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Mauro Lissia
Ovidio eroe di Facebook non arretra di un passo: «L'hotel va demolito»
7 Agosto 2011
Sardegna
Appoggiato dal mondo di Facebook il contadino sardo resiste alla colonizzazione dei lottizzatori padovani e difende la bellezza di Teulada. La Nuova Sardegna, 7 agosto 2011

Il vecchio Ovidio Marras guarda il grande resort della Sitas, sferzato dal vento di mare che solleva la polvere dei cantieri. Si trova proprio là, pochi metri dal suo antico furriadroxiu dove vive da una vita. I lavori di costruzione sono quasi finiti, c'è uno sfregio profondo nella natura magica di Tuerredda. Ma forse non per sempre, forse non è ancora finita.

Perchè Ovidio sorride, i suoi occhi brillano e lo sguardo si apre alimentato da un orgoglio che non si perde in facili trionfi: «Sì ho vinto io, me l'hanno detto. Adesso i padovani devono demolire...». Gliel'hanno detto ma non sa ancora tutto. Non sa che sulle pagine di Facebook è una specie di eroe dell'indipendenza sarda: quasi cinquemila link conducono alla notizia del pastore Davide che ha sconfitto in tribunale l'impresa Golia, l'alleanza fra costruttori, banchieri e finanzieri che vuole trasformare l'incanto naturale di Malfatano, sulla costa teuladina, in un paradiso per miliardari. Sul social network e sul sito della Nuova Sardegna i commenti sono segnati da grandi esclamativi di gioia: «Ovidio, sei un mito». Poi «Ovidio sei tutti noi» e «grazie Ovidio, la Sardegna è con te».

Fra opinioni in lotta e voci sparse che difendono comunque «i posti di lavoro» offerti dall'ultima grande speculazione turistico-edilizia della costa sarda, c'è chi ha postato l'immagine del pastore, quel corpo ossuto, la pelle bruciata dal tempo e dal sole, come fosse il simbolo vivente di un riscatto storico. Batman avrebbe un costume metallico e l'icona di un pipistrello sul torace, Che Guevara scruterebbe l'orizzonte dell'Avana con gli occhi tenebrosi del rivoluzionario. Ma lui è solo Ovidio di Malfatano, ha il nome di un poeta ma è nato e cresciuto a trecento metri dalle onde di Tuerredda. Un uomo di campagna che vorrebbe vivere quanto gli resta nel silenzio e tra i profumi del solo luogo compatibile con se stesso. Così l'estate la passa a torso nudo, i pantaloni appesi ai resti d'un cinto che sembra tenersi insieme grazie a un'ignota perizia artigiana: «Feis... feis.. itta esti...? No no lassaus perdiri». Allora lasciamo perdere Facebook e parliamo dell'ordinanza firmata dal tribunale di Cagliari, quella che ha disposto la demolizione dell'hotel messo in piedi dai costruttori nordisti, i nemici storici di Ovidio.

Mentre dal cantiere arrivano gli echi degli operai che mangiano e festeggiano chissà che cosa: «Quella è la strada mia - indica, in un dialetto stretto, accovacciato comodamente su una delle seggiole lillipuziane della sua dimora antica - gliel'avevo detto a novembre del 2009 che non dovevano toccarla. Il terreno è dei padovani, ma la strada è anche la mia. Allora? Ragione ho avuto?». Per i giudici sì, ha avuto ragione. Ed ora l'esecuzione dell'ordine dipende soltanto da Ovidio. E' lui che deve accendere il motore del bulldozer con una telefonata all'avvocato Andrea Pogliani, chiamato a mettere in esecuzione un provvedimento inappellabile: «Per me si demolisce - taglia corto e fa un gesto secco - solo che andava fatto prima, a novembre... E' allora che bisognava fermarli». Ed è qui, su questo ritardo sospetto e anomalo, che affiora dai ricordi dell'anziano pastore una vicenda da approfondire: quando la squadra di operai della Sitas ha piazzato il cancello sulla stradina, quella di cui Marras detiene il compossesso, la cosa non è passata liscia. Consulto familiare e subito una visita alla caserma dei carabinieri: «Abbiamo fatto la denuncia, la denuncia scritta...» ricorda Ovidio facendosi serissimo.

Poi però la denuncia è stata ritirata e in caserma è rimasta solo una fotocopia. Il perchè è confuso tra i tanti piccoli misteri che circondano questa vicenda di ordinaria speculazione, dove protagonisti e comprimari sembrano confondere i propri ruoli in base a interessi da verificare: «S'abogau - scuote la testa il vecchio pastore di Malfatano - è stato l'avvocato Paolo Francesco Calmetta di Milano a dirci che la denuncia andava ritirata». Ovidio scandisce i nomi e il cognome del legale lombardo, quasi volesse scolpirne i caratteri nella mente di chi l'ascolta: «Ce l'aveva consigliato un amico tedesco, quell'avvocato... bravo, diceva... s'è visto. Ci ha detto che non conveniva denunciare, che bisognava aspettare. Ecco qua, hanno costruito tutto e adesso va a buttare giù...».

Domanda inevitabile: perchè quell'attesa? Un ricorso d'urgenza al tribunale civile, com'è avvenuto solo un anno più tardi attraverso lo studio dell'avvocato Alberto Luminoso, avrebbe bloccato i lavori sul nascere. Poi, senza un'assenso scritto della famiglia Marras, la Sitas sarebbe stata costretta a rivoluzionare il progetto: spostare l'hotel e di conseguenza gli edifici di servizio che s'irradiano dal corpo centrale del resort. Varianti, nuove autorizzazioni, ricorsi e controricorsi: «Mai più avrebbero costruito» scuote la testa Ovidio, stringendo un po' di più la cinta sui pantaloni, più grandi di due taglie. C'è del vero nella sua riflessione semplice, che rispecchia una volontà espressa ossessivamente: «Vendere? No, io non vendo. Non vendo e basta... demoliscano, non demoliscano, io comunque resto qui». Con le sue poche pecore, un cagnetto («attenti, mussiara») nascosto sotto un vecchio attrezzo di legno e quattro gattini che volano agilissimi da un muretto all'altro alle spalle del furriadroxiu, dove c'è solo vegetazione intatta e il resort dei padovani non si vede. Da qui, da dietro la piccola casa arredata con le cose utili al lavoro, s'innalza una piccola collina da cui è possibile ammirare un panorama strabiliante: da Tuerredda fino a Malfatano dove attraccavano millenni fa le navi dei Fenici e dei Romani. Il porto della speranza che nel 2011 è minacciato da progetti di urbanizzazione, ville di lusso, edifici da offrire ai russi per fare cassa sull'ambiente.

I mattoni e il cemento, investimenti sulla morte dei luoghi e del paesaggio, pochi ricchi impegnati a cacciare dalle proprie terre chi le abita da secoli. E' contro questa minaccia, ormai realtà visibile, che il popolo di Facebook si è mobilitato e ha fatto del pastore di Malfatano il proprio eroe inconsapevole ma fiero. Il sole di mezzogiorno picchia duro su Tuerredda, dal piccolo orto del furriadroxiu si distinguono le voci dei bambini che giocano sulla spiaggia. Ovidio attraversa la porta e guarda da quella parte, dalla parte del mare. Poi va incontro agli operai del cantiere Sitas, al servizio dei padovani. Li saluta e sorride: gente che lavora, non è con loro che ce l'ha.

Su eddyburg vedi anche la denuncia di Maria Paola Morittu (Italia Nostra) che ha aperto la vertenza Malfatano, i pomodori di Ovidio e i mattoni dei padovani, e gli articoli Malfatano resort, 5 stelle di cemento e Malfatano, ultimo scempio

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