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Il manifesto, 6 aprile 2014

La Gal­lura come Eldo­rado degli eva­sori fiscali. Sul para­diso turi­stico sardo si abbatte una tem­pe­sta giu­di­zia­ria che pro­mette di avere svi­luppi cla­mo­rosi. La noti­zia è stata data ieri in esclu­siva dal quo­ti­diano la Nuova Sar­de­gna. «In Gal­lura 2500 ville, con tanto di giar­dini, depen­dance e ampie ter­razze con vista sul mare — scrive la testata sarda — sono risul­tate appar­te­nenti, come pro­prietà immo­bi­liari, a società estere regi­strate in para­disi fiscali, men­tre a sfrut­tarne il loro altis­simo poten­ziale eco­no­mico o uti­liz­zarle per le vacanze a cin­que stelle, sono in gran parte sco­no­sciuti cit­ta­dini ita­liani con denunce dei red­diti da ope­rai metal­mec­ca­nici. Per sta­nare il fol­tis­simo gruppo di per­sone iscritte alla «Ano­nima Pro­prie­tari Ltd» dalle loro dimore di lusso è stata alle­stita, ed è entrata in piena atti­vità già da alcuni mesi, una impo­nente e iper­tec­no­lo­gica task force coor­di­nata dal pro­cu­ra­tore capo della Repub­blica di Tem­pio, Dome­nico Fior­da­lisi. Il quale ha aperto un fasci­colo che rac­chiude l’inchiesta avviata alla fine dello scorso dicem­bre per accer­tare se siano riscon­tra­bili reati di carat­tere penale oltre a vio­la­zioni in ambito fiscale o ammi­ni­stra­tivo». Le zone fiscali «free» nelle quali le società coin­volte nell’inchiesta hanno regi­strato le ville sono sparse un po’ in tutto il mondo: Repub­blica di San Marino e prin­ci­pato di Monaco, Lus­sem­burgo e Lie­ch­ten­stein, Andorra e Gibil­terra, Cipro e Barein, Antille e Poli­ne­sia fran­cese. L’indagine è con­dotta dalla poli­zia tri­bu­ta­ria e dal Gico di Roma. Ma sono coin­volti anche gli uffici del dema­nio sardi, le agen­zie delle entrate di Sas­sari, Tem­pio e Olbia, la guar­dia di finanza di Olbia e Sas­sari. Un mega team che ha por­tato alla luce una realtà per molti versi sconcertante.

Tutto è comin­ciato circa un anno fa, quando gli ispet­tori dell’Agenzia delle entrate di Tem­pio esa­mi­nando le denunce dei red­diti di alcuni per­so­naggi che fre­quen­tano la Costa e i movi­menti dei ban­co­mat e delle carte di cre­dito, si sono resi conto che il loro tenore di vita non era com­pa­ti­bile con le loro dichia­ra­zioni fiscali. «Un cam­pa­nello d’allarme — scrive la Nuova Sar­de­gna — che ha fatto scat­tare i suc­ces­sivi accer­ta­menti patri­mo­niali che hanno messo in rilievo che ben 2500 tra ville e dimore da fiaba dis­se­mi­nate sulla Costa gal­lu­rese — dalle alture di Monti di Mola (Porto Cervo) alle asso­late spiagge dal mare cri­stal­lino di Porto Rotondo e Palau — risul­tano inte­state, come pro­prietà immo­bi­liari, a società estere. Appro­fon­dendo ulte­rior­mente que­sto sin­go­lare aspetto si è venuti a sco­prire che gran parte degli immo­bili sono uti­liz­zati nel periodo estivo da cit­ta­dini ita­liani, oppure ceduti in loca­zione, attra­verso una fitta ragna­tela di agen­zie immo­bi­liari sarde, ita­liane ed euro­pee, a ita­liani che, stando alla loro denun­cia dei red­diti, potreb­bero per­met­tersi al mas­simo di affit­tare, e per poche ore sol­tanto, una cabina sulla spiag­gia di Ric­cione, Rimini o Cattolica».

«L’inchiesta — dice il pro­cu­ra­tore Fior­da­lisi — è appena avviata e nes­sun reato o vio­la­zione sono stati finora ipo­tiz­zati o con­te­stati». Quindi è impos­si­bile cono­scere i nomi delle per­sone coin­volte e delle società pro­prie­ta­rie delle ville «appog­giate» ai para­disi fiscali. In pro­cura però non fanno mistero del fatto che i dati rac­colti in più di un anno di inda­gini for­ni­scono un qua­dro molto det­ta­gliato, soste­nuto da riscon­tri dif­fi­cil­mente con­te­sta­bili. E viste le dimen­sioni dell’inchiesta e i per­so­naggi coin­volti, i pros­simi giorni potreb­bero riser­vare rive­la­zioni clamorose.

Fior­da­lisi nelle scorse set­ti­mane è stato impe­gnato su un altro fronte caldo, quello dell’inchiesta avviata dagli uffici giu­di­ziari di Tem­pio sulle ville abu­sive costruite sull’isola della Mad­da­lena. Prima sono arri­vate le ordi­nanze di sgom­bero e poi, lunedì scorso, le ruspe. Sono tren­ta­cin­que gli edi­fici total­mente o par­zial­mente abu­sivi, tutti costruiti in un’area sot­to­po­sta a tutela ambien­tale inte­grale. Una decina sono abi­tati sta­bil­mente da anni. Mar­tedì scorso alcuni pro­prie­tari delle case da abbat­tere hanno cer­cato invano di fer­mare le ruspe e si sono vis­suti momenti di forte ten­sione, con un paio di feriti lievi, quando un nutri­tis­simo schie­ra­mento di poli­zia ha cari­cato per rom­pere il blocco intorno alle ville. Fior­da­lisi, però, non sem­bra inten­zio­nato a fer­marsi e la pros­sima set­ti­mana le ruspe rien­tre­ranno in azione.

Con il pro­cu­ra­tore di Tem­pio si schiera Legam­biente. «Costruire case abu­sive — dice Laura Biffi dell’Osservatorio nazio­nale ambiente e lega­lità — è un reato, demo­lirle è un obbligo di legge. Scene come quelle che si sono viste alla Mad­da­lena, con il sin­daco, i con­si­glieri comu­nali e per­sino il par­roco schie­rati accanto ai mani­fe­stanti per bloc­care le ruspe pur­troppo non sono nuove. Le abbiamo già viste tante volte in Cam­pa­nia, in Sici­lia e nella stessa Sar­de­gna. L’abusivismo di neces­sità è una falsa giu­sti­fi­ca­zione. Di fronte a situa­zioni di reale disa­gio abi­ta­tivo, la poli­tica dovrebbe dare rispo­ste con gli stru­menti pre­vi­sti dalla legge, prov­ve­dendo ad assi­cu­rare un allog­gio sociale, non una casa abusiva»

Vivo apprezzamento per la decisionedella giunta regionale di accantonare la proposta del PPS perche’ avrebbe compromesso fortemente il paesaggio della Sardegna

E’ sicuramente un atto di grande significatopolitico e programmatico che il primo atto della giunta regionale presieduta daFrancesco Pigliaru riguardi la salvaguardia del paesaggio della Sardegna, conla decisione di mettere da parte gli ultimi provvedimenti sul PPR della passataAmministrazione Regionale. E’ molto positivo che da subito sia stato approvatoun provvedimento di cancellazione dell’ultima delibera del 14 febbraio edassunto l’impegno ad esaminare a breve la revoca anche della delibera del 25ottobre, a seguito degli opportuni accertamenti procedurali.

Manifestiamo da subitola disponibilità al confronto, con l’augurio che al più presto si giunga all’annullamentodella delibera del PPS del 25/10, come abbiamo ripetutamente richiesto, peraprire una nuova fase che passa per il miglioramento del PPR del 2006, con lacorrezione di tutti gli errori materiali senza stravolgimenti, per darecentralità alla pianificazione innovativa dei Piani Urbanistici Comunali. Voltare pagina rispetto alle disposizioniderogatorie e di stravolgimento della tutela contenute nella proposta del PPS èmolto importante per affermare nei fatti che la salvaguardia dei paesaggi dellecoste e delle zone interne deve costituire la risorsa strategica per promuoverelo sviluppo sostenibile della Sardegna. Negli ultimi anni la Sardegna si ècaratterizzata nel panorama nazionale e internazionale per l’azioneresponsabile nella tutela del paesaggio e nel governo del territorio. Infattil’adozione nel 2006, da parte della Regione Sardegna, del Piano PaesaggisticoRegionale ha rappresentato un evento di rilievo nazionale. È stata infatti laprima volta che una Regione italiana ha approvato un Piano ai sensi del Codicedei Beni Culturali e del Paesaggio (DLgs 42/04), che fa proprie le indicazionidella Convenzione Europea citata.

Il Piano PaesaggisticoRegionale, divenuto esecutivo nel settembre 2006, ha definito il paesaggio comela principale risorsa territoriale della Sardegna e rappresenta oggi ilriferimento principe per il governo pubblico del territorio. Il Piano sipropone di tutelare il paesaggio con la duplice finalità, da un lato diconservarne gli elementi di qualità e di testimonianza e dall’altro dipromuovere il suo miglioramento attraverso restauri, ricostruzioni,riorganizzazioni, ristrutturazioni anche profonde, dove risulta degradato ecompromesso. Il Piano ribadisce che la costa è un bene comune e non una merce.Sancire con la delibera odierna che il PPR del 2006 è ancora in vigore permettealla Sardegna di presentarsi sulla scena internazionale con un capitale moltorilevante: il suo paesaggio eccezionale, il suo ambiente caratteristico. Questesono le nostre possibilità per misurarci col mondo, far diventare questo patrimoniouna molla per innescare un nuovo sviluppo. Dobbiamo respingere chi pensa ditornare indietro a politiche speculative. Sulla pianificazione delle areerurali esiste un forte allarme. La normativa di deregolazione per permetterel’edificazione nelle zone interne e in tutte le aree rurali ed agricole,riducendo la portata del lotto minimo e permettendo qualsiasi tipologia slegatadall’attività agricola, suscita un vivo allarme per la compromissione delpaesaggio rurale identitario. La diffusione e dispersione edificatoria nellecampagne, oltre ad essere estranea alla storia, può produrre effetti disastrosidal punto di vista ambientale. La qualità territoriale verso cui puntare rendenecessaria una vera e imponente opera di manutenzione e restauro della fasciacostiera, che può creare migliaia di posti di lavoro nuovi. Per fare questo èindispensabile passare dalla giusta azione di tutela a quella di gestione delbene paesaggistico.

Postilla

Un primo passo nella direzione giusta. Ma stupisce (e preoccupa un po') che si sia proceduto solo alla cancellazione della delibera del 14 febbraio, palesemente priva di qualsiasi leggittimità, e non si sia proceduto anche alla revoca della delibera del 25 ottobre (approvazione del Piano paesaggistico dei sardi, di Cappellacci), rinviando per questo agli «opportuni accertamenti procedurali» Non vorremmo che il rinvio nascondesse una trattativa per un'approvazione bipartisan di un ammorbidimento del Piano paesaggisico della giunta Soru, tuttora vigente.


Il manifesto, 15 febbraio 2014

Domani in Sar­de­gna si vota per l’elezione del pre­si­dente della Regione. Seggi aperti per tutta la gior­nata di dome­nica. I risul­tati si cono­sce­ranno lunedì. La con­sul­ta­zione arriva in un momento del tutto par­ti­co­lare. Per Mat­teo Renzi sarà infatti il primo impe­gna­tivo test elet­to­rale. Natu­rale quindi che su Cagliari si siano accesi in que­sti giorni tutti i riflet­tori nazio­nali. E che l’esito sia molto atteso. I prin­ci­pali can­di­dati in corsa sono Ugo Cap­pel­lacci per il cen­tro­de­stra, Fran­ce­sco Pigliaru per il cen­tro­si­ni­stra, Michela Mur­gia per la coa­li­zione Sar­de­gna pos­si­bile. C’è grande incer­tezza. Cap­pel­lacci e Pigliaru sareb­bero testa a testa, ma Michela Mur­gia potrebbe rimon­tare gra­zie al voto degli inde­cisi, un’area che, a sole ven­ti­quat­tro ore dal voto, è ancora molto vasta. Mur­gia punta anche sul con­senso dei gril­lini, che alle ultime poli­ti­che hanno preso in Sar­de­gna il 29,68 per cento dei voti e che alle regio­nali non sono riu­sciti a pre­sen­tare una lista a causa delle lace­ranti divi­sioni interne al movimento.

Nell’isola il clima è teso. Ieri, nella gior­nata di chiu­sura dei comizi, con un blitz la giunta di cen­tro­de­stra pre­sie­duta da Cap­pel­lacci ha adot­tato in via defi­ni­tiva il nuovo Piano pae­sag­gi­stico della Sar­de­gna (Pps), man­dando in sof­fitta il Piano pae­sag­gi­stico regio­nale (Ppr) varato nel 2006 da Renato Soru. La deli­bera è stata appro­vata nono­stante la man­canza della «valu­ta­zione ambien­tale stra­te­gica» (Vas) obbli­ga­to­ria per legge, ed è quindi priva di effetti validi sul piano giu­ri­dico. Va anche ricor­dato che la revi­sione del Ppr tar­gata Cap­pel­lacci è stata impu­gnata dal governo davanti alla Corte costi­tu­zio­nale su sol­le­ci­ta­zione del mini­stero per i beni culturali.

Nell’antivigilia dell’apertura delle urne, con Ber­lu­sconi impe­gnato a soste­nere Cap­pel­lacci in una con­ven­tion del cen­tro­de­stra ad Arbo­rea e Fran­ce­sco Pigliaru che ha bat­tuto in auto­bus il nord Sar­de­gna da Porto Tor­res a Olbia, la noti­zia dell’approvazione del Ppr è arri­vata come una bomba. La prima rea­zione è stata di Pigliaru: «L’adozione del Pps da parte della giunta Cap­pel­lacci — ha detto il lea­der del cen­tro­si­ni­stra — è un’approvazione di car­tone, fatta sol­tanto per fini elet­to­rali. Rimango a bocca aperta: il cen­tro­de­stra ha avuto cin­que anni per fare le cose nel modo cor­retto, con­fron­tan­dosi con il governo secondo le regole. Invece, a con­ferma dell’incapacità di que­sta giunta, Cap­pel­lacci ha voluto for­zare, mostrando un incre­di­bile disprezzo per le regole».

Bor­date a Cap­pel­lacci anche dal segre­ta­rio di Rifon­da­zione Paolo Fer­rero, ieri a Cagliari per un tour elet­to­rale. «Il voto serve a evi­tare che Cap­pel­lacci ritorni a essere il pre­si­dente della Sar­de­gna: non solo non ha man­te­nuto le pro­messe, ma è evi­dente che non ha fatto nulla per il lavoro e per il ter­ri­to­rio». «Lo dico anche — ha aggiunto Fer­rero — a chi non è entu­sia­sta dei can­di­dati del cen­tro­si­ni­stra: il voto a Michela Mur­gia non aiuta a man­dare via Cap­pel­lacci». Anche Rifon­da­zione fa parte della coa­li­zione gui­data da Pigliaru. Per Fer­rero è il lavoro che deve stare al cen­tro dei pro­grammi, a Cagliari come a Roma. «Ma per­ché que­sto avvenga — ha aggiunto il segre­ta­rio del Prc — con il voto biso­gna raf­for­zare la sini­stra». E in effetti il tema del lavoro è in Sar­de­gna dram­ma­tico. Gio­vedì a Cagliari è ripar­tita la mobi­li­ta­zione dei lavo­ra­tori in cassa inte­gra­zione della Alcoa, con un cor­teo davanti alla sede della Regione. Gli ope­rai chie­dono rispo­ste sullo stato della ver­tenza, al momento in una fase di stallo, con la fab­brica chiusa, e la con­vo­ca­zione di un incon­tro al mini­stero per lo svi­luppo eco­no­mico. Durante il cor­teo i lavo­ra­tori hanno lan­ciato uova sui mani­fe­sti elet­to­rali e hanno annun­ciato l’intenzione di resti­tuire le schede elettorali.

Chi sem­bra asso­lu­ta­mente con­vinto della vit­to­ria di Cap­pel­lacci è Ber­lu­sconi. «Non c’è biso­gno — ha detto ad Arbo­rea di fronte a migliaia di per­sone — di con­vin­cere i sardi: sanno già chi votare. Ugo, pos­siamo fare così: tu canti, io rac­conto sto­rielle. E fac­ciamo uno show patriot­tico». Poi l’attacco a Michela Mur­gia: «Ho saputo che la signora Mur­gia ha già pre­sen­tato la sua giunta, e si è tenuta lei l’assessorato dei tra­sporti: forse da pic­cola gio­cava con i tre­nini. Ma lei è una che ha inse­gnato l’odio». Due accenni alla situa­zione nazio­nale: «Sono l’ultimo pre­mier eletto dal popolo», con rife­ri­mento alla staf­fetta Letta-Renzi: «Nel 2009 avevo il con­senso del 75% degli ita­liani. Ecco per­ché la magi­stra­tura ha deciso di farmi fuori. E nel 2001 con­tro di me c’è stato un golpe. Sono sceso in campo con­tro il comu­ni­smo, che ha fatto 120 milioni di morti». Ber­lu­sconi par­lava ad Arbo­rea, che quando fu fon­data, nel 1928, si chia­mava Mussolinia

SAVI Tecnicamente lo strumento di pianificazione è stato approvato in via definitiva malgrado mancasse il parere motivato «obbligatorio e vincolante» dell’ufficio Savi, responsabile della Vas, la valutazione ambientale strategica. Non solo: gli assessori regionali hanno dato il via libera senza che la maggior parte delle osservazioni fondamentali depositate da comuni, associazioni ecologiste e culturali sia stata ammessa a integrare o modificare il testo considerato finale del Pps, intervenendo almeno sulle parti in cui vengono cancellati con un colpo di spugna molti beni paesaggistici per lasciare spazio al cemento.

Osservazioni. Quelle osservazioni potevano anche essere respinte, ma a decidere doveva essere il Savi. Comunque sia norme, mappe, elenchi di beni paesaggistici, ambientali e identitari sono piovuti in sala giunta senza che l’ufficio deputato a valutarne la compatibilità ambientale abbia potuto esprimersi formalmente, come stabilisce la legge. Cappellacci ha spiegato la fretta di chiudere la partita con la necessità di stabilire «regole certe, che consentano di evitare le sabbie mobili della burocrazia». Ma è facile prevedere che su quelle regole si aprirà una battaglia giudiziaria senza esclusione di colpi.

Vas. Per sapere se si tratta di un bluff elettorale basterà attendere il dopo voto, quando il candidato vincente potrà revocare l’atto di approvazione con il ricorso all’autotutela, riaprendo la procedura interrotta. Perché secondo la valutazione generale la delibera sarebbe illegittima: quindi dovrebbe bastare un ricorso ai giudici amministrativi perché venga annullata. Per adesso, ha spiegato il capo di gabinetto dell’Urbanistica Massimiliano Tavolacci, il documento non sarà pubblicato sul bollettino ufficiale della Regione. Quando comparirà, verrà integrato col parere del Savi. Così - ha spiegato il dirigente - il Pps non dovrà ripassare in giunta.

Però le norme, che derivano da una direttiva comunitaria del 2001 recepita dall’Italia quattro anni dopo, indicano un scansione diversa: la Vas deve precedere l’approvazione dell’atto di pianificazione e il suo contenuto, tutte le modifiche e le prescrizioni, deve entrare nel testo da portare in giunta. In altre parole il giudizio di compatibilità ambientale firmato dal Savi deve prevalere sull’indirizzo politico, adeguando ogni previsione alle regole. Cappellacci ha imposto una sorta di inversione della procedura: prima si approva quanto proposto dalla giunta e poi si valuta. Una giurisprudenza sterminata, che riguarda altre regioni, getta più d’un ombra sulla legittimità di questa scelta. La delibera firmata ieri mattina potrebbe non avere alcun valore giuridico e di conseguenza alcuna efficacia. Due mesi. Impossibile prevedere se il Savi andrà avanti nell’esame delle osservazioni e della compatibilità ambientale e paesaggistica del Pps: legge alla mano l’ufficio avrebbe ancora due mesi abbondanti per concludere il lavoro, che in base alla legge è indispensabile e dovrebbe svolgersi in perfetta autonomia dalla politica. Ma in mancanza di precedenti, nessuno sa che cosa fare. La giunta Cappellacci ha avuto cinque anni di tempo per realizzare la revisione del Ppr di Renato Soru, come annunciato nella campagna elettorale del 2009. A due giorni dal voto il governatore ha tagliato corto, con una lettura molto soggettiva delle norme europee e statali. Cappellacci peraltro era già passato leggero sull’obbligo di co-pianificazione: per questo pende già un ricorso dello Stato alla Corte Costituzionale.

La Vas decisiva
per qualsiasi
pianificazione

Qualsiasi strumento pubblico di pianificazione dev’essere sottoposto per legge alla Vas, la valutazione d’impatto strategica. L’obbiettivo stabilito dalla direttiva comunitaria 2001/42 che ne regola la procedura è di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente. In base alla legge statale che ha recepito nel 2005 il dettato comunitario la Vas dev’essere effettuata durante la fase preparatoria del piano e comunque prima della sua approvazione. La procedura è pubblica, di conseguenza aperta alla partecipazione di enti, associazioni e cittadini attraverso le osservazioni ed è seguita da una fase di monitoraggio destinata a correggere errori nel caso di effetti negativi per l’ambiente. Il servizio regionale che cura la Vas è il Savi - Servizio sostenibilità ambientale e valutazione impatti - che a partire dalla prima adozione del piano (in questo caso il Ppr) da parte della giunta regionale e del successivo deposito delle osservazioni ha complessivamente 90 giorni di tempo per valutare la compatibilità ambientale dello strumento proposto e decidere in perfetta autonomia quali modifiche e integrazioni apportarvi a tutela dell’ambiente. Concluso il lavoro, il piano modificato in base alla Vas passa all’ufficio dell’urbanistica, che deve applicare obbligatoriamente modifiche e prescrizioni motivate dal Savi. Il passaggio successivo - in questo caso - è l’approvazione definitiva da parte della giunta regionale, che può intervenire ancora sul piano soltanto ripartendo da zero, quindi ripetendo la procedura di elaborazione e la procedura di Vas. (m.l)

Il Fatto quotidiano online, 14 febbraio 2014

Se le parole sentite in questa campagna elettorale avessero una corrispondenza con la realtà, dovremmo buttare a mare la promessa tragicomica della Sardegna zona franca integrale, affogare senza pietà il nuovo spaventoso Piano paesaggistico che, privo di ogni legittimità e di decenza, è stato approvato oggi, a due giorni dalle elezioni e distruggerebbe quello che resta dell’isola. Scaraventare in acqua le promesse baggiane di felicità e indipendenza insiemealla balla per i creduli pinocchietti sardi di un’isola senza tasse e dove la benzina costa poco. Consegnare alle onde anche l’idea di una lingua sarda ufficiale, sintetica, inventata in un grigio ufficio regionale, foraggiata con 19 milioni di euro e ricordarci che una lingua non la impone certo una povera Giunta di passaggio verniciata di falso sovranismo né tanto meno qualche malinconico burocrate.

Se le parole di questi giorni avessero un collegamento con i fatti e con il nostro vero benessere avremmo dovuto scagliare in mare la legge elettorale sarda che un consiglio regionale di molti indagati ha varato con lo scopo di auto-conservarsi in eterno. Una simulazione di democrazia senza rappresentanza reale dell’elettorato. Una legge che alla prova dei fatti esclude le “grandi minoranze” e si ritorce oggi anche contro chi l’ha votata.

In Sardegna ci chiediamo in tanti che democrazia possa essere quella che prevede molti voti per il candidato presidente ma nessuna possibilità di ingresso in consiglio per il terzo classificato e, magari, nessuna o quasi nessuna rappresentanza per le sue liste. Nello sport la medaglia di bronzo ha un valore enorme, ma non da queste parti. Qui, chi arriva terzo è fuori da tutto. Mentre i girini della politica, trasportati dalle correnti maggiori oggi sono gongolanti.

Ma il “legislatore furbo” spesso muore di troppa furbizia, si sa. Dovrebbero, domenica, finire a mare anche le surreali considerazioni filosofiche dei partiti sui candidati-indagati.

In acqua si sono buttati da soli gli aspiranti candidati di 5stelle in Sardegna. Un suicidio di massa, come i lemmings dei mari del Nord. Un piccolo esercito di rimasugli elettorali, una raccolta indifferenziata della politica. C’erano dentro il movimento anche molte ottime persone, s’intende. Però sono state travolte dai lemmings suicidi. La prossima volta faranno di meglio, speriamo.

Dunque non si va a votare per il disgusto? Non si vota per protesta? Sembrano questi i sentimenti di metà dell’elettorato. Un milione e quattrocentomila votanti (un’isola di vecchi, visto che siamo un milione e seicentomila abitanti) con un’astensione che si prevede oltre il cinquanta per cento.

Anche questo è la Sardegna. Non certo la terra della giudicessa medievale Eleonora d’Arborea o quella del giudice rivoluzionario Giovanni Maria Angioy favoleggiata da indipendentisti sognanti, capaci di molte parole, talvolta perfino belle, ma incapaci di spiegarci come e quando l’isola potrebbe raggiungere una reale autodeterminazione.

Tuttavia l’unica possibilità di cambiare qualcosa è ancora solo nel voto. I cosiddetti partiti-feudo (il feudo non scompare mai dalla storia sarda) vorrebbero pochi, fidi votanti. E il migliore dei mondi consisterebbe, per loro, nel votarsi a vicenda. Coltivano il sogno di essere sessanta votanti e sessanta consiglieri il cui obiettivo è votare fedelmente se stessi e i figli dei figli per l’eternità. Il “non voto” è ambito, auspicato e ricercato. “Non votate” è lo slogan di chi è interessato alla conservazione e a un governo di pochi. Molti eletti e pochi elettori. “Non votate, oppure votate me”.

Ma dalla memoria comune non sono scomparsi i sedici morti dell’alluvione del 18 novembre, una tragedia così piena di significati che rappresenta la Sardegna e la stessa Nazione. “La prossima volta” ha detto un povero sfollato che spalava fango: “Non credo più a nessuno” e in quel “la prossima volta” era contenuta un’intera filosofia.“Le prossime volte” sono diventate talmente numerose nel nostro Paese che nessuno crede più a nulla.

Però c’è il rischio paradossale – è già accaduto dopo l’alluvione di Capoterra nel 2008 – di sentire ancora un coro a favore dell’alluvione di metri cubi che il nuovo Piano paesaggistico vorrebbe rovesciare sull’isola e che porterebbe inevitabilmente nuove disgrazie, altri morti e una definitiva povertà economica e culturale. C’è il rischio di sentire di nuovo sindaci a favore dei venticinque campi da golf e dei milioni di metri cubi che gli sono collegati perché, dice l’attuale Presidente della Regione, non si possono lasciare senza un tetto i golfisti, come degli sfollati. Alla Sardegna servono club house.
Lo spieghino agli sfollati di Terralba, di Uras, di Olbia.

Oggi, a due giorni dalle elezioni, con un colpo di mano, il Presidente ha approvato il suo nuovo Piano paesaggistico bocciato da tutti, dal Ministero, dalle Associazioni, dai movimenti. Si gioca tutto, disperatamente. Sa che è illegittimo, ma se n’è impipato. Deve risposte ai suoi referenti. Qatar compreso. Però, esibendo la sua forza ha mostrato la sua debolezza e la sua vera sostanza politica.
Sapremo presto quale sentimento vincerà e quale idea di progresso prevedono i sardi per se stessi.

Il manifesto sardo online, 13 febbraio 2014
Come facilmente preventivabile, il Presidente della Regione autonoma della Sardegna Ugo Cappellacci vuole e pretende l’approvazione definitiva del “suo”stravolgimento del piano paesaggistico regionale prima delle elezioni regionali del 16 febbraio 2014. Magari al cospetto del suo sempiterno nume tutelare,SilvioBerlusconi, il prossimo venerdi 14.

Per questo, incurante delle conseguenze, forse anche di carattere penale, è disposto anche a commissariare il povero ing. Gianluca Cocco, Direttore del Servizio valutazione impatti (S.A.V.I.) della Regione che deve esprimere il necessario parere conclusivo della procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), tuttora in corso e regolarmente nei termini (180 giorni).

Il suo stravolgimento del nostro (di tutti noi cittadini) piano paesaggistico regionale è già davanti alla Corte costituzionale, impugnato dal Governo per violazione delle necessarie e vincolanti procedure di co-pianificazione, come già la Corte costituzionale ha recentemente indicato proprio in riferimento alla Regione autonoma della Sardegna (sentenza n. 308/2013)(1), con buona pace dei soliti soccorritori dell’arbitrio regionale di sinistra, progressisti, ambientalisti, e chi più ne ha più ne metta.

E non finirà qui. Perché il “nostro” P.P.R., pur migliorabile in vari punti, tutela il “nostro” paesaggio e continueremo a difenderlo in tutte le sedi. Il ricorso è già pronto. Le modifiche della Giunta Cappellacci sono infatti un autentico stravolgimento, illegittimo perché in violazione del Codice del paesaggio. Quali sono? Eccole, in estrema sintesi:
- i fiumi e i torrenti ritenuti “irrilevanti” non sono inclusi, con le relative sponde, fra i beni paesaggistici;
- “negli ambiti di paesaggio, in qualunque articolazione del territorio disciplinata dal PPR, sono ammessi”interventi edilizi e ristrutturazioni con aumenti di volumetrie fino al 15 per cento;
- gli accordi Regione – Comune possono prevedere anche nelle aree tutelate per legge, nei beni paesaggistici, “nuove strutture residenziali e ricettive connesse ai campi da golf”;
- in via transitoria, fino all’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali al piano, sono realizzabili gli interventi edilizi di quel piano per l’edilizia parzialmente a giudizio davanti alla Corte costituzionale, come la legge sul golf e quella per la “svendita” dei demani civici;
- sempre in via transitoria, si applicano gli strumenti urbanistici attuativi in base ad accordi Regione–Comune, possono essere resuscitati i progetti edilizi “zombie”nei Comuni dotati di P.U.C. approvati in base ai vecchi e illegittimi piani territoriali paesistici, si possono edificare strutture residenziali in area agricola, possono esserci interventi di ristrutturazione/completamento degli insediamenti edilizi e ampliamenti volumetrici fino al 25 per cento delle strutture ricettive anche nella fascia costiera dei trecento metri dalla battigia.

Di fatto un vero e proprio far west nella parte più pregiata del territorio sardo. L’operazione spregiudicata e demagogica, effettuata a fini elettoralistici sotto le elezioni regionali, sarà giudicata sul piano giuridico.

Siamo in uno Stato di diritto, per fortuna. Sta, però, agli elettori sardi far sì che questa povera Isola non sia amministrata in questo modo scellerato per altri cinque lunghi anni.

(1) Testualmente: “l’art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel testo in vigore dal 2008, stabilisce, all’ultimo periodo del comma 1, l’obbligo della elaborazione congiunta dei piani paesaggistici tra Ministero e Regioni «limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo art. 143»” (Corte cost., 17 dicembre 2013, n. 308). Si tratta delle aree tutelate con vincolo paesaggistico in base a provvedimenti specifici di individuazione ovvero direttamente dalla legge, nonché le ulteriori aree tutelate in base ad altri puntuali provvedimenti.

Il manifesto, 13 febbraio 2014

Sulla cam­pa­gna per le ele­zioni regio­nali di dome­nica pros­sima in Sar­de­gna si sta­glia il fan­ta­sma minac­cioso del Piano pae­sag­gi­stico dei sardi (Pps) di Ugo Cap­pel­lacci. Il gover­na­tore uscente ha pronto un pro­getto che modi­fica sino a sna­tu­rarlo il Piano pae­sag­gi­stico regio­nale (Ppr) appro­vato nel 2006 dalla giunta Soru. E vor­rebbe farlo appro­vare dalla sua giunta prima di dome­nica. Un colpo di mano che serve a Cap­pel­lacci per tenere caldo uno dei due car­dini sui quali ha appog­giato la stra­te­gia per la rie­le­zione: lo sman­tel­la­mento dei vin­coli pre­vi­sti dal Ppr, con il con­se­guente via libera alla ripresa della spe­cu­la­zione edi­li­zia sulle coste. L’altro car­dine è la zona franca. Cap­pel­lacci vor­rebbe che tutta la Sar­de­gna diven­tasse una free zone fiscale. Da un lato, quindi, più cemento, dall’altro meno tasse.

Sul tema ambiente lo scon­tro è aspro e ieri è arri­vato sugli schermi tele­vi­sivi durante il pro­gramma Mat­tino 5, del quale erano ospiti, con Cap­pel­lacci, Fran­ce­sco Pigliaru, il can­di­dato del cen­tro­si­ni­stra, e Michela Mur­gia, alla guida della coa­li­zione Sar­de­gna pos­si­bile. Pigliaru ha difeso l’operato della giunta Soru, nella quale è stato asses­sore al bilan­cio e alla pro­gram­ma­zione dal 2006 al 2006. «Negli anni tra il 2004 e il 2009 — ha detto Pigliaru — il cen­tro­si­ni­stra ha fatto un lavoro straor­di­na­rio per il ter­ri­to­rio. Il Ppr è stato la sal­vezza del pae­sag­gio, che è un bene fon­da­men­tale per il nostro svi­luppo turi­stico». Dopo l’annuncio di Cap­pel­lacci, durante il con­fronto di lunedì scorso in Con­fin­du­stria a Cagliari, di voler com­mis­sa­riare il ser­vi­zio di valu­ta­zione ambien­tale della Regione Sar­de­gna che non ha ancora espresso il parere sul Pps pre­vi­sto dalle pro­ce­dure ammi­ni­stra­tive, Pigliaru ha attac­cato fron­tal­mente il gover­na­tore uscente: «Non è con­tento di aver com­mis­sa­riato tutto: i con­sorzi di boni­fica, le agen­zie, le pro­vince, le Asl, dicendo che avrebbe fatto le riforme; ora addi­rit­tura vuole com­mis­sa­riare diri­genti e fun­zio­nari che rispet­tano appieno le pro­ce­dure pre­vi­ste dalla legge e giu­sta­mente non rispon­dono ai suoi ordini. Non si sogni di creare que­sto caos isti­tu­zio­nale per la sua pro­pa­ganda; se deve fare cam­pa­gna elet­to­rale appenda mani­fe­sti, ma non usi le isti­tu­zioni e non si per­metta di stra­vol­gere il diritto den­tro le istituzioni».

Davanti alle tele­ca­mere, incal­zati su tra­sporti e tutela del pae­sag­gio i tre can­di­dati non hanno rispar­miato reci­pro­che frec­ciate. Sui tra­sporti Cap­pel­lacci ha nuo­va­mente attac­cato Mur­gia, ripe­tendo l’accusa secondo cui la can­di­data di Sar­de­gna pos­si­bile avrebbe «l’appoggio di arma­tori pri­vati», men­tre la scrit­trice ha ripe­tuto che «di que­ste affer­ma­zioni il pre­si­dente rispon­derà davanti ai tri­bu­nali». Pigliaru ha invece attac­cato Cap­pel­lacci, che con i soldi pub­blici ha creato una com­pa­gnia di navi­ga­zione della Regione Sar­de­gna, sulla pri­va­tiz­za­zione della Tir­re­nia, affer­mando che «la Regione non è stata pre­sente al tavolo nazio­nale al quale si deci­deva la par­tita», di fatto lasciando via libera agli arma­tori pri­vati. Sul fronte della tutela del pae­sag­gio e del rischio idro­geo­lo­gico Mur­gia ha pun­tato il dito sia con­tro il cen­tro­de­stra sia con­tro il cen­tro­si­ni­stra «che difen­dono gli stessi inte­ressi immo­bi­liari», ricor­dando che «la Giunta Soru è caduta sul tema urba­ni­stico». In difesa del Ppr si è schie­rato il segre­ta­rio regio­nale del Pd, Sil­vio Lai: «Appro­vare la revi­sione del Piano pae­sag­gi­stico, per di più con un atto di forza nei con­fronti dei fun­zio­nari regio­nali, è da irre­spon­sa­bili. Cap­pel­lacci gioca cini­ca­mente la sua par­tita elet­to­rale, spa­rando car­tucce a salve e sapendo bene che sta appro­vando un atto senza alcuna effi­ca­cia». «L’unico effetto che sor­tirà — ha aggiunto Lai — sarà quello di creare con­fu­sione per chi lavora negli uffici tec­nici comu­nali, dove non sapranno se atte­nersi al Ppr in vigore o a quello di Cap­pel­lacci, che nasce in pieno con­tra­sto con il mini­stero dei beni cul­tu­rali e che serve solo per far dire al pre­si­dente uscente che almeno una cosa di quanto pro­messo cin­que anni fa in cam­pa­gna elet­to­rale è stata fatta»

Il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2014

Ci Sono voluta Una causa amministrativa Sentenze della Magistratura per Salvare Capo Malfatano, Comune di Teulada, Sardegna. E this E nel contempo una bella cura di Una cattiva notizia.

La bella notizia l'ho Già detta:. Prima il TAR Sardegna e poi il Consiglio di Stato ha sancito l'illegittimità Annone di un'enorme / ennesima Speculazione edilizia Sulle martoriate coste della Sardegna Circa 200.000 metri cubi di cemento a 300 metri Dalla splendida spiaggia di Tueredda.

La cattiva notizia e Che Ancora una volta SIA Stato Necessario l'Intervento della magistratura per Fermare lo scempio. Perché Dall'altra parte erano Tutti d'Accordo, il Comune di Teulada, la Soprintendenza, la Regione Sardegna, ndr ovviamente i costruttori Tra i Quali Benetton ("United Colors of Benetton", ricordate?) E Caltagirone. Da this parte la ferma Volontà di un singolo pastore, Ovidio Marras, di 82 anni, e del supporto Ricevuto dal Gruppo di Intervento Giuridico e di Italia Nostra per Fermare lo scempio. Ed e purtroppo Una cattiva notizia Anche Il Fatto Che Una parte delle costruzioni Sono in corso d'opera.

Ho scritto Già nel passato della follia Caso delle seconde, delle scritte "vendesi" sempre Più Numerose also in Sardegna. Eppure il virus edificatorio arrestarsi non pare. E l'ultimo atto e Stato lo stravolgimento del Piano Paesaggistico di Soru, da parte della Giunta Cappellacci ("cominci a preparare il cemento ei mattoni"), Che darebbe il via libera a Nuove lottizzazioni sul litorale, fortunatamente impugnato dal Governo alla Corte Davanti Costituzionale.

Si dice Che il mondo ambientalista dadi sempre di no. Ma, Vieni dadi giustamente un mio caro amico: "continueremo a dire sempre di no, se Dall'altra parte proporranno e progetteranno sempre le stesse cose".

eddyburg) si battono da anni contro la distruzione di un prezioso paesaggio della costa della Sardegna. Il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2014, con postilla

MADE IN BENETTON. Ogni tanto una buona notizia. Il 9 gennaio le sessanta cartelle di una sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato hanno salvato un pezzo di paesaggio italiano: Capo Malfatano, all'estremo sud della costa della Sardegna. Qui la Società Iniziative Turistiche Agricole Sarde e una cordata di costruttori di tutto rispetto (Sansedoni, Benetton, Toti e Caltagirone) stavano costruendo hotel e servizi per quasi 200.000 mila metri cubi di cemento (pari a circa 15 palazzi di dieci piani) collocati a 300 metri dalla spiaggia di Tueredda. Se è dovuto intervenire il Consiglio di Stato è perché il Comune di Teulada e la Regione Sardegna avevano tranquillamente concesso tutte le autorizzazioni (ennesimo atto di interessato suicidio), e la Soprintendenza non aveva fatto una piega (ennesima complicità nel suicidio). Il primo a opporsi un semplice cittadino: Ovidio Marras, contadino e pastore di 82 anni, supportato dallo straordinario GrIG (Gruppo di Intervento Giuridico). Ma mancavano i soldi per percorrere fino in fondo l'iter della giustizia amministrativa, ed è qua che è intervenuta Italia Nostra, un'associazione cui tutti noi dovremmo essere profondamente grati. “La sentenza – scrive proprio Italia Nostra – è una vittoria contro un’immensa e continua aggressione all’ambiente. Il Consiglio di Stato non solo ha riconfermato il valore assoluto del paesaggio sugli interessi economici, ma ha anche confermato la funzione delle associazioni in difesa del patrimonio culturale. Un’azione svolta con grande impegno e determinazione dal consiglio regionale di Italia Nostra Sardegna, da Maria Paola Morittu e dall’avvocato Filippo Satta per la difesa di un luogo unico. Malfatano deriva dall’arabo ‘Amal fatah’ che vuol dire ‘il luogo della speranza’, la speranza che per Italia Nostra sentenze come queste indichino quale debba essere il rispetto che il nostro patrimonio storico, artistico e naturale merita ogni giorno nel nostro Paese”. E sembra di vederlo, su qualche nuvola nel cielo della Sardegna, il sorriso di Antonio Cederna.

postilla
Sulla vicenda vedi su eddyburg l'articolo di Maria Paola Morittu,che nell'agosto 2010 ha aperto la critica e lanciato l'appello, gli articolipubblicati nel 2010 da Giorgio Todde (eddyburg) e Sandro Roggio (L’Unità),quelli scritti negli anni successivi da Andrea Massidda e Mauro Lissia (LaNuova Sardegna), Giorgio Meletti (Il Fatto quotidiano), Giorgio Todde (eddyburg). Su Ovidio vedi anche lo splendido servizio di Giorgio Galeano, per TG3,su YouTube.

L'Unità, 30 dicembre 2013, con postilla

Lohanno chiamato nubifragio, ma la definizione è discutibile: secondo laProtezione civile in Sardegna alla fine di novembre nell’arco di 24 ore sonocaduti dai 250 ai 400 millimetri d’acqua, con punte massime di 450, a secondodelle zone. Nel peggiore dei casi 18,5 mm l’ora, un nubifragio prevederebbeinvece 30 mm l’ora. Ma il risultato non è stato meno devastante, una ventina dimorti, quasi 3000 sfollati, città allagate e distrutte, montagne di acqua efango che viaggiavano lungo le strade ridotte a letto di quei fiumi che lacementificazione aveva espropriato per interessi privati.
Il cosiddettonubifragio in Sardegna ci riporta al cuore del problema della gestione delterritorio e dei Piani paesaggistici che dovevano essere uno strumento per governarlo,ma che nessuna regione italiana è riuscita ancora ad approvare in viadefinitiva, malgrado siano passati dieci anni dalla loro promulgazione. Inrealtà a piegare la Sardegna non è stata tanto l’intensità, certo forte, dellepiogge, ma la loro durata, che si è protratta lungo 48 ore, mandando in tilt unterritorio devastato dalle speculazioni. Piangiamo le vittime del dissestocementizio, non di un nubifragio.
Eppurela Sardegna fin dal 2006 si era dotata di un Piano paesaggisticoall’avanguardia, proprio perché prevedeva un sistema complesso, di cuiavrebbero dovuto far parte anche l’ambiente e il territorio. Insomma, ilpaesaggio non come pura bellezza. Renato Soru, allora presidente della giuntaregionale sarda sul Piano aveva puntato parecchio, partendo dalla legge Salvacoste del 2004, aveva dato vita a un bel progetto che imponeva nuovi vincoli,regole certe e comprendeva anche una digitalizzazione del territorio e dellesue proprietà, su computer facili da usare e aperti anche al cittadino –una innovazionefondamentale considerando che un vincolo paesaggistico decade se solo ilproprietario di una infima particella del territorio in oggetto non riceve ufficialicomunicazioni sull’inizio della procedura di vincolo, sul procedere dell’iter esulla sua definitiva conclusione.
Partesubito la guerriglia dei comuni che si sentono defraudati della possibilità diusare a loro piacimento il territorio, e con particolare veemenza del sindacodi Olbia, secondo cui il Piano avrebbe tarpato le ali all’economia della sua città–oggi invece lamenta essere Olbia ridotta a una montagna di fango e perricostruirla piange soldi allo Stato pantalone.
Acausa del suo Piano, Soru perde anche la compattezza dello schieramentopolitico che lo sostiene. Alle elezioni regionali del 2009 vince ilcentrodestra con Ugo Cappellacci che, appigliandosi a una mera questione diforma –il Piano era stato redatto prima della terza versione del Codice deiBeni Culturali e del Paesaggio–, blocca tutto benché il Mibac ne avesse comunquericonosciuto la validità. E, naturalmente, vai col mambo della betoniera, delpiano casa e dell’autorizzazione facile. Il tutto, ovviamente per rilanciarel’economia.
Ilcaso della Sardegna, che secondo i dati a nostra disposizione dal 35% diterritorio tutelato prima del 2009 crolla al 17% nel 2011, è emblematico nonsolo perché, insieme a Marche e Lazio, è tra le prime a dotarsi di un Pianopaesaggistico che non riesce poi ad adottare in via definitiva, ma soprattuttoperché quel Piano a suo modo comprendeva e recepiva le novità contenute nellaConvenzione europea del paesaggio, che proprio l’Italia aveva voluto lanciarenel 2000 a Firenze, ma che non è riuscita a recepire a pieno nel suo Codice peri Beni Culturali e il Paesaggio.
LaConvenzione infatti dice che paesaggio è sia il territorio «che può essere consideratoeccezionale (per la bellezza NdR), sia i paesaggi della vita quotidiana, sia ipaesaggi degradati» (art.2), che ovviamente vanno riqualificati. Una visionecosì allargata discende da un principio forte che ribalta la tradizionale impostazione,intesa soprattutto in Italia come bellezza naturale. Il paesaggio diventainvece fondante la qualità della vita dei cittadini, qualità della vita che èuno dei cardini della democrazia, e il caso del cosiddetto nubifragio inSardegna è lì a dimostrare la validità del principio.
Sembrerebbero banalità,eppure perfino nella traduzione della Convenzione in italiano su questi puntici sono state incertezze, palesi errori e polemiche: dove in Inglese si legge«Landscape means an area, as perceived…» (il paesaggio è un’area così comepercepita…), in italiano troviamo «Paesaggio designa una “determinata” parte di territorio», ilcorsivo è nostro per segnalare la evidente limitazione rispetto al testo originaledove tutto il territorio, comprese le aree urbane, è paesaggio.
Masiccome l’Italia è il paese del cavillo, il testo valido è quello dellatraduzione, ratificato con la legge n. 9 del 2006, e ora siamo obbligati adelimitare e determinare cosa sia paesaggio e cosa no. Oltre al traduttore e allegislatore, a complicare le cose ci si è messo anche il Governo: con i decretiBassanini della fine degli anni ’90 in Italia, unici al mondo, ciò che ècomunemente definito territorio è stato diviso in tre: il paesaggio ora è dicompetenza del Mibac, il territorio è di competenza delle regioni ed entilocali, l’ambiente è di competenza dell’omonimo Ministero.
Colpevolebarocchismo istituzionale che crea una gran confusione che il Codice dei BeniCulturali e del Paesaggio con la sua terza redazione del 2008 non semplifica,anzi sembra vittima ancora una volta di una eredità di stampo estetizzante ecrociano, dove paesaggio alla fin fine sono le bellezze naturali. Altro cheConvenzione europea sul paesaggio, qui si torna alla Legge Bottai del 1939 o,ben che vada, alla Galasso del 1985.
Tuttaviail Codice, pur con i suoi difetti, prescriveva già dal 2006 che il Mibac dessedelle linee guida valide per tutto il paese. Linee guida mai apparse. È apparsoinvece un Osservatorio nazionale sul paesaggio, creato secondo la tecnica difare una cosa talmente inutile da poterla rapidamente abolire. Come èregolarmente avvenuto mentre la Direzione centrale per il paesaggio venivaaccorpata con altre Direzioni e resa inoffensiva, proprio in quella che dovevaessere la fase cruciale della realizzazione dei Piani paesaggistici.
Diquesta latitanza di Governo e Stato hanno approfittato le regioni che non hannodimostrato alcuna fretta a fare i Piani paesaggistici, e pure quando liredigono non riescono ad approvarli in via definitiva, come è il caso dellaPuglia, dopo il Lazio, le Marche e la Sardegna. In questo modo, cioè finché ipiani non saranno approvati, l’arbitrio sul territorio, sulla concessioneedilizia, sul cemento facile e sui bassi commerci che ne derivano resta a loro:alle regioni o agli enti locali.
Èlecito infine chiedersi come vengano preparati questi Piani paesaggistici, cui dovrebberocollaborare le regioni e lo Stato, attraverso il Mibac. Secondo la Corte costituzionaleil Mibac dovrebbe essere garante dell’unitarietà dei Piani a livello nazionale,così nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2006 la copianificazionecon le regioni era su tutto il territorio. Nel 2008 però la nuova redazione delCodice prevede che il Mibac intervenga solo rispetto alle aree già sottoposte avincolo, e tanti saluti alla Corte Costituzionale e all’unitarietà delterritorio nazionale.
Oggicomunque né lo Stato, con il Mibac, né le regioni sembrano essere dotate distrumenti intellettuali e professionali atti a fare i Piani paesaggistici: loStato non li ha mai avuti avendo decentrato la gestione del territorio alleregioni nel 1972, salvo poi cercare di tornare sui suoi passi visto il disastrosoesito della scelta. Le regioni a loro volta in alcuni casi si erano dotate diuffici urbanistici efficienti, è il caso dell’Emilia Romagna negli anni ’70 e ’80,ma poi li hanno più o meno dismessi. Salvo un paio di eccezioni come laSardegna di Soru, oggi l’iter per lo più si limita al fatto che la regione,dopo aver stipulato pomposi principi introduttivi, affida la reale redazionedel Piano a una ditta esterna –non sempre competentissima–, che di solito nonfa altro che collazionare i vari piani regolatori dell’area in questione, senzaneanche consultare il Mibac, che giustamente boccia i piani per mancatacopianificazione.
Siamoin procinto di una profonda riforma del Mibac, imposta dalla “spending review”,che punta al dimagrimento di un ministero già sfibrato da un decennio di tagli:il testo è stato consegnato al Consiglio dei ministri prima di Natale con larichiesta di una proroga per questioni procedurali, segno che ancora qualchedubbio permane.
Sarebbeuna svolta epocale se dopo decenni di una «convergenza viziosa all’elusioneamministrativa» sul nostro paesaggio, definizione di Guermandi e De Lucia, graziea questa riforma il ministro Massimo Bray dotasse il Mibac di strumenti efficaciper la tutela del territorio, che tutti definiscono il nostro più grandepatrimonio. Ma finora solo a chiacchiere.
Postilla
E’ indubbiamente positiva l’attenzione che l’Unità, conl’inchiesta di Dal Fra, richiama sull’amaro destino dell’attuazione del Codicedel paesaggio e sulle gravi responsabilità del Mibac, e della stragrande maggioranzadelle Regioni, nella sua attuazione,così com’è pienamente condivisibile l’appello rivolto al ministro Bray perchéintervenga al più presto per invertire la tendenza. E’ però necessaria qualcheosservazione a partire dall’attendibilità dei numeri forniti dal Mibac in relazione alle areesottoposte a tutela nel 2008 e nel 2012. Per quanto riguarda la Sardegna (miriferisco all’unico caso che conosco bene) le aree tutelate dopo l’approvazionedel piano paesistico di Soru erano molte di più di quelle comprese nella leggeGalasso e negli altri vincoli ope legis. Quel piano, infatti, ha aggiunto oltre8.400 kmq alle parti di territorio precedentemente vincolate: il 35%dell’intero territorio dell’Isola. ben più del 17% di cui scrive Dal Fracitando gli strabilianti dati del Mibac. .La sola “fascia costiera” tutelata daun’apposita norma, comprende un territorio pari al 14% della superficiecomplessiva dell’intera Sardegna, e ha una profondità variabile dai 300 metriai tremila. Un’altra inesattezza dell’articolo sta nell’inserire la Sardegnatra le Regioni che non hanno un piano paesaggistico, conforme alle prescrizionidel Codice del paesaggio: il PPR di Soru è stato definitivamente approvato findal settembre 2006, ed è ancora pienamente vigente come tutti i tribunali amministrativi, e la medesima Corte costituzionale, hanno reiteratamenteconfermato. Ma su questo punto torneremo più ampiamente anche perché da parte di Cappellacci sta tentando di smantellare proprio quelle tutele che hanno la loro radice nella validità, a tutt'oggi, del Piano Soru. (e.s.)

Dopo le elezioni del 2009 per il rinnovo del Presidente e del Consiglio, la Regione Sardegna ha assunto varie iniziative volte ad aggirare e attenuare le misure di tutela del paesaggio ...>>>
Dopo le elezioni del 2009 per il rinnovo del Presidente e del Consiglio, la Regione Sardegna ha assunto varie iniziative volte ad aggirare e attenuare le misure di tutela del paesaggio disposte dal piano paesaggistico regionale approvato nella legislatura precedente. Queste iniziative hanno suscitato non soltanto opposizioni politiche locali e ferme denunce sul piano culturale, ma anche controversie di fronte alla Corte costituzionale descritte nel volume Lezioni di piano[1].

Una di queste controversie si riferisce allo stagno della salina di Molentargius, in Comune di Cagliari, una zona umida che la Regione aveva costituito in parco naturale nel 1999; il piano paesaggistico del 2006 aveva rafforzato la tutela di tutte le zone umide, istituendo una fascia di rispetto di 300 metri. Il contenzioso è nato dopo che il Comune di Cagliari aveva rilasciato la concessione edilizia per la realizzazione in via Gallinara, a poche decine di metri dallo stagno di Molentargius, di un edificio di sei piani, senza curarsi del previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che pure secondo il codice dei beni culturali e del paesaggio costituisce atto distinto e presupposto della concessione edilizia.

Il tribunale amministrativo regionale ha annullato la concessione edilizia, e la sentenza è stata confermata in appello dal Consiglio di Stato[2]. Ma la Regione Sardegna, al fine di salvare l’edificio che nel frattempo era stato effettivamente realizzato, aveva approvato una legge con la quale, a sei anni di distanza dal piano paesaggistico regionale, dava mandato alla Giunta regionale di assumere una deliberazione di interpretazione autentica del piano stesso al fine di stabilire che la fascia di rispetto non si applica alle zone umide, ma solo ai laghi naturali ed agli invasi artificiali, con conseguente esclusione della predetta fascia dal regime di autorizzazione paesaggistica[3]. La disposizione aveva carattere retroattivo, poiché la legge imponeva ai Comuni e agli altri enti competenti di «adottare i necessari atti conseguenti con riferimento ai titoli abilitativi rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di entrata in vigore del Piano paesaggistico regionale», in conformità alla delibera di interpretazione autentica.

La Corte costituzionale non si è lasciata ingannare dalla prospettazione della legge regionale, impugnata dal governo Monti. Essa ha ricordato i propri precedenti, secondo cui le leggi di interpretazione autentica con efficacia retroattiva non sono del tutto escluse ma devono trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza. La Corte ha ricordato altresì che la preminenza del diritto e il diritto a un equo processo stabilito dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ostano, in linea di principio, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia. L’unica eccezione, tale da legittimare interventi retroattivi del legislatore, è costituita dalla sussistenza di “motivi imperativi di interesse generale” che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ravvisato al verificarsi di specifiche condizioni, fra le quali la sussistenza di “ragioni storiche epocali” o anche la necessità di porre rimedio a una imperfezione tecnica della legge interpretata, ristabilendo un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore, o di «riaffermare l’intento originale del Parlamento».

La norma regionale della Sardegna impugnata non è stata considerata riconducibile alle fattispecie di leggi retroattive fatte salve dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il suo effetto era quello di una riduzione dell’ambito di protezione riferita a una categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza che ciò fosse imposto dal necessario soddisfacimento di preminenti interessi costituzionali; e ciò, peraltro, in violazione dei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla portata retroattiva delle leggi, con particolare riferimento al rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario.

La Corte ha dunque dichiarato illegittima la norma impugnata, ma ha anche fatto cadere la legge regionale nella sua interezza, estendendo in via conseguenziale la pronuncia di illegittimità anche alla diposizione che imponeva ai Comuni e agli altri enti competenti di adottare, in conformità alla deliberazione di interpretazione autentica della Giunta regionale, i necessari atti conseguenti con riferimento ai titoli abilitativi edilizi rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di adozione del Piano paesaggistico regionale. Quest’ultima disposizione era infatti strettamente e inscindibilmente connessa alla disposizione precedente, non solo perché ne confermava la portata retroattiva, ma anche in quanto ne presupponeva l’applicazione[4].

La motivazione della sentenza è ancora più persuasiva per l’ampio e felice intreccio tra i princìpi della giurisprudenza costituzionale interna e quelli della giurisprudenza sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La legge regionale è risultata in violazione dei princìpi della Costituzione italiana, ma anche e contemporaneamente di quelli del patrimonio costituzionale sovranazionale europeo. Ma la sentenza è anche di buon auspicio per la definizione degli altri contenziosi di costituzionalità in tema di paesaggio nella Regione Sardegna.



[1]V. Tre contenziosi costituzionalità,in Lezioni di piano, L’esperienzapioniera del Piano paesaggistico della Sardegna raccontata per voci, voceguida di Edoardo Salzano, Venezia, Corte del Fontego, 2013, 177 ss.
[2] Cons.St., IV, 16 aprile 2012, n. 2188.
[3]L.r. Sardegna 12 ottobre 2012, n.20, Norme di interpretazione autentica inmateria di beni paesaggistici, modificata dall’art. 2, comma 4, l.r 2agosto 2013, n. 19.
. [4]Corte cost., 17 dicembre 2013, n. 308.

Greenreport, 11 dicembre 2013

Per Legambiente il diritto di prelazione che lo Stato vuole esercitare sull’isola Budelli è una scelta inutile e dannosa. Il Cigno Verde spiega il perché in una lettera aperta che ha scritto ai membri della commissione Bilancio della Camera dei Deputati. Vittorio Cogliati Dezza e Vincenzo Tiana, rispettivamente, presidente nazionale e sardo di Legambiente, scrivono che «Sulla vicenda di Budelli, l’isola privata in vendita sulla quale qualcuno vorrebbe che lo Stato esercitasse il suo diritto di prelazione a suon di milioni di euro, è passata secondo noi una comunicazione confusa e distorta. La nostra associazione è fra quanti ritiene, insieme a Federparchi e al presidente del Fai, Andrea Carandini, che si tratterebbe di una spesa inutile, se non addirittura dannosa».

Cogliati Dezza e Tiana provano a spiegare perché: «E’ inutile perché quell’isola è privata sin dal 1800 e si è conservata integra in virtù dei vincoli e dei divieti severissimi che hanno impedito qualsiasi modificazione dello stato dei luoghi. Già oggi, ad esempio, non è possibile ad alcuno mettere piede sulla Spiaggia Rosa, la zona forse più delicata dell’isola, sia anche il custode o lo stesso attuale proprietario. Se Mr. Harte in persona, il magnate neozelandese che ha sborsato 3 milioni di euro per acquistare l’isola, volesse domani semplicemente passeggiare sulla Spiaggia Rosa, non potrebbe farlo, anche se quella spiaggia è sua. A ciò si aggiunga che quella spiaggia è sua solo in parte, perché una porzione significativa è invece demanio, cioè già oggi “bene comune”, e tale rimarrà. In sostanza l’ambiente di Budelli è supertutelato grazie alle misure che lo Stato, il pubblico, ha saputo apporre su un bene privato di pregio come ce ne sono tanti nel nostro Paese. Del resto il territorio italiano è pieno di beni privati, isole, colline, boschi, montagne, delle cui sorti per fortuna non dispone il proprietario del bene». Per i due dirigenti dell’associazione ambientalista se si vuole realmente tutelare l’ambiente nell’arcipelago è «Meglio utilizzare quei fondi per completare la bonifica dei fondali dell’isola della Maddalena, o usarli per dare ossigeno alle aree marine protette dell’isola colpita dai recenti fenomeni alluvionali».

Per Legambiente l’acquisizione dell’isola di Budelli potrebbe addirittura rivelarsi dannoso per le politiche di conservazione della natura e del paesaggio: «Sarebbero guai infatti se dovesse farsi strada la logica per cui la tutela di un bene dipende dalla natura, pubblica o privata, del bene stesso. Sarebbe una corsa all’acquisizione in ogni prossima legge di spesa: domani magari Spargi, un’isola dell’arcipelago ben più importante di Budelli dal punto di vista della biodiversità. E poi ancora l’isola di Molara. E perché non quella di Maldiventre? E Serpentara? E l’isola de Li Galli, in Campania. E gli isolotti della laguna veneta? Sarebbe pericoloso lasciare intendere che fino a quando un bene non è pubblico è a rischio e, al contrario, solo i beni in mano allo Stato sono al sicuro. Anche perché la realtà ci ha abituati a soluzioni d’ogni tipo: beni sapientemente gestiti dal privato e altri degradati in mano allo Stato o viceversa. Non è quindi la proprietà del bene che ne garantisce la tutela, ma i vincoli che lo Stato è riuscito ad apporre su quel bene e la capacità di gestione del bene stesso. Basti pensare, ad esempio, alle migliaia di ettari di oasi magistralmente gestite da fondazioni e associazioni ambientaliste (soggetti privati…) e che dialogano correttamente con la gestione pubblica di spazi limitrofi».

La conclusione, che va nella direzione contraria a quel che dicono Verdi, Sel ed altre associazioni ambientaliste, è «Ben vengano quindi privati che vogliano confrontarsi sul tema della conservazione della natura all’interno di un quadro di regole che lo Stato ha individuato. Ne potranno trarre vantaggio sia i privati che lo stesso pubblico. Pensare che ci sia un privato cattivo e un pubblico buono è una suddivisione ideologica e novecentesca, buona a strappare demagogicamente consensi facili, ma che rischia di non incidere su quello che a noi ci interessa sopra tutto, la reale tutela dell’ambiente e del paesaggio. E a noi questo confronto non ci fa paura».

Greenreport, 28 novembre 2013

La recente e tragica alluvione in Sardegna potrebbe forse avere anche qualche ricaduta positiva sulla politica: infatti il Ministero dei beni e delle attività culturali (Mibac) sta valutando di impugnare alla Corte Costituzionale la revisione del Piano paesaggistico della Sardegna (Pps), varata di recente dalla Giunta Cappellacci. Lo ha ribadito la direttrice regionale del Mibac, Maria Assunta Lorrai, intervenendo al convegno nazionale del Fondo ambiente italiano (Fai) “Sardegna Domani! Terra/Paesaggio/Occupazione/Futuro”, in corso di svolgimento al Teatro Massimo di Cagliari.

«A questo punto abbiamo chiesto all’amministrazione centrale di verificare la possibilità di una impugnativa costituzionale del piano. E ora il Ministero, ufficio legislativo e ministro, stanno valutando questa possibilità» ha informato Lorrai. Già ai primi di novembre era emersa l’intenzione da parte del Mibac di impugnare il nuovo Piano regionale, che ha fatto sollevare molte polemiche. Poi l’alluvione che ha portato manifestamente sul banco degli imputati il consumo di suolo e l’urbanizzazione selvaggia (lo ricordava anche ieri il Capo della Protezione civile Prefetto Gabrielli), che ha fornito altri elementi di riflessione, ed ora il convegno del Fai, un appuntamento pensato per discutere delle grandi potenzialità dell’isola e definire un nuovo modello di sviluppo estraneo alle logiche di cementificazione e speculazione edilizia, che pare “cascare a fagiolo”.

«Nel Piano paesaggistico della Sardegna approvato dalla Giunta regionale a ottobre si infrangono o si allentano le regole poste dalla legge Salvacoste nel 2004 e dal precedente Piano del 2006 - ha dichiarato Andrea Carandini, presidente del Fondo ambiente italiano (Fai) - Il Pps permette di resuscitare tutte le lottizzazioni precedenti il 2004. Si tratta di progetti edilizi vecchi di anni, figli di una mentalità speculativa che la coscienza dei sardi più sensibili ormai rifiuta perché inutili allo sviluppo generale della regione».

Carandini ovviamente ha accennato anche alla recente alluvione: «L’abbattimento o l’allentamento dei vincoli relativi al reticolato idrico, minore e maggiore, è di assoluta gravità. Le alluvioni di Capoterra, Villagrande e quelle dei giorni scorsi ne sono la riprova. L’invasione capillare dell’agro con costruzioni svincolate dall’uso agricolo, il Pps consente la costruzione di un manufatto con destinazione abitativa in un lotto minimo di un ettaro, è da rigettare non solo perché sottrae la terra alla sua destinazione naturale, ma perché manomette il territorio», ha concluso il presidente del Fai.

La Nuova Sardegna, 25 novembre 2013, con postilla

Le politiche che favoriscono l’interesse generale faticano a trovare un consenso ampio e duraturo, persino quelle che mettono in sicurezza un territorio e che aiutano a mitigare le conseguenze, sempre più frequenti e tragiche, dei cambiamenti climatici.

Sembra un paradosso ma non lo è. Anche le migliori riforme toccano gli interessi di qualcuno, e quel qualcuno si opporrà al cambiamento. Per esempio, sappiamo che il commercio internazionale fa bene ai Paesi che ne accettano le regole, ma poi andate nel Sulcis a dirlo agli operai dell’Alcoa, un impianto che la competizione globale ha condannato alla chiusura.

PPR, risultato storico
Il Piano Paesaggistico Regionale (PPR, in breve) rischia di essere vittima di questa sindrome. Il PPR è stato disegnato per favorire l’interesse generale. La sua adozione è un risultato storico per la Sardegna, una delle cose più lungimiranti mai realizzate nella nostra regione. Tenere alta la qualità del paesaggio ha infatti due enormi vantaggi. Primo, dà un beneficio diretto ai residenti. Non si tratta solo del poter godere ogni giorno della bellezza di un paesaggio. Stiamo imparando a nostre (e purtroppo crescenti) spese che si tratta anche di un piano essenziale per garantire la sicurezza del territorio, di una normativa autorevole senza la quale niente potrà fermare le speculazioni edilizie che prima o poi trasformano eventi climatici in enormi tragedie.

Secondo, in una regione a vocazione turistica il Piano paesaggistico rende competitiva la nostra offerta. Quando si tratta di esportare beni e servizi, le imprese sarde sono spesso in difficoltà per carenze di vario tipo. Ma nel turismo di qualità il fattore decisivo è la risorsa naturale e quella c'è, eccome. Il problema è conservarla con cura: più passa il tempo, più diventa la merce rara che un numero crescente di turisti è disposto a comprare ad alto prezzo.

Il Piano paesaggistico regionale favorisce dunque l'interesse generale, ma questo non basta a metterlo al riparo dal rischio di iniziative legislative che ne danneggerebbero gravemente la sua efficacia. Lobby di speculatori che desiderano rimuovere vincoli rigorosi e ragionevoli, e politici pronti a sostenerle non sono mai merce rara, in Sardegna come altrove. Il rischio vero è quelle lobby trovino consensi ampi anche da parte chi non ha interessi diretti a speculare sul paesaggio.

Questo pericolo esiste perché il PPR attualmente non distribuisce in modo equo i benefici che crea. Al momento della sua adozione il Piano paesaggistico regionale ha di fatto congelato la situazione esistente: qualcuno aveva costruito (quasi sempre molto e male) lungo le coste, altri erano stati più prudenti e conservativi. L'improvviso congelamento dello status quo ha generato un paradosso, che è la principale debolezza del piano. Immaginate un tratto della fascia costiera con due comuni confinanti, uno pieno di alberghi e di seconde case, l'altro con una costa in gran parte intatta. Garantire che la parte intatta rimarrà tale anche in futuro rende più competitiva l'offerta turistica di quel pezzo di Sardegna. Significa infatti dare la certezza che nelle vicinanze della vostra casa o del vostro albergo preferito ci sarà sempre un parco naturale di grande prestigio, cosa che stimola la domanda turistica di qualità e con essa i prezzi delle case, degli affitti, dei soggiorni nelle strutture ricettive.

Nella situazione attuale però i soldi generati da questo meccanismo vanno soprattutto al comune che ha speculato nel passato, quello nel quale i turisti devono risiedere. Poco o niente arriva al comune che ha preservato la qualità del proprio paesaggio. La sua scelta rischia così di favorire esclusivamente il vicino meno virtuoso. È facile intuire che, se questo problema non verrà affrontato, i nemici del Piano paesaggistico regionale potranno sempre contare sul sostegno politico di chi ritiene ingiusta l'attuale distribuzione dei benefici economici generati dal piano.

E questo è un rischio enorme: se riparte la speculazione sulle coste i sardi, nel loro complesso, ne avranno enormi svantaggi. Questa è una sfida importante per chi vuole difendere il PPR sardo migliorandolo: bisogna trovare il modo di distribuire anche ai comuni che hanno conservato la propria risorsa naturale i benefici che oggi arrivano soprattutto a chi, in passato, il paesaggio lo ha consumato.

Chi possiede una casa o un albergo paga imposte in proporzione a valori che crescono anche in funzione della qualità del paesaggio circostante. Il gettito di queste imposte dovrebbe rimanere in Sardegna, indipendentemente dal comune di residenza dei proprietari. E sarebbe bene che una parte di quel gettito venisse trasferita nelle casse dei comuni virtuosi, per convincerli concretamente che la loro scelta è stata quella giusta.

Un intervento di questo tipo, perfettamente giustificabile sul piano dell'equità, ridurrebbe il malcontento intorno al Piano paesaggistico regionale e toglierebbe spazio ai politici che su quel malcontento fanno sciaguratamente puntano le loro carte elettorali.
Postilla

Pigliaru ha perfettamente ragione: i benefici dell’utilizzazione di una parte del territorio dovrebbe appartenere a tutti coloro cui il territorio appartiene. Ma proprio sull’interpretazione di quest’ultima parola che si gioca la soluzione del problema. Nell’attuale regime giuridico sembra che il territorio, spezzettato in frammenti, appartenga ha chi ne è “proprietario”. Questo è un aspetto rilevante del regime economico-sociale capitalistico-borghese, nato e consolidato nel XVIII e XIX secolo. Il territorio da “bene” è stato tramutato in “merce”. La disequità segnalata da Pigliaru è un aspetto di questo quadro. Si è tentato di affrontarlo in diversi modi, tra l’altro con la fiscalità, la quale dovrebbe servire non solo a finanziare lo stato e il suo funzionamento ma anche a redistribuire la ricchezza. E ci si è lavorato in alcune esperienze di pianificazione territoriale (per esempio nella Provincia di Bologna).
Tuttavia anche in Italia si sta tentando di affrontare la questione in modo più radicale: nel senso di andare alla radice del problema. Una strada che mi sembra interessante è quella che, opponendo il concetto di bene” a quello di “merce” (ossia rivalutando il “valore d’uso” sul “valore di scambio” ) ragiona sul superamento delle vigenti forme dell’istituto giuridico della proprietà e sull’affermazione di istituti e pratiche coerenti col concetto di “bene comune e “bene collettivo”. Mi riferisco, in particolare, la lavoro della Commissione Rodotà e agli scritti di Paolo Maddalena, che da qualche decennio sta lavorando proprio sui i nessi dei concetti di “appartenenza” e “proprietà con le pratiche di tutela del paesaggio (come Pigliaru saprà, Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale è il sostanziale autore "tecnico" della Legge Galasso).
Certo è che non è un piano paesaggistico lo strumento che può affrontare il problema e distribuire in modo equo i vantaggi che crea. Può dare un segnale e imprimere una direzione e innescare un processo, iniziando dal primo passo indispensabile: proteggere il bene dalla sua distruzione. Non a caso lo sgambetto che ha portato Soru alle dimissioni è stata la volontà, del suo stesso partito, di non completare il PPR con l’approvazione della disciplina degli ambiti interni. E non a caso il primo atto compiuto da Cappellacci è stato quello di distruggere l’Ufficio del piano, di impedire l’attivazione degli altri strumenti d’implementazione previsti. Loro si che sono dei furbacchioni. Ma non è detto che vincano sempre.

Il manifesto, 23 novembre 2013, con postilla

Mentre nella giornata di lutto nazionale la situazione meteo volge di nuovo al peggio, con previsioni di nuovi temporali per il fine settimana, sull'alluvione che ha devastato mezza Sardegna continua a divampare la polemica. Protagonisti Renato Soru, ex presidente della giunta è ispiratore del Piano paesaggistico regionale (Ppr) che tutela ambiente e paesaggio, e il governatore in carica Ugo Cappellacci.

«Cappellacci - ha detto ieri Soru in una dichiarazione rilasciata alle agenzie - è un politicante che mente in totale malafede. Le bugie sono la sua regola. Con le modifiche che il leader del centrodestra sardo vorrebbe apportare al Ppr, il piano sarebbe totalmente cancellato: rivivono tutte le lottizzazioni, le zone F, cioè quelle riferite all'ambito turistico-costiero, i campi da golf, si cementificano le campagne, si cancellano i centri storici e si invitano i comuni ad andare avanti senza norme».. «Non è vero - ha aggiunto Soru- che è stato Cappellacci ad aver ampliato la fascia di tutela nei pressi dei fiumi. La sua proposta di modifica del Ppr, infatti, contiene per la prima volta il tentativo esplicito, e pericolosissimo, di riferire le distanze alla linea di mezzeria, invece che dall'alveo del fiume, lasciando poi alla discrezionalità del caso per caso di stabilire vincoli diversi». Ma è tutto l'impianto del nuovo piano predisposto da Cappellacci che non convince Soru. «Si vogliono resuscitare - ha detto l'ex presidente - tutte le lottizzazioni in zona F (turistiche-costiere), bloccate dal Ppr, per circa dieci milioni di metri cubi. Si punta a far rivivere le zone F per attività turistiche per altri cinque milioni di metri cubi. Si prevedono circa venticinque nuovi campi da golf, in realtà altre seconde case, per circa tre milioni di metri cubi. Si vuole trasformare tutta la campagna della Sardegna in aree edificabili: basterà anche un solo ettaro e chiunque potrà costruirsi una casa. A cui si aggiungeranno logge, cortili e strade sui quali correrà l'acqua, compromettendo la vocazione agricola e sicurezza dei territori». E ancora. «Si punta ad eliminare la tutela nei centri storici dei paesi che vengono giudicati non importanti, mantenendola soltanto nelle città più note, e ad eliminare le norme di salvaguardia esistenti, di fatto incentivando i comuni a non adottare i piani urbanistici».

Immediata la replica di Cappellacci: «In queste ore preferisco dedicarmi all'emergenza, ma stia tranquillo Soru che poi mi occuperò di lui con una operazione verità sul suo finto ambientalismo. Le sue sparate e i suoi picchiatori mediatici non intimoriscono nessuno. Il suo velenoso tentativo di collegare gli eventi tragici di questi giorni a una revisione del piano paesaggistico che ancora non ha completato il suo iter dimostrano che gli unici bugiardi e cinici sono il mio predecessore e i suoi amici».

Al presidente della giunta ha replicato, sulle colonne della Nuova Sardegna, uno dei più noti scrittori sardi, Marcello Fois: «E allora, dottor Cappellacci, ha visto che alla fine i sardi le hanno creduto? Ha visto che ha colpito nel segno quando, zainetto in spalla, aria da bel bello, si aggirava per le campagne in uno spot, pagato con molti soldi pubblici, per dire che insomma questi pedanti difensori del territorio a noi sardi ci stavano mettendo le mani in tasca? Sorridente e concessivo ci raccontava che di territorio integro in Sardegna ce n'era fin troppo e che, in un'economia di sussistenza, vietare troppo significava adottare un sistema punitivo. Sempre con i nostri soldi aveva pagato una costosa campagna pubblicitaria di domande e risposte, dove auspicava l'avvento di tempi belli in cui impunemente i balconcini potessero essere trasformati in camerette per bambini senza che questo si dovesse chiamare abuso. Le hanno creduto e l'hanno votata in molti. Ora, però, penso che i suoi spin-doctors debbano ragionare su formule alternative, che non facciano ricorso necessariamente al ventre molle dell'elettorato, ma, finalmente, alla sua testa. Credo che lei dovrebbe fare un passo indietro di fronte all'evidenza che un'alluvione eccezionale fa danni eccezionali dove ancora esiste il territorio, ma fa morti dove il territorio non esiste più».

postilla
In realtà Cappellacci aveva cominciato a violare le tutela del PPR prima ancora di presentare il suo propagandistico "piano paesaggistico dei sardi". I suoi tre piani casa e la legge per il golf ne sono le prove lampanti, non semplici indizi E ieri ha dichiarato: che i tre milioni di metri cubi attorno ai campi di golf nono indispensabili perchè quelli che vanno sul green devono poter mangiare bene (la Repubblica)
Il manifesto, 22 novembre 2013

Dopo i sedici morti e la devastazione causata dal ciclone Cleopatra in Sardegna, sono scattate due inchieste per omicidio colposo e per disastro colposo, avviate dalle procure di Tempio Pausania e di Nuoro. La magistratura ha chiesto alle amministrazioni coinvolte nella catastrofe di lunedì scorso, i progetti, le delibere e tutto quanto possa consentire di far chiarezza su opere stradali, edifici, strutture e pianificazioni urbanistiche realizzati negli ultimi anni. Per ora siamo ai primi accertamenti. I fascicoli sono senza un nome, ma è chiaro che i morti e i danni provocati dall'alluvione non hanno soltanto cause naturali. Lo aveva detto, già martedì mattina, il sostituto procuratore del tribunale di Tempio Riccardo Rossi, in visita al centro di coordinamento dei soccorsi allestito dalla protezione civile a Olbia: «Questo è il momento del dolore e della misericordia, poi arriverà quello della giustizia. Questa drammatica vicenda ha posto in luce evidenti carenze strutturali che, passata l'emergenza, dovremo valutare se potevano essere evitate».

Le inchieste delle procure di Nuoro e di Tempio Pausania sono indirizzate ad accertare sia le cause delle morti sia quelle dei danni ambientali. In particolare la procura nuorese indaga per omicidio colposo in merito alla morte del poliziotto Luca Tanzi, 44 anni, inghiottito nella strada crollata mentre con l'auto di servizio scortava un'ambulanza; e per la morte della pensionata Maria Frigiolini, 88 anni, travolta dall'acqua e dal fango nella sua casa allagata a Torpè. Mentre la procura di Tempio vuole fare chiarezza sulla morte di un'intera famiglia di nazionalità brasiliana, padre madre e due figli, annegati in un sottopiano ad Arzachena.

E sulle cause del disastro, dopo le accuse mosse dagli ambientalisti al presidente della regione Sardegna Ugo Cappellacci, ieri contro il tentativo del centrodestra sardo di smantellare la legislazione di tutela dell'ambiente e del paesaggio approvata nella legislatura precedente dalla giunta guidata da Renato Soru è intervenuta, per conto del ministero dei Beni culturali, la sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni. «Il nuovo piano paesaggistico approvato dalla giunta Cappellacci - ha dichiarato la collaboratrice del ministro Massimo Bray - prevede un allentamento del grado di tutela sia nella costa marina sia in altre zone di particolare pregio paesaggistico, quali i centri storici o i corsi d'acqua pubblica». «Il disastro che ha portato in Sardegna gravi lutti e ingenti danni - ha aggiunto la sottosegretaria - riporta di nuovo, ancora una volta, al centro della nostra attenzione il problema della tutela e della messa in sicurezza del nostro territorio e del suo paesaggio. Un tema che, in alcuni casi, viene volutamente aggirato o considerato un ostacolo a uno sviluppo economico e occupazionale. L'allentamento delle tutele progettato dalla giunta Cappellacci porterà a modifiche sostanziali di molte zone anche nell'agro, attraverso demolizioni di piccoli fabbricati agro-pastorali preesistenti per successive ricostruzioni, con forti aumenti di cubatura e accorpamenti di volumetrie con sagome del tutto dissimili».

Bisogna ricordate che, nelle scorse settimane, il ministero dei Beni culturali aveva annunciato l'intenzione di ricorrere contro il piano di Cappellacci sia in sede Tar sia alla Corte costituzionale. Il Codice Urbani, ossia la legge nazionale che detta le norme generali di tutela del paesaggio, prevede infatti che in materia urbanistica le regioni non possono legiferare (come invece ha fatto Cappellacci) da sole: è necessario l'assenso del governo nazionale. Ma ieri Borletti Buitoni è andata oltre il dato formale. La nota dettata alle agenzie si chiude con un esplicito rilievo politico: «Al di là del vizio di forma e di procedura nell'approvazione del piano da parte della giunta regionale sarda, è a tutti ben chiaro che il territorio sardo aveva e ha la necessità di essere maggiormente tutelato e non maggiormente sfruttato. Purtroppo i tragici eventi di questi giorni lo confermano».

Intanto, mentre ancora prosegue il lavoro delle squadre di soccorso per rimuovere le macerie provocate dal ciclone, il consiglio dei ministri ha proclamato per oggi una giornata di lutto nazionale per la tragedia che ha colpito la Sardegna. «Ritengo sia una scelta importante - ha detto il premier Enrico Letta - che si lega alla decisione dell'immediata dichiarazione dello stato emergenza e alla tempestiva allocazione dei fondi necessari».

Di fronte alle cronache angosciose che arrivano dalla Sardegna l'animo è agitato da sentimenti contrastanti. Si vorrebbe...>>>

Di fronte alle cronache angosciose che arrivano dalla Sardegna l'animo è agitato da sentimenti contrastanti. Si vorrebbe tacere per rispetto dei tanti, troppi morti, alcuni dei quali bambinelli, strappati dalle mani disperate dei padri dalla furia delle acque. Ma si vorrebbe anche urlare per la rabbia e lo sdegno, perché ormai da troppi anni sciagure territoriali consimili punteggiano il nostro calendario civile. Chi se ne ricorda?

In queste ore sembra che il problema dei disastri alluvionali sia nella prontezza degli allarmi con cui far scappare la popolazione da territori che sono diventati una trappola mortale. Ma chi si ricorda del nubifragio a Vibo Valentia, in Calabria, nel 2006, destinato a ripetersi, sempre con morti e danni rilevanti, ai primi di gennaio del 2010? Chi si ricorda delle frane e dei morti di Giampilieri, a Messina, i primi di ottobre del 2009 con tragica replica, nella stessa provincia, il 22 novembre del 2011? E l'alluvione, con la piena del Bacchiglione, che ha sommerso Vicenza e la Bassa Padovana ai primi di novembre del 2010? Abbiamo dimenticato la rovina delle Cinque terre del 25 ottobre 2011, l'alluvione spaventosa che ha colpito Genova il 4 novembre dello stesso anno? E l'acqua che ha sommerso Orvieto e l'Orvietano nel novembre 2012? Ma chi segue le vicende del territorio italiano ha ormai la certezza che l'arrivo dell'autunno porterà morte e distruzione in qualche angolo della penisola. E, come si è visto dall'elenco molto sommario delle alluvioni - che privilegia solo gli episodi più gravi degli ultimi anni - i fenomeni di distruzione territoriale non riguardano solo il franoso Mezzogiorno, ma l'intero habitat nazionale.
Abbiamo ripetuto in passato sino alla noia le cause di questo flagello che è diventato sistematico della recente storia nazionale. D'altra parte, tali cause sono ormai diventate senso comune e perfino la televisione di stato ora le ripete, quando i morti sono ancora a terra, salvo poi dimenticarsene appena l'evento è diventato mediaticamente obsoleto. E tuttavia i fatti di Olbia e di altre aree della Sardegna ci devono far trarre alcune conseguenze di rilievo.
La prima di queste, ormai evidente a chi ha memoria e sa guardare la realtà, è che il territorio italiano non regge più il cemento che l'opprime e l'invade da ogni lato. L'abbiamo detto mille volte: il suolo del Bel Paese non ha la stessa solidità di quello della Francia, della Gran Bretagna, della Spagna, della Germania. Paesi geologicamente più antichi e stabili del nostro, densamente popolato e collocato per giunta dentro le turbolenze climatiche del Mediterraneo. Esso dovrebbe essere oggetto di cura, controllo e manutenzione e non costituire l'occasione e la materia prima di una mercificazione ormai insostenibile. Eppure, negli ultimi 10 anni, a fronte di una popolazione nazionale stagnante, sono stati costruiti sul nostro suolo circa 2 milioni e 500 mila edifici, pari a 1 miliardo di metri cubi di cemento.
autore:PierMa non è solo il cemento, c'è anche l'asfalto. Si costruiscono sempre nuove strade e tangenziali e varianti, mentre altre si prospettano, di grande impatto ambientale, come l'autostrada Orte-Mestre. Ma le strade sventrano colline, spianano campagne, rompono equilibri idrogeologici fragili. Eppure siamo il paese nel quale si sta scavando nientemeno sotto Firenze, per fare passare il Tav, con rischi imprevedibili per una delle città più preziose del mondo. Ricordiamo che la talpa incaricata di scavare è ferma per iniziativa della magistratura, impegnata a indagare sugli illeciti addebitati a politici e amministratori, tra cui l'ex presidente della Regione Umbria. Lo rammentiamo per sottolineare quali sono le ragioni strategiche che in Italia spingono il ceto politico a promuovere le cosiddette Grandi opere.

Queste ultime considerazioni ci portano alla seconda conseguenza da trarre dalla tragedia di questi giorni. È evidente che il nostro territorio, anche in ragione dei mutamenti nel regime della piovosità, è diventato sempre meno sicuro. Senonché il territorio è la nostra casa comune e dunque l'insicurezza è quella di tutti noi, di tutti i cittadini italiani. La nostra incolumità personale, la nostra stessa vita sarà sempre più esposta a rischi anche dentro le nostre città. Dunque, quello che è un antico diritto costituzionale della persona, il diritto alla sicurezza (sicurezza della vita e della libertà nei confronti dei soprusi dello stato e di altri poteri) oggi è insidiato da un versante inedito: quello della fragilità territoriale e della violenza climatica.

È evidente, a questo punto, che l'incultura e l'irresponsabilità del ceto politico nazionale e degli amministratori locali (ma anche di tanti privati cittadini che costruiscono abusivamente) tende a sconfinare verso ambiti di natura penale. Crediamo che su questo punto occorra la riflessione innovativa degli studiosi del diritto. Stiamo entrando in un nuova era, inaugurata dal caos climatico, che renderà problematico il rapporto tra cittadini e ambiente e caricherà di responsabilità inedite chi si candida a governare la cosa pubblica. L'Italia è già un'avanguardia e un laboratorio, non solo l'America dei cicloni. Per il momento dobbiamo incominciare a dire ai nostri governanti e agli uomini politici, che non hanno mai letto una pagina scritta sui caratteri del territorio italiano, che la loro inefficienza nel gestire le risorse disponibili, l'attività di distrazione di investimenti destinati alla cura del territorio e impiegati in grandi opere, sempre più viene a configurarsi come un danno dell'interesse collettivo, tendenzialmente criminale.
www.amigi.org

Questo articolo è inviato contemporaneamente al manifesto.

La Repubblica, 22 novembre 2013, con postilla

Nei giorni della catastrofe che si è abbattuta sulla Sardegna con l'uragano in cielo mare e terra che ha devastato Olbia e il territorio circostante e le terre del Nuorese, un gruppo di intellettuali sardi rappresentati da Marcello Fois si è fatto sentire con parole commosse e vibranti. L'articolo di Fois su 24 Ore è intitolato "Non ci perdoneranno". Ne cito un passo particolarmente significativo.

«Quei morti non ci perdoneranno mai perché noi dovevamo sapere e lo dovevamo dire. Dovevamo sapere che lasciar costruire centrali nucleari in riva al mare poteva essere un modo per rendere micidiale per secoli un evento micidiale ma passeggero come uno "tsunami"». Dovevamo sapere — prosegue Fois — che cementare gli stagni per fare parcheggi o costruire villette a schiera sui letti secchi dei fiumi significa sfidare gli eventi eccezionali perché diventino carneficine. Ma le centrali nucleari in riva al mare sono state fatte, gli stagni prosciugati, i letti dei fiumi edificati. E oggi, al capezzale della civiltà dei sardi, a noi intellettuali ci chiedono parole di sostegno. Ma un appello al mondo quando la tragedia si è consumata è tempo perduto. La parola sostegno dovrebbe corrispondere a urlare No tutte le volte che si avallano decisioni e situazioni insostenibili. La Sardegna è stata abbandonata a se stessa e noi sardi abbiamo consentito che ciò avvenisse, anzi ci siamo adeguati al tozzo di pane che ci arrivava dal “placebo” del cemento selvaggio che produce lavoro solo per il tempo necessario a liquidare una tornata elettorale. Il corso terribile della Natura diventa devastante quando si accompagna all’ignoranza diffusa, alla disonestà degli amministratori, alla pessima memoria di chi si illude di poter modificare la propria precarietà con progetti di piccolo cabotaggio. Continueremo a maledire la nostra “malasorte”?».

La citazione è lunga ma meritava d’esser fatta. Con un’aggiunta però: fanno bene gli intellettuali sardi a denunciare una situazione diventata per loro insanabile, ma essa non riguarda soltanto la Sardegna. Riguarda tutte le terre italiane, soprattutto quelle del Sud ma non soltanto. E non è recente, è antica. Sonnino e Franchetti la denunciarono nella loro inchiesta sulla Sicilia fin dalla fine dell’Ottocento; Giustino Fortunato coniò nel 1904 l’immagine dell’Appennino in Calabria e nel Cilento come uno “sfasciume pendulo sul mare”; Carlo Levi raccontò negli anni Quaranta come e perché Cristo si era fermato a Eboli e analoghi racconti fecero Guido Dorso, Gaetano Salvemini, Giuseppe Di Vittorio e Danilo Dolci in nome dei contadini salariati, consapevoli degli interessi di classe ma anche della terra sulla quale quel lavoro veniva sfruttato per depredarla e impoverirla con colture di rapina.

Questa situazione non si è modificata, anzi è peggiorata dovunque, il cemento selvaggio ha invaso tutta la costiera italiana, dovunque i fiumi sono stati edificati, l’abusivismo è diventato un fenomeno non più gestibile, la trasformazione dei torrenti in suoli edificabili e edificati d’estate e in fiumi di fango in inverno e primavera. Centinaia di milioni andati in fumo, migliaia di vittime cadute sul campo di queste devastazioni.

Bisogna riprendere con paziente tenacia le educazioni di quelle che un tempo si chiamavano “le plebi” e che tali stanno ridiventando a causa d’un analfabetismo di tipo nuovo, che non riguarda più l’ortografia e la grammatica, ma la conoscenza e la cultura.

La Sardegna è una delle terre più colpite ed ha bisogno di risvegliarsi con la massima urgenza. Segnalo a questo proposito un’iniziativa che può essere molto opportuna; è stata presa dal Fai (Fondo ambiente italiano), dal suo attuale presidente Andrea Carandini e dalla presidente onoraria Giulia Maria Crespi. Un convegno nazionale scandito da quattro parole: terra, paesaggio, occupazione, futuro; valori intimamente legati tra loro che possono rilanciare l’economia, l’artigianato, il turismo, l’energia proveniente da fonti non convenzionali. Ci vuole un ripensamento dei centri storici nei paesi e nelle città, la ristrutturazione dei beni residenziali esistenti, l’avvio del nuovo eco-sviluppo che si estenda all’Italia intera e comprenda anche la politica delle banche sul territorio e l’impiego differenziato delle tariffe energetiche che incentivino le potenzialità della terra, del paesaggio e dell’occupazione sulle quali il convegno è come abbiamo detto impegnato.

La catastrofe sarda ha dato, con la devastazione e le vittime che ha prodotto, l’ultimo allarme. Non lasciamolo cadere invano.

Postilla

Ottime parole, opportunamente e utilmente pronunciate (ma il dito dell’accusatore andrebbe rivolto, prima che alle plebi, a chi le ha plagiate). Peccato che al convegno organizzato dal FAI, ampiamente segnalata dal fondatore della Repubblica, non ci sia nessuna relazione dedicata alle coste della Sardegna, e in particolare alla difesa della rigorosa tutela decisa dal Piano paesaggistico della giunta di Renato Soru, formalmente vigente ma smantellato, eluso e derogato giorno per giorno dalla maggioranza guidata da Cappellacci.

Il Fatto Quotidiano, 21 novembre 2013

RENATO SORU: «ILLUSI DAI METRI CUBI E ADESSO SI PIANGONO I MORTI»
intervista di Giorgio Meletti,

Esattamente cinque anni fa, a fine novembre del 2008, Renato Soru si dimise da governatore della Sardegna dopo essere stato mandato sotto dalla sua maggioranza di centrosinistra su un emendamento della nuova legge urbanistica. Un mese prima l'alluvione di Capoterra, pochi chilometri da Cagliari, era costata quattro morti. “Avevano costruito case e strade sul letto del rio San Girolamo”, borbotta Soru. Il copione si ripete. Ora come allora la conta dei morti fa da prologo alla campagna elettorale. Ora come allora il governatore berlusconiano Ugo Cappellacci chiede il voto per liberare la Sardegna dalle “regole talebane” fissate da Soru con il piano paesaggistico regionale del 2006.

Scusi Soru, l’hanno attaccata anche i potenti del centrosinistra sardo, lei alla fine sulla difesa del territorio ha perso le elezioni di febbraio 2009. Non è che alla maggioranza dei sardi il cemento piace?
Non lo so se ho perso su questo o su altre cose. Posso solo dire che la coscienza ambientale dei sardi è matura, e le mie regole le hanno accettate, ma la forza della speculazione si impone sulla coscienza dei cittadini quando rimane silente.

Cappellacci pochi giorni fa ha varato una delibera che smonta il suo piano paesaggistico.
Ha notato? E praticamente nelle stesse ore ci tocca contare i morti. Sono anni che attaccano a testa bassa il nostro lavoro. Abbiamo messo sotto tutela le coste, bloccando la cementificazione, abbiamo dato alla regione un piano idrogeologico, mai fatto prima, proprio per prevenire frane, inondazioni e disastri.

Vi hanno accusato di uccidere l'economia.
Sì, con i vincoli a costruire sul greto dei fiumi, con le distanze minime dai corsi d'acqua anche se apparentemente secchi. Ci hanno scatenato contro polemiche infinite. E adesso tra le nuove norme c'è la possibilità di dimezzare le distanze dai corsi d'acqua, quelle fissate da noi con il piano idrogeologico. Sono anni che ci provano.

A fare che cosa?
Sto pensando a quella famiglia, quattro persone morte in uno scantinato della ricchissima Arzachena.

Ricchissima?
Sì, ricca di cemento, così ricca da far dormire le famiglie negli scantinati.

Che c'entra con Cappellacci?
Sa quante volte hanno cercato di far passare la sanatoria per rendere abitabili gli scantinati? Fa una bella differenza vendere una villetta al mare di 100 metri quadrati, se si possono aggiungere 40 metri di scantinato. Ma gli scantinati non sono fatti per farci vivere esseri umani, e nemmeno per farceli morire. Eppure hanno cercato in modo sistematico di smontare le tutele del paesaggio attraverso le deroghe previste dai “piani casa”. Ne hanno fatto uno all'anno, siamo già a quattro, con la previsione di costruire 50 milioni di metri cubi di case. Si calcola che equivalgano a diecimila palazzi di sei piani.

Ma chi li dovrebbe comprare?

Aspetti. Prima le parlo della legge sui campi da golf. Hanno previsto di fare 25 campi da 18 buche, con la possibilità di costruirci intorno 3 milioni di metri cubi.

Ma che c'entrano i metri cubi con le buche del golf?
Effettivamente potevano chiamarla legge sulle case da fare vicine ai campi da golf. Era talmente fuori da ogni regola che è stata impugnata dal governo Monti.

Torniamo al punto. Per chi sono tutte queste case? Il popolo sardo ha veramente questa voglia di mattone?
Siamo fuori del mondo, le speculazioni immobiliari non sono più leve di crescita, ma motivo scatenante della crisi finanziaria. Anche in Sardegna l'invenduto è enorme. Solo a Olbia ci sono 15 mila appartamenti in cerca di acquirenti. Il mio piano paesaggistico ha salvato un sacco di immobiliaristi, impedendo loro di rovinarsi. Qualcuno è venuto addirittura a ringraziarmi.

Però Cappellacci insiste.
Quella delibera del 25 ottobre è una grida manzoniana, dice “liberi tutti”, ma è illegittima. C'è il rischio che qualcuno si lasci ingannare, che magari spenda soldi in progetti e procedure per niente. Il procuratore della Repubblica di Oristano ha dovuto fare una lettera richiamando sindaci e privati sul rischio di commettere addirittura reati.

Magari rivince le elezioni.
Lui ne è convinto, pensa che le due promesse sullo stile del suo maestro Berlusconi facciano ancora presa.

Due promesse?
La prima è a livello di reato di abuso della credulità popolare: la zona franca, niente più tasse in tutta la Sardegna. Come a Livigno, ma per un milione e mezzo di persone. La seconda è il cemento.

Magari funziona ancora.
A Roma la cattiva politica si nutre di debito pubblico, a Cagliari, non potendo fare debito, si stampano metri cubi. Ma no, non funziona più. Nel 2009 Cappellacci ha vinto perché così era l'Italia del tempo, c'era Berlusconi trionfante, è venuto qui a fare la campagna elettorale e ha promesso tutto a tutti: Porto Torres, Alcoa, Carbosulcis, Eurallumina. Molti si sono fidati. Ha promesso 100 mila posti di lavoro con l'edilizia, invece ne abbiamo persi 70 mila. E adesso c’è un livello di disoccupazione non dico mai visto, ma neppure mai pensato.

LA CURA DEL CENENTO DEL MEDICO DI B.
di Antonella Brianda e Alessandro Ferrucci

Il futuro era lì, vicino, a portata di mattone. Settimo Nizzi, ex sindaco, aveva anche fissato la data: “Nel 2025 Olbia sarà una città da centomila abitanti con un’area urbana estesa fino alla tangenziale”. Di fatto la strada sopraelevata sarebbe diventata un moderno muro di cinta. E ancora zone agricole edificabili, un milione di metri cubi dedicati alla zona costiera, la più pregiata. Alberghi, ville. Ancora alberghi. Altre ville.

Era il 2004 e il professor Nizzi credeva di poter dire, fare, attuare ogni scempio in Costa Smeralda, in fin dei conti era l’ortopedico di Silvio Berlusconi. Fedele alla Casa delle libertà, la politica dell’ex primo cittadino era improntata sull’idea delle “mani libere”, del laissez-faire. A tanti, troppi è andata bene. Come il Caimano, anche lui amava mostrarsi in varie vesti, da medico, a politico, fino a operaio con tanto di caschetto giallo in testa e foto-ricordo sulle ruspe.

Più erano originali, per non dire fuori legge, le proposte di edificazione, più lui dava il via libera ai lavori. “Sono posti di lavoro!”, il classico mantra attira consensi. Ed ecco la selva di gru nella città dal 1997, gli anni dell’ebbrezza da cemento, della santificazione di massa per la Sardegna. Dello status symbol. Dei gommoni in acqua a caccia di vip sugli yacht. Dei Briatore a brindare a champagne. Pronunciare le parola “piano” associata a “regolatore” equivaleva a una bestemmia carpiata. L’ultimo risale al 1960 quando Olbia aveva appena 18 mila abitanti (diventati 60 mila). Solo nel 1984 il sindaco Giampiero Scanu lancia l’impianto per la nascita di un piano regolatore generale, piano che per i dieci anni in cui è stato a capo della città, non si è potuto realizzare . Ci si opponeva sempre e comunque. Nel frattempo Berlusconi e il principe Karim Aga Khan decidono di puntare su alcune aree di Olbia e presentano due programmi, di 2,5 milioni di metri cubi ciascuno, per edificare in zone da distribuire sia a nord della città in località Razza di Juncu, che a sud verso Capo Ceraso. Il valore complessivo degli investimenti era esorbitante : 5 mila miliardi di lire. Niente da fare, il piano non passa. Per fortuna c’è lui, caschetto-Nizzi, eletto per la prima volta proprio nel 1997, e tutto cambia: ecco diciassette piani di risanamento, 23 nuovi quartieri, vuol dire l’emergenza portata a sistema senza nessuna strategia strutturale.

E ancora il via libera alla costruzione di abitazione a Santa Mariedda e Pozzuru, quindi gli agognati alberghi da cinque e oltre stelle come l’Hilton e il Geo Village, sorti in zone un tempo industriali e magicamente diventate edificabili.

Il procuratore capo a Tempio Pausania, Domenico Fiordalisi, ha sulle sue scrivanie pile di documenti, carte relative ad alcune costruzioni di dubbia regolarità. Dubbia per la legge, non per i suoi abitanti. Nizzi nella zona è ancora considerato un personaggio di spessore, ha ancora il suo cerchio magico, dirige il Cipnes, un consorzio di industriali che gestisce milioni e milioni di euro, con la facoltà di approvare piani edilizi e assegnare licenze nelle zone di sua competenza. Quali zone? Esattamente dove Olbia dovrebbe espandersi, ovvio, dove lui, in fin dei conti, è di casa.

Greenreport, 21 novembre 2013

«La devastazione provocata dall’alluvione in Sardegna, con la tragedia della perdite di vie umane, impone alla Regione il radicale cambiamento nella gestione del territorio, con il blocco di ulteriori compromissioni e l’adozione di efficaci interventi di riassetto idrogeologico e paeseggistico». E’ questo il succo dell’appello unitario lanciato da Fondo ambiente italiano (Fai), Italia Nostra, Istituto nazionale di urbanistica (Inu), Legambiente e Wwf che spiegano: «La Giunta Regionale ha approvato un nuovo Ppr, che stravolge il precedente, proponendo di annullare molte delle misure a tutela del nostro territorio, costruite in decenni di lavoro comune e di crescente attenzione della comunità sarda».

Le 5 associazioni il 23 novembre terranno una conferenza stampa a Cagliari, e intanto lanciano l’appello “Salviamo il Paesaggio della Sardegna” che parte da un assunto: «La salvaguardia dei suoli e dei paesaggi delle coste e delle zone interne deve costituire la risorsa strategica per promuovere uno sviluppo che sia sostenibile».

Inu ed ambientalisti invitano a partecipare studiosi, esperti, amministratori, rappresentanti delle istituzioni e tutti i cittadini che hanno a cuore la tutela del patrimonio paesaggistico ambientale della Sardegna a quella che, dopo il disastro del ciclone “Cleopatra” si presenta come una rinascita culturale e politica della Sardegna che metta al centro la tutela ed il recupero della sua più grande risorsa: il territorio e l’ambiente.

Le associazioni concludono: «Siamo fiduciosi che i sardi sapranno scegliere di difendere il proprio territorio per promuovere nuove politiche del lavoro basato sulla salvaguardia ambientale, su un esteso programma di riassetto idrogeologico e sulla riqualificazione dell’edificato esistente. Rafforzare la qualità del territorio e la sua attrattiva nel panorama internazionale con il restauro del sistema paesaggistico costiero, la riqualificazione dei tanti villaggi costieri e dei centri urbani, con migliaia di seconde case e di edifici invenduti o inutilizzati, il recupero alle grandi tradizioni produttive agroalimentari dei terreni abbandonati sono la grande sfida per la generazione vivente e per quelle future, con decine di migliaia di posti di lavoro e garanzia di vita delle comunità insediata».

il manifesto, 20 novembre 2013


La roulette del territorio fai-da-te
di Sandro Roggio

Cosa è successo in Sardegna? Se lo chiedono in tanti e forse pure i turisti «continentali» che neppure sanno immaginarsele le coste sarde d'inverno. Sull'onda dell'emozione le risposte rischiano di essere precipitose. In realtà, il ripetersi di eventi catastrofici ci obbliga a prendere sul serio le prime reazioni, ormai arricchite da considerazioni già svolte in circostanze simili. Sembra una ripetizione oziosa parlare di malgoverno del territorio, ma tutti sappiamo con quale ostinazione si continua a urbanizzare aree inadatte. E quindi: piove ed è colpa del governo, da battuta popolare diventa espressione di meditata saggezza; non perché piove, certo, ma perché una pioggia straordinaria (spesso è così ) è solo una fra le cause di tragedie come questa.

Il governo del territorio in Sardegna: e viene in mente la confusione nei dibattiti intitolati «Tutela ambientale e sviluppo del territorio». Ma oggi il tema è un altro, la gravità del momento porta un elenco di domande per quando smetterà di piovere. I ponti devono sempre crollare? Le case devono stare nelle depressioni e negli alvei dei fiumi? Le tremila ville nell'agro di Arzachena sono una quantità gestibile? I condoni edilizi compensano la mancanza di case popolari a Olbia?

Insomma sarebbe facile la risposta: tutta colpa degli uomini cattivi che hanno maltrattato il territorio dell'isola. Vero in generale, ma dire che c'è un nesso di causalità diretto tra il disastro di queste ore e le trasformazioni avvenute in questi decenni è almeno precipitoso.

E d'altra parte servirà un po' di tempo per consentire agli studiosi più competenti - penso agli idrogeologi - di guardare caso per caso nel merito delle circostanze puntuali. Ma i dubbi non mancano. L'intensità dei fenomeni è stata notevole, ma è inesatto dire che non era prevedibile. La statistica osserva i fenomeni atmosferici e ne definisce la probabilità che possano ri-accadere. E si considerano i tempi «di ritorno» per intervalli in genere tra i 50 e i 500 anni. Ma il fatto che eventi si ripetano dopo centinaia di anni non mette al sicuro. La roulette spiega che lo zero ha 1/37 possibilità di uscire ma può succedere anche tre volte di seguito. Per cui: chi ha costruito male in un area a rischio può sentirsi al sicuro da eventi «probabili» a distanza di centinaia di anni?

Le precauzioni. Le aree urbane della Sardegna costiera sono cresciute negli ultimi trent'anni con un ritmo tale che i luoghi come li abbiamo visti solo una decina di anni fa sono del tutto irriconoscibili. Rispetto alla crescita tra Otto e Novecento, c'è stata una incredibile accelerazione. I tempi lunghi del processo insediativo consentono di correggere una scelta improvvida: una calamità rimane nella memoria delle comunità. Per cui la selezione dei luoghi adatti alla edificazione è avvenuta grazie al passaparola tra generazioni. Non è così nei tempi brevi. Intanto, nel nostro Paese, l'interesse per il bene comune è scivolato agli ultimi posti nella classifica dei valori. Il buon governo del territorio è una ossessione dei soliti che vaneggiano sul paesaggio invece di calcolare con ottimismo quanti bilocali - abusivi - starebbero su quel versante così tenero che si taglia con un grissino.

Il territorio della Sardegna è prezioso e vulnerabile e chiede una grande cura invece di assecondare il fai-da-te mentre si mandano rassicurazioni ai grandi speculatori. Il governo regionale ha deliberato di recente la variante al Piano paesaggistico. Mi auguro che il presidente Cappellacci vorrà tenere conto dei giudizi preoccupati che provengono da più parti su quell'atto, e che oggi sono ovviamente cresciuti.
Chi pensa alla Sardegna come immune da rischi si sbaglia.

La coscienza assente e il gioco di specchi
di Marcello Madau


Colpisce in queste ore drammatiche lo schizofrenico alternarsi di ordinario e straordinario, di normale ed eccezionale. Gioco di specchi che disorienta e ferisce. La solidarietà è eccezionale perché dovrebbe essere normale, ma ordinariamente non lo è rispetto ai valori ufficiali. I media, assieme ai corpi, alle case, alle terre violate, mettono la bontà - reale - in prima pagina. Sarebbe da prima pagina - normalmente - anche l'eccezionale fatto che a portare solidarietà alle popolazioni sia un governatore ex-presidente della società che ha avvelenato di cianuro il territorio di Furtei. Si invoca l'evento imprevedibile, millenario.

E questo ciclone sardo - perché chiamarlo Cleopatra e non Antonio? - è certamente il segno di un rapporto drammaticamente mutato fra terra, aria e mare nel nostro mediterraneo. Una eloquente risposta ai negazionisti del mutamento climatico globale. Ma è assente la coscienza normale che proprio per ciò bisognerebbe aumentare e non diminuire le tutele, non autorizzare urbanizzazioni dissennate, proteggere gli argini dei fiumi. Non cancellare, come è stato fatto pochi mesi fa, i fondi per gli studi idrogeologici.

Non mi convincono le accuse di assenza ad uno Stato e una Regione che invece sono molto presenti: nel nuovo Piano paesaggistico regionale - Ppr (S) - la tutela delle aree fluviali è indebolita, le cubature ammesse, il regime delle acque terrestri modificato. Anche con quei campi da golf che Ugo Cappellacci ha magnificato a Bosa, dove Condotte ne progetta uno su una delle più belle coste dell'isola.

Delicatissima e fragile la traccia ampia dell'antica Ichnoussa, delle biodiversità e dei ventimila monumenti archeologici. Se la Direzione Regionale del MiBac ha detto no al Ppr (S) di Cappellacci, oggi impressiona l'irrituale appello del Soprintendente Archeologo. Egli chiede in modo encomiabile che si segnali qualsiasi notizia di danneggiamento al patrimonio archeologico: è la coscienza, nella stessa chiamata d'aiuto, di un sistema inadeguato. Il nostro pianeta attraversa una profonda crisi ambientale. La Sardegna vi partecipa con un habitat climatico mediterraneo modificato e un territorio avvelenato da troppi decenni di saccheggio. L'eccezionale ciclone è il tracciante di questa situazione, la metafora di una crisi drammatica. Della necessità di forme nuove basate sull'autogoverno territoriale dei beni comuni, di cultura, tutela, democrazia e identità. Sulla maniera di gestire il territorio si decide il futuro della Sardegna, a partire dalle prossime elezioni regionali.

La Repubblica, 14 novembre 2013

Mentre un pezzo di questa pseudo-maggioranza di governo, con la complicità o la connivenza di una parte del Pd, vorrebbe mettere in vendita il patrimonio pubblico delle spiagge, lo Stato italiano rischia di perdere una “perla” della Sardegna come l’isola di Budelli, nell’arcipelago incantato della Maddalena. Qui Michelangelo Antonioni girò nel 1964 una memorabile sequenza del suo “Deserto rosso” con Monica Vitti. E qui c’è ancora, nonostante le scorribande di un turismo predatorio, la famosa “spiaggia rosa”, una delle più suggestive del mondo, così denominata per il colore particolare della sabbia lungo la linea della battigia.

All’inizio del Novecento, Budelli apparteneva a una famiglia della Maddalena e poi nel 1950 venne acquistata da un ingegnere milanese con il progetto di costruire un esclusivo villaggio vacanze. Ma l’operazione fu bloccata dalle resistenze locali, fino a quando nel 1992 il ministro dell’Ambiente, Carlo Ripa di Meana, firmò un decreto per rendere quel territorio inedificabile. A febbraio scorso, infine, in seguito al fallimento della società proprietaria, l’isola è andata all’asta ed è stata comprata per 2 milioni e 945mila euro da un banchiere neozelandese, intenzionato - a quanto assicura lui stesso - a preservare l’ambiente con le sue 700 varietà vegetali di macchia marina, di cui 50 specie endemiche.

Attraverso il Parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena, istituito nel ‘90, lo Stato potrebbe ancora esercitare però un diritto di prelazione entro l’8 gennaio 2014. Senonché l’articolo 138 della precedente Finanziaria, predisposta dal governo Monti, impedisce a qualsiasi ente pubblico di acquistare beni e cose. E per questo, su sollecitazione dell’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, Sel e il gruppo misto del Senato hanno presentato un emendamento alla legge di Stabilità che è all’esame del Parlamento.

In collaborazione con la piattaforma “change.org”, lo stesso Pecoraro Scanio aveva già lanciato su Internet una petizione popolare — intitolata “Budelli bene comune” — che finora ha raccolto oltre 80 mila firme. L’obiettivo è quello di affidare la proprietà e la gestione dell’isola al Parco, per trasformarla in un “museo all’aria aperta” in grado di autofinanziarsi con il ricavato dei biglietti d’ingresso. «Budelli è un patrimonio e un simbolo del nostro Paese — ribadisce il capogruppo di Sel alla Camera, Gennaro Migliore — che va restituito ai cittadini italiani».

L’emendamento alla legge di Stabilità chiama in causa direttamente il ministero dell’Economia, già alle prese con il bombardamento di tremila emendamenti presentati dai partiti alle Camere: anche in questo caso, spetta eventualmente a Fabrizio Saccomanni reperire i tre milioni di euro per salvare “l’isola più bella del mondo”. Ma tutto sommato si tratta di una cifra contenuta, l’equivalente di un appartamento di pregio nel centro di Roma, che oltretutto servirebbe ad alimentare turismo e occupazione. E perciò si aspetta un intervento anche da parte del ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, al quale va il merito di aver indotto per ora il Partito democratico a fare dietrofront sulla vendita delle spiagge.

Nel frattempo, contro questa inaccettabile liquidazione del nostro litorale, la Federazione dei Verdi guidata da Angelo Bonelli ha indetto per le 15 di oggi a Roma, in piazza del Pantheon, un sit-in di protesta contro la proposta di Pdl e Lega. «Vogliamo mobilitarci - spiega Bonelli - non tanto per una questione politica, quanto piuttosto morale». Il paradosso è che le spiagge italiane, con le 30 mila concessioni demaniali assegnate a imprenditori privati per la gestione di 15 mila stabilimenti
balneari che insistono su 600 Comuni costieri, di fatto sono state già svendute: tant’è che rendono allo Stato intorno ai cento milioni di euro all’anno, in base a canoni irrisori e spesso anche clientelari, fruttando agli esercenti incassi che si aggirerebbero sui dieci miliardi (due secondo i dati ufficiali).

Nel 2012 fu la Commissione europea a intervenire, sollecitando la riduzione da 30 a 5 anni della proroga alle concessioni, originariamente proposta anche allora da Pdl e Pd. La storia, insomma, si ripete. Ma la “spiaggia rosa”, l’isola di Budelli e tutto l’arcipelago della Maddalena non possono rientrare ora nella logica viziosa delle “larghe intese”.

Arnaldo (Bibo) Cecchini
Perché abbiamo ritenuto giusto collaborare con la Giunta Cappellacci
ma oggi siamo contrari al loro PPS

Caro Eddy,

Rispondo alla tua lettera aperta del 7 novembre scorso. Credo, anzi so, di essere uno dei tuoi “ottimi e stimatissimi amici” e sono sempre stato e sono stato un amico di eddyburg che consiglio sempre ai miei studenti come un punto di riferimento irrinunciabile. Ricorderai che lo presentammo ad Alghero ai suoi albori.

Mi fa piacere discutere con te, come abbiamo fatto in tanti anni, trovandoci spesso d’accordo e sempre facendo delle nostre discussioni, occasionalmente anche aspre, un’occasione di crescita e di apprendimento. Ricordo la più ardua, durante la guerra del Kosovo che ci ha visto in dissenso, in due gruppi con posizioni diverse allo IUAV. O la discussione sulla bozza di riforma Martinotti su cui invece eravamo d’accordo. O il fatto che ci siamo alternati come pro-rettori responsabili delle nuove tecnologie allo IUAV, con una grande consonanza di visione. Insomma, oltre ad aver appreso da te e da Indovina il poco che so di urbanistica, sono lieto di essere tuo amico.

Ciò premesso, come hai visto ho, abbiamo noi tutti e quindici, già risposto alla seconda domanda: sono contrario al cosiddetto PPS proposto dalla Giunta regionale in carica, e farò quel che posso per evitare che venga approvato.

La prima, più che una domanda, è una rilevante questione.

Come forse ricorderai sin da “bambino” non credevo alla neutralità della scienza (sono laureato in Fisica e il mio primo scritto si intitolava “Un mitra è una mitra e la meccanica quantistica è la meccanica quantistica”, un samizdat che ha circolato molto a Preganziol, prima che tu arrivassi). Posso non dilungarmi su quel che so, sappiamo, essere ovvio? Vengo alla questione.

I dirigenti dell’Assessorato all’Urbanistica della Regione Sardegna ci hanno chiesto (non so a chi altro, ad esempio non sapevo che avessero chiesto anche a te) se potevamo essere interessati a condurre un processo teso a presentare e a discutere con tutti gli attori sociali, economici e istituzionali il PPR della Sardegna (quello che tu hai, con altri tra cui il nostro Preside di allora Vanni Maciocco, pensato ed elaborato), a evidenziarne possibili criticità, a indicare modalità di coinvolgimento degli attori pubblici locali (Comuni e Province) nella sua applicazione e nella costruzione di progettualità.

Io non ero allora Preside, ma dirigevo un laboratorio che si occupa (anche) di partecipazione (so che abbiamo una grande consonanza su questo, dall’epoca in cui abbiamo seguito delle Tesi di Laurea insieme sull’argomento) e la richiesta è pervenuta all’amica e collega Alessandra Casu, che tu conosci bene e sulla cui serietà, rettitudine, onestà e rigore non è permesso a nessuna persona perbene di dubitare; Alessandra ha assunto la direzione del processo.

Posso pensare che una delle ragioni della richiesta fosse che avevamo condotto un processo di condivisione e di conoscenza del PPR per decine di amministratori, funzionari e tecnici, un’attività di formazione voluta dalla Giunta Soru, chiamato ITACA e il cui laboratorio finale, svoltosi a Barcelona aveva come titolo Nuove Idee per la Sardegna: quel laboratorio era stato ideato e guidato da me, dalla collega Casu e dal collega Plaisant,.

Abbiamo deciso di manifestare il nostro interesse perché l’obiettivo dichiarato era quello che ho descritto e perché noi siamo un’istituzione che ha il dovere di cooperare - in piena autonomia e con rigore scientifico e trasparenza - con altre istituzioni pubbliche (succedeva allo IUAV ad esempio con la Regione Veneto).

Il processo è stato condotto con grande rigore (anche se i tempi previsti sono stati tagliati) e con la massima trasparenza: Alessandra potrà darti i dettagli, in un suo intervento nel merito del processo cui io ho partecipato pochissimo.

Le conclusioni erano, e non era scontato (come sai il Presidente Soru per cui ho votato due volte, è stato impallinato dai “suoi” in Consiglio Regionale, fatto che ha portato alle seconde elezioni, quelle perse), di difesa del PPR, con pochi e circostanziati suggerimenti, molto ragionevoli; ne cito alcuni: attenzione a costruire rapporti definiti fra i vari livelli istituzionali, formazione del personale e dei tecnici – come era stato nel grande progetto ITACA – sostegno alla pianificazione e alla progettazione dei Comuni (io li ho chiamati gli “urbanisti dei piedi scalzi”), estensione del Piano alle zone interne linee-guida chiare e usabili.

Tu dirai: “ma siete così ingenui da pensare che, nonostante un lavoro serio e ben fatto, Cappellacci non ne avrebbe approfittato per strumentalizzarlo e manipolarlo?”. La risposta è no, non sono ingenuo. Ma – in ogni occasione – abbiamo chiarito, precisato e argomentato; alcuni pensano persino che – proprio perché il lavoro era serio e non manipolabile – sia stato per molto tempo un argine contro lo stravolgimento del PPR.

Non credo che il nostro lavoro di urbanisti sia neutrale (come dice il comune amico Indovina: l’urbanistica è “scelta politica tecnicamente assistita”), credo che si possa farlo con onestà e chiarezza, credo che non sia opportuno - se non in casi estremi – rifiutare la collaborazione tra istituzioni, all’unica condizione di perseguire l’interesse pubblico con chiarezza e onestà.

Spero di aver chiarito la nostra posizione. Mi fermo qui. Grazie dell’opportunità. Un abbraccio.

P.S.
Una nota metodologica. Il mio costume è, quando scrivo un articolo o rilascio un’intervista ai media online che consentono commenti, di non commentare i commenti. C’è uno statuto diverso tra queste due modalità di intervento, per questo non mi permetto di commentare mai su un mio “pezzo”, se non sul mio personale blog, che – essendo casa mia – governo io. Continuerò così.

Eoardo Salzano
Ti ringrazio, ma il lavoro non è finito qui

Caro Bibo,

prendo atto con piacere della tua (della vostra) opposizione al piano paesaggistico di Cappellacci. Sono particolarmente lieto che la discussione si sia allontanata dal terreno dei riferimenti personali e sia andati al merito delle cose. Ti sono grato della tua ricostruzione dei fatti che – certamente per mia colpa – conoscevo solo in piccola parte. Mantengo peraltro forti dubbi sull’opportunità di collaborazioni tra istituzioni che aderiscono a convinzioni, principi e interessi (diciamo ideologie? non attribuisco alcun significato negativo a questo termine) molto distanti tra loro.

Mi domando: se hai determinati principi e anteponi alcuni interessi su altri, ha senso collaborare con chi esprime principi e serve interessi alternativi ai tuoi, anche se lo fai solo per ridurre il danno di scelte che giudichi sbagliate? Anche se agisci come istituzione pubblica collaborando con un’altra istituzione anch’essa pubblica? Non conta tanto il colore politico, quanto l’atteggiamento di quella istituzione nei confronti del tema del quale sei “esperto”.

Non è una posizione di principio, la mia. Anzi, in linea di principio credo che la collaborazione tra le istituzioni pubbliche sia del tutto opportuna, e anzi necessaria, sia pure con le garanzie necessarie quando si tratta di “poteri” diversamente incardinati. Ma oggi, in Italia, con queste istituzioni permeate da questi poteri? Con questa disparità di condizioni tra quelle infeudate al mondo degli affari e colonizzate dal finanzcapitalismo e quelle cui afferiscono gli intellettuali?

La mia è una posizione che si riferisce all’attuale contesto storico e geografico, e in particolare alla disparità di condizioni tra chi esercita il potere reale (anche attraverso le istituzioni) e il mondo (e le istituzioni) degli intellettuali.

Mi sembra che l’intervento di Marcello Madau, in commento al mio del 7 novembre scorso, ponga la questione in termini molto interessanti. Gli chiederò di affrontare l’argomento in un articolo per eddyburg. sul quale mi piacerebbe che il dibattito si allargasse, e che tu stesso intervenissi di nuovo. Come ti ho scritto sono convinto come Zagrebelsky, che la verità esista e che perciò valga la pena di cercarla, ma so anche che questo lavoro può avere successo solo se è collettivo ed è il risultato di un dialogo a molte voci.

Passando a un altro più specifico argomento mi interessano molto i suggerimenti che, come scrivi, avete dato nel corso del vostro lavoro in merito all’implementazione del Piano di Soru. Se fossi più vispo ti proporrei di organizzare ad Alghero una discussione critica su quel piano e sui suoi limiti, magari a partire dal libro che ho curato (Lezioni di piano: se l’hai letto sai che con questo titolo non si intendeva attribuire la denominazione di “lezione” al mio intervento né al PPR in sé, ma agli insegnamenti che dal suo percorso potevano trarsi). Sono del parere che su quel piano si sia ragionato poco, negli ambiti della cultura specialistica, e che questo non sia un bene.

Per quanto riguarda il PPS di Cappellacci spero che non ci sia bisogno di nostre iniziative, visti l’atteggiamento, per ora fermo, del Mibac e la quantità di magagne formali del tentativo della Regione di cancellare goffamente le tutele. Devo dire che mi sembra un segno non bello dei nostri tempi il fatto che ci si debba così spesso affidare alla magistratura, solo perché la cultura e la politica tacciono. Se invece le cose cambieranno e il tentativo di Cappellacci dovesse guadagnare terreno e riterrò necessaria una iniziativa pubblica da parte degli intellettuali e dei cittadini, ti (vi) chiederò di aderire in ambedue i ruoli.

Un abbraccio, a te e ad Alessandra
eddy

Il manifesto, 10 novembre 2013

Il ministero per i beni culturali (Mibac) va verso l'impugnazione del piano del paesaggio con il quale la giunta sarda di centrodestra vorrebbe demolire la legislazione approvata nel 2006 dal governo regionale guidato da Renato Soru. Con una lettera pubblicata l'altro ieri sul quotidiano La Stampa il sottosegretario ai beni culturali, Ilaria Borletti Buitoni, ha invitato il presidente Ugo Cappellacci (Pdl) a sospendere la delibera approvata nei giorni scorsi dal consiglio regionale. In caso contrario, sarebbe inevitabile un doppio ricorso del governo Letta contro la giunta sarda: uno alla Corte costituzionale e un altro, amministrativo, davanti al Tar.

«Il presidente della regione Cappellacci - scrive Borletti Buitoni nella lettera - ha dichiarato guerra alla soprintendenza ai beni culturali della Sardegna e sta rapidamente consegnando l'isola a una visione che prevede un aumento gigantesco e capillare di costruzioni, visione di cui si vedono già i primi effetti. La scusa di chi sostiene questo progetto è sempre la solita: con la gravissima crisi economica, che in particolare in Sardegna sta uccidendo l'economia, non si può certo rinunciare all'opportunità di uno sviluppo almeno nel settore dell'edilizia. Dissento da questa affermazione, perché è ben vero il temporaneo sollievo che la riattivazione dell'industria delle costruzioni può portare alla disoccupazione tragica dell'isola, ma è altrettanto vero che, sulla media e lunga distanza, la distruzione del paesaggio toglierebbe alla Sardegna la sua eccezionalità, che, se valorizzata, sarebbe un volano di sviluppo a lungo termine. I ricchi russi, che pure decapitano senza problemi una collina per costruire in patria la propria casa, non ci metteranno nulla a transumare altrove quando in Sardegna si troveranno intorno non più un mare circondato da una natura incontaminata ma coste devastate dal cemento. E allora rimarrebbe solo la disperazione di aver consegnato luoghi unici a un modello di sviluppo sbagliato e poco lungimirante, che invece di portare benessere ha portato alla perdita di un patrimonio collettivo unico al mondo».

Alla lettera del sottosegretario ha replicato il capogruppo Pdl in consiglio regionale, Pietro Pittalis, con parole che, oltre a essere una perla di «pensiero berlusconiano», denunciano insieme il nervosismo della giunta di centrodestra e la debolezza della sua posizione in termini strettamente giuridici: «Sono stanco delle lezioncine di baronetti radical chic difensori dell'ambientalismo ipocrita. Invitiamo il sottosegretario Borletti Buitoni ad abbandonare un atteggiamento supponente e prevenuto, incompatibile con il ruolo che riveste. La invitiamo a cessare i suoi aristocratici modi sprezzanti verso chi, al contrario di lei, è stato eletto dal popolo». Facile, per Borletti Buitoni, replicare - questa volta non con una lettera ma con una nota ufficiale del Mibac - ricordando a Pittalis e a Cappellacci che essere eletti dal popolo non autorizza nessuno a violare le leggi, nel caso specifico il Codice dei beni culturali e la Costituzione. Per il sottosegretario una sospensiva del nuovo piano del paesaggio voluto dal centrodestra è necessaria «anche per evitare la coesistenza di due norme, il piano paesaggistico regionale del 2006 e quello attuale, dissonanti tra loro». «Inoltre - argomenta nella nota l'esponente del governo - se è vero che la Regione Sardegna gode di autonomia sulla procedura di redazione del piano, più sentenze della Corte costituzionale hanno dichiarato illegittime norme regionali che si ponevano in contrasto con disposizioni previste dal Codice dei beni culturali, a partire dall'articolo 135, che al comma 1 dispone che la pianificazione paesaggistica sia effettuata congiuntamente tra ministero e regioni». «Al contrario del presidente Cappellacci - conclude la nota del sottosegretario - io non sono in campagna elettorale e dunque mi è più facile guardare ai problemi dal punto di vista amministrativo e generale, dal punto di vista del bene comune inteso come cosa pubblica. Al netto delle fantasiose definizioni che sono state usate nei miei confronti, il vero punto in discussione sono i poteri dello stato e il loro interno equilibrio».

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