandole ai turisti.
Non tutte queste affermazioni riguardano Airbnb, che però incanala più di tutti le paure delle città europee che si sentono assediate dal turismo di massa, e i politici hanno cominciato ad accorgersene. Nel 2015 Barcellona ha eletto una sindaca di sinistra che ha promesso di mettere un freno agli eccessi del turismo. Ha cominciato con Airbnb, multandola per aver messo in affitto proprietà immobiliari non registrate.
Se Uber è stato l’enfant terrible dell’economia della condivisione, Airbnb, che il prossimo mese festeggia il suo decimo anniversario, si è comportato come il suo fratello maggiore e più discreto. Uber ha predicato (e praticato) il cambiamento radicale e il caos, e ha generalmente perso la sua battaglia con le autorità in Europa. Ma Airbnb ha raccontato una storia più accettabile, parlando di turisti che rinunciavano all’anonimato degli alberghi a favore dell’autenticità dei quartieri oppure di padroni di casa che ricavavano qualche euro dai loro spazi vuoti.
L’improvvisata indagine effettuata su Facebook da parte di chi scrive ha rivelato un sorprendente grado di apprezzamento per Airbnb da parte sia dei padroni di casa sia dei visitatori.
Ma anche se la rivolta è iniziata negli Stati Uniti, dove è nato Airbnb, oggi è più forte in Europa, il suo principale mercato. Da Amsterdam a Berlino, passando per Madrid, le autorità cittadine stanno inasprendo le regole, limitando il numero di giorni nei quali un appartamento può essere affittato e comminando multe ai trasgressori.
Parigi, il gioiello europeo nella corona di Airbnb, gli ha fatto causa per non aver rimosso gli appartamenti non registrati dal suo sito (anche New York ha imposto l’obbligo di registrazione). La Commissione europea ha generalmente esitato a prendere posizione. Ma ha ordinato a Airbnb di rendere alcune delle sue tariffe più trasparenti minacciando azioni legali.
In parte si tratta di problemi che emergono quando le vecchie regole si scontrano con lo sviluppo di un’innovazione. Perfino il principale nemico di Airbnb, quel settore alberghiero gettato nello scompiglio dalla sua nascita, non ne auspica la scomparsa (almeno non in pubblico). Alcuni eccessi di severità da parte delle autorità si sono già ammorbiditi. Berlino, per esempio, non vieta più l’affitto di appartamenti su Airbnb tout court. Le autorità di Amsterdam hanno dichiarato che i loro limiti agli affitti hanno ridotto il numero di alberghi illegali in città.
Nuovi mercati
Regole più dure non sembrano aver messo in ginocchio Airbnb, almeno a giudicare dalle offerte presenti sul suo sito. Le città europee hanno un posto importante nella sua più recente lista di destinazioni “alla moda”. Eppure per alimentare ulteriormente la crescita nei prossimi due anni, che si annunciano incerti, dovrà esplorare nuovi mercati, per esempio quello dei viaggi di lavoro. Airbnb permette già ai suoi padroni di casa di vendere “esperienze” (cose come la cerimonia di vestizione del kimono oppure corsi di fotografia tradizionale). Una presenza più forte potrebbe portare a tensioni con i residenti.
Eppure sarebbe ingiusto accusare questa piattaforma di tutti i difetti del turismo di massa. Al contrario delle orde di turisti in crociera che hanno reso insopportabili il centro di Venezia e Dubrovnik, gli utenti di Airbnb rimangono, per definizione, in città. Ci sono alcune prove del fatto che Airbnb favorisca nuovi viaggi o perlomeno che allunghi quelli esistenti, il che suggerisce che i turisti spendano denaro che altrimenti sarebbe rimasto nel loro luogo di residenza.
Gli abitanti di città dell’Europa orientale come Varsavia e Zagabria sostengono che i visitatori di Airbnb migliorano gli standard della permanenza e alimentano un clima di amicizia. E per ogni viaggiatore consumato secondo cui Airbnb ha perso la sua vera anima, altri dieci apprezzano la varietà di scelta, la convenienza e la concorrenza che esso fornisce.
“I grandi alberghi sono sempre stati degli specchi delle società in cui operano”, ha scritto Joan Didion. Airbnb evidenzia una stranezza della nostra epoca, in cui il desiderio di autenticità può danneggiare proprio quegli abitanti del posto che in teoria dovrebbero fornirla. Forse una stretta delle autorità potrebbe riportare Airbnb alle origini, quelle di un servizio di affitto di spazi vuoti in casa, come vorrebbero molti funzionari europei. Chi scrive è tra quanti hanno deciso di rinunciare al surrogato di autenticità di Airbnb, preferendogli alberghi che non aspirano a essere altro rispetto a quello che sono.
Traduzione di Federico Ferrone da settimanale britannico The Economist.
La città invisibile, 12 luglio 2018. Un altro servizio per il consumatore globale, e un altro passo verso la trasformazione di Firenze da città a Mall. (i.b.)
Firenze. Cinquantotto corse dirette collegano giornalmente la stazione ferroviaria di Santa Maria Novella con il centro commerciale The Mall, il «luxury outlet» (nel comune di Reggello) che conta più di due milioni e mezzo di visitatori l’anno.
Il servizio è garantito da due società di trasporti, che operano in concorrenza. L’una (più o meno) pubblica: BuSitalia Sita Nord (del gruppo FS). L’altra privata: Firenzi Servizi. Sì, avete letto bene: Firenzi. Un bel gioco di rimandi: Fi come Firenze, Renzi come Renzi. Un’assonanza (del tutto casuale, ci mancherebbe) che riporta alla mente le indagini giudiziarie che vedono coinvolti i Renzi, genitori di Matteo da Rignano, in una vicenda di fatture false, inerenti proprio al centro dell’outlet di lusso, nato sotto le insegne di Gucci.
Vediamo da vicino le due “offerte” ai plotoni di turisti, pazzi per il made in Italy.
1) La società del gruppo Ferrovie dello Stato, BuSitalia – attiva anche nel turistico City Sightseeing con bus rossi a due piani – impiega, esclusivamente per la tratta in questione, quale «servizio a mercato», una flotta di pullman neri col logo del Mall a caratteri cubitali. Propaganda su gomma. Dal canto suo, Trenitalia fornisce, sul sito ufficiale, il “servizio integrato” di vendita del biglietto (7 euro) unitamente a tratta ferroviaria. 17 corse al giorno in andata e 19 di ritorno. Nell’orario estivo si contano 36 corse in totale dalla stazione Santa Maria Novella a quella “Firenze The Mall” (così nel sito di Trenitalia). La fermata Firenze The Mall è in località Leccio, a due chilometri e mezzo dalla stazione ferroviaria di Rignano sull’Arno. Poteva dunque bastare una navetta. E invece si è preferito investire nell’acquisto di pullman lussuosi, «al top dell’offerta nella categoria in termini di comfort». Così nel febbraio 2016 BuSitalia Sita Nord acquista – per lo svolgimento di questo servizio – cinque mezzi Setra, 14 metri, due piani, 84 posti a sedere, «tetto panoramico». Costo totale 2,2 milioni di euro.
2) L’offerta ad uso esclusivo degli shopping tourists è raddoppiata dalla Firenzi Servizi S.r.l., «da anni nel settore trasporto di persone», al servizio dei «moderni touristic trend». Dal gennaio 2016 il servizio è attivo, autorizzato dalla Città Metropolitana presieduta da Dario Nardella, sindaco di Firenze. Gli autobus sono bianchi, privi stavolta del logo, ma con esplicite iscrizioni sulle fiancate, in inglese, giapponese e cinese. 22 corse in totale (biglietto a 5 euro, 2 in meno del servizio “pubblico”) partono e arrivano a piazzale Montelungo, a 100 m dalla stazione di SMN dove gruppi di giovani hostess propongono, sorridenti, un viaggio che promette sicura soddisfazione ai fanatici dell’acquisto. La Firenzi offre anche un servizio navetta che recupera i più pigri direttamente in albergo.
Un impeccabile – e iperdimensionato – servizio al consumatore globale. Un altro passo verso la trasformazione della città in un gigantesco centro commerciale, la cupola brunelleschiana ridotta a immagine pubblicitaria al centro di una rete di terminal del consumo, dai Gigli al the Mall. E un’insostenibile aggiunta di carico per una città già asfissiata dal traffico su gomma e dai pulmann a servizio del turismo globale.
Per i “cittadini” vale sempre di più il vecchio detto: Lavora Consuma Crepa.
Tratto dalla pagina qui raggiungibile.
The conversation. 7 maggio 2018. Un altro dato allarmante sulla turistificazione: il turismo globale produce complessivamente circa l'8% delle emissioni globali di gas serra. (i.b.)
The carbon footprint of tourism is about four times larger than previously thought, according to a world-first study published today in Nature Climate Change.
Researchers from the University of Sydney, University of Queensland and National Cheng Kung University – including ourselves – worked together to assess the entire supply chain of tourism. This includes transportation, accommodation, food and beverages, souvenirs, clothing, cosmetics and other goods.
Put together, global tourism produces about 8% of global greenhouse gas emissions, much more than previous estimates.
Tourism is a trillion-dollar industry, and is growing faster than international trade.
To determine the true emissions produced by tourism, we scanned over a billion supply chains of a range of commodities consumed by tourists. By combining a detailed international trade database with accounts tracking what goods and services tourists bought, we identified carbon flows between 160 countries from 2009 to 2013.
Our results show that tourism-related emissions increased by around 15% over that period, from 3.9 gigatonnes (Gt) of carbon-dioxide equivalent (CO₂-e) to 4.5Gt. This rise primarily came from tourist spending on transport, shopping and food.
We estimate that our growing appetite for travel and a business-as-usual scenario would increase carbon emissions from global tourism to about 6.5Gt by 2025. This increase is largely driven by rising incomes, making tourism highly income-elastic and carbon-intensive.
In the study, we compared two perspectives for allocating responsibility for these emissions: residence-based accounting and destination-based accounting. The former perspective allocates emissions to the country of residence of tourists, the latter to the country of destination. Put simply, are tourism-related carbon emissions the responsibility of travellers or tourist destinations?
If responsibility lies with the travellers, then we should identify the countries that send the most tourists out into the world, and find ways to reduce the carbon footprint of their travel.
On the other hand, destination-based accounting can offer insights into tourism spots (like popular islands) that would benefit most from technology improvements and regulations for reducing the carbon footprint of tourism.
Tracking emissions under destination-based accounting over a specific period could help researchers and policymakers to answer questions about the success of incentive schemes and regulations, and to assess the speed of decarbonisation of tourism-related sectors.
So how do countries rank under the two accounting perspectives? The United States is responsible for the majority of tourism-related emissions under both perspectives – many people travel both from and to the US – followed by China, Germany and India.
But on a per-capita basis, the situation looks rather different. Small island destinations have the highest per-capita destination-based footprints. Maldives tops the list – 95% of the island’s tourism-related emissions come from international visitors.
Tourists are responsible for 30-80% of the national emissions of island economies. These findings bring up the question of the impact of tourism on small island states.
Small islands depend on income from tourists. At the same time, these very tourists threaten the native biodiversity of the islands.
Small island states typically do not have the capacity to embrace technology improvements due to their small economies of scale and isolated locations.
Can we lend a helping hand? Directing financial and technical support to these islands could potentially help with efforts to decarbonise their infrastructure. This support would be a reflection of the share of consumer responsibility, especially from developed nations that are “net travellers”.
Maldives, Mauritius and other small islands are actively exploring ways of building their renewable energy capacity to reduce the carbon intensity of local hotels, transport and recreational spots.
We hope that our study provides a starting point for conversations between the public, companies and policymakers about sustainable tourism.
Ultimately real change will come from implementing regulations and incentives together to encourage low-carbon operations. At a personal level, though, it’s worth looking at the carbon-cost of your flights, choosing to offset your emissions where possible and supporting tourism companies that aim to operate sustainably.
infoaut.org, maggio 2018. Un dossier sulle molteplici trasformazioni e ristrutturazioni urbane dovute al turismo - "l'industria pesante del nostro secolo" - spiegate in otto punti in cui teoria, inchiesta, casi studio e indicazioni politiche sono articolate assieme. (i.b.)
Il concetto di touristification, reso in lingua italiana con turistificazione, è salito in maniera rapida all'onore delle cronache nostrane negli ultimi tempi, grazie all'evidente impatto che l'industria turistica sta avendo nel ridefinire le nostre città in parallelo alla diffusione sempre più forte dell'utilizzo, come ospite o come ospitante, di portali come Airbnb, piuttosto che dei voli offerti da compagnie aeree low-cost come RyanAir. Tuttavia, la turistificazione è ancora qualcosa di difficilmente afferrabile in tutte le sue sfaccettature.
Una prima definizione minima potrebbe essere quella di concetto che racchiude al suo interno la molteplicità delle conseguenze del turismo di massa sulla ristrutturazione degli spazi urbani o di alcune loro sezioni. Indubbiamente molto vago: siamo ancora sprovvisti di una definizione utile a individuare, collegandole in un quadro interpretativo unico, tutte le tematiche che potrebbero essere riferite a una parolina sempre più in voga.
Di conseguenza, ed è questo che ci interessa in maniera particolare, l'impatto del turismo in quanto fenomeno di massa è elemento da cogliere per poter innovare teoria e prassi politica dei movimenti sociali sul tema dell'urbano, della contesa dei suoi spazi, allargando e rinnovando quanto spesso espresso con l'etichetta "diritto alla città". Per evitare analisi troppo astratte, che rischiano di scadere in una generalizzazione slegata dalla dimensione reale, abbiamo provato ad affrontare il tema prendendo in esame alcuni casi specifici di processi di turistificazione. Partire da alcuni casi specifici è utile anche a costruire una definizione più ampia del concetto, tenendo in considerazione allo stesso tempo le peculiarità dei singoli contesti urbani e la riproposizione di alcune invarianti all'interno di questi.
Obiettivo di questo dossier è quello di verificare alcune ipotesi di ricerca sul tema dell'impatto del turismo di massa sulle trasformazioni dello spazio urbano, attraverso la discussione critica di saggi, articoli di giornale e di interviste raccolte con alcuni attivisti e/o docenti di diverse città europee come Atene, Barcellona, Berlino, Lisbona, Marsiglia e Parigi.
Tesi 1: La turistificazione non e' un processo omogeneo
Da un lato il turismo si afferma come flusso stagionale di possibili profitti, dall'altro come flusso permanente. La distinzione non è di poco conto: la sostituzione di un'organizzazione economica di un territorio complessa in favore di una in cui domina una sola prospettiva di sviluppo rischia di innescare dinamiche in cui una economia basata pienamente o quasi sul turismo può divenire di fatto, con una metafora agricola, una monocultura, la quale elimina tutto ciò che non si adegua ad essa o che con essa non è compatibile. La problematicità di questo aspetto è che una crisi economica, oppure eventi come attentati e crisi politico-amministrative, possano avere un effetto simile come quando nel mercato agricolo viene a cadere il prezzo di una materia prima, facendo scoppiare la "bolla" e mandando nel panico un'intera città.
Il caso di Parigi ad esempio è peculiare e differente rispetto alla maggioranza delle città che vedono in recenti processi di turistificazione una rivoluzione copernicana del proprio assetto. Prendiamo la questione abitativa, uno dei temi cardine su cui si focalizza l'analisi dei processi di turistificazione. Nella capitale francese la rendita immobiliare produce da parecchio tempo un effetto di svuotamento dei quartieri, che si sono progressivamente caratterizzati con affitti a canoni altissimi, attivati per brevi periodi di tempo. Eppure, secondo i dati del sito Insideairbnb, per quanto da scorporare per zona, gli affitti medi di interi appartamenti gestiti attraverso Airbnb sono di tre mesi. L'algoritmo non gira certo dunque sul "turismo di massa" di brevissimo periodo, come ad esempio registrato a Lisbona o Marsiglia o Berlino, quanto piuttosto su una soggettività che vive il territorio urbano e i suoi quartieri in modo saltuario e per periodi medio-brevi.
Un fenomeno tipico delle grandi metropoli globali, almeno quelle egemoni sul mercato mondiale, che non si riproduce nello stesso modo in città che hanno subito una recente accelerazione di processi di turistificazione. In merito ai quali non si può negare l'importanza delle relazioni internazionali. Il turismo ha svolto un ruolo centrale nella trasformazione della città di Lisbona, non casualmente nel periodo seguente alle imposizioni al Portogallo della Troika. La strategia utilizzata per uscire dalla "crisi" e ripagare i prestiti senza rinunciare alle misure di austerità divenne trasformare il Portogallo in una destinazione turistica economica e a basso costo, ricalcando quindi quanto avvenuto per la Grecia e calcando ulteriormente la linea divisoria tra chi “subisce” la crisi e chi invece può permettersi di “governarla”. Le differenze nei processi di turistificazione tra città come Berlino e Lisbona, che affronteremo via via proseguendo, la dicono lunga.
In generale, come ricorda Clara Zanardi nel testo pubblicato sull'ebook “Città, spazi abbandonati, autogestione” (pubblicato da InfoAut nel gennaio 2018) bisogna evitare narrazioni troppo semplificate di questi processi, ricorrendo ad un modello troppo lineare di interpretazione, secondo cui il turismo avrebbe effetti su realtà locali intese in senso statico. "E' necessario evitare di ridurre ad un semplice determinismo causale quella fittissima rete di azioni e retroazioni che al contrario caratterizza i processi di turistificazione". Molto spesso il turismo non è causa unica di un dato sviluppo urbano, ma "uno dei fattori di un processo di trasformazione socio-economica assai ampio ed articolato, dove la località stessa si costituisce come esito perpetuamente dinamico e rinegoziabile di trasformazioni al tempo stesso endogene ed esogene".
Tesi 2: Non c'e' turistificazione senza “grandi opere”
La dimensione quantitativa del turismo come fenomeno sociale è in ultima istanza relativa alla possibilità di spostamento, ai vincoli economici e tecnologici alla mobilità delle persone. Ne deriva il fatto che le rivoluzioni logistiche e comunicative che stanno caratterizzando l'ultimo ventennio vanno prese come punto dirimente di un percorso di analisi della questione. In tutti i casi oggetto di attenzione, la costruzione di grandi infrastrutture logistiche, la loro ristrutturazione o il loro migliore collegamento con le altre infrastrutture si sono rilevati motore di avviamento di processi di turistificazione ed intensificazione dell'impatto turistico sulla città o su suoi determinati quartieri. Il nuovo aeroporto internazionale di Atene, in funzione dal 2001, ne è un esempio, così come lo svuotamento del porto di Marsiglia da attività di tipo industriale a beneficio di quelle del tipo crocieristico, con banchine di proprietà di imprese come Costa Crociere.
Tesi 3: Stato e mercato sono entrambi decisivi per la turistificazione
Tesi 4: Il ruolo di airbnb nella turistificazione non riguarda solo il diritto all'abitare
Tesi 5: La turistificazione e' un processo a somma zero
Ironia della sorte, molto spesso i processi di turistificazione, oltre ad essere narrati come a beneficio dell'interesse generale di una città, hanno anche l'effetto di fomentare divisioni interne alla popolazione. Nel caso di Marsiglia ad esempio, la volontà é stata quella di "riconquistare" il centro storico, "renderlo ai marsigliesi", come se gli attuali abitanti delle classi popolari non lo fossero. Finanziamenti e sgravi fiscali sono stati resi possibili a norma di legge per promuovere l'accesso alla proprietà immobiliare a classi sociali più agiate, iniziative come "Euroméditerranée" o "Opération Grand Centre Ville" hanno permesso di acquisire interi isolati e ristrutturarli (o più spesso per demolirli e poi ricostruire), con la volontà di ampliare il centro città. Ovviamente il processo non è neutro: ristrutturare spazi pubblici serve a renderli più adatti alle esigenze del turista che alle attività sociali esistenti, spesso classificate come "devianti" quando sono semplicemente alternative ad una indiscriminata messa a profitto del territorio.
Tesi 6: La turistificazione e' (anche) una questione di narrazione
Tesi 7: la turistificazione intensifica il controllo poliziale degli spazi
Tesi 8: La colpa della turistificazione non e' del turista
Come dare una lettura critica a questi processi? La risposta non è semplice. Inanzitutto vanno definiti i punti focali. Il primo che viene in mente è chiaramente il diritto all'abitare, messo sotto pressione in maniera evidente dai processi che abbiamo descritto. A Marsiglia sul tema del diritto all'abitare pensato in senso allargato come diritto alla non-espulsione dai propri quartieri oltre che dalle proprie case, si puo citare le attività dell'associazione "Un centre ville pour tous", che ha agito al fianco e in difesa degli abitanti espulsi dai loro alloggi negli ultimi dieci-dodici anni e che ora ha aperto una sorta di osservatorio permanente sul nuovo "Plan local d'urbanisme intercomunale" che è il progetto con il quale le istituzioni cittadine stanno immaginando ulteriori progetti di ristrutturazione della città.
Altreconomia, 1 marzo 2018. Altri modelli di turismo e di economia sono possibili: vengono dal basso, ambiscono a creare nuove relazioni, sono sostenuti dal rispetto per il territorio dove si vive e si ha voglia di cambiare (i.b.)
A Cerreto Alpi, un paesino in provincia di Reggio Emilia, non nascevano bambini da almeno sei anni. Una sessantina gli abitanti registrati all’anagrafe, la maggior parte anziani e le loro badanti. Alle spalle una storia di oltre mille anni (Cerreto viene nominato in un documento datato 835 ed è uno dei territori comunali più ricchi di storia dell’intero Appennino emiliano) e davanti a sé un futuro incerto.
Un piccolo paese che come tanti rischiava di scomparire, svuotato. Fino a quando un gruppo di ragazzi, poco più che ventenni, hanno deciso di riscrivere questo destino. “L’ultimo bar aveva chiuso nel 1995 -ricorda Erika Farina-. Eravamo un gruppo di amici nati e cresciuti a Cerreto, ci univa l’amore per questo paese e per il territorio. Non volevamo trasferirci in città”. Così nel 2003, con una piccola quota di 100 euro a testa, hanno fondato la cooperativa di comunità “Briganti del Cerreto” che oggi conta dieci dipendenti, di cui sette a tempo indeterminato. Le risorse vengono dal turismo (circa 1.500 pernottamenti in antiche strutture recuperate), eventi (tra cui il “Campionato mondiale del fungo” che attrae visitatori anche dal Giappone) e attività di forestazione e cura dei boschi. “L’obiettivo era fermare lo spopolamento di Cerreto. Credo che siamo riusciti ad arginare il fenomeno: alcuni sono tornati, sono nati dei bambini. D’estate il paese esplode: tanti che avevano qui delle seconde case le hanno ristrutturate”, dice Erika.
Esperienze come quella di Cerreto possono essere un modello positivo per altri territori che si trovano nella stessa situazione. Valli montane lontane dal turismo di massa, territori distanti dalle grandi città e dalla costa. Aree fragili dove la mancanza di servizi e di lavoro ha spinto nel tempo sempre più persone a partire, per trovare impiego e migliori opportunità nelle città.
Ma questi modelli non possono essere calati dall’alto: ricopiare uno statuto e mettere a disposizione dei fondi non basta. “Nel deserto non si semina. Servono una buona comunità, una minoranza visionaria, folle e sognatrice che sappia riconoscere le potenzialità di un luogo. Oltre a un contesto istituzionale favorevole che accompagni il percorso”, spiega Giovanni Teneggi, responsabile del progetto “Cooperative di comunità” di Confcooperative.
Ingredienti che si trovano anche a Dossena, 921 abitanti in provincia di Bergamo, un’area nota fin dall’antichità e sfruttata dal 1800 per l’estrazione di minerali ferrosi. Proprio attorno alle miniere ormai abbandonate, si è sviluppato il progetto di rilancio del paese portato avanti da un gruppo di ragazzi. Un percorso avviato nel 2014, con i primi interventi di pulizia delle miniere abbandonate e che ha portato, l’anno successivo, alla fondazione dell’associazione “Miniere di Dossena”. “Nel 2017 abbiamo portato a Dossena circa 2.800 visitatori con le visite guidate”, spiega Paolo Alcaini che, con i suoi 32 anni, è uno dei volontari più anziani.
Ma i giovani di Dossena non si sono fermati qui e nel 2016 hanno dato vita a una cooperativa di comunità (“I raìs”, le radici). “Facciamo manutenzione del verde, pulizia degli spazi comunali, consegna pasti a domicilio -racconta Paolo-. E abbiamo attivato un bar negli spazi di un albergo abbandonato da una decina d’anni. Complessivamente diamo lavoro a cinque persone”. Negozi di comunità, attivazione di servizi di base per i residenti, promozione del turismo sostenibile sono alcuni degli ingredienti del progetto “AttivAree” promosso da Fondazione Cariplo per “riattivare le aree marginali di riferimento della Fondazione” in Lombardia e nel Verbano-Cusio-Ossola. Dieci milioni di euro messi a disposizione dal 2016 al 2018 per contenere lo spopolamento delle aree interne dell’Oltrepò Pavese (con il progetto “Oltrepò biodiverso”), della Val Trompia e della Val Sabbia (“Valli resilienti”), creare una rinnovata identità locale, offrire servizi alla popolazione e promuovere il turismo sostenibile. “La Val Trompia e la Valle Sabbia hanno una vocazione industriale e agricola nel fondovalle, al confine con Brescia”, spiega Giulia Corsini, responsabile della cooperativa “Andropolis” e coordinatrice dei “Negozi di vicinato” del progetto “Valli resilienti” in 25 Comuni della zona. Per contrastare lo spopolamento, si è deciso di investire sulle botteghe “che nei borghi di montagna spesso sono l’unico punto d’incontro comunitario -spiega Corsini-. Da qui l’esigenza di offrire una pluralità di servizi all’interno di un singolo spazio”. La bottega di Livemmo a Pertica Alta e la formaggeria Trevalli a San Colombano di Colio sono i primi due negozi dove si sperimenterà il progetto. Oltre alla rivendita di prodotti alimentari e di consumo, saranno offerti diversi servizi come il ritiro delle ricette mediche e dei farmaci o il disbrigo di piccole commissioni. Il tutto attraverso un’app.
E non c’è paese che si rispetti senza un bar. Ma a Lavenone (BS), l’ultimo aveva chiuso i battenti nel 2016. A prendere il suo posto è stato il bar “Co.Ge.S.S.” (gestito dall’omonima cooperativa sociale), dove lavorano persone con disabilità: “Siamo diventati l’unico punto di aggregazione per la comunità, poco più di 500 abitanti. E siamo parte del tessuto sociale: tanti cittadini del paese si sono attivati per aiutare i nostri ragazzi”, spiega Alessandra Bruscolini, referente della cooperativa, che dopo il bar ha avviato anche la gestione dell’ostello di Lavenone.
La biodiversità, invece, è al centro del progetto promosso da Fondazione Cariplo nelle aree interne dell’Oltrepò Pavese, che coinvolge 19 enti no profit e altrettanti Comuni. Sono previste diverse azioni: dal recupero delle terre abbandonate alla tutela di coltivazioni pregiate, dall’incremento della qualità dei pascoli all’allevamento dell’unica razza bovina autoctona della Lombardia.
“Invertire la tendenza non sarà facile, c’è un po’ di rabbia per questo. Ma ci sono anche la passione e la determinazione a non mollare”. Gianni Andrini è il sindaco di Valverde (PV), uno dei Comuni coinvolti nel progetto dell’Oltrepò dove -grazie al contributo di Fondazione Cariplo- è stato possibile aprire il “Sentiero delle farfalle”, in un’area dove se ne contano oltre 60 specie. “La nostra è una bella zona, ricca di biodiversità. L’obiettivo è attirare il turismo proponendo escursioni e attività di butterfly watching -spiega il sindaco-. Ma il turismo si può fare solo tenendo la gente sul territorio ed evitando la fuga dei contadini che presidiano la montagna. E offrendo servizi”.
Uno di quelli proposti è il maggiordomo rurale. Un factotum che si mette a disposizione degli abitanti per una serie di azioni quotidiane: andare a fare la spesa, prenotare visite in ospedale, consegnare medicinali o recuperare i bambini al doposcuola. “Abbiamo pensato a questa figura e a questo tipo di servizio da un questionario agli abitanti -spiega Valeria Colombi-. Avevamo notato l’esigenza della popolazione di avere servizi integrativi rispetto alla città. In corso d’opera abbiamo aggiunto altri servizi, come l’aiuto agli anziani a spalare la neve, riordinare la legnaia e sistemare l’orto. Azioni semplici, ma molto utili in un territorio dove i collegamenti sono difficili”.
Più a sud, nel 2013 Slow Food ha convocato gli “Stati generali delle comunità dell’Appennino”. Agricoltori, allevatori, artigiani e rappresentanti di consorzi che, l’anno successivo, si sono dati un manifesto con obiettivi chiari: lanciare una nuova stagione di rinascita sociale, economica e di riconquista del tessuto culturale e delle tradizioni dell’Appennino. “Oltreterra – Nuova economia per la montagna” è il progetto di Slow Food Emilia Romagna che promuove, tra l’altro, un servizio per portare il cibo delle piccole aziende agricole locali nelle mense scolastiche dei Comuni del Parco delle Foreste Casentinesi. “L’economia della montagna può ripartire solo dalle sue origini e per farlo serve una gestione consapevole del patrimonio boschivo, anche da un punto di vista economico”, spiega Gabriele Locatelli di Slow Food Emilia Romagna. E all’indomani del terremoto del 2016, Slow Food ha lanciato un progetto per tutelare quelle aree già fragili e colpite dal sisma: “La filiera agroalimentare di qualità è sostenuta dal turismo. Ma il sisma ha portato un calo del 30% delle presenze”, spiega Ugo Pazzi, presidente di Slow Food Marche. È stato quindi fatto un percorso per dare vita a una cooperativa di comunità ed è stato avviato il progetto “La buona strada”, che prevede l’acquisto e l’allestimento di furgoncini che d’estate porteranno le eccellenze alimentari delle Marche verso le località turistiche della costa. Inoltre è stato creato il “Mercato della terra” di Comunanza (AP), per dare una volta al mese una nuova opportunità di vendita ai produttori locali. “È una dichiarazione d’amore per il nostro territorio. Un modo per dire che lottiamo per rimanere”, conclude Pazzi.
Focus, 9 maggio 2018. Non sbaglia chi definisce il turismo sregolato di massa "la peste dei nostri tempi". Studi recenti rivelano la sua perniciosa influenza anche sull'effetto serra. (m.p.r.)
È un messaggio che va un po' in controtendenza, in questo periodo di prenotazioni compulsive: il nostro sacrosanto desiderio di viaggiare potrebbe avere tuttavia un impatto ecologico più pesante di quanto credessimo. Secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change, il turismo è cresciuto a tal punto che è oggi responsabile dell'8% delle emissioni globali di gas serra, un'impronta quattro volte più ingombrante del previsto.
Le nuove stime. Arunima Malik e i colleghi dell'Università di Sydney, Australia, hanno stimato le emissioni annuali di gas serra legate al turismo di 160 Paesi, e concluso che il settore emette ogni anno circa 4,5 gigatonnellate di CO2 equivalente (la CO2 equivalente è una misura che permette di considerare in un unico gruppo anche emissioni di gas serra diversi, con differenti effetti sul clima). Una gigatonnellata (Gt) corrisponde invece a un miliardo di tonnellate.
I costi nascosti. Stime precedenti parlavano di 1-2 gigatonnellate all'anno. Perché si è arrivati a risultati così diversi? Se i calcoli passati consideravano soprattutto l'impatto degli inquinanti viaggi in aereo (responsabili da soli del 12% delle emissioni totali del settore), i nuovi modelli hanno incluso fattori come l'edificazione e la manutenzione degli hotel, i cibi poco a chilometro zero che ci concediamo nei buffet degli alberghi, i souvenir acquistati dai turisti... insomma, le emissioni necessarie a viziare i fortunati - ed esigenti - viaggiatori.
In salita. Anche la crescita delle emissioni sembra crescere in modo allarmante: si è passati dalle 3,9 gigatonnellate del 2009 alle 4,5 del 2013. Se continuiamo a questo ritmo, arriveremo a 6,5 gigatonnellate entro il 2025. A incidere di più sono le emissioni dovute alla scelta di mete esotiche, preferite da ricchi cittadini delle solite economie forti (USA, Cina), ma anche da una fetta crescente di turisti da Paesi emergenti, come India e Brasile.
Di fronte al disagio abitativo, la violazione dei diritti e i danni ambientali provocati dalla crescente ascesa dell'industria turistica, una rete di movimenti del Sud Europa ha creato un manifesto per cominciare ad opporre resistenza. con riferimenti (i.b.)
In molte città del Sud Europa stanno nascendo movimenti di resistenza ai processi di turistificazione che le stanno investendo. Associazioni e collettivi di alcune di queste (Venezia, Valencia, Siviglia, Palma, Pamplona, Lisbona, Malta, Malaga, Madrid, Girona, Donostia/San Sebastian, Canarie, Camp de Terragona, Barcellona) si sono incontrati nel corso dell’ultimo anno in diverse occasioni, con l’obiettivo di condividere e scambiare esperienze e conoscenze.
Anche se ognuna di queste città presenta problemi specifici legati a questo fenomeno, alcuni sono senza dubbio comuni a tutte loro:
Di fronte a questi e altri conflitti, la popolazione locale ha iniziato a organizzarsi per difendere i suoi diritti sociali, primo fra tutti, il diritto a un alloggio dignitoso e accessibile e il diritto alla città. Il lavoro collettivo che nelle nostre città stiamo realizzando spesso comincia dalla messa in evidenza di questi conflitti e dall’acquisizione di una maggiore consapevolezza, passando per la critica al modello turistico e la denuncia delle sue conseguenze, e continuando con la proposta di vie alternative.
Esempi di queste ultime, sono la richiesta di imposizione di limiti all’industria turistica, la deturistificazione dell’economia della città, o la decrescita turistica accompagnata da politiche di stimolo di altre economie più eque dal punto di vista sociale e ambientale. Il grado d’incidenza di questi problemi nelle diverse città non è affatto omogeneo, anzi molto variabile, giacchè spesso dipende direttamente dal grado di turistificazione che le colpisce. Così ci sono stadi più avanzati e gravi, ad esempio Venezia, Palma o Barcellona, dove è evidente la necessità di un cambio di modello e altre, come Valencia, Madrid o Lisbona che, nonostante si trovino immerse in rapidi processi di turistificazione, possono ancora aspirare a politiche di prevenzione o freno.
Su questi e altri argomenti, in queste e in altre città abbiamo trovato molti punti in comune, elogicamente abbiamo iniziato a pensare all’opportunità e necessità di creare una rete internazionale di città colpite dall’industria turistica.
L’obiettivo, oltre al supporto e al confronto reciproci, è di estendere questa lotta ad altre città e territori, creando una voce plurale e potente di critica al modello turistico attuale che si alzi dal Sud Europa. Questo manifesto è il primo passo per la internazionalizzazione della lotta alla turistifcazione delle città e dei territori, attraverso il quale continuiamo il dibattito, la riflessione e la mobilitazione comune.
Riferimenti
Il manifesto della rete SET (Sud Europa contro la Turistificazione) è stato presentato pubblicamente il 24 Aprile in tutte le città coinvolte. Nato sotto la spinta di una serie di organizzazioni e movimenti spagnoli, ha cercato sin dall'inizio di coinvolgere altre realtà europee, soprattutto dei paesi mediterranei, più fragili ambientalmente e più aggrediti dal turismo di massa, diventato oramai la nuova forma di colonizzazione, che relega ai margini - fisici, economici e sociali - i residenti delle città turistiche.
Qui potete accedere al video della rete e alla pagina facebook.
Segnaliamo alcuni dei numerosi articoli sugli effetti dannosi del turismo raccolti in eddyburg. Intramontabile l'articolo di Luigi Scano del 2006 sul Turismo insostenibile, che già allora sosteneva come il turismo minaccia di devastare Venezia. Un breve, ma significativo estratto del libro di Marco d’Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo, dove si spiega come il turismo non solo devasta le città a causa per la sua invadenza nella vita quotidiana dei residenti, ma la uccide in modo più sottile, svuotandola di vita, privandola dell’interiore, proprio come nella mummificazione, facendola diventare un immenso parco a tema, un’immensa Disneyland storica.
Su Venezia, consigliamo il testo di Clara Zanardi Non solo navi. Sull'impatto antropico sul turismo contenente una profonda analisi dell'impatto del business croceristico sulla città. L'intervista al sociologoveneziano Giovanni Semi, Venezia stregata dal turismo urge rompere l'incantesimo sul nuovo capitalismo finanziario che attraverso la monocultura turistica accelera i meccanismi di espulsione e di disuguaglianza abitativa. Dalla penna di Paola Somma si legga Bella gente, sulla quale il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro focalizza le sue politiche urbane, moltiplicando i favori all' industria del turismo e regalando sostanziosi incentivi agli sviluppatori immobiliari che stanno distruggendo il territorio lagunare.
Su Firenze, segnaliamo gli articoli di Ilaria Agostini Firenze. Il turismo consuma il diritto alla casa, che spiega come politiche mercantilistiche hanno cambiato la natura antropologica della residenza, e di Paolo Baldeschi Firenze. La movida, il turismo e la città desiderata, con un ampia analisi dei problemi derivanti dal turismo sregolato di massa e la svendita della città al turismo "ricco".
Il Sole 24 Ore e la Nuova Venezia, 27 aprile 2018. Articoli di Luisanna Benfatti e Alberto Vitucci. Per obbedire all'Unesco si vorrebbero regolare con recinti e tornelli i flussi dei turisti. Con postilla.
Accesso libero per i soli residenti: le misure di controllo
Come si legge nella ordinanza: “In quelle giornate potrà essere deviato l'accesso pedonale sulla direttrice Piazzale Roma, Stazione di Santa Lucia, Strada Nuova, consentendone l'accesso ai soli residenti e frequentatori abituali della città e ai visitatori diretti nel sestiere di Cannaregio e nella porzione del sestiere di Castello limitrofa a San Giovanni e Paolo. I flussi turistici verso Rialto o San Marco saranno fatti proseguire su percorsi alternativi. I lancioni gran turismo provenienti dai Comuni di Cavallino-Treporti, Jesolo, Musile di Piave e Quarto d'Altino avranno il divieto di sbarco in Riva degli Schiavoni e dovranno indirizzarsi alle Fondamente Nuove. Inoltre, il Ponte della Libertà potrà essere limitato alla circolazione dei soli veicoli di chi è abbonato alle autorimesse di Piazzale Roma e Tronchetto, ai taxi, ai veicoli dei noleggiatori e agli autobus di linea, per evitare congestioni in Piazzale Roma.
«Ho voluto firmare un atto pubblico, forse la prima in Italia - afferma Brugnaro - in cui si decreta uno stato di bollino nero per Venezia, con lo scopo di gestire il traffico sia pedonale che acqueo e smistare i flussi delle persone. Il nostro obiettivo è informare quanti vogliono venire a visitare la città che nei prossimi giorni potrebbe esserci un'affluenza straordinaria di persone tale da renderne difficoltosa la visita. Sappiano tutti che i turisti, se vengono rispettando la città, sono i benvenuti. Al tempo stesso, però, abbiamo il compito di salvaguardare Venezia ed è per questo che abbiamo adottato delle misure possibili in base a quanto consentito dall'attuale ordinamento, un'occasione per sperimentare un nuovo sistema di gestione del turismo”.
Il Comune di Venezia, in base alle notizie fornite dalla Polizia Locale, aggiornerà costantemente gli utenti sulle possibili deviazioni di percorso attraverso i propri profili Facebook e Twitter e i siti istituzionali.
Marco Scurati, portavoce del Comitato Turismo Sostenibile, critica la decisione del sindaco “modello garage-aspetto che qualcuno esca per entrare” presa all’ultimo minuto come misura urgente: «Bisognerebbe come abbiamo più volte evidenziato come associazione, porre un limite in tempi diversi che preveda una programmazione più ordinata dei flussi turistici, soprattutto di quelli giornalieri. Venezia è un luogo limitato, è un isola fatta da tante isole collegate da ponti, circondate dall'acqua, strade strette fatte secoli fa, un patrimonio storico da tutelare, non si può estendere in superficie o in altezza su più piani, la compenetrazione dei corpi non è ancora possibile, e il crescente flusso di masse di turisti frettolosi di poche ore è insostenibile. La città si sta spopolando anche a causa dell'eccessiva pressione turistica, è un luogo/prodotto con una domanda infinita ma un'offerta limitata.
Articolo tratto dalla pagina qui raggiungibile
la Nuova Venezia
INCUBO FLUSSI
di Alberto Vitucci
la Nuova Venezia
«GIORNATE DA BOLLINO NERO
Venezia. La parola chiave è «bollino nero». Come per le autostrade. Nei giorni di «bollino nero» scatteranno limitazioni e deviazioni dei flussi pedonali e dei lancioni Gran Turismo. Non è ancora la limitazione dei flussi, ma un primo passo verso la loro regolamentazione. «Abbiamo adottato le misure possibili in base a quanto consentito dall'attuale ordinamento», dice Brugnaro, «un'occasione per sperimentare un nuovo sistema di gestione del turismo». Il sindaco spiega che il Comune sta studiando misure «in accordo con l'Unesco» per diminuire la pressione turistica sulla città storica.
postilla
Politica schizofrenica quella dei governanti veneziani. Eppure i veneziani continuano ad eleggerli. Forse la demenza è scesa dall'alto verso il basso e si è intrufolata nella maggioranza dei cervelli. Da un lato, si spinge per aumentare l'appeal di Venezia, incoraggiando la propaganda delle holding degli affari sul turismo e aggiungendovi quella delle istituzioni veneziane o veneziofagiche (come la Biennale), dall'altro si introducono sistemi apparentemente balordi per veicolare, contare, diramare, disperdere tra calli e callette le torme di visitatori. Ma forse questa trovata dei recinti con tornelli costituisce solo un momento di passaggio verso un obiettivo che oggi non è pronunciabile: fare di Venezia il gigantesco recinto, nel quale può entrare solo chi ha molti soldi.
Non c'è bisogno di avere la sfera di cristallo per leggere un futuro nel quale chi è ricco è ospitato dai resort di lusso (per realizzare i quali si stanno privatizzando i residui spazi pubblici disseminati nella Laguna). Chi invece è povero pernotterà nelle Grandi navi o nei mega-alberghi che si stanno moltiplicando in Terraferma, per essere condotti a visitare la città con giganteschi Zeppelin o grandi barconi a terrazze, raddrizzare e allargare il Canal grande e abolire i tre ponti che lo scavalcano non sarà la peggiore delle devastazioni!
The vision, 18 Aprile 2018. Neanche la Bologna "rossa e fetale" resiste alle seduzioni del mercato, del turismo, dell'estetica asettica, minimalista e omologante. 'Ripulita' dei cantieri sociali, luoghi storici di aggregazione, FICO vuole essere l'immagine della nuova città. Con riferimenti (i.b.)
Negli ultimi anni, al mito della Bologna ribelle del ’77 si vuole soppiantare una nuova visione di città da cartolina, mecca del turismo e della buona cucina. Questo radicale cambio di rotta delle politiche cittadine si è manifestato con interventi chiari e mirati. Un certo tipo di azione politica ed economica deve passare giocoforza dall’identità, e quindi dall’immaginario.
Una “pedana per selfie”: questa è la prima cosa che si incontra all’ingresso di FICO, il megastore dello slow food – circa 100.000 mq – voluto da Oscar Farinetti e inaugurato il 15 novembre in zona Pilastro. La pedana è la prima avvisaglia del modo spettacolarizzato di concepire l’enograstronomia. Il sito di FICO descrive lo spazio come: “Un sorprendente e unico parco tematico agroalimentare, uno straordinario progetto di educazione alimentare per offrire a tutti i visitatori, italiani e stranieri, e in particolare ai giovani, una grande fattoria didattica che richiama e valorizza le eccellenze dell’agricoltura italiana di qualità”.
FICO si presenta come una serie di capannoni non troppo diversi, al loro interno, da un centro commerciale: stand in simil-legno e vari ambienti asettici da industria biotecnologica. A fare da collante fra le due estetiche dominanti sono i bar e i ristoranti, divisi per tema e provenienza regionale. Nelle lunghissime gallerie di FICO troviamo spazi dedicati alla carne, al formaggio, alla pasta e a ogni altro prodotto tipico della cucina italiana. Allo stesso modo vediamo sfilare i padiglioni di Lombardia, Calabria o Puglia, come se si trattasse di un EXPO in sedicesimi. L’idea di FICO è proprio creare una vetrina permanente: cornucopie di prosciutti lasciano spazio a pareti di mele in diverse gradazioni, forme di grana ammonticchiate, pannelli che raffigurano giganteschi tagli di carne. L’esposizione dei prodotti ricorda quella barocca e parossistica di Harrods, ma peggio. Il cibo diventa oggetto, scultura da ammirare.
La definizione “parco divertimenti”, di primo acchito, può sembrare fuori luogo, eppure è in questo solco di attrazione che si configura la presenza di piccole stalle e recinti nell’area esterna – mucche, maiali e cavalli tirati a lucido per essere offerti in pasto all’entusiasmo di bambini e famiglie; e ancora, coltivazioni di menta, basilico e altre erbe aromatiche dalle innumerevoli tonalità di verde pantone.
Lo spazio di FICO, proprio come quello dei centri commerciali, è a dir poco eterogeneo: dentro ci troviamo campetti da beach volley o da tennis, piccole arene, una centrale del latte in miniatura, gli onnipresenti silos che pubblicizzano l’ultimo libro di Farinetti, persino un ufficio postale.
Da ogni angolo, gli slogan sull’autenticità dei prodotti ci ricordano la natura genuina della nostra esperienza. Gigantografie cartonate delle città italiane danno la sensazione di navigare nel bignami di tutto ciò che rappresenta, o dovrebbe rappresentare, il Made in Italy. Ogni elemento suggerisce che siamo nel Paese di Bengodi, in una sorta di ossessiva autoreferenzialità che vorrebbe comunicare l’unicità dei nostri consumi.
Caratteristiche e funzionali all’educazione gastronomica sono le cosiddette “giostre”, alcuni padiglioni adibiti al racconto di un alimento specifico: dalla carne al pesce, dalle sementi al vino. Istallazioni interattive, giochi elettronici e proiezioni ci illustrano lo sviluppo storico di ciò che mangiamo. Benché l’intento sia nobile, il vago sapore illuminista delle spiegazioni fallisce nella trasmissione del sapere; la sensazione è di trovarsi di fronte a installazioni di arte contemporanea di cui non si capisce bene il senso, dalle “giostre” si esce spaesati, capaci solo di disperdersi nelle labirintiche gallerie del megastore.
Il personale si presenta come esasperatamente cordiale, cristallizzato in un sorriso perenne e bardato con abiti a tema, come in un racconto di George Saunders: i costumi tipici dei padiglioni regionali, le tute da lavoro dei centri di produzione, le fogge caratteristiche dello stereotipo Made in Italy, abiti che ricordano il prodotto venduto, come ad esempio completi rossi per la zona macelleria e rosa per quella dei salumi. Ho visto un cameriere, completamente vestito di rosa, spendersi in salamelecchi all’entrata del Bar Mortadella, e pochi minuti dopo, lo stesso, all’esterno, che fumava una sigaretta con gli occhi bassi e la faccia di chi non ha esattamente l’aria di divertirsi. È possibile, del resto, che i tagli di 90 lavoratori interinali operati di recente dalla direzione abbiano generato un certo clima di preoccupazione.
Bisogna considerare che FICO, nonostante le reboanti dichiarazioni di dare lavoro a 3.700 dipendenti, non ha così tanto bisogno di personale, dato che si appoggia al comune, non solo per quanto riguarda i fondi erogati dal Caab, ma anche per l’adesione al progetto di alternanza scuola-lavoro, che coinvolge a titolo gratuito circa ventimila studenti e che sta suscitando molte polemiche.
Prima dell’apertura, l’obiettivo dichiarato dell’affluenza era sei milioni, una stima che, divisa su un anno intero, dovrebbe portare più di 16.000 visitatori al giorno: in pratica un comune italiano di medie dimensioni. L’analista finanziario Roberto Foglietta sostiene che “con un bacino di utenza di 200 milioni, nell’area metropolitana di Londra, attirarne 6 significa servirne il 3%, ma a Bologna significa servire il 50% dei potenziali clienti. Bisognerebbe che in Emilia Romagna il buon cibo e il buon bere italiano fosse più raro e/o costoso di 16 volte rispetto a Londra per avere un fattore di attività che compensi il bacino potenziale. Invece è l’opposto: a Bologna, e più in generale in Italia, l’offerta di FICO è ridondante”.
Durante la mia visita, benché si trattasse un sabato di primavera e per giunta all’ora di pranzo, quello che scarseggiava era proprio l’affluenza di turisti stranieri. FICO è situato in una zona industriale, dove lo sguardo abbraccia solo capannoni e reti stradali, a una decina di chilometri dal centro. Difficile racimolare visitatori, disposti ad allontanarsi dal centro e a spendere dai venti euro in su per un pasto veloce, se persino sul Guardian appaiono recensioni negative.
Il giornale inglese rileva la prima lampante contraddizione del centro agroalimentare: la delocalizzazione rispetto al tessuto urbano. Appare difficile che un turista – transitando da Bologna per un periodo medio di due giorni – decida di spendere un’intera giornata in uno spazio periferico, la cui attrazione principale, il cibo, è facilmente reperibile in centro, che ha dalla sua il patrimonio artistico cittadino. Il Guardian conclude dicendo che “Eataly vuole celebrare la cultura alimentare italiana, ma lo fa in un modo che non è affatto italiano”. Più che un parco agroalimentare ci troviamo di fronte un mall americano, alla “Strip” di Bologna, che sembra prendere le mosse da quella di Las Vegas.
La situazione di FICO nasconde contraddizioni evidenti. David Harvey, nel saggio Città ribelli, rileva che “negli ultimi decenni, il peso dell’imprenditorialità urbana è sensibilmente cresciuto a livello internazionale. Si tratta essenzialmente di modelli specifici di comportamento, all’interno della governante urbana, in cui fluiscono poteri pubblici statali, una vasta gamma di organizzazioni della società civile, e interessi privati, aziendali o individuali, che danno vita a coalizioni per promuovere o gestire un determinato tipo di sviluppo urbano e regionale”, il tentativo è creare una rendita monopolistica, sfruttando le particolarità del territorio. Si investe sul capitale simbolico, sul carattere di unicità che mercificato diventa brand. Il problema del marchio all’interno del commercio risiede nell’omologazione al mercato. Nel caso del turismo questo significa livellare le particolarità di un territorio per inserirle in un determinato immaginario. Quest’opera, volta all’aumento dei flussi turistici, e quindi dei guadagni, rischia di livellare l’unicità dei luoghi, e paradossalmente ridurne così il capitale simbolico e danneggiarne la rendita monopolistica. FICO, come il fenomeno di Eataly, non intrattiene solidi rapporti con il territorio, ma rappresenta l’occasione per una stucchevole parata del culto del buon cibo.
La pedana per selfie all’entrata di FICO assume, allora, i contorni di una schietta metafora: la possibilità di fotografare un marchio che comunica solo se stesso. La visita di questo complesso non trasmette nulla della città che lo ospita, né della cultura che dovrebbe rappresentare. Si tratta solo di una gigantesca vetrina per i prodotti di un brand che vuole facogitare ogni altra declinazione del concetto di Made in Italy enogastronomico, come se sotto i riflettori dovesse esserci un solo attore, a scapito del contesto che lo ha generato. Progetti come questo, vere e proprie cattedrali nel deserto, non aggiungono nulla alla comunità a cui si appoggiano, capitalizzando il patrimonio simbolico per uso privato; e falliscono anche nel valorizzare l’originalità che rappresenta la vera attrazione turistica.
Un territorio fiorente dal punto di vista enogastronomico non ha bisogno di un centro commerciale che svolga una funzione omologante, necessita di politiche mirate che spostino l’attenzione sulla biodiversità delle proprie risorse.
Su eddyburg.it potete leggere diversi articoli su FICO e le 'pericolose relazioni' tra gastronomia e affari, che caratterizzano questa disneyland del cibo e del divertimento. Per saperne di più sugli investitori e Oscar Farinetti, il patron di Eataly, vi consigliamo "Fico, la Disneyland del cibo pronta al debutto", che contiene una spassosa postilla. Per rimanere sul tema dei poteri forti coinvolti leggete "Un giro dentro Fico, la Disneyland del cibo a Bologna". Inoltre: "Fico, la Disneyland del cibo pronta al debutto" di Mara Monti, "Un tram chiamato Farinetti.Gli fanno una linea ad hoc” di Ferruccio Sansa, "Qui si mangia" di Carlo Tecce. Sul fronte della cultura si veda di Tomaso Montanari "Carta e bellezza non fanno rima, Santa Lucia Farinetti, incinta tra le mortadelle, Milano e Firenze, chiese a uso privato"
perUnaltracittà newsletter, 8 aprile 2018. Come 'azione congiunta della "rigenerazione urbana" e dalla perversa politica del comune, asservita alla peste del turismo, tanno distruggendo la città delle persone
Nella Firenze intramuros decenni di politiche mercantilistiche e di vuoto pianificatorio hanno cambiato la natura antropologica della residenza. Vediamo da vicino, dati alla mano, la residenza mutante e i suoi influssi nefasti sulla questione dell’abitare e del diritto alla casa.
Il calo degli iscritti nelle liste elettorali sta però a dimostrare che, dagli anni ’90, i residenti di cittadinanza italiana sono stati progressivamente sostituiti da cittadini stranieri, non solo a basso reddito, che pur ci sono: nel 2017, gli stranieri costituiscono il 22,3% della popolazione del centro storico[2]. Residenti esteri e city users – “fruitori” o “utenti” – non sempre investono nell’abitare di lungo periodo in città: dotati di mezzi economici, essi determinano mutamenti nell’assetto urbano; tuttavia, privi del diritto di voto, hanno scarsa incidenza politica. È la popolazione ideale per governare senza problemi.
A Firenze, città storicamente afflitta da sottoccupazione[3], la spinta economica proviene dalla “fabbrica del turismo”, monocoltura che estrae profitto da un patrimonio culturale che non è in grado di riprodurre. E che anzi consuma: sono oltre 10 milioni le presenze turistiche in città nel 2017.
Dieci milioni di presenze hanno peso notevole nel mercato immobiliare. L’affitto turistico in civile abitazione è salito vertiginosamente: 1.800.000 le presenze in B&B nell’anno passato; si stima una crescita media annua dell’8,5% dal 2000[4].
Nel ciclo di incontri “La fabbrica del turismo”, Stefano Picascia (Ladest-Università di Siena) ha fornito dati significativi: a febbraio 2016 gli “appartamenti interi” offerti su Airbnb raggiungono il 17,9% del totale delle unità immobiliari del centro città, 4.192 unità sulle 23.434 censite nel 2011. È una percentuale molto – troppo – alta, che fa dubitare dell’effettiva residenzialità registrata dai dati censuari. Il centro di Firenze è infatti, tra i 109 capoluoghi italiani, quello con il minor numero di case “vuote o abitate da non residenti”: il 7,5% del totale (Ancsa-Cresme), molte case in meno del 17,9% posto su Airbnb. Questa incongruenza non preoccupa il Comune che, a corto di liquidità, preferisce introdurre come misura antievasione una tassa di tre euro a notte sulla prenotazione: Airbnb accetta di gestire la riscossione delle imposte, e versarle ogni 15 del mese successivo nelle casse del Comune. 6-7 milioni l’anno, un affare nell’affare.
Da una recente indagine di Tecnocasa[5] sappiamo che a Firenze il 93,8% degli acquisti immobiliari entro le mura ha finalità di investimento: il mercato è orientato nettamente sulle case-vacanza ossia su case sottratte agli abitanti. L’alloggio “mordi e fuggi” divora il diritto alla casa.
L’affitto a breve termine è infatti molto più sicuro dei contratti quadriennali, esposti al rischio di morosità. Persino gli studenti – tradizionale cespite della rendita cittadina – hanno difficoltà a trovar casa in centro. Sopravvivono nella città storica residuali rioni in cui ancora trovano alloggio le classi a basso reddito, il bracciantato del turismo: il sovraffollamento di via Palazzuolo o via Panicale – marginalizzate e in preda all’incuria – è sicuro prodromo alla nuova riqualificazione speculativa. La depressione che precede l’onda.
La città intramuros cambia velocemente volto, lo abbiamo denunciato molte volte da queste pagine. Se le classi subalterne sono espulse dai quartieri centrali, è l’intera cittadinanza ad essere spossessata dei luoghi rappresentativi. In tempi di austerità, la pratica mercatoria sullo spazio pubblico è il mezzo per appianare i bilanci: piazze, ponti e musei sono ridotti a fondali per eventi pseudo-culturali, o commerciali tout court. Piazza del Duomo e della Signoria sono, oggi, recinti per turisti.
Inoltre, annose politiche di decentramento hanno dislocato funzioni vitali, al di fuori di un progetto organico. I “contenitori storici dismessi” sono passati direttamente nei Piani delle Alienazioni: prelibati bocconi per investitori che trasformano caserme in hotel di lusso o il Teatro comunale in appartamenti «stile Fifth Avenue».
In nome della “rigenerazione”, infine, i piani urbanistici hanno reso buon servigio all’incalzante mutazione. E sono essi stessi trasmutati in strumenti di degenerazione urbana. Il 16 aprile scorso, il Consiglio Comunale ha adottato una scellerata Variante al Regolamento urbanistico. La Variante, che inserisce la “ristrutturazione edilizia” come categoria di intervento sugli edifici storici, legittimando speculazioni bloccate dal sistema giudiziario, rappresenta l’estrema torsione amministrativa. Un regalo ai parassiti della rendita, e, insieme, un atto di selezione sociale
la Nuova Venezia, 18 aprile 2018. L'intervista di Vera Mantengoli al sociologo veneziano Giovanni Semi, sul nuovo capitalismo finanziario che fagocita soprattutto le città d'arte, a cominciare da Venezia. (m.p.r.) con riferimenti
Venezia, città degli espulsi. È questo il rischio che corre se non si spezza l'incantesimo della monocultura turistica. Un incantesimo che ha l'effetto di far credere ai cittadini che l'unico mercato possibile sia quello turistico, che i palazzi siano destinati a decadere se non interviene un privato, che botteghe e realtà locali abbiano un valore solo se inserite in circuiti turistici. Tutto questo ha un nome: è il nuovo capitalismo finanziario che fagocita soprattutto le città d'arte, Venezia in primis. Ne parla il veneziano Giovanni Semi, classe 1976, docente di Sociologia all'Università di Torino, autore di Gentrification. Tutte le città come Disneyland? e relatore al convegno sugli usi civici del patrimonio pubblico, organizzato a Palazzo Badoer da Poveglia per tutti e dai cittadini de La Vida.
Riferimenti
Sui mutamenti delle città, sul capitalismo finanziario che le fagocita e sugli effetti che questo produce in termini di aumento delle disuguaglianze si vedano su eddyburg di Saskia Sassen Chi ha rubato le nostre città? le numerose interviste a Saskia Sassen, in particolare quella di Francesco Erbani Saskia Sassen: «Così i padroni delle città hanno conquistato il mondo» e di Ilaria Boniburini L'Agenda urbana dell'ONU. “Urbanizzazione” per quale “sviluppo”? Sul turismo a Venezia vedi in particolare l'articolo di Claudia Zanardo Non solo navi. Sull'impatto antropico sul turismo, oltre ai numerosi articoli raccolti nella cartella Vivere aVenezia
Al Jazeera, 12 Aprile 2018. Gli effetti disastrosi del turismo di massa, nuovo settore economico, sono già visibili sia nella capitale che nei luoghi più naturalistici. Il governo sta valutando le misure da adottare (tradotto da i.b.)
L'Islanda, una piccola isola del Nord Atlantico di 335.000 abitanti, è diventata l'ultima destinazione per i viaggiatori in cerca di paesaggi mozzafiato. Nel 2017, ha contato più di due milioni di turisti.
Il turismo è diventato la principale fonte di reddito del paese, davanti alle industrie della pesca e dell'alluminio, un fatto che potrebbe cambiare il volto del paese e la sua natura esuberante, una terra di ghiaccio e fuoco. Il settore del turismo rappresenta il 20% del PIL, generando oltre 7.000 euro pro capite.
Il maggior numero di visitatori proviene dagli Stati Uniti e supera oramai il numero di abitanti locali. Le compagnie aeree offrono ai viaggiatori l'opportunità di fare uno “stop over” per scoprire il paese senza costi aggiuntivi sul prezzo del volo originario. La maggior parte di questi turisti rimane nelle vicinanze della capitale, Reykjavík, dove Airbnb continua a prendendo molti asottrarre ppartamenti al mercato immobiliare residenziale. Gli abitanti del centro città stanno gradualmente cedendo il posto ai turisti e alberghi e negozi di souvenir prosperano a scapito della scena culturale e artistica della città.
Una delle destinazioni turistiche più popolari d'Islanda è Jokulsarlon. Un gruppo di investitori, che ha acquistato il terreno da una banca in asta, è deciso a combattere contro la prelazione dell'acquisto da parte dello stato islandese, che ha affidato la gestione della laguna e delle sue coste al parco nazionale di Vatnajokull.
Lontana dalle minacce terroristiche che colpiscono il mercato turistico deel Mediterraneo, l’Islanda può considerarsi un "rifugio sicuro", ma il boom del turismo pone un nuovo pericolo e nuove sfide al paese.
L'infrastruttura stradale non può farcela, gli hotel sono saturi, l'esplosione di Airbnb ha alzato il prezzo degli alloggi nella capitale a scapito degli abitanti delle città, che ora lottano per trovare alloggi a prezzi accessibili. I giovani, che non riescono a trovare un posto dove vivere, spesso lasciano il paese e il divario generazionale si sta allargando. Le autorità stanno lottando per garantire la creazione delle strutture necessarie ai turisti. I servizi igienici, i parcheggi e la segnaletica sono insufficienti, e i siti precedentemente quasi dimenticati sono ora presi d'assalto da un carico di turisti.
Queste misure possono ridurre la pressione turistica in alcuni luoghi specifici, ma anche controllare meglio l'impatto ambientale di quello che è ora il turismo di massa. Infatti, il carico turistico rischia di far soccombere l’isola. Da una parte deve fare affidamento su molte importazioni per rifornire la sua massa di turisti e soddisfare il loro fabbisogno idrico diretto e indiretto. Dall’altra deve controllare il crescente dell'inquinamento causato dai trasporti, rifiuti e sviluppo delle infrastrutture.
il manifesto, 14 aprile 2018. Nella città di Renzi e Nardella resistere alla marea montante del turismo mordi e fuggi e dalla svendita del patrimonio culturale è più difficile che altrove. Ma ci si prova, iniziando dalla puntuale denuncia di ciò che accade con la complicità dei governanti
Ci hanno in odio», commenta un vecchio abitante alle prese con le difficoltà dell’abitare nella Firenze intramuros, dove decenni di vuoto pianificatorio e di politiche mercantilistiche hanno cambiato la natura antropologica della residenza.
Tra 2001 e 2011 i residenti entro le mura (38.703 nel 2011) sono aumentati dell’11%. Molti sono giovani e single (è mononucleare il 56,8% delle famiglie), risiedono in case piccole, il loro tasso di disoccupazione è del 6,5% (dati: Ancsa-Cresme). Il calo degli iscritti nelle liste elettorali sta però a dimostrare che, dagli anni ’90, i residenti di cittadinanza italiana sono stati progressivamente sostituiti da cittadini stranieri, non solo a basso reddito, che pur ci sono: nel 2017, gli stranieri costituiscono il 22,3% della popolazione del centro storico (Servizio Statistica del Comune). Residenti esteri e «fruitori» non sempre investono nell’abitare di lungo periodo in città: dotati di mezzi economici, essi determinano mutamenti nell’assetto urbano; tuttavia, privi del diritto di voto, hanno scarsa incidenza politica. La popolazione ideale per governare senza problemi.
A Firenze, città storicamente afflitta da sottoccupazione, la spinta economica proviene dalla «fabbrica del turismo», monocoltura che estrae profitto da un patrimonio culturale che non è in grado di riprodurre. E che anzi consuma: sono oltre 10 milioni le presenze turistiche in città nel 2017. Tali presenze hanno peso notevole nel mercato immobiliare. L’affitto turistico in civile abitazione è salito vertiginosamente: 1.800.000 le presenze in B&B nell’anno passato; dal 2000, si stima una crescita media annua dell’8,5% (Centro Studi Turistici).
Stefano Picascia (Ladest-Università di Siena) fornisce dati significativi: a febbraio 2016 gli «appartamenti interi» offerti su Airbnb raggiungono il 17,9% del totale delle unità immobiliari del centro città (4.192 su 23.434). Una percentuale molto – troppo – alta, che fa dubitare dell’effettiva residenzialità registrata dai dati censuari.
Il centro di Firenze è infatti, tra i capoluoghi italiani, quello con minor numero di case «vuote o abitate da non residenti»: il 7,5% del totale (Ancsa-Cresme), molte case in meno del 17,9 posto su Airbnb. Questa incongruenza non preoccupa il Comune che, a corto di liquidità, preferisce introdurre come misura antievasione una tassa di tre euro a notte sulla prenotazione: Airbnb accetta di gestire la riscossione delle imposte, e versarle ogni 15 del mese successivo. 6-7 milioni l’anno, un affare nell’affare.
A Firenze il 93,8% degli acquisti immobiliari entro le mura ha finalità di investimento (Tecnocasa, 2018). Il mercato si orienta sulle «case vacanza» che sottraggono alloggi agli abitanti. Molto più sicuro infatti, rispetto ai contratti quadriennali esposti al rischio di morosità, l’affitto a breve termine. Persino gli studenti – tradizionale cespite della rendita cittadina – hanno difficoltà a trovar casa in centro. Sopravvivono nella città storica residuali rioni in cui ancora trovano alloggio le classi a basso reddito, il bracciantato del turismo: il sovraffollamento di via Palazzuolo o via Panicale – marginalizzate e in preda all’incuria – è sicuro prodromo alla nuova riqualificazione speculativa. La depressione che precede l’onda.
La città intramuros cambia velocemente volto. Se le classi subalterne sono espulse dai quartieri centrali, è l’intera cittadinanza ad essere spossessata dei luoghi rappresentativi. In tempi di austerità, la pratica mercatoria sullo spazio pubblico è il mezzo per appianare i bilanci: piazze, ponti e musei sono ridotti a fondali per eventi pseudo-culturali, o commerciali tout court. Piazza del Duomo e della Signoria sono, oggi, recinti per turisti.
Inoltre, annose politiche di decentramento hanno dislocato funzioni vitali, al di fuori di un progetto organico. I «contenitori storici dismessi» sono passati direttamente nei Piani delle Alienazioni: prelibati bocconi per investitori che trasformano caserme in hotel di lusso o il Teatro Comunale in appartamenti «stile Fifth Avenue».
In nome della «rigenerazione», infine, i piani urbanistici hanno reso buon servigio all’incalzante mutazione. A marzo, la Giunta Nardella ha approvato una scellerata Variante urbanistica che, abolendo l’obbligatorietà del restauro sugli edifici storici e legittimando speculazioni bloccate dal sistema giudiziario, rappresenta l’estrema torsione amministrativa. Un regalo ai parassiti della rendita, e, insieme, un atto di selezione sociale.
il manifesto, 14 giugno 2018. Episodi di riconquista di beni collettivi nella città divorata dal turismo escursionistico e da quello di lusso e tradita dai governanti infedeli
«Ripensare gli spazi pubblici. A Venezia dove la resistenza al turismo di massa genera manifestazioni e azioni di protesta. La storia dell’Antico Teatro di Anatomia, noto in città come La Vida. Oggi e domani il convegno "L'altro uso. Usi civici e patrimonio pubblico. Dalla vendita alla gestione collettiva comunitaria"»
Venezia e turismo sono un binomio apparentemente inscindibile. Da sempre, quando si parla di città trasformate in cartolina e quotidiane invasioni di escursionisti, il nome della città lagunare è utilizzato per evocare il worst case scenario della turistificazione irrimediabile di una realtà urbana, di cui la questione delle Grandi Navi costituisce forse l’elemento più appariscente e noto alle cronache, anche per le numerose mobilitazioni che da anni ne contestano l’arrivo in porto.
Da qualche mese però la questione della resistenza al turismo di massa sta assumendo una connotazione più ampia, con il susseguirsi di manifestazioni ed azioni di protesta. L’ultima esplosione del tema riguarda le vicende dell’occupazione – e successivo sgombero – dell’Antico Teatro di Anatomia, noto in città come La Vida.
Si tratta di un edificio di proprietà regionale, inserito dalla giunta Zaia nel piano delle alienazioni e destinato a diventare l’ennesimo ristorante. Alla notizia del perfezionamento della vendita, gli abitanti della zona hanno reagito riaprendo la porta dello stabile, restituendo così La Vida al quartiere e rendendola un punto di riferimento per tutta la città. Per cinque mesi persone di tutte le età lo hanno presidiato e animato quotidianamente con attività di ogni tipo, fino allo sgombero eseguito la mattina del 6 marzo.
L’intervento delle forze dell’ordine non ha però messo la parola fine a questa vicenda. Da quella mattina ad oggi il presidio si è spostato all’esterno, sotto un gazebo, e in Campo S. Giacomo continuano le attività e le iniziative di protesta. Da ultima quella di questa domenica, in cui si svolgerà, nell’ambito di una due giorni di convegno su usi civici e patrimonio organizzato assieme all’associazione Poveglia per Tutti, un pomeriggio di confronto tra realtà italiane e spagnole attive nella resistenza alla turistificazione delle loro città. Sulla scia di quello che i movimenti anti-gentrification hanno chiamato «the right to stay put», vale a dire il diritto a restare, si organizza così, anche tra calli e campielli, la resistenza alla città cartolina.
Oggi e domani a Venezia è stato organizzato il convegno L’altro uso. Usi civici e patrimonio pubblico. A Palazzo Badoer (Calle della Lacca, San Polo 2468) ci si confronterà sulla questione della vendita del patrimonio pubblico con, tra gli altri, le esperienze dell’ex-asilo Filangieri (Napoli), Mondeggi fattoria senza padroni (Firenze) e Decide Roma. Domani è prevista una «passeggiata consapevole» per Venezia e nel pomeriggio alla Vida un confronto sulla «città turistificata».
Il turismo di massa è la peste che oggi minaccia di devastare Venezia. Ci sembra utile riproporre la proposta del "razionamento programmato dell'offerta turistica", che Luigi Scano avanzava molti anni fa, ripubblicando un suo scritto del 2006
Assai recentemente, Paolo Rumiz raccontava (“Egitto, le tombe proibite”, in la Repubblica, 3 dicembre 2006) di avere visitato alcune magnifiche tombe, precluse all’accesso da molti anni, o da molti decenni, nelle Valli dei Re, delle Regine e dei Nobili, nella zona di Luxor, in concomitanza con alcune operazioni attuative di un imponente progetto di riproduzione fotografica ad altissima definizione degli interni, e soprattutto delle pitture murali, della totalità delle tombe delle suddette necropoli. Tale progetto, riferiva il giornalista essergli stato spiegato da Zahi Hawass, segretario generale del Supreme Council of Antiquities del Cairo (una specie di soprintendente archeologico nazionale, a quel che è dato capire), è parte essenziale di un più complessivo programma di riproduzione, monitoraggio, messa in sicurezza (anche attraverso la sottrazione alla fruizione turistica, e comunque generalizzata), di tutte le tombe costituenti il patrimonio archeologico egiziano. Poiché la pura e semplice presenza fisica, nelle tombe, degli attuali flussi turistici di visitatori, provocherebbe, in tempi più o meno ravvicinati, la totale e ineluttabile distruzione quantomeno delle loro pitture murali, ci si accinge, infatti, proseguivano le spiegazioni fornite dall’illuminato (e potente) soprintendente egiziano, a interdire l’accesso dei fruitori turistici alla quasi totalità delle tombe, dirottandoli verso la visita di “repliche identiche”, e a limitare le visite alle (poche) altre tombe, anche alzando i relativi prezzi. Giacché, concludeva Zahi Hawass, “se devo scegliere tra il turismo e l’archeologia, non ho alcun dubbio. Scelgo l’archeologia”.
Ciò in un Paese, l’Egitto, che, a differenza di buona parte degli altri Paesi della stessa area geografica, non possiede rilevanti risorse naturali (quali innanzitutto il petrolio), e per il quale “il turismo” costituisce non soltanto la prima “industria”, ovvero la prima (con colossali distanze da tutte le altre) fonte di valore aggiunto, e di reddito, ma addirittura l’attività decisiva allo scopo di mantenere le grandi masse popolari ivi abitanti (appena) al di sopra della soglia della più nera povertà e della fame.
Evidentemente, Zahi Hawass, e i dirigenti politici e istituzionali egiziani che gli forniscono supporto, e autorità, hanno ben inteso la “radicalità” che sarebbe pretesa da una coerente interpretazione, e applicazione, di quel principio della “sostenibilità dello sviluppo” che, al contrario, fornisce mera occasione di vaniloqui retorici, e di gargarismi demagogici, a tanta parte dei dirigenti politici e istituzionali italiani (non mi pronuncio su quelli degli altri Paesi dell’opulento Occidente), vale a dire di uno degli otto Paesi maggiormente “industrializzati” (checché ciò voglia dire) del mondo.
Per fare un esempio (tutt’altro che casuale, ma intenzionalmente e faziosamente prescelto, epperaltro, ahimé, nient’affatto connotato da eccezionalità, o da semplice rarità, neppure rispetto all’universo dagli enti locali amministrati dal “centrosinistra”) a Venezia si discetta, oramai, da qualche mese, circa le migliori soluzioni tecniche idonee a porre a carico dei fruitori turistici della città storica lagunare (direttamente, o attraverso l’incremento di talune esazioni gravanti sugli operatori del settore) una quota, più o meno consistente, dell’aumento, addebitabile ai medesimi fruitori turistici, delle spese correnti che devono essere sostenute, dal Comune e dalle aziende strumentali che a esso fanno riferimento, per l’erogazione dei più diversi servizi, e per la manutenzione urbana (per non dire di quelle riconducibili alla cosiddetta “promozione”, nell’accezione più ampia, del turismo, e pertanto interamente finalizzate a vantaggio dei turisti, o, meglio, degli appartenenti alla cosiddetta “filiera turistica”, cioè di tutti coloro che dal fenomeno turistico ricavano profitto, e senza neppure prendere in considerazione il fatto che almeno una parte delle spese per investimenti è condizionata, nella qualità e nella quantità delle opere da realizzare e dei beni da acquistare, e quindi nei costi, dall’esistenza e dall’entità del fenomeno turistico).
Ma tutto il dibattito è stato rivolto all’individuazione delle soluzioni (ritenute) più efficaci, quanto a celerità e a certezza, allo scopo di “fare cassa”, assumendo il duplice vincolo da un lato di non fare gravare troppo gli extracosti generati dal fenomeno turistico sui redditi, non derivanti dallo stesso fenomeno, di quella che, comunque e per ora, resta la larga maggioranza dei residenti nell’intero Comune di Venezia, dall’altro lato di non ledere, se non marginalmente e inavvertibilmente, gli arroccatissimi e fortificatissimi interessi delle categorie, delle sotto-categorie, dei gruppi, dei soggetti, individuali e societari, che, per lucrare sulla fruzione turistica della città storica di Venezia e della sua laguna, da anni e da decenni stanno, come locuste predatorie e voraci, sfregiando, sconciando, divorando, consumando l’una e l’altra.
Mentre si è scartata a priori la scelta di riprendere, e di approfondire, le soluzioni funzionali piuttosto (pur se comportanti anche introiti alle esangui -??? - casse pubbliche locali) a costruire un complesso sistema di regolazione della fruizione turistica della città storica e della laguna (nel cui contesto un elemento irrinunciabile sia la regolazione programmata dell’entità dei flussi turistici, basata innanzitutto sulla possibilità/obbligo di prenotare la fruizione).
Eppure non soltanto gli ora richiamati obiettivi, ma anche le molteplici azioni, e i plurimi interventi, finalizzati al loro perseguimento, erano già, rispettivamente, proclamati e motivati (sotto il profilo dei principi universali, e sotto quello della lettura delle situazioni locali), ed esposti e specificati, nel progetto di “piano comprensoriale” della laguna e dell’entroterra di Venezia varato all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, e integrato dalle osservazioni del Comune di Venezia votate circa un biennio appresso, nonché, con ulteriori specificazioni, nel “piano programma 82/85” dello stesso Comune di Venezia, fortissimamente voluto, e capillarmente curato, dall’allora vice-sindaco Gianni Pellicani (che gli attuali amministratori comunali tantopiù trasformano in quel “santino” ch’egli assolutamente non era, quantopiù ne tradiscono gli ideali, i principi, le convinzioni).
Eppure, dopo di allora, l’entità e la tipologia della fruizione turistica della città storica e della laguna si sono, rispettivamente, ingigantite e pervertite oltre le più pessimistiche previsioni, sicché, tanto per dirne una, il numero medio giornaliero di presenze nella città storica è oramai poco meno che doppio rispetto a quello che era stato stimato rappresentare il limite di soglia della “sostenibilità socio-economica” negli studi commissionati dal Comune di Venezia all’Università di Ca’ Foscari, alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, per valutare gli impatti prevedibili dell’ipotesi di realizzare nell’area veneziana l’”Expò 2000”.
Eppure le opzioni da assumere, e le politiche (di lunga lena, certamente) da attuare, per preservare, nell’interesse dell’intera umanità, presente e futura, il patrimonio costituito dall’integrità fisica e dall’identità culturale della laguna veneziana e dei suoi insediamenti umani, urbani ed extraurbani, sarebbero (per ora) estremamente meno drastiche di quelle che si accingono a intraprendere i responsabili tenici e i decisori politici egiziani. A Venezia, infatti, nessun sito dovrebbe essere totalmente precluso, mentre di molti (e quindi della città nel suo complesso) si dovrebbe “prenotare” la fruizione: avendone, in contraccambio, la possibilità di fruire dei suoi autentici valori di “bene posizionale”, e non del loro squallido surrogato (con un potenziale slogan pubblicitario: la possibilità di fruire di Venezia e della sua laguna, se non proprio come Johann Wolfgang Goethe, almeno come il Gustav von Aschembach di Thomas Mann).
Ciononostante: nulla. Un intero gruppo dirigente comunale, appecoronato davanti agli interessi delle locuste, predica (e, quel che è peggio, pratica) la crescita illimitata della fruizione turistica. Cioè la distruzione, prima o poi anche materiale, del capitale fisso sociale su cui si basa una rilevantissima attività economica (la riduzione, e quindi l’annullamento, dei valori su cui si fonda la produttività del medesimo capitale interverrebbe assai prima). Si tratta del cieco inseguimento di un necessario suicidio di massa, come nel modello comportamentale dei lemming scandinavi? ma vogliamo scommettere che, alla fine, le locuste non si getteranno nel mare?
P.S. Poiché, parlando delle locuste, ho fatto d’ogni erba un fascio, mi sembra doveroso ricordare, con immenso rimpianto, l’albergatore, e per molti anni presidente degli albergatori veneziani, Ugo Samueli, che perorava le mie stesse finalità di razionamento programmato della fruizione turistica di Venezia, e che funere mersit. Per il vero, ricordo la condivisione delle medesime posizioni anche da parte di qualche altro soggetto, ma poiché si tratta di viventi, non vorrei esporli alle ritorsioni dei predetti appartenenti alla famiglia degli acrididi.
P.S. Poiché, parlando delle locuste, ho fatto d’ogni erba un fascio, mi sembra doveroso ricordare, con immenso rimpianto, l’albergatore, e per molti anni presidente degli albergatori veneziani, Ugo Samueli, che perorava le mie stesse finalità di razionamento programmato della fruizione turistica di Venezia, e che funere mersit. Per il vero, ricordo la condivisione delle medesime posizioni anche da parte di qualche altro soggetto, ma poiché si tratta di viventi, non vorrei esporli alle ritorsioni dei predetti appartenenti alla famiglia degli acrididi.
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Spesso si tende acredere che il turismo sia un'attività neutra, legata a svago e piacere, equindi sconnessa da precisi interessi geopolitici. Esso ci pare cioèirriducibilmente estraneo al conflitto, formidabile costruttore di ponti tra differentipopoli della Terra. L'Organizzazione Mondiale del Turismo lo definisce adesempio "driver of peace".