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L'Espresso, 18 luglio 2017

«Maxi aumenti di volume per hotel e lottizzazioni sul mare: il centrosinistra copia il piano casa di Berlusconi. Renato Soru insorge: "Il Pd ha tradito"»
Il Pd di Berlusconi, pardon, il Pdl ha varato nel 2009 il famoso piano casa: più cemento per tutti,senza regole e senza piani urbanistici, sfruttando un sistema di aumentiautomatici di volume per la massa dei fabbricati esistenti. Ora la giunta delPd che governa la Sardegna progetta un inatteso bis, sotto forma di pianoalberghi: via libera con un’apposita legge a nuove costruzioni turistiche,ecomostri compresi, perfino nella fascia costiera finora considerata inviolabile,cioè spiagge, pinete, scogliere e oasi verdi a meno di trecento metri dal mare.

Il programma di questo presunto centrosinistra sardo è di applicare proprio ilsistema berlusconiano degli aumenti di volume in percentuale fissa (che premiacon maggiori quantità di cemento i fabbricati più ingombranti) a tutte lestrutture ricettive, belle o brutte, piccole o enormi, presenti o future,compresi ipotetici hotel non ancora esistenti. Unaderegulation edilizia in aperto contrasto con la legge salva-coste approvatadieci anni fa dall’allora governatore Renato Soru e dal suoassessore all’urbanistica Gianvalerio Sanna, cioè con una riforma targata Pdche nel frattempo è stata presa a modello da una generazione di studiosi,architetti, urbanisti e amministratori pubblici non solo italiani.

La contro-riformaodierna è nascosta tra i cavilli del disegno di legge approvato il 14 marzoscorso dalla giunta regionale presieduta da Francesco Pigliaru, il professoredi economia eletto nel 2014 alla testa del Pd. La normativa ora è all’esamefinale della commissione per il territorio: l’obiettivo della maggioranza è diportare in consiglio regionale un testo blindato, da approvare in tempistretti, senza modifiche, subito dopo l’estate.

Sulla carta avrebbe dovuto trattarsi della nuovalegge urbanistica che la Sardegna attendeva da un decennio per completare lariforma di Soru, con impegni precisi: stop all’edilizia speculativa, obbligoper tutti i comuni di rispettare limiti chiari anche fuori dalla fasciacostiera, per difendere tutto il territorio, fermare il consumo di suolo efavorire il recupero o la ristrutturazione dei fabbricati già esistenti.All’articolo 31, però, spunta il colpo di spugna:«al fine di migliorare qualitativamente l’offerta ricettiva», siauto-giustifica il testo di legge, «sono consentiti interventi diristrutturazione, anche con incremento volumetrico, delle strutture destinateall’esercizio di attività turistico-ricettive».

Il concetto chiave è l’incremento volumetrico: la norma approvatadall’attuale giunta di centrosinistra, proprio come il piano-casa del governoBerlusconi, autorizza aumenti di cubatura del 25 cento «anche in deroga aglistrumenti urbanistici» in vigore, compresa la legge salvacoste. Insomma, sesiete in vacanza in una spiaggia immacolata della Sardegna, fatevi un belbagno: potrebbe essere l’ultimo.

Hotel, alberghi, pensioni, residence,multiproprietà e lottizzazioni turistiche di ogni tipo vengono infattiautorizzati non solo a gonfiarsi di un quarto, cementificando nuovi pezzi dicosta, ma anche a sdoppiarsi, spostando gli aumenti di volume in «corpi difabbrica separati». «In pratica si può costruire un secondo hotel o residencein aggiunta al primo anche nella fascia costiera in teoria totalmenteinedificabile», denuncia l’avvocato Stefano Deliperi, presidente del Gruppod’intervento giuridico (Grig), che per primo ha lanciato l’allarme. «Ma nonbasta: i nuovi aumenti di volume si possono anche sommare agli incrementiautorizzati in passato, ad esempio con il piano casa o con le famigerate 235deroghe urbanistiche che furono approvate tra il 1990 e il 1992 dall’alloragiunta sarda», sottolinea il legale, che esemplifica: «Un hotel di 30 milametri cubi che deturpa una spiaggia, per effetto dei due aumenti cumulativi del25 per cento ciascuno, sale quasi a quota 50 mila: per l’esattezza, si arriva a46.875 metri cubi di cemento».

L’ex presidente della Regione, Renato Soru, spiega all’Espresso di essere «molto preoccupato per la cecità di una classe dirigente che sta mettendo in pericolo il futuro della Sardegna». «Con l’assessore Sanna eravamo partiti da una constatazione pratica», ricorda Soru: «Grazie ad anni di studi e ricerche abbiamo potuto far vedere e dimostrare che più di metà delle coste della Sardegna, parlo di circa 1.100 chilometri di spiagge, erano già state urbanizzate e cementificate. Di fronte a una situazione del genere, in una regione come la nostra, qualsiasi persona di buonsenso dovrebbe capire che i disastri edilizi del passato non devono più ripetersi. Oggi tutti noi abbiamo il dovere morale e civile di difendere un territorio straordinario che è la nostra più grande risorsa e la prima attrattiva turistica: le bellissime spiagge della Sardegna sono la nostra vera ricchezza, che va conservata e protetta per le generazioni future. Per questo la nostra legge prevede una cosa molto semplice e logica: nella fascia costiera non si costruisce più niente. Zero cemento, senza deroghe e senza eccezioni per nessuno. E in tutta la Sardegna bisogna invece favorire la riqualificazione dell’edilizia esistente, il rifacimento con nuovi criteri di troppe costruzioni orrende o malfatte. Quindi via libera alle ristrutturazioni, alle demolizioni e ricostruzioni, al risparmio energetico. Con regole certe e uguali per tutti, perché l’edilizia in Italia può uscire veramente dalla crisi solo se viene tolta dalle mani della burocrazia e della politica».

A questo punto Soru confessa di essere uscito dai palazzi della regione, alla fine della sua presidenza, proprio «a causa dei continui scontri sull’urbanistica». E dall’altra parte della barricata, a tifare per il cemento, non c’era solo il centrodestra, ma anche «quella parte del Pd che ora è al potere». Da notare che Soru, per eleganza o per imbarazzo, evita di fare il nome dell’attuale presidente, anche se sarebbe legittimato ad accusarlo di tradimento politico, visto che Pigliaru era stato suo assessore ai tempi della legge salva-coste.

Oggi però lo stop al cemento sulle spiagge più belle d’Italia rischia di trasformarsi in un bel ricordo. Gli avvocati del Grig hanno già catalogato «ben 495 strutture turistico-ricettive della fascia costiera che potrebbero approfittare dell’articolo 31. Stiamo parlando di milioni di metri cubi di cemento in arrivo», rimarca Deliperi, evidenziando che il disegno di legge ha una portata generale, per cui si applica anche, anzi soprattutto alle strutture più contestate, quelle che si sono meritate l’epiteto di ecomostri. Come il residence-alveare “Marmorata” di Santa Teresa di Gallura, l’albergone “Rocce Rosse” a picco sugli scogli di Teulada, la fallimentare maxi-lottizzazione turistica “Bagaglino” a ridosso delle spiagge di Stintino, i turbo-hotel “Capo Caccia” e “Baia di Conte” ad Alghero e troppi altri. Il premio percentuale infatti non dipende dalla qualità del fabbricato, ma dalla cubatura: più l’ecomostro è grande, più è autorizzato a occupare terreno vergine con nuove colate di cemento.

Il progetto di legge, per giunta, equipara agli alberghi da allargare, e quindi trasforma in volumi gonfiabili di cemento, addirittura le «residenze per vacanze», sia «esistenti» che ancora «da realizzare», cioè quelle montagne di seconde case che restano vuote quasi tutto l’anno, arricchiscono solo gli speculatori edilizi, ma deturpano per sempre il paesaggio. Con la nuova dirigenza del Pd, insomma, il vecchio piano casa è diventato un piano seconde case, secondi alberghi e seconde lottizzazioni. E tutto questo in Sardegna, la regione-gioiello che tra il 2004 e il 2006 aveva saputo cambiare il clima politico e culturale sull’urbanistica, spingendo decine di amministrazioni locali di mezza Italia a imitare la legge Soru, fermare il consumo di suolo e limitare finalmente uno sviluppo edilizio nocivo e insensato.

Gianvalerio Sanna, l’ex assessore regionale oggi relegato a fare politica nel suo comune d’origine, ama parlar chiaro: «Questo disegno di legge è una vera porcata. La giunta del Pd sta facendo quello che non era riuscito a fare il governo di centrodestra. Le nostre norme, ancora in vigore, favoriscono con incentivi e aumenti di volume solo la demolizione e lo spostamento dei fabbricati fuori dalla fascia costiera dei 300 metri. Questo vale già adesso anche per gli alberghi e i campeggi. Per allargarli e rimodernarli con criterio non c’è nessun bisogno di cementificare le spiagge».

I dati sono allarmanti già oggi. «Le coste della Sardegna sono invase da oltre 210 mila seconde case: appartamenti sfitti, che mediamente restano disabitati per 350 giorni all’anno», enumera Sanna: «Il nostro obiettivo, condiviso da migliaia di cittadini che proprio per questo hanno votato Pd alle elezioni regionali, era di liberare dal cemento, gradualmente e armonicamente, tutta la zona a mare, che è la più preziosa. La nuova giunta sta facendo il contrario. L’edilizia è tornata merce di scambio: il piano casa, che fu giustificato da Berlusconi come rimedio eccezionale contro la crisi dell’edilizia, diventa la norma. La deroga diventa la regola. Così la politica si mette al servizio delle grandi lobby, degli interessi di pochi, a danno della cittadinanza e di tutte le persone che amano la Sardegna».

Quando allude a scambi, Sanna non usa parole a caso. Nella minoranza del Pd rimasta fedele a Soru sono in molti a evidenziare una singolare coincidenza: la controriforma urbanistica sta nascendo proprio mentre gli sceicchi del Qatar, i nuovi padroni miliardari della Costa Smeralda, annunciano l’ennesima ondata di progetti edilizi per super ricchi, per ora bloccati proprio dalla legge Soru. Per ingraziarsi la classe politica sarda, lo stesso gruppo arabo ha comprato dal crac del San Raffaele anche il cantiere fallimentare del nuovo ospedale di Olbia. E ora gli sceicchi sembrano aspettarsi che i politici, in cambio, aboliscano proprio i vincoli ambientali sulla costa.

«Con questa legge vergognosa il presidente Pigliaru sta contraddicendo anche se stesso», commenta amaramente Maria Paola Morittu, la combattiva avvocata di Cagliari che oggi è vicepresidente nazionale di Italia Nostra: «Per smentire la sua giunta, al professor Pigliaru basterebbe rileggere le proprie pubblicazioni accademiche, in cui scriveva e dimostrava che il consumo di suolo è disastroso non solo per l’ambiente, per il paesaggio, ma anche per lo sviluppo economico».

Carte alla mano, l’avvocata di Italia Nostra e il suo collega Deliperi passano in rassegna la successione di leggi edilizie della Sardegna, per concludere che oggi il Pd sardo sta facendo indietro tutta. La buona urbanistica insegna come e dove costruire case sicure in luoghi vivibili senza distruggere il territorio. In Italia se ne parla solo quando si contano le vittime evitabili di alluvioni, frane, valanghe, terremoti e altri disastri che di naturale hanno solo le cause immediate. In Sardegna, dopo decenni di edilizia selvaggia, la legge Soru e il conseguente piano paesaggistico regionale – studiato da un comitato tecnico-scientifico presieduto da Edoardo Salzano, un gigante dell’urbanistica – hanno fissato per la prima volta due principi fondamentali: basta cemento a meno di 300 metri dal mare; solo edilizia regolata e limitata in tutta la restante fascia geografica costiera, che di norma si estende fino a tre chilometri dalle spiagge. «In campagna elettorale il Pd guidato da Pigliaru aveva promesso di estendere la legge Soru a tutta la Sardegna, obbligando anche i comuni interni ad applicare i piani paesaggistici», osservano desolati i due avvocati. Passate le elezioni, il vento è cambiato.

In Italia, prima della recessione, venivano cementificati a norma di legge oltre 45 milioni di metri quadrati di terra all’anno. Nel 2015, nonostante la crisi, si è continuato a costruire nuovi appartamenti e capannoni per oltre 12 milioni di metri quadrati (dati Istat). «Con la legge salvacoste la Sardegna ha saputo lanciare un nuovo modello di sviluppo sostenibile», rivendica Soru. Ora la grande retromarcia della giunta seduce le lobby dei grandi albergatori, che organizzano convegni esultanti contro «l’ambientalismo che danneggia il turismo». Resta però da capire se, alle prossime elezioni, la maggioranza dei cittadini sardi si fiderà ancora di un Pd che imita il berlusconismo, col rischio di riabilitarlo.

l'Espresso, 15 luglio 2017 (c.m.c.)

Il Pd di Berlusconi, pardon, il Pdl ha varato nel 2009 il famoso piano casa: più cemento per tutti, senza regole e senza piani urbanistici, sfruttando un sistema di aumenti automatici di volume per la massa dei fabbricati esistenti. Ora la giunta del Pd che governa la Sardegna progetta un inatteso bis, sotto forma di piano alberghi: via libera con un'apposita legge a nuove costruzioni turistiche, ecomostri compresi, perfino nella fascia costiera finora considerata inviolabile, cioè spiagge, pinete, scogliere e oasi verdi a meno di trecento metri dal mare.

Il programma di questo presunto centrosinistra sardo è di applicare proprio il sistema berlusconiano degli aumenti di volume in percentuale fissa (che premia con maggiori quantità di cemento i fabbricati più ingombranti) a tutte le strutture ricettive, belle o brutte, piccole o enormi, presenti o future, compresi ipotetici hotel non ancora esistenti. Una deregulation edilizia in aperto contrasto con la legge salva-coste approvata dieci anni fa dall'allora governatore Renato Soru e dal suo assessore all'urbanistica Gianvalerio Sanna, cioè con una riforma targata Pd che nel frattempo è stata presa a modello da una generazione di studiosi, architetti, urbanisti e amministratori pubblici non solo italiani.

La contro-riforma odierna è nascosta tra i cavilli del disegno di legge approvato il 14 marzo scorso dalla giunta regionale presieduta da Francesco Pigliaru, il professore di economia eletto nel 2014 alla testa del Pd. La normativa ora è all'esame finale della commissione per il territorio: l'obiettivo della maggioranza è di portare in consiglio regionale un testo blindato, da approvare in tempi stretti, senza modifiche, subito dopo l'estate.
Sulla carta avrebbe dovuto trattarsi della nuova legge urbanistica che la Sardegna attendeva da un decennio per completare la riforma di Soru, con impegni precisi: stop all'edilizia speculativa, obbligo per tutti i comuni di rispettare limiti chiari anche fuori dalla fascia costiera, per difendere tutto il territorio, fermare il consumo di suolo e favorire il recupero o la ristrutturazione dei fabbricati già esistenti.

All'articolo 31, però, spunta il colpo di spugna: «al fine di migliorare qualitativamente l'offerta ricettiva», si auto-giustifica il testo di legge, «sono consentiti interventi di ristrutturazione, anche con incremento volumetrico, delle strutture destinate all'esercizio di attività turistico-ricettive». Il concetto chiave è l'incremento volumetrico: la norma approvata dall'attuale giunta di centrosinistra, proprio come il piano-casa del governo Berlusconi, autorizza aumenti di cubatura del 25 cento «anche in deroga agli strumenti urbanistici» in vigore, compresa la legge salvacoste. Insomma, se siete in vacanza in una spiaggia immacolata della Sardegna, fatevi un bel bagno: potrebbe essere l'ultimo.

Hotel, alberghi, pensioni, residence, multiproprietà e lottizzazioni turistiche di ogni tipo vengono infatti autorizzati non solo a gonfiarsi di un quarto, cementificando nuovi pezzi di costa, ma anche a sdoppiarsi, spostando gli aumenti di volume in «corpi di fabbrica separati». «In pratica si può costruire un secondo hotel o residence in aggiunta al primo anche nella fascia costiera in teoria totalmente inedificabile», denuncia l'avvocato Stefano Deliperi, presidente del Gruppo d'intervento giuridico (Grig), che per primo ha lanciato l'allarme. «Ma non basta: i nuovi aumenti di volume si possono anche sommare agli incrementi autorizzati in passato, ad esempio con il piano casa o con le famigerate 235 deroghe urbanistiche che furono approvate tra il 1990 e il 1992 dall'allora giunta sarda», sottolinea il legale, che esemplifica: «Un hotel di 30 mila metri cubi che deturpa una spiaggia, per effetto dei due aumenti cumulativi del 25 per cento ciascuno, sale quasi a quota 50 mila: per l'esattezza, si arriva a 46.875 metri cubi di cemento».

L'ex presidente della Regione, Renato Soru, spiega all'Espresso di essere «molto preoccupato per la cecità di una classe dirigente che sta mettendo in pericolo il futuro della Sardegna». «Con l'assessore Sanna eravamo partiti da una constatazione pratica», ricorda Soru: «Grazie ad anni di studi e ricerche abbiamo potuto far vedere e dimostrare che più di metà delle coste della Sardegna, parlo di circa 1.100 chilometri di spiagge, erano già state urbanizzate e cementificate. Di fronte a una situazione del genere, in una regione come la nostra, qualsiasi persona di buonsenso dovrebbe capire che i disastri edilizi del passato non devono più ripetersi.

Oggi tutti noi abbiamo il dovere morale e civile di difendere un territorio straordinario che è la nostra più grande risorsa e la prima attrattiva turistica: le bellissime spiagge della Sardegna sono la nostra vera ricchezza, che va conservata e protetta per le generazioni future. Per questo la nostra legge prevede una cosa molto semplice e logica: nella fascia costiera non si costruisce più niente. Zero cemento, senza deroghe e senza eccezioni per nessuno. E in tutta la Sardegna bisogna invece favorire la riqualificazione dell'edilizia esistente, il rifacimento con nuovi criteri di troppe costruzioni orrende o malfatte. Quindi via libera alle ristrutturazioni, alle demolizioni e ricostruzioni, al risparmio energetico. Con regole certe e uguali per tutti, perché l'edilizia in Italia può uscire veramente dalla crisi solo se viene tolta dalle mani della burocrazia e della politica».

A questo punto Soru confessa di essere uscito dai palazzi della regione, alla fine della sua presidenza, proprio «a causa dei continui scontri sull'urbanistica». E dall'altra parte della barricata, a tifare per il cemento, non c'era solo il centrodestra, ma anche «quella parte del Pd che ora è al potere». Da notare che Soru, per eleganza o per imbarazzo, evita di fare il nome dell'attuale presidente, anche se sarebbe legittimato ad accusarlo di tradimento politico, visto che Pigliaru era stato suo assessore ai tempi della legge salva-coste.

Oggi però lo stop al cemento sulle spiagge più belle d'Italia rischia di trasformarsi in un bel ricordo. Gli avvocati del Grig hanno già catalogato «ben 495 strutture turistico-ricettive della fascia costiera che potrebbero approfittare dell'articolo 31. Stiamo parlando di milioni di metri cubi di cemento in arrivo», rimarca Deliperi, evidenziando che il disegno di legge ha una portata generale, per cui si applica anche, anzi soprattutto alle strutture più contestate, quelle che si sono meritate l'epiteto di ecomostri. Come il residence-alveare "Marmorata" di Santa Teresa di Gallura, l'albergone "Rocce Rosse" a picco sugli scogli di Teulada, la fallimentare maxi-lottizzazione turistica "Bagaglino" a ridosso delle spiagge di Stintino, i turbo-hotel "Capo Caccia" e "Baia di Conte" ad Alghero e troppi altri. Il premio percentuale infatti non dipende dalla qualità del fabbricato, ma dalla cubatura: più l'ecomostro è grande, più è autorizzato a occupare terreno vergine con nuove colate di cemento.

Il progetto di legge, per giunta, equipara agli alberghi da allargare, e quindi trasforma in volumi gonfiabili di cemento, addirittura le «residenze per vacanze», sia «esistenti» che ancora «da realizzare», cioè quelle montagne di seconde case che restano vuote quasi tutto l'anno, arricchiscono solo gli speculatori edilizi, ma deturpano per sempre il paesaggio. Con la nuova dirigenza del Pd, insomma, il vecchio piano casa è diventato un piano seconde case, secondi alberghi e seconde lottizzazioni. E tutto questo in Sardegna, la regione-gioiello che tra il 2004 e il 2006 aveva saputo cambiare il clima politico e culturale sull'urbanistica, spingendo decine di amministrazioni locali di mezza Italia a imitare la legge Soru, fermare il consumo di suolo e limitare finalmente uno sviluppo edilizio nocivo e insensato.

Gianvalerio Sanna, l'ex assessore regionale oggi relegato a fare politica nel suo comune d'origine, ama parlar chiaro: «Questo disegno di legge è una vera porcata. La giunta del Pd sta facendo quello che non era riuscito a fare il governo di centrodestra. Le nostre norme, ancora in vigore, favoriscono con incentivi e aumenti di volume solo la demolizione e lo spostamento dei fabbricati fuori dalla fascia costiera dei 300 metri. Questo vale già adesso anche per gli alberghi e i campeggi. Per allargarli e rimodernarli con criterio non c'è nessun bisogno di cementificare le spiagge».

I dati sono allarmanti già oggi. «Le coste della Sardegna sono invase da oltre 210 mila seconde case: appartamenti sfitti, che mediamente restano disabitati per 350 giorni all'anno», enumera Sanna: «Il nostro obiettivo, condiviso da migliaia di cittadini che proprio per questo hanno votato Pd alle elezioni regionali, era di liberare dal cemento, gradualmente e armonicamente, tutta la zona a mare, che è la più preziosa. La nuova giunta sta facendo il contrario. L'edilizia è tornata merce di scambio: il piano casa, che fu giustificato da Berlusconi come rimedio eccezionale contro la crisi dell'edilizia, diventa la norma. La deroga diventa la regola. Così la politica si mette al servizio delle grandi lobby, degli interessi di pochi, a danno della cittadinanza e di tutte le persone che amano la Sardegna».

Quando allude a scambi, Sanna non usa parole a caso. Nella minoranza del Pd rimasta fedele a Soru sono in molti a evidenziare una singolare coincidenza: la controriforma urbanistica sta nascendo proprio mentre gli sceicchi del Qatar, i nuovi padroni miliardari della Costa Smeralda, annunciano l'ennesima ondata di progetti edilizi per super ricchi, per ora bloccati proprio dalla legge Soru. Per ingraziarsi la classe politica sarda, lo stesso gruppo arabo ha comprato dal crac del San Raffaele anche il cantiere fallimentare del nuovo ospedale di Olbia. E ora gli sceicchi sembrano aspettarsi che i politici, in cambio, aboliscano proprio i vincoli ambientali sulla costa.

«Con questa legge vergognosa il presidente Pigliaru sta contraddicendo anche se stesso», commenta amaramente Maria Paola Morittu, la combattiva avvocata di Cagliari che oggi è vicepresidente nazionale di Italia Nostra: «Per smentire la sua giunta, al professor Pigliaru basterebbe rileggere le proprie pubblicazioni accademiche, in cui scriveva e dimostrava che il consumo di suolo è disastroso non solo per l'ambiente, per il paesaggio, ma anche per lo sviluppo economico».

Carte alla mano, l'avvocata di Italia Nostra e il suo collega Deliperi passano in rassegna la successione di leggi edilizie della Sardegna, per concludere che oggi il Pd sardo sta facendo indietro tutta. La buona urbanistica insegna come e dove costruire case sicure in luoghi vivibili senza distruggere il territorio. In Italia se ne parla solo quando si contano le vittime evitabili di alluvioni, frane, valanghe, terremoti e altri disastri che di naturale hanno solo le cause immediate.

In Sardegna, dopo decenni di edilizia selvaggia, la legge Soru e il conseguente piano paesaggistico regionale – studiato da un comitato tecnico-scientifico presieduto da Edoardo Salzano, un gigante dell'urbanistica – hanno fissato per la prima volta due principi fondamentali: basta cemento a meno di 300 metri dal mare; solo edilizia regolata e limitata in tutta la restante fascia geografica costiera, che di norma si estende fino a tre chilometri dalle spiagge. «In campagna elettorale il Pd guidato da Pigliaru aveva promesso di estendere la legge Soru a tutta la Sardegna, obbligando anche i comuni interni ad applicare i piani paesaggistici», osservano desolati i due avvocati. Passate le elezioni, il vento è cambiato.

In Italia, prima della recessione, venivano cementificati a norma di legge oltre 45 milioni di metri quadrati di terra all'anno. Nel 2015, nonostante la crisi, si è continuato a costruire nuovi appartamenti e capannoni per oltre 12 milioni di metri quadrati (dati Istat). «Con la legge salvacoste la Sardegna ha saputo lanciare un nuovo modello di sviluppo sostenibile», rivendica Soru. Ora la grande retromarcia della giunta seduce le lobby dei grandi albergatori, che organizzano convegni esultanti contro «l'ambientalismo che danneggia il turismo». Resta però da capire se, alle prossime elezioni, la maggioranza dei cittadini sardi si fiderà ancora di un Pd che imita il berlusconismo, col rischio di riabilitaro

La Sardegna suo malgrado si trova a fronteggiare un'ulteriore insidia ambientale con pesanti risvolti economici e sociali, che si assomma a quelle già presenti e irrisolte: si tratta di tre (per ora) progetti per impianti CSP, cioè campi di specchi per l'ottenimento di energia elettrica dal termodinamico solare, ciascuno abbinato alla sua relativa centrale termoelettrica, ai serbatoi per il fluido termovettore, nonché alle strutture e opere connesse. Dobbiamo evitare che queste proposte divengano un futuro reale, vediamo perché.

Se a prima vista tali progetti possono sembrare un positivo progresso per la sostituzione dell'approvvigionamento energetico dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, un esame più attento ne mostra pesanti criticità, insostenibili per l'ambiente: gli impianti andrebbero a ricoprire oltre 570 ettari complessivi di suoli attualmente in uso all'agricoltura o all'ambiente naturale, areale che inoltre andrebbe sottoposto a una irreversibile trasformazione geomorfologica per ospitare le opere, tra imponenti sbancamenti per l'appianamento in vasti terazzamenti, e gli scavi per le fondazioni di tipo profondo.

Esplicitiamo i problemi: la conversione di terreni da agricoli-naturali in urbani-industriali realizza la perdita di un'importantissima matrice ambientale, il suolo: le dimensioni della perdita di suolo nel mondo, in Europa, in Italia e anche in Sardegna, rappresentano un'ulteriore drammatica emergenza ambientale alla quale da tempo si cerca di dare risposte anche a livello legislativo; tuttavia resta ancora poco nota e poco compresa rispetto ad altre, come il cambiamento climatico, mentre la perdita dei suoli potrebbe essere un processo addirittura più difficilmente reversibile: infatti per generare uno spessore di suolo di pochi centimetri sono necessarie diverse centinaia di anni, qualunque azione mettiamo in campo, mentre un comportamento virtuoso dell'umanità a partire da adesso, potrebbe ripristinare un clima ante-crisi in poco più di un secolo, secondo gli studi. Nel caso di specie, gli areali richiesti rappresentano l'estensione di una cittadina di 50-70000 persone con media densità abitativa, creata ex-novo in tre aree da 227, 269 e 70 ettari, più servizi connessi.

Perché tali suoli sono così importanti, anzi preziosi, qui in Sardegna? Perché la Sardegna ha pochi suoli profondi, mentre il clima spesso siccitoso rende poco produttive le vaste estensioni rocciose, i monti e i colli acclivi che caratterizzano una buona parte dell'isola. Questi impianti porterebbero con sé altre criticità, ne citiamo brevemente alcune: problemi per la circolazione delle acque superficiali e sotterranee, problemi più generali di assetto idrogeologico, problemi per la fauna, problemi di pianificazione territoriale per i comuni coinvolti, nonché l'esproprio dei terreni per allevatori, agricoltori, e le aziende agricole e zootecniche presenti!

A fronte di ciò, va ribadito che il passaggio dai combustibili fossili alle energie che provengano da fonti che siano, allo stesso tempo, rinnovabili e sostenibili, va attuato il più velocemente possibile, con i mezzi già oggi disponibili sul mercato, senza aggiungere ulteriori danni ambientali come quelli che apporterebbero questi impianti, mal collocati, mal programmati, insufficientemente progettati, che approfittano dell'etichetta di “rinnovabile”: valida però per la fonte energetica, il sole, e non per tutte le altre matrici ambientali coinvolte, che verrebbero perse una volta e per sempre. Gli impianti in questione inoltre sono di tipo ibrido, ovvero nei periodi in cui non è possibile l'utilizzo degli specchi o di insufficiente insolazione o durante i fermi programmati, per la produzione energetica interverranno come vicarianti gli impianti a combustibili fossili. Rispetto alla tecnologia odierna i CSP non rappresentano più proposte d'avanguardia per il prossimo futuro ma strumenti già superati e legati al passato: l'unico vantaggio che il CSP presentava rispetto alle altre fonti rinnovabili, era la possibilità di erogare energia anche in assenza d'insolazione, distaccandosi quindi in parte dall'aleatorietà della fonte, ma oggi sono disponibili sul mercato nuovi sistemi d'immagazzinamento dell'energia altrettanto o anche più efficienti del CSP.

Sui due progetti più impattanti sono stati chiamati a esprimersi il Ministero dell'Ambiente (MATTM) e quello dei Beni Culturali (MiBACT), che hanno dato parere divergente sull'argomento, sarà quindi deciso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Proprio il Ministero dell'Ambiente ha dato parere positivo per entrambi i progetti, tramite un proprio organo che si esprime a maggioranza (la Commissione Tecnica di Valutazione di Impatto Ambientale) composto da diverse figure professionali: da una disamina delle competenze si rileva che nell'insieme compongono un assortimento non commisurato alla valutazione di impatti di questa portata. Tuttavia tali pareri positivi sono stati emessi, benché condizionati da prescrizioni e richieste di adempimenti obbligatori, difficilmente realizzabili, anche preliminari agli impianti; adempimenti che appaiono piuttosto stringenti, ma, come dimostrano tanti casi, compreso il caso Fluorsid, la procedura dei controlli è sempre piuttosto lasca, e le eventuali mancanze sono sanzionate con poco; inoltre, seppure accadesse il caso fantascientifico che si comminasse la sanzione del blocco del progetto, a lavori iniziati il ripristino dello stato dei luoghi sarebbe virtualmente impossibile. In altri termini: gli adempimenti richiesti non sono effettivi, appaiono più un “coprirsi le spalle” da parte della Commissione VIA.

Per progetti di così ampia portata sarebbe stato d'uopo che il Ministero dell'Ambiente chiedesse una consulenza direttamente a un suo istituto che da anni si occupa per l'appunto anche delle ricerche e dei controlli sull'ambiente e sui suoli, pubblicando annualmente un interessante rapporto sul consumo dei suoli in Italia completato da saggi divulgativi: è proprio quell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) chiamato in causa anche in questi ultimi giorni per l'affare Fluorsid (l'Istituto ha svolto sull'impianto controlli concordati, e non a sorpresa, trovando tuttavia elementi di illegittimità ai quali non si diedero però conseguenze reali): tuttavia tale ente non è stato coinvolto dal Ministero nelle valutazioni relative ai progetti. Per evitare però che tale Istituto possa negare di essere a conoscenza di quanto è in ballo, si è deciso di inviare all'ISPRA delle comunicazione ufficiali: per impulso del comitato scrivente da gennaio più comitati e associazioni, nonché singoli, hanno inviato mail e PEC (Posta Elettronica Certificata) ai vertici dell'Istituto, e infine il 23 maggio 2017 una PEC è stata indirizzata ai vertici dell'ente, cioè al Commissario pro tempore prof. Bernardo De Bernardinis, al Direttore Generale e nuovo presidente designato dott. Stefano Laporta, ma anche, per conoscenza, a tutta la dirigenza dei vari dipartimenti dell'ente, in particolare ai dipartimenti dell'ente che si occupano della salvaguardia e monitoraggio del suolo, nonché alla Presidenza del Consiglio e al MATTM; la comunicazione è stata firmata da cittadini (tra cui vari proprietari dei terreni coinvolti e di aziende agro-zootecniche), professionisti, comitati e associazioni. Finora dall'ente nessuna risposta: ci si augura che abbia almeno messo in campo qualche azione, e che le professionalità al suo interno non contraddicano quanto affermato nei vari scritti ed eventi divulgativi.

Ci si potrebbe domandare se all'ISPRA sia riconosciuta la capacità esprimersi autonomamente oltre l'impulso ministeriale: ebbene sì, sia secondo lo Statuto dell'ISPRA (promulgato con Decreto Interministeriale 28 dicembre 2013), vedi comma 1 dell'art. 1, art. 2 c.1, c.3, c.4, nonché nella recente legge 132/2016 istitutiva del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, entrata in vigore il 14.01.2017, del quale l'ISPRA fa parte perfino con la qualità di coordinatore delle agenzie regionali e varie: dice la legge all'art. 4 comma 3 che: “L'ISPRA svolge funzioni tecniche e scientifiche […] sia a supporto del Ministero […], sia in via diretta tramite attività di monitoraggio, di valutazione, di controllo, di ispezione […].”: “Per quanto attiene alle attività conoscitive ed ai compiti di controllo, monitoraggio e valutazione, l'Istituto [...] svolge, direttamente e [...con altri enti...], attività di monitoraggio e controlli ambientali [...]”. Anche il Dott. Stefano Laporta, presidente designato dell'ISPRA dalla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, nell'audizione di candidatura presso la Commissione marca l'orientamento verso l'autonomia dell'Istituto dal Ministero.

Si noti infine che all'art. 2 c.5b dello statuto dell'ISPRA, all'ente vengono assegnati anche compiti di consulenza strategica e assistenza tecnica e scientifica verso altre amministrazioni dello Stato nonché le regioni, quindi la Regione avrebbe potuto chiamarlo in causa per una consulenza scientifica sulla vicenda (può farlo ancora per irrobustire il rigetto già ampiamente espresso in sede di valutazione di impatto ambientale, anche corroborato dai restanti enti e servizi che fanno capo alla stessa Regione, finanche dai comuni coinvolti), consulenza che verosimilmente avrebbe necessariamente cambiato il parere espresso dalla CTVIA. Ora l'ISPRA dovrebbe solo mettere in pratica quanto gli è prescritto e consentito, nonché quanto gli dovrebbe appartenere come “spirito”, per puro orgoglio professionale e dirittura morale dei suoi dipendenti, ed esaminare con cura la problematica di questi oltre 570 ettari complessivi destinati a diventare tre nuove zone industriali, assolutamente non necessarie, invise e osteggiate dalle comunità nelle quali dovrebbero essere insediate.

La questione della valutazione dei progetti, che scorre sotterranea mentre si sviluppano i processi decisionali, è tornata d'attualità il 5 luglio scorso, a seguito dell'interrogazione del parlamentare Roberto Capelli al ministro Galletti sull'argomento; l'interrogazione è stata incentrata solo su uno degli impianti a esame ministeriale, inoltre si è limitata a interpellare il parere del ministro, che, come ampiamente previsto, non poteva che uniformarsi (forse con intima soddisfazione di commercialista dell'ambiente) al parere positivo della Commissione Tecnica VIA. Eppure la questione seguiva una domanda allo stesso ministro sul precariato all'interno dell'ISPRA, e precedeva un'altra domanda sul dissesto idrogeomorfologico in Italia: occasione quanto mai propizia per collegare i temi, e chiedere in modo assai più penetrante al ministro come mai su un problema che interessa una pianificazione di così ampia portata ed estensione, e con risvolti sulle problematiche dell'assetto idrogeologico, non fosse stata chiesta una consulenza proprio all'ISPRA, e anzi richiederne un intervento attivo. Nella replica dell'on. Capelli, successiva alla risposta del ministro, sarebbe inoltre stato bene contestare alcune scorrettezze da egli proferite: ad es. il ministro Galletti ha parlato della presenza di misure di compensazione ambientale che in realtà non lo sono (la compensazione ambientale è definita per legge), poiché riferite a opere parte integrante del progetto, inoltre ha svalutato il parere negativo del MiBACT come dovuto a un insufficiente informazione, mentre questo si è espresso con parere motivato in tutte le sedi.

Sarebbe stato interessante vedere il comportamento dell'Istituto che, pur in crisi attualmente per quanto riguarda i posti di lavoro e il precariato, ha fatto della difesa dei suoli e del dissesto idrogeologico alcuni dei suoi argomenti preferiti di divulgazione e discussione, misurando anche i suoli sottratti all'ambiente dalle installazioni fotovoltaiche industriali e dai CSP.

Piano paesaggistico della Sardegna: il PD, che con Soru l'aveva formatoo e approvato, sotto il berlusconiano Cappellacci difeso, ora con il PD Pigliaru lo smantella. La Nuova Sardegna, 1° aprile 2017


Non mi piace il disegno di legge sull'urbanistica. Non mancano ideeinteressanti tra i 113 articoli, ma purtroppo lo spirito selvaggio delpiano-casa è un tratto caratterizzantela proposta del governo Pigliaru. E non a caso si sta parlando soprattutto di questo. Berlusconi non avrebbe mai immaginato un successo tanto strepitoso delformat inventato nel 2009 (da lui in persona). Né che la sua tesi sullosviluppo eccitato dall'edilizia libera, sarebbe stata fonte d'ispirazione, e non solo a destra. E chissàla gioia: una legge sarda della sinistra che alimenta il sogno di spolpare l'odiato Ppr di Soru(2006).


Prevedibile dalle capriole dellacoalizione a guida PD. Prima schierata contro il piano-casa di Cappellacci –“piano villetta”, “grande inganno”,“illegittimo” (resoconto del Consiglio n. 41- 25/9/2009). Poi principale artefice di un piano-casa2, tramolte turbolenze.
Memorabile l'incidente nel corso del dibattito sulla legge n.8/2015, l'emendamento di FI – obiettivo la lievitazionedelle case nelle zone F turistiche – approvato con il voto segreto di consiglieri della sinistra.
Quindi il dietrofront imposto da Pigliaru; la figuraccia compensata dalgiuramento di salvaguardare la “fasciacostiera”, non solo la parte più vicinaal mare. E invece rieccolo nel Ddl il rinnovato “entusiasmo contro il tabù dei 300 metri” – ha scritto un attento conoscitore dellaSardegna come Manlio Brigaglia. “Con la scusa del turismo hanno fatto più dannidi undici secoli di invasioni moresche”.
Il turismo non cresce a trainodell'edilizia: inutile l'ampliamento ciclico delle dotazioni ricettive ascapito di luoghi tutelati. Nessunagaranzia che gli alberghi, ingranditi con SPA o balere pop, rimangano aperti oltre l' estate. Tant'èche pure quelli più attrezzatati chiudono a sttembre. Aspirazione realizzabile, si sa, incrementando i mezzi di trasporto a costiragionevoli.
Si rischia insomma di sbagliarela mira, da tenere “assai più alta” come sapevano gli arcieri prudenti diMachiavelli. Ma pure di eludere sentenze recenti della Consulta sul primatodella pianificazione paesaggistica rispetto ad altre attività economiche nelterritorio. Ed è possibile che nel Ddl ci siano vari articoli concontraddizioni, meritevoli di approfondimenti da parte del Consiglio.
Uno in particolare necessità di una tempestiva attenzione. È l'art.43: secondo il quale “programmi e progettiecosostenibili” possono essere promossia giudizio della Giunta. Destabilizzante fin d'ora, e si pensi all'uso che ne potrebbefare domani un governo spregiudicato.

Temo, al di là dei titolirassicuranti, che i “programmi eprogetti ecosostenibili” possano avere la dominante edilizia nonostante gliauspici della Giunta. So che saranno voluminosi e verosimilmente in contrastocon il Ppr. Per cui occorrerà addomesticarlo, aprendo varchi dove/quando serve.Confidando nel via libera del Mibact che difficilmente potrà concorrere allacolpa (e al ridicolo) di fare eccezioniin un quadro paesaggistico omogeneo.
Sarebbe meglio non caderci nell'abissodella deregolazione forever, semprecondannata dagli studiosi fuori e dentro le accademie (ora non so). Ancheperchè non ci mancano esperienze importanti. Come la disavventura dei piani territorialipaesistici di una ventina di anni fa, il flop degli “accordi di programma”nella cornice della sfigata LR 23 del 1993. Per farsi un'idea basta scorrere lesentenze di CdiS e Tar (ricorso di Grig): i Ptp cassati per altotradimento dei principi di tutela.

Spero che i “programmi e progetti ecosostenibili” non stiano in quelsolco, impegnando la politica in un estenuante conflitto (ricordate il masterplandi Costa Smeralda ?). Il buon senso suggerisce di evitare che ogniterritorio rivendichi il proprio piano oprogetto in deroga; e che la giostra si metta a girare con tutti i rischi. Tracui l'effetto domino temuto negli anniNovanta.

Sarebbe il caso di ritirarlo quell'articolo controverso. Aiuterebbe ilconfronto, utile per migliorare il Ddl a partire dalle norme sul territorio agricolo. Meglio una legge lungimirante, per “lasostenibilità di lungo periodo”, come consiglia il prof. Pigliaru nei suoilibri; e chiusa alle ingerenze degli illusionisti di questi brutti tempi.

Il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2017 (p.d.)

Il regalo di Natale del governo. Firmato 23 dicembre. La legge della Regione Sardegna non è stata stoppata da Roma. Bastano due parole: “Non impugnata”, come è scritto sul sito del ministero per gli Affari regionali. “Potrebbero cambiare il paesaggio della Sardegna. Rinunciando a rivolgersi alla Corte costituzionale, come era stato fatto in precedenza, il governo di Paolo Gentiloni spalanca la strada a una norma che potrebbe sdemanializzare un sesto del territorio sardo regalandolo ai privati”, sostiene Stefano Deliperi dell’associazione ambientalista Gruppo di Intervento Giuridico.

“La decisione del governo – aggiunge Deliperi – è arrivata a due giorni da Natale, nel disinteresse generale. Così come la Regione Sardegna, governata dallo stesso centrosinistra, zitta zitta aveva approvato di notte la norma”.

Già, gli usi civici. Fanno parte della storia dell’isola. “È uno straordinario patrimonio comune di noi sardi. Parliamo di immobili e aree di proprietà collettiva. I Comuni ne possono avere la gestione, ma non sono loro. I cittadini li possono utilizzare per esempio per pascolo, semina e raccolta della legna. I terreni a uso civico e i demani civici sono indispensabili sia per l’economia e il tessuto sociale sia per la cura dell’ambiente”.

Esistono in tutta Italia, ma in Sardegna gli usi civici riguardano 4 mila chilometri quadrati sui 24 mila dell’isola. Un sesto della regione. Vi rientrano aree ancora selvagge, ma anche zone di grandissimo pregio – e di enorme valore immobiliare – lungo la costa. Tra i casi più noti si ricorda Capo Altano, di fronte all’isola di Carloforte. C’è poi la Costa di Baunei a Orosei. Quindi le coste di Montiferru che salgono il monte Urtigu. Poi l’entroterra, il Mont’e Prama. Infine buona parte del Gennargentu, del Sulcis.

Gli usi civici sardi derivano dai tempi del feudalesimo. Gli appetiti nei confronti di questo tesoro cominciarono allora, quando i terreni tolti ai feudatari furono divisi tra privati e cittadini. Con l’arrivo del Regno di Sardegna era stato emesso l’Editto delle Chiudende che autorizzava i contadini a recintare i terreni che prima erano proprietà collettiva.

“Un assedio mai terminato. Gli usi civici non sono mai stati al sicuro”, ricorda Deliperi. E snocciola alcuni casi clamorosi: “Ci sono nati sopra dei complessi turistici, come a Costa Rei o vicino a Orosei”.

“Nel 2013 – sostiene il Gruppo di Intervento Giuridico – la giunta di centrodestra di Ugo Cappellacci tentò di aprire le porte alla sclassificazione. In pratica i Comuni potevano chiedere che i terreni degli usi civici fossero tolti dal Demanio”. Le conseguenze? “Non sarebbero probabilmente più sottoposti alla legge paesaggistica Galasso e in futuro potrebbero anche essere ceduti ai privati”. Ma allora lo Stato fece ricorso alla Corte Costituzionale che, appunto, bocciò la legge del centrodestra.

Il centrosinistra, sostengono gli ambientalisti, in sostanza l’ha riproposta. I Comuni avranno un termine di un anno per presentare la richiesta di sdemanializzazione. Ma qualcuno ha già proposto di allungarlo a due anni. E c’è chi vorrebbe toglierlo del tutto.

Un modo per regalare un sesto della Sardegna ai privati? La maggioranza regionale respinge l’accusa. Cristiano Erriu, assessore alle Finanze e all’Urbanistica della giunta di centrosinistra di Francesco Pigliaru, ha sempre negato: “Abbiamo concepito la norma soltanto per affrontare casi specifici come uno stabilimento di bauxite nel Sulcis. Non solo: per fare qualsiasi modifica sarà necessario un accordo con il ministero dei Beni culturali. Nessuna privatizzazione”.

Francesco Sabatini, consigliere regionale del Pd, aggiunge: “Le norme esistenti erano troppo rigide. Bisognava renderle più adattabili ai casi concreti, alle esigenze della popolazione. Altrimenti, paradossalmente, c’è il rischio che la tutela incentivi fenomeni di occupazione abusiva dei terreni sottoposti a usi civici. Come per esempio da parte di alcuni pastori”.

Ma il Gruppo di Intervento Giuridico ha molti dubbi: “Se davvero vogliono sanare singoli casi specifici, perché non usano la permuta, l’alienazione o i trasferimenti dei diritti di uso civico? Invece le nuove norme potrebbero essere applicate a tutti gli usi civici. In mano a cattivi amministratori rischiano di regalare ai privati un sesto della Sardegna. Un danno irrimediabile!”.

Ancora: “La Regione costituirà un gruppo di lavoro con esperti anche esterni per studiare i problemi legati agli usi civici. Costerà 300 mila euro. Ma perché non rivolgersi alle strutture della Regione?”.

Sardegna. Tra le cose buone volute dal governo di Renato Soru c'è (c'era una volta?) la Conservatoria delle Coste. La decisione di istituirla (a partire dal 2005 e completata con tutti gli atti nel giro di due anni) sta in quel momento magico di speciale attenzione per il paesaggio dell'isola, di cui le coste – circa 2mila km – sono la componente essenziale. A rischio di gravi manomissioni, numerosi e clamorosi gli esempi in grandi parti del territorio litoraneo. Il Piano paesaggistico (2004- 2006) costituiva il quadro di riferimento indispensabile per la tutela dei litorali, la Conservatoria uno degli strumenti per dimostrare le possibili alternative alle speculazioni dissennate attraverso ragionevoli politiche di gestione su aree affidate alle cure del nuovo istituto.

L'obbiettivo fondamentale: realizzare esperienze coerenti con il Ppr in grado di produrre occupazione, buoni esempi da diffondere. In particolare su quelle già di proprietà pubblica, alcune migliaia di ettari (ad esempio nelle riviere di Alghero, Muravera, Buggerru, Castiadas ). Si guardava ai migliori modelli europei ( le esperienze di “Conservatoire du littoral” francese e del “National Trust” inglese) avendo ben presenti la storia e i caratteri delle spiagge e delle scogliere sarde da trattare in modo originale.
Nel 2007, con la nomina del direttore Alessio Satta e del comitato scientifico si avviava l'attività e si definiva la strategia dell'istituzione con l' approvazione (febbraio 2009) della relazione tecnico-scientifica dell’Agenzia, l'unico documento d’indirizzo prodotto con riferimento al caso sardo. Da allora non sono mancati i risultati, alcuni di grande interesse: specialmente nella attività di progettazione per procurare risorse e infatti sono arrivati i finanziamenti europei per iniziative di rilievo. Buono il bilancio delle collaborazioni con i comuni e le amministrazioni delle aree protette ( soprattutto con il Parco Nazionale dell'Asinara). E messe a punto previsioni da verificare caso per caso. Penso al programma di restauro di antiche torri costiere e di numerosi fari abbandonati e degradati, da mantenere all'interno delle proprietà demaniali. Ma ammettendo il concorso di privati per il loro recupero funzionale e l'apertura al pubblico, attraverso concessioni per tempi commisurati agli investimenti.

La Conservatoria ha operato per circa sei anni, un tempo troppo breve per consentire un giudizio; dimostrando comunque capacità di buona amministrazione e tempestività nell'azione, nonostante la limitatezza del personale in ruolo, per cui si sopperiva con l'entusiasmo di bravi giovani collaboratori ( che peccato avere disperso quelle competenze e quella esperienza !).

Una realtà dinamica. Tant'è che dopo la caduta del governo Soru, il presidente Cappellacci, a capo di una maggioranza di destra, non si sa con quanta convinzione, manteneva in vita la struttura decisa del suo predecessore. Per questo quando la nuova giunta di sinistra ha deliberato (giugno 2014) di commissariare la Conservatoria riducendone l'autonomia ( l'idea di scorporare le sue funzioni n più assessorati), c'è stata una reazione di contrarietà da parte dell'opinione pubblica più attenta ai temi della tutela del territorio.

Una scelta ancora dai contorni incerti, nel nome della riduzione della spesa, un obiettivo mancato, parrebbe.

Un'incertezza di fondo: via via confermata da altalenanti dichiarazioni sulle reali intenzioni, atteggiamento peculiare della politica di dire/non dire. Per quanto siano sempre più insistenti le voci sul ripudio dello strumento voluto da Soru e senza che nessuno chieda conto a chi prometteva che la Conservatoria sarebbe rinata più forte di prima. Conta oggi la sua sostanziale inattività, un'inerzia da cui si può dedurre facilmente la mancanza di volontà di rilanciarla. Nonostante la dimostrazione della convenienza a rafforzarla, come ha ben scritto Stefano Deliperi (Gruppo d'intervento giuridico) riferendosi all’indice di rendimento “dato dal rapporto fondi comunitari + investimenti / spese correnti, è per l'Agenzia mediamente di 2,7: in sostanza, per ogni euro di stanziamento proveniente dal bilancio regionale l’Agenzia ne produce 2,7”. Argomenti non trascurabili come altri evidenziati in un appello di autorevoli intellettuali rivolto al presidente Francesco Pigliaru, con una petizione in rete rimasta senza risposta.

Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2016 (p.d.)

Le fabbriche chiudono ma l’inquinamento resta. E in alcuni casi aumenta, come le malattie. A Portoscuso (nel Sulcis) il terreno è talmente avvelenato che è impossibile stabilire dove costruire e dove no. Lo ha stabilito un documento, la Vas (Valutazione ambientale strategica) allegata al Puc. “Lo sappiamo da trent'anni”, ha risposto il vicesindaco Ignazio Atzori. E il consiglio comunale ha appena approvato lo stesso il Puc.

Il piccolo centro del Sulcis, costa sud ovest della Sardegna, è la culla di tutte le proteste operaie più clamorose: Portovesme Srl, Alcoa (ferma dal 2012), Eurallumina (ferma dal 2009). I caschi, scesi in piazza per cercare di scongiurare la chiusura degli impianti, hanno finora ottenuto solo promesse. Nel cuore della provincia più povera d’Italia, la speranza però si è riaccesa per le tute verdi dell’Eurallumina, da anni in cassa integrazione: i padroni russi della Rusal ora puntano su una nuova centrale a carbone per far ripartire l’impianto. Sulla struttura, che dovrebbe sorgere in zona industriale ma a due passi dalle case, ha chiesto di saperne di più la Asl di Carbonia, cittadina non lontana, dove è appena stata eletta a sindaco Paola Massidda del Movimento 5 Stelle, che spesso va forte dove è molto forte il malcontento.

L’azienda sanitaria, chiamata a esprimere un parere sulla centrale, ha scritto: quella è una “zona ad alto rischio ambientale, che presenta un aumento di patologie a carico del polmone come l’asma bronchiale nei bambini, bronco pneumopatie in genere e tumori polmonari negli adulti maschi”.

E nelle carte ufficiali, i tecnici dell’azienda sanitaria hanno chiesto quali sono le misure pensate per prevenire l’e missione in atmosfera di sostanze come “acido cloridrico e fluoridrico, diossine, composti organici volatili, mercurio, altri metalli pesanti e radioisotopi”. Dubbi sono stati sollevati anche sulla gestione delle polveri degli scarti di bauxite stoccati nei bacini dei fanghi rossi: gigantesche discariche a cielo aperto sequestrate dalla magistratura nel 2009 e ancora sotto sigilli.

Il processo per disastro ambientale e traffico di rifiuti speciali contro due dirigenti dell’azienda è stato aperto il mese scorso, mentre negli anni sono state rigettate le diverse richieste di dissequestro presentate dai rappresentanti della società. Considerati indispensabili per la ripresa, sui bacini tossici - che per un perito della Procura hanno creato un inquinamento di arsenico smaltibile in almeno 300 anni - si è espressa anche la Asl. “È auspicabile che venga approfondito il problema delle polveri di bauxite e di quelle provenienti dal bacino, con riferimento all’influenza che potrebbero avere non solo sulla salute umana, ma anche sulle attività agricole, alimentari e zootecniche”.

L’Asl così ha cristallizzato, in un documento ufficiale, una convinzione diffusa. Perché di inquinamento in questo angolo di Sardegna, si parla da sempre. Da molto prima che venissero emanate le prime ordinanze per vietare la vinificazione delle uve: niente vino a Portoscuso, c’è troppo piombo sugli acini. E nemmeno frutta e verdura ai bambini: quella coltivata in zona venne sconsigliata dalla Asl nel 2012.

Un quadro poco rassicurante, peggiorato dagli elementi depositati la scorsa settimana dall’Art Studio di Torino, incaricato dal Comune di partecipare all’adeguamento del Piano urbanistico comunale al Piano paesistico regionale. Che nella Vas snocciola dati pesanti: terra e aria sono avvelenati. E anche se sotto la soglia di legge, i contaminanti pericolosi che si respirano in paese fanno registrare un “trend crescente”, e “per quanto concerne arsenico, cadmio, e piombo, i valori riscontrati raggiungono soglie nettamente superiori a tutte le altre località monitorate sul territorio regionale”. Con l’arsenico che supera di volte i valori massimi registrati sull’isola, il cadmio è stato trovato 30 volte superiore alla media così come il piombo. Nelle 280 pagine di relazione, i tecnici hanno analizzato dati, esposto tabelle e riepilogato studi precedenti per poi sostenere che all’ombra delle ciminiere non sarebbe possibile stabilire dove e se costruire.

Perché ci sono porzioni così contaminate sulle quali non si dovrebbero realizzare neppure industrie. Esplicite le conclusioni: “Il quadro emerso evidenzia una situazione di criticità generalizzata, almeno per quanto attiene la contaminazione da cadmio, piombo e zinco”. Problemi così diffusi su tutto il territorio comunale che non consentono “una puntuale zonizzazione del territorio nell’ambito del processo di pianificazione (redazione del Puc), finalizzata a limitare gli usi in funzione delle criticità riscontrate”.

Corriere della Sera, 15 giugno 2016 (m.p.r.)

Ma davvero solo il turismo ricchissimo può salvare l’ambiente riservando le riserve naturali, scusate il pasticcio, a pochi privilegiati in grado di riservare una camera deluxe? La domanda, vecchia come il cucco, si ripresenta all’Asinara. Dove, tra le sollevazioni degli ambientalisti, si discute di un progetto del circolo Pd di Porto Torres per costruire un «albergo diffuso» con «286 camere, 709 posti letto, tre ristoranti, un centro benessere, un centro commerciale, due piscine, impianti sportivi, tre bar, impianti ludici, un porto turistico su 17 ettari» a Cala d’Oliva. «Se sotto il profilo ambientale si può decretare il successo del Parco a 18 anni dalla sua nascita», ha spiegato a La Nuova Sardegna il coordinatore del progetto, il geometra Giuseppe Marceddu, «non altrettanto si può dire che lo stesso sia avvenuto sotto il profilo economico». Insomma, rispetto al fascino del posto ci va ancora poca gente.

Non sarà perché gli investimenti per risistemare l’isola dopo un secolo di isolamento penitenziario e per farne un vero parco europeo sono stati scarsi? Forse. Ma la soluzione è un hotel a 5 stelle. Con un investimento «stimato in circa 56 milioni di euro», una «superficie coperta complessiva di circa 12 mila metri quadri», un «polo d’attrazione turistico» capace di dare lavoro, in modo diretto o indiretto, a «circa 560 unità». «Evviva!», esultano alcuni. «Ma quando mai!», contesta Stefano Deliperi che col Grig, il Gruppo di Intervento Giuridico, si è messo di traverso, «Sarebbe solo una folle privatizzazione speculativa di un gioiello naturalistico del Mediterraneo». E insieme con gli altri ambientalisti contesta tutto: 1) la stima dei posti di lavoro («Solo un miraggio»); 2) la scelta strategica di consegnare a un privato («che poi di questi tempi potrebbe essere solo uno sceicco arabo») un pezzo dell’isola solo da pochi anni restituita alla collettività dopo oltre un secolo centrato sul carcere di massima sicurezza; 3) la costruzione di un porto turistico là dove c’è la tutela integrale dell’area marina; 4) il rischio mortale che, persa la purezza originale, l’isola faccia poi gola ad altri. In fondo, perché non crearne due, di alberghi? O tre, quattro, cinque…

C’è un dettaglio che, dopo gli assalti sventati di chi voleva costruire una centrale eolica off-shore, fare ricerche petrolifere o riesumare il penitenziario, sfugge evidentemente a qualcuno: la legge parla, per l’Asinara, di tutela «integrale». E integrale vuol dire integrale.

Ilfattoquotidiano.it, 23 febbraio 2016

“Il complesso termale, tra i più importanti della Sardegna, gravita sul sito urbano di “Forum Traiani”. Le antiche “Aquae Ypsitanae”, si dispongono su vari livelli e sono composte da due stabilimenti: il primo, a nord, del I sec. d.C.; il secondo, a sud, del III sec. d.C.” Così vengono descritte nel sito della Regione, SardegnaCultura, le terme romane di Fondorgianus nell’alto Oristanese, sulla riva sinistra del fiume Tirso. Ampie piscine rettangolari, vasche quadrangolari, una piazza lastricata e poi un apodyterium, un frigidarium un tepidarium e un calidarium e molto altro.

Un sito senz’altro da visitare. Un luogo della Cultura per turisti curiosi ma anche per semplici appassionati. Almeno finora. Già, perché dopo l’iniziativa di due società sarde, Oggi Sposi & Events eShardana Tourism Lab, le terme entrano nel circuito delle cerimonie nuziali, diventando il set fotografico per raccontare il giorno del “sì”. Non più la location occasionale per l’“evento indimenticabile”, come sperimentato altrove. Molto di più. Istituzionalizzata la fruizione, contando sulla collaborazione dell’Amministrazione comunale di Fordongianus, della Soprintendenza archeologica della Sardegna e della Cooperativa Forum Traiani.

Un’operazione studiata, a quanto sembra. Verificando le potenzialità del turismo nuziale. Oltre un milione e 221 mila le presenze da venticinque nazioni, per un fatturato di circa 315 milioni di euro. Queste le cifre che, secondo una ricerca della JFC Tourism & Management, il turismo per matrimoni ha prodotto in un anno in Italia. Insomma un affare. Almeno per le due società. Su questo pochi dubbi. Più indirettamente anche per il Comune che «ha sposato quest’iniziativa ritenendola utile per promuovere l’immagine del territorio associata al mondo dei matrimoni e per auspicare l’aumento dei flussi turistici che questo tipo di viaggi può determinare», hanno dichiarato le promotrici dell’iniziativa.

Semmai le perplessità nascono su altre questioni. Tutt’altro che marginali. Come conoscere quale sia l’“utile” per Soprintendenza archeologica. Ma anche sapere come si coniugheranno le esigenze di utilizzo dell’area con quelle legate alla fruizione. Già la fruizione, come in molti altri casi. Il nodo è quello. Perché il timore che la questione si risolva con chiusure fuori programma appare fondato. Che siti archeologici, spazi museali e Palazzi storici debbano essere luoghi vitali, per le cui spese di manutenzione si può ricorrere ai proventi di affitti, programmati e non in contrasto con il loro decoro, si può essere d’accordo. Ma insopportabile dovrebbe risultare a chi consideri la fruizione del patrimonio artistico un imprescindibile punto fermo, la loro apertura vincolata alla presenza di eventi. Anche perché quando ciò si dovesse verificare si sarebbe davvero stravolto la funzione naturale del sito. Da contenuto a semplice contenitore. E in quel caso non ci sarebbe utile capace di compensare la perdita.

Il Fatto quotidiano, blog "ambiente e veleni", 6 febbraio 2016.

Dopo il Tar nel febbraio 2012 e il Consiglio di Stato nel gennaio 2014, anche la Cassazione, nel dicembre dello scorso anno, ha riconosciuto la “illegittimità di una pluralità di atti tutti relativi alla lottizzazione di Capo Malfatano. Vittoria! Notizia lieta, a lungo attesa. Da quando nel 2010 il Resort di categoria 5 Stelle e 5 Stelle lusso è diventato una realtà. Uno dei tratti di costa più belli e naturalisticamente meno antropizzati della Sardegna messo in salvo. La vegetazione mediterranea non sarà del tutto spazzata via per lasciare il posto ai 190mila metri cubi di costruzioni suddivisi in quattro complessi alberghieri, quattro residence, due agglomerati di residence stagionali privati e relativi servizi, che si sarebbero dovuti realizzare. Tutt’altro che illegalmente. Il Comune di Teulada, nel cui territorio si trova Capo Malfitano, e la Regione avevano regolarmente autorizzato l’operazione. Non solo. Avevano esentato il progetto da ogni controllo sull’impatto ambientale. Con il consenso delle Soprintendenze delle province di Cagliari e Oristano e del Mibact.

L’espediente utilizzato dalla Sitas, la Società Iniziative Turistiche Agricole Sarde che aveva predisposto il piano di lottizzazione, la sua articolazione in cinque differenti parti. Autorizzata la prima, le altre sarebbero seguite. Quasi naturalmente. Invece si trattava di una frammentazione ingannevole. Già, perché, come hanno scritto i giudici del Consiglio di Stato, “l’impatto del progetto sul paesaggio doveva essere valutato nel suo complesso, perché fosse chiaro il rapporto tra il sacrificio ambientale e le eventuali ricadute sociali”. Il progetto Capo Malfetano Resort, l’intervento-immobiliare promosso da Sitas con il coinvolgimento di Sansedoni, di Ricerca Finanziaria di proprietà della famiglia Benetton, di Progetto Teulada, invece della famiglia Toffano, e della Silvano Toti, società del gruppo Toti, smascherato. Fortunatamente. Ma non casualmente. Decisivo il ruolo di Italia Nostra Sardegnache aveva presentato ricorso sulla legittimità delle concessioni paesaggistiche. Ricorso accolto dal Tar nel febbraio 2012.

“Questa sentenza solleva molti dubbi sul corretto comportamento e sulla responsabilità della Regione Sardegna, del Comune di Teulada e delle strutture periferiche del MiBact, che hanno autorizzato questo intervento, e troppi altri, interpretando la normativa regionale, nazionale ed europea con scarsa competenza e tanta “superficialità”, il commento dell’associazione dopo il felice esito della vicenda. Già, a rimanere in sospeso sono soltanto i giudizi morali sulle decisioni di Amministrazioni locali e regionali e degli organi ai quali è delegata anche la tutela di siti e monumenti e del loro habitat naturale. Quel che è indubitabile è che non si governa così un territorio.

Riferimenti

Su eddyburg: Giorgio Todde, Una gioia e un dolore, e A Capo Malfatano "sviluppano" (sic) il paesaggio, Giorgio Meletti, Il pastore ferma il cemento a Capo Malfitano, Mauro Lissia, Ovidio eroe di Facebook non arretra d'un passo, l'Hotel va demolito, Andrea Massidda, Capo Malfatano Resort, 5 stelle di cemento

iC’era una volta un economista molto attento ai temi ambientali. E c’erano anche - queste per la verità ci sono ancora - persone molto distratte. Per l’esperto, dunque, non era facile far comprendere - neppure ai propri studenti - l’importanza, soprattutto economica, dell’uso conservativo delle risorse naturali. Il professore, però, non si arrendeva e continuava a ripetere che “i grandi investimenti immobiliari lungo numerosi tratti delle coste sarde sono interventi irreversibili e consumano in modo definitivo e particolarmente alto la natura nella quale si situano”. Per il bene comune era troppo importante che tutti capissero come “ogni investimento effettuato per aumentare il grado di sfruttamento turistico della risorsa (strutture ricettive, per esempio) ne determini un “consumo” irreversibile, e di conseguenza la qualità ambientale, l’attrattività del suo scenario naturale diminuisca”.

In principio l’economista provò con la metafora del pastore: un esempio utile per tutta la popolazione visto che le pecore in Sardegna sono di casa da molto più tempo dei turisti. Richiamando la nota analisi di Hardin, identificò la proprietà comune di una risorsa naturale con un pascolo a disposizione delle greggi di tutti i pastori, ognuno con gli stessi diritti. E’ ovvio, ha spiegato l’economista, che tale situazione risulta sostenibile solo se le pecore consumano una quantità di erba pari al suo livello di crescita: in questo modo, non si impoverisce il pascolo e non si intacca il foraggio per il futuro. Se le greggi consumassero una misura superiore di erba, viceversa, la disponibilità diminuirebbe con un grave e irreversibile impoverimento del pascolo.

Ma perché questo dovrebbe accadere? Non dovrebbe essere nell’interesse di tutti comportarsi in modo da evitarlo? Nella risposta a questa domanda - avverte il professore - c’è l’essenza di quella che viene chiamata la “tragedia dei beni comuni”. Guardiamo la situazione con gli occhi di un singolo pastore, ha poi spiegato. Per lui portare qualche pecora in più al pascolo significa guadagnare di più, perché poche pecore trovano maggiori quantità di erba. Anche nel caso in cui il nostro pastore fosse meno egoista - ha osservato lo studioso - potrebbe comunque, convincersi che qualche altro lo sarà e quindi, tanto vale comportarsi nello stesso modo. Il pastore, dunque, aumenterà i propri benefici, creando un effetto negativo per gli altri pastori. Tale effetto negativo si chiama esternalità - ci insegna l’economista - perché i costi così provocati ricadono sugli altri e non sono pagati da chi li causa. Portando al pascolo più pecore per guadagnare di più il singolo pastore crea una situazione che da sostenibile diventa insostenibile, ma in assenza di un’autorità regolamentatrice nessuno può imputare al responsabile il costo causato da questa azione. Così ognuno verrà condotto ad agire in modo egoista, portando alla rovina collettiva: tutti aumenteranno lo sfruttamento e il pascolo sarà consumato completamente. Questo esempio, conclude l’esperto, “ha diverse applicazioni in molti campi dell’economia ambientale, compreso quello dello sviluppo turistico di una località dotata di particolari bellezze naturali e consente di individuare i meccanismi politico affaristici che spesso, in Sardegna, hanno permesso la realizzazione di interventi simili all’eccessivo sfruttamento del pascolo, in nome di una loro ipotetica (e quasi sempre del tutto ingiustificata) capacità di contribuire a risolvere il problema della disoccupazione”.

Il discorso è logico, la metafora chiarissima, eppure niente da fare, nessuno comprende, le vie Gluck si moltiplicano e tutti continuano a costruire case su case. E non lasciano l’erba. Peggio molto peggio delle pecore del pastore egoista.

Ma il professore, tenace, non si arrende e confidando in un risveglio degli intellettuali ricorda “un risultato classico dell’economia dell’ambiente [Krutilla e Fisher (1975)], non sempre” -sottolinea - “tenuto nella dovuta attenzione dalle autorità competenti in materia di sviluppo turistico”. Da tale studio emerge che “quanto più si hanno motivi per ritenere che le preferenze dei consumatori premieranno in futuro l’alta qualità ambientale del prodotto turistico, tanto più diventa necessario essere estremamente prudenti in materia di sviluppi turistici ad alto consumo irreversibile della risorsa ambientale”. Il turismo sardo degli ultimi decenni, viceversa, “basato in gran parte sulla costruzione di seconde case spesso con alto impatto paesaggistico negativo, ha ignorato troppe volte ogni ragionevole criterio basato su qualche definizione chiara e riconoscibile di sostenibilità economica. E ci sono casi in cui la miopia o un alto tasso di sconto di rendimenti futuri possono indurre allo sfruttamento eccessivo della risorsa anche imprenditori seriamente intenzionati ad associare i propri destini economici con quelli della località turistica in cui decidono di investire”.

Questa è l’ultima spiaggia, ha decretato, infine, in un saggio di successo l’economista e “l’unica soluzione è che esista una autorità riconosciuta, che sia capace di coordinare le azioni degli individui, offrendo incentivi e impartendo sanzioni per coordinare il comportamento di ognuno in modo da ottenere l’uso ottimale aggregato della risorsa”.

Questa volta il professore, seppure dopo molti anni e a prezzo di diversi piani casa, non è rimasto inascoltato. Alcuni cittadini, che nel frattempo avevano imparato la lezione, hanno avuto un sussulto e l’hanno eletto presidente della regione, riconoscendo proprio in lui l’autorità che deve garantire “l’uso ottimale aggregato della risorsa”, l’unica che possediamo. Con la nascita del politico, però, l’economista è rimasto vittima di uno strano sortilegio e ha perso completamente la memoria. Non solo. E’ stato invaso da una vera e propria smania di consumo. E ha deciso che subito, immediatamente, qui e ora, si deve consumare tutta, ma proprio tutta, quella risorsa ambientale che per anni aveva difeso in modo strenuo e disperato. Inutilmente abbiamo cercato di fargli comprendere, usando le sue stesse parole, che “il risultato delle analisi di Krutilla e Fisher è fondamentale, perché conferma che - nell’alternativa tra conservare una risorsa naturale con valore ambientale in sé o invece usarla come input di un processo produttivo che la consuma - l’incertezza sulle preferenze delle generazioni future, aumenta la possibilità che la scelta economica ottimale per l’intera società sia quella a favore della conservazione della risorsa naturale”.

E che proprio questo “è il motivo per cui imprenditori anche molto “avidi”, anche molto poco sensibili alle bellezze naturali, possono scoprire la convenienza economica di preservare la qualità della risorsa che attrae i turisti e che non è rinnovabile”.

Ancora increduli gli abbiamo ricordato di quando sosteneva che “le analisi di tipo “costi-benefici” utilizzate in Sardegna per decidere il rendimento di un investimento di sviluppo turistico hanno ignorato questo fondamentale risultato, con la conseguenza che è stata spesso data via libera a progetti che si sono dimostrati economicamente insostenibili”. Non c’è stato verso. Questi progetti “economicamente insostenibili” devono crescere fino al 25 per cento. Un quarto del volume esistente. Non solo alberghi, resort, prime, seconde e terze case, ma anche capannoni industriali e in misura minore, centri commerciali. Centinaia e centinaia di milioni di metri cubi. E poco importa se si trovano in centro storico, in area vincolata o all’interno dei 300 metri dal mare o dagli stagni. E se sono incostituzionali e contrari all’ottimo Piano Paesaggistico. Così sarà. Lo stabilisce un disegno di legge su un nuovo Piano casa che avrà durata illimitata, ed è in corso di approvazione nel Consiglio regionale.

Abbiamo cercato di fermare questa folle frenesia, ricordando la presenza di leggi europee e nazionali che impediscono la realizzazione di un numero imprecisato di interventi senza calcolare gli effetti che questi produrranno sull’ambiente. Esiste una procedura obbligatoria - valutazione ambientale strategica (VAS) - abbiamo scritto, che impone di determinare in anticipo l’impatto delle nuove opere sul territorio. Nessuno ha risposto.

E la settimana prossima milioni di metri cubi di cemento sommergeranno per sempre la nostra ultima spiaggia.

Il paesaggio tutelato dal Codice dei Beniculturali è a rischio, sia che governi la destra sia che governi la sinistra,nel Paese e nelle Regioni. La Sardegnanon fa eccezione, come dimostrano le vicende recenti.

L' isola si era data una legge urbanistica nel1989, frutto di un appassionato dibattito al tempo del governo di sinistrapresieduto dal sardista Mario Melis. Un passo lungo, qualche innovazioneardita. Come la tutela della fascia dei300 mt dal mare resa inedificabile, il raddoppio della estensione del vincoloposto negli anni '70. Non era scontato. Il confronto nei partitidella sinistra era titubante. Il Pci/Pds nche in Sardegna, guardava, a coninteresse agli argomenti del movimento ambientalista. Ma restava affezionato alla tesi“sviluppista” incline al compromesso (gli accordi in deroga saranno alla basedel naufragio della pianificazione delpaesaggio del 1993).

Dal 2006 la Regione ha un piano paesaggistico(Ppr), ancora per volontà di una maggioranza di sinistra guidata da RenatoSoru. Bella sfida per allineare l'isola al Codice dei beni culturali e delpaesaggio. Il piano fu approvato molti di quelli che avevano condiviso ilpiano tentassero di impedirnel’approvazione definitiva. Da qui ledimissioni del presidente Soru, allora sottovalutate.
Dopo di ciò Cappellacci, uomo di Berlusconi e da questi pesantementesponsorizzato, ha provato a buttare via tutto. Fortunatamente senza successoperché il Ppr, nonostante la virulenza dell'azione, ha resistito agli assaltied è ancora in vigore. Ma la coalizione di destra il segno lo ha lasciato,approvando nel 2009 il piano casa. Una legge destabilizzante il quadro dei vincoli, specialmente nei
litorali, pensata per favorire i grandi speculatori al riparo dell'espediente lessicale per richiamare il bisogno di case dei meno abbienti.

All'epoca tutti gli esponenenti dell'opposizione di sinistra dichiaravano guerra al “piano villetta”, “inutile”, “grande inganno”, “fuorviante”,“illegittimo”, ecc. Totale la condanna del fai-da-te innescato dalle deroghe, fonte di guai per l'isola. Evocavano i tanti casi di compromissione del patrimonio ambientale/paesaggistico, contro lo sviluppo durevole della Sardegna, da perseguire caso mai con strategie e norme lungimiranti. Magari con semplificazioni e accelerazioni delle procedure, spiegavano. Mai con le eccezioni alle regole.

Da un anno la sinistra è tornata al governo della Regione. E la sua azione sembra ora contraddire scelte del passato acquisite e difese fino a ieri. La crisi è continuamente evocata; e per dare risposte al disagio delle imprese edili si è pensato di guardare con più indulgenza ai pessimi programmi della destra. Obiettivo la riedizione meno indigesta del “piano casa” , tenendo nello sfondo quello di Cappellacci, che era stato pensato allora soprattutto per ridurre il livello esemplare di tutela deciso nel 2006 ( Cfr. E. Salzano, Lezioni di Piano, Corte del Fòntego editore, Venezia 2013). Le conseguenze sonotutte immaginabili, basta dare un'occhiata al testo approvato dalla commissione consiliare qualche giorno fa, ancorapiù permissivo di quello della Giunta. Il complesso delle previsioni consente incrementi percentuali di volumi in tutte le zone omogenee, dai centri storici alle zone costiere più prossime alla battigia, quindi a beni paesaggistici, in deroga alle norme vigenti e ai piani urbanistici comunali.

Il presidente della Regione Pigliaru (assessore nella giunta Soru) è quindi intervenuto per richiamare la coalizione ad una maggiore aderenza al programma di governo, sconfessando il testo licenziato dalla commissione (il ddl 130A ) molto lontano dalla modernità del Ppr.

I malumori si sono diffusi nella maggioranza, ovvero nel Partito Democratico, il cui segretario è oggi Renato Soru contrario allo stravolgimento del Ppr. Tant'è che sono annunciate correzioni al ddl, specie dopo il recente confronto nella direzione PD, per cui non vale la pena di soffermarsi sui dettagli del precario disegno di legge. Occorre però interrogarsi sui contenuti più intemperanti del provvedimento, alcuni molto preoccupanti, come la programmata resurrezione di sepolte lottizzazioni in aree costiere o gli incrementi smodati concessi agli alberghi pure nei 300 mt dal mare e quindi nelle rive. Milioni di metri cubi distribuiti a caso, sottratti al controllo della pianificazione locale e privi della valutazione dell'impatto ambientale conseguente. Fughe che fanno temere per le scelte future, se stessero nel solco dell'idea, ben espressa in “SbloccaItalia”. Secondo cui le norme per la tutela del paesaggio e dell'ambiente sono d'impedimento alla crescita del Pil.

Anche in Sardegna è evidente il disorientamento della sinistra su questi temi, specie quando governa. Si sconta – come altrove – la complicata convivenza di visioni molto distanti nel PD, un dato della sua evoluzione al tempo di Renzi: “una grande forza di centro che corteggia la destra” – è la definizione di un autorevole esponente dem.

È come se lo spirito del Patto del Nazareno sorvolasse l'Italia pronto a materializzarsi qua e là. Così non stupiscono importanti analogie tra il dibattito in Sardegna e quello in corso in Toscana, al centro le buone idee dell'assessore Anna Marson sulla tutela dei paesaggi di quella regione. Un dibattito, quasi tutto interno al PD, con singolari somiglianze nelle due Regioni, specie per le ostilità ai principi di salvaguardia dei beni comuni annidate in settori di quel partito, e quindi nelle aggressioni prefigurate a parti pregiate del territorio (altre volumetrie nei 300 mt nelle coste sarde, come i nuovi fronti di cava sulle Alpi Apuane sopra i 1200 mt).

Gli sviluppi non sono prevedibili in Sardegna. Si spera che il presidente Francesco Pigliaru, al quale spetta la sintesi della controversia, scelga di allearsi con Renato Soru. È il solo modo per tentare di ricondurre alla ragione le norme per l'edilizia in discussione: sarebbe meglio se ricomprese in un provvedimento meno estemporaneo, ad esempio nella nuova legge urbanistica più volte annunciata in questi mesi.

«Non è un proconsole berlusconiano, ma un governatore renziano a riportare l’incubo del cemento sulle coste della Sardegna. Nuove cubature potranno sorgere anche nei primi 300 metri dal mare». Sembra invincibile la forza corruttrice del renzismo. Il Fatto Quotidiano, 11 marzo 2015

Non è un proconsole berlusconiano, ma un governatore renziano a riportare l’incubo del cemento sulle coste della Sardegna. Nuove cubature potranno sorgere anche nei primi – finora inviolabili – 300 metri dal mare, dove non potranno vedere la luce altri posti letto, ma nuovi servizi sì. E anche vecchi progetti, congelati nel 2006 dal rigoroso Piano paesistico regionale (Ppr) dell’allora governatore Renato Soru, potrebbero tornare validi. Lo spettro delle speculazioni edilizie sulla costa sembra materializzarsi nella proposta di legge della giunta di centrosinistra guidata dal renziano Francesco Pigliaru che oggi sarà discussa dal consiglio regionale. La norma cancellerà il vecchio “piano casa” targato centrodestra, anche se gli ambientalisti sono già sulle barricate: “Il centrosinistra sta facendo peggio di Ugo Cappellacci”, il governatore berlusconiano sconfitto da Pigliaru un anno fa.

Quella per i litorali non è l’unica minaccia contenuta nel testo di legge: le betoniere potrebbero tornare a farsi largo nei centri storici, anche questi blindati da Soru – patron di Tiscali, attuale segretario regionale del Pd ed europarlamentare. La discussione su – come vuole la dicitura esatta – “Norme per il miglioramento del patrimonio edilizio e per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia” verrà avviata oggi. La prima versione del testo era stata varata dalla giunta il 23 ottobre dell’anno scorso, su proposta dell’assessore regionale agli Enti locali, Cristiano Erriu del Pd.

Dopo il vaglio della commissione Urbanistica del consiglio regionale la norma è stata modificata, ma la sostanza non cambia e lascia molti scontenti. Se nelle dichiarazioni l’obiettivo era – come si legge nella relazione – una regolamentazione improntata alla certezza delle norme, il contenimento del consumo del territorio e la riqualificazione del patrimonio esistente, il risultato sembra diverso. Con la minoranza di centrodestra che mostra il pollice verso (voleva un maggiore impulso al settore) e parte del Pd che storce il naso per il rischio di tradimento al Ppr. Così gli emendamenti, anche amici, sono dietro l’angolo. E, come sempre in Sardegna quando si parla di urbanistica e cubature, gli animi sono già infuocati.

Mentre Pigliaru, professore di economia, cita l’edilizia tra i motori della sua ricetta keynesiana per far uscire l’economia dell’isola da una crisi nerissima, gli ambientalisti lo accusano: “Il consiglio regionale della Sardegna si appresta a esaminare una proposta di legge che fa da coperchio alla più retriva speculazione immobiliare. Un salto indietro di 30 anni”, è l’attacco di Stefano Deliperi, leader delle associazioni Gruppo di intervento giuridico e Amici della Terra. Il cavallo di Troia per il grande ritorno del cemento nella fascia ultra tutelata dei 300 metri si chiama turismo. In nome dello sviluppo di quella che dovrebbe essere la maggiore industria sarda saranno permessi ampliamenti del 25 per cento di volumetria per le attività esistenti, anche a ridosso del mare: il tabù dell’intangibilità della battigia potrebbe dunque cadere. Il perché lo spiega un esponente del Pd, Antonio Solinas, relatore di maggioranza: “Si è ritenuto meritevole prevedere incrementi volumetrici maggiori, a condizione che tali incrementi diversifichino e riqualifichino le dotazioni e i servizi delle strutture ricettive al fine di promuovere la destagionalizzazione dell’offerta turistica”. Mentre ci si interroga sull’esistenza del cemento destagionalizzante, sul punto sono arrivate anche le critiche di segno opposto del centrodestra che non condivide il divieto, previsto dalla legge, di creare nuovi posti letto. Si fa invece notare il silenzio dell’ala del Pd legata a Soru, che tace anche sulla violazione di un caposaldo del suo piano paesistico regionale , l’intangibilità dei centri storici, finora vincolati. La nuova normativa consentirebbe incrementi volumetrici fino al venti per cento, anche se subordinati a un apposito piano particolareggiato delegato al Comune.

Il punto che più agita gli animi e su cui le associazioni ambientaliste vanno giù dure è quello delle cementificazioni zombie: “Pare un testo che punta a resuscitare i progetti edilizi morti e sepolti dal Ppr, e a render permanente la disciplina permissiva che era provvisoria nel pessimo piano del 2009 di Cappellacci”. Le lottizzazioni finora paralizzate sarebbero rimesse in corsa da norme transitorie, che consentono il completamento degli interventi già autorizzati prima dell’intervento anti-cemento di Soru: Arzachena, Costa Smeralda e Villasimius sono le tre zone a maggior rischio.

La Nuova Sardegna, 16 dicembre 2014


Sisaprà a gennaio se la Sardegna è idonea ad accogliere i 90mila mc di rifiutiradioattivi made in Italy - dicono i responsabili della selezione per ubicareil deposito. Difficile prevedere le reazioni alle contropartite, alle promessedi occupazione e investimenti generati dal mostro nella regione che se loprenderà. Una ragion di Stato condivisa- potrebbe essere lo slogan perminimizzare un nuovo sfregio al territorio sardo -, per un'altra inaccettabileviolenza alla “Terra madre”, come lachiama Carlo Petrini.

Lanatura già oltraggiata, impedita - in grandi parti dell'isola - a mostrarsi conil suo volto protettivo, fiaccata nel ruolo come la “Madre dell'ucciso” diFrancesco Ciusa. Basta guardarsi attorno per capire che occorre proteggere iluoghi fantastici che hanno resistito nonostante tutto. Altro che nucleare. Lohanno detto i manifestanti contro laragion di Stato degli allenamenti per la guerra di cui i sardi si fanno carico- pericoli per la salute compresi - a Capo Frasca, Quirra, Teulada, ecc. 220kmq, il 60% delle basi italiane sono sarde. Manon inizia e non finisce qui la storia di manomissioni subite. Nel solco deldisegno di sfruttamento di questao quella periferia tenuta in uno statodi arretratezza e dipendenza dal centro, «dai bisogni del centro che le imponela sua legge» - notava Braudel.

Dall'isolainnocente sono stati portati via beni preziosi senza investirci nulla, e chi ciha investito qualcosa non ha lasciato, in genere, buoni ricordi. Si pensi al patrimonio boschivo diventatolegna o carbone da bruciare in Continente, energia gratis che ha contribuitotra Otto e Novecento allo sviluppo di regioni più fortunate e gelose dei loro alberi.O al via libera alle industrie meno compatibili con i suoi caratteri, quandonell'interesse nazionale edell'Autonomia regionale - sarebbe stato meglio risparmiarla dall'oltraggiodell'inquinamento, dono di imprenditori inaffidabili sovvenzionati da noi. NelSulcis e nel golfo dell'Asinara i casi eclatanti della disfatta con molte propaggini.

Oggi450mila ettari di territorio sonocontaminati e la disoccupazione moltiplica la rabbia per lo spreco irrimediabile di risorse. Le potenzialità diagricoltura e pastorizia sottovalutate, credo per la difficoltà a centralizzarela spesa a beneficio di cricche. Bendisposte a finanziare le imprese da cui -come dicono a Roma chissà da quanto tempo- “ce famo un sacco de sordi”.

Diamo un'occhiata alla storia e alle comunitàlocali allarmate dai veleni sparsi e perrinnovati programmi di speculazione sulla bassa densità di popolazione -sigh!Battaglie simulate con bombe vere,termodinamico, eolico, cardi giganti, eajò trivelle, tutto in assenza di unavisione più che di un piano energetico. Nessunopuò dirsi al sicuro quando entra in azione il partito sardo del sì, delsignorsì che “coniugare sviluppo e ambiente” si può senza limiti: dal ciclo edilizio a sfinimento, sino alleconseguenze estreme dell'uranio nel sangue, del piombo nel vino, del benzene in aria e in mare, dei canali murati,fino al ridicolo e all'orrore nella costa di Sorso, l'albergo reversibile,discarica tossica nella bassa stagione, con discredito della comunità che hascommesso su un litorale tra i piùintegri.

L'abissodell'esaurimento di ogni scampolo di incanto e di biodiversità è a due passi.Per questo è bene fermare l'applicazione di leggi pensate per realizzarespiccioli di Pil e chissenefrega dei luoghi belli. La Regione ha protestato contro le servitù e il nucleare in casa, e pure contro le leggi chenegano l'Autonomia, come “Sblocca-Italia”. Potrà difenderla l'isola, invocandola specialità del suo paesaggio - questo sì d'interesse transnazionale - senzacontraddirsi. Il governo Pigliaru, nello sfondo il principio di sussidiarietà,ha aperto il confronto sul disegno di legge della giunta, il piano-casa foreverche non persuade. Specie perchéattribuisce direttamente ai proprietari di immobili la facoltà di intervenire,anche in contrasto con i piani comunali e quindi con impatto casuale, direi imponderabile su una miriade diterritori dei quali il legislatore regionale non può sapere granché, come lo Stato non sa nulladell'effetto delle trivellazioni ad Arborea o chissà dove nell'isola.

Le associazioni ItaliaNostra, Wwf e Lipu della Sardegna contestano il disegno di legge in materia di miglioramento del patrimonio edilizio approvato con delibera G.R. n. 39/2 del 10.10.20
non soltanto per le norme in esso contenute che appaiono pericolose per gli effetti che avrebbero
sul territorio, ma soprattutto per la filosofia che pervade buona parte degli articoli del provvedimento che di fatto “istituzionalizzano” le deroghe alle norme urbanistiche comunali,regionali e nazionali.

Le finalità e il contenuto della normativa che si vorrebbe approvare sono esattamente gli stessi peggiorativi del famigerato piano casa di Cappellacci, sinora fortemente avversato anche dall’attuale

maggioranza politica. Con l’enorme aggravante che le deroghe al piano paesaggistico e ai regolamenti comunali da provvisorie diventano definitive. Si decide l’annullamento della pianificazione e si sancisce la fine di ogni governo pubblico del territorio. La regione abdica al suo ruolo di controllo e priva i comuni di prerogative garantite da leggi dello stato.
Il paesaggio e tutte le sue componenti naturali, sociali e culturali che connotano ogni luogo e la sua specifica identità– costituiscono il nucleo fondante, collettivamente riconosciuto, dello “statuto” del territorio, non arbitrariamente modificabile e protetto da norme costituzionali. E' veramente incredibile che vengano consentite nuove volumetrie pari al 25% nella fascia dei 300 metri dalla linea di battigia perfino alle strutture turistico-ricettive che hanno già usufruito di tale possibilità e a quelle appena realizzate nel 2013!
Per questa ragione la tutela dell’ambiente deve essere garantita dall’autorità di governo che ha il dovere istituzionale di proteggere le caratteristiche peculiari di ogni luogo, consentendo gli usi che ne permettono la conservazione o la riproduzione e impedendo quelli che le distruggerebbero.

Come regioni più virtuose hanno da tempo riconosciuto, lo svolgimento delle attività che incidono sul
territorio e l’utilizzazione delle risorse ambientali devono assicurare la salvaguardia dei beni comuni e l’uguaglianza di diritti all’uso e al godimento degli stessi, nel rispetto delle esigenze legate alla migliore qualità della vita delle generazioni presenti e future.

E’ diffusa l’esigenza di norme che garantiscano davvero il mantenimento della forma e degli aspetti più significativi delle nostre città, la tutela dei centri storici e dei monumenti, la qualità del verde e degli spazi pubblici e relativa socialità, la protezione del paesaggio, della salute e dell’ambiente.

E' veramente aberrante che gli incrementi volumetrici possano essere oggetto, successivamente alla loro realizzazione, di cambio di destinazione d’uso e che si preveda la monetizzazione per i parcheggi mancanti. Rivendichiamo per ciascun cittadino residente e/o insediabile nei contesti urbani
degli standand urbanistici dei 18 mq previsti dalla normativa nazionale.

Chiediamo l’approvazione di leggi che abbiano come fine reale la effettiva conservazione del suolo non ancora edificato - bene comune e risorsa non rinnovabile - incentivando l’attività agricola, l’artigianato e un vero turismo culturale, attraverso la cura del territorio e dei suoi abitanti.

Per questi motivi siamo totalmente contrari al testo del DDL “in materia di miglioramento del patrimonio edilizio”. PerchÈ un piano casa "in deroga perenne" va in senso diametralmente opposto alla tutela del bene comune e non è pertanto “emendabile”.

Ci riserviamo di esprimere il nostro dissenso ragionato e motivato e di trasmettere specifiche osservazioni a dimostrazione della illegittimità, anche costituzionale, delle norme che si
vorrebbero approvare.

ITALIA NOSTRA SARDEGNA, Maria Paola Morittu Delegata reg.le Paesaggio e BB.CC
WWF SARDEGNA Carmelo Spada Delegato Regionale

LIPU SARDEGNA, Francesco Guillot Coordinatore Regionale

Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2014

La Regione Sardegna, presieduta da Francesco Pigliaru, ha approvato un disegno di legge (ddl) concernente “norme per il miglioramento del patrimonio edilizio e per la semplificazione e il riordino di disposizioni in materia urbanistica ed edilizia”.

Non è una legge organica sull’urbanistica, di cui hanno bisogno la Sardegna e l’Italia. Al contrario, si punta a dare continuità amministrativa al cosiddetto “piano casa” della destra di Cappellacci, ex presidente della Giunta. Il ddl si discosta da molte posizioni di Cappellacci, ma l’impostazione di fondo è la stessa, con l’aggravante che il piano casa, pensato come norma temporanea, non ha scadenza e diviene strutturale. Contro questo metodo varrebbero tutte le considerazioni del centrosinistra quando era all’opposizione, che era contrario ad un piano casa…a scadenza!

In Europa, in Occidente, c’è chi pensa che aumentando i volumi ed il numero delle stanze si possa dare risposta alla necessità abitativadel popolo: nulla di più falso*! In questi ultimi tre decenni il numero delle stanze in Sardegna ed in Occidente è aumentato notevolmente, ma la precarietà abitativa è aumentata a sua volta. Il problema non è che si è costruito poco, bensì come e come si comportano coloro i quali detengono il costruito.

La giunta è in continuità con questa impostazione, per quanto mitigata. Vengono confermate, nelle aree B e C **, gli aumenti volumetrici del piano casa, seppur ridotti. Ma se esiste un piano urbanistico comunale, con le sue proporzioni, il suo bilancio tra servizi e volumi abitativi, tra verde e volumi, perché permettere con questa legge un allargamento per legge? Sarebbe prevaricante rispetto alla scelte dei comuni, e sarebbe la sconfitta dell’idea della pianificazione urbanistica.

Il settore dell’edilizia, dai manovali ai grandi architetti è in fortissima crisi. Capisco gli ingegneri per cui il piano casa è servito per tirare a campare, ma proviamo ad allargare un po’ lo sguardo? Dal 2009 esiste il piano casa, e la crisi dell’edilizia non si è fermata, né a Cagliari né in Sardegna. Pensiamo che il piano casa sia ancora il modo giusto per dare lavoro?

Chiariamo poi che il piano casa non è un piano casa! La precarietà abitativa in questi anni è notevolmente aumentata, e non sarà il ddl Pigliaru a dare una risposta. Anzi, rinviando il problema lo si incancrenisce, facendolo ancora aumentare. L’unico vero piano casa è stato portato avanti nel dopo guerra, e diede centinaia di migliaia di case a chi non aveva nulla. Il cosiddetto piano casa di Cappellacci permise ai ricchi con tripla e quadrupla casa di allargarsi e fare qualche stanza in più, ed ad alcune famiglie proprietarie in città di costruire. Ma non è stata una soluzione.

Vi è poi il provvedimento che permette un aumento di cubaturaper gli alberghi, anche all’interno dei 300 metri dalla linea di battigia. L’aumento non riguarda il residenziale, bensì i servizi. In questo modo, oltre che permettere in futuro un eventuale cambio di destinazione d’uso (nel nome dell’urbanistica flessibile!) si stabilisce comunque di favorire chi, in ogni caso, ha strutture di fronte alla costa. Perché non si compie, invece, una netta scelta politica a favore delle strutture più lontane dal mare e, magari, delle aree interne? Perché non si convalida il modello di accoglienza immaginato nel Ppr (Piano Paesaggistico Regionale)?

Pur senza gli eccessi di Cappellacci, l’impostazione moderata che ispira il ddl Pigliaru è la medesima. Non si cita il concetto di “volume zero”, ormai acquisito dall’Unione Europea (non dal soviet!), e si parla più generalmente di “limitazione del consumo del suolo”, lasciando lo spiraglio aperto per il consumo, e non vi è alcun intervento sulla rendita.

Se si vuole arrivare ad una legge urbanistica generale e di rottura con il paradigma dominante si dovrebbe ritirare il provvedimento, far decadere la legge sul piano casa, e ricominciare su un altro livello.

* Vedi, a titolo di esempio, tutta l’opera di David Harvey. Cfr. David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città: neoliberismo, urbanizzazione, resistenze, Ombre Corte, Verona 2012.
** Le aree B e C sono quelle aree, residenziali e di completamento, esterne rispetto al centro storico, che viene definito area A.
(Ringrazio Susanna Galasso e Sandro Roggio, con i quali mi sono confrontato sul ddl)


Riferimenti
Si veda, su eddyburg, l'articolo di Mauro Lissia, Sardegna. I dubbi degli ambientalisti: «Stessi effetti del Piano casa»

La Nuova Sardegna, 12 ottobre 2014, con postilla

Ma quale tutela del paesaggio? Si ritorna alle regole del governo Soru ma la legge per l’edilizia, una sorta di Piano casa aggiornato, regala cubature e permessi di ampliare in aperto contrasto con lo spirito stesso del piano paesaggistico. Superata la fase della gioia per la resurrezione apparente del Ppr, gli ecologisti guardano con stupore le norme del Ddl varato dalla giunta Pigliaru e non lesinano le critiche: «Va bene la revoca totale del Pps di Cappellacci, ma il Piano casa che si vorrebbe rendere permanente con questo disegno di legge non sta né in cielo né in terra - attacca Stefano Deliperi, del Gruppo di intervento giuridico - siamo di fronte a resort giganteschi che potranno crescere di un quarto, metri cubi in più nei centri storici… no, non ci siamo. Spero che il consiglio regionale faccia giustizia, altrimenti sarà battaglia su ogni fronte».

Gruppo di intervento giuridico, Stefano Deliperi:

« Spero che il consiglio regionale faccia giustizia,
altrimenti sarà battaglia su ogni fronte»

Deliperi aveva fatto ricorso al Tar per ottenere la revoca della prima delibera firmata dalla giunta Cappellacci, quella che doveva dare la spinta iniziale alla revisione del Ppr di Soru. E ora manifesta un sospetto: «Questa decisione arriva a quattro giorni dalla trattazione di fronte al giudice amministrativo, è un dato significativo. Diciamo che è stato necessario aiutare la giunta regionale a capire quello che andava fatto ed è la conferma di quanto gli ecologisti che guardano le norme ed evitano di fare gazzosa hanno sostenuto fin dal primo momento». «Comunque va bene - va avanti Deliperi - prendiamo atto con piacere di questa correzione un po' tardiva. Ora si tratta di correggere anche questo strano Piano casa, che a una prima lettura sembra allinearsi con le norme devastanti imposte con il decreto Sblocca-Italia». Deliperi ricorda quello che è accaduto nel passato recente: «Se qualcuno si domanda il perché dei nostri sospetti, vada a vedere chi ha beneficiato in Sardegna dei Piani casa firmati da Cappellacci. Io ricordo Romazzino, tanto per fare un esempio. Chi parlava di dare una stanzetta in più alle famiglie di pensionati si è trovato di fronte a qualche suite a cinque stelle. Ma sembra che questi fatti non abbiano insegnato nulla a nessuno, visto che ora si vuol dare ai padroni dei resort la possibilità di costruire piscine e centri benessere nella fascia dei trecento metri. No, così non va. Dovremo discutere ancora e a lungo».
Deliperi appare deciso a non arretrare di un metro: «In questo periodo si sono visti sedicenti ambientalisti muoversi nei corridoi della Regione, pronti a gioire per ogni segnale positivo. La decisione assunta dalla giunta regionale di evitare il confronto davanti al Tar dimostra che coi comunicati e con le parole si fa poco, il confronto su temi centrali come quelli del paesaggio e dell'ambiente deve svolgersi sul terreno giuridico». Mauro Gargiulo del Wwf legge una «continuità berlusconiana» nel Ddl della giunta Pigliaru e ne critica aspramente il contenuto: «La fascia dei trecento metri dalla linea di battigia dovrebbe essere intoccabile - avverte - e invece si autorizzano nuove cubature negli spazi più pregiati. Sono scelte prive di senso, che a mio giudizio non avranno neppure l’effetto di rilanciare positivamente l’attività edilizia sana, ma soltanto la speculazione». Gargiulo si schiera con forza dalla parte del paesaggio: «Come Wwf siamo contro ogni deroga alle norme del Codice Urbani, che mi pare vengano seriamente messe in discussione con queste decisioni. È davvero inaccettabile che si pensi ad aumentare ancora le cubature mentre Genova deve affrontare un nuovo disastro legato all’eccesso di cemento e alle costruzioni incontrollate. È ora di dire basta, noi ci batteremo con ogni mezzo».
Italia Nostra, Maria Paola Morittu:
«Si rilancia il Ppr di Soru e poi si presenta
una norma che è in deroga totale»

«Sono allibita»: Maria Paola Morittu di Italia Nostra usa una sintesi chiara per definire il proprio giudizio sulla legge per l’edilizia, un Piano casa di centrosinistra che per le associazioni annuncia un nuovo assalto alle coste e ai centri storici: «Non capisco come da una parte si rilanci il Ppr di Soru e dall’altra si voglia far passare questa leggina, che è in deroga totale al piano». L’analisi di Morittu è spietata: «La Regione, assessore Cristiano Erriu in testa, ci aveva assicurato che il famigerato articolo 13 del Piano casa di Cappellacci, quello che contiene le deroghe e apre la strada ai costruttori, sarebbe stato abrogato. Invece ce lo ritroviamo qui, nel nuovo disegno di legge, in versione persino peggiore. Quelle che erano deroghe contenute in un provvedimento straordinario, dunque provvisorie, l’amministrazione Pigliaru vuole farle diventare legge e quindi definitive». Secondo Morittu l’illegittimità dell’articolo 13 è stata già ampiamente confermata dal giudice amministrativo: «Ci sono due decisioni del Tar e una del Consiglio di Stato, non riesco a capire come abbia fatto la Regione a non tenerne conto. Qui si torna indietro, superando Cappellacci nella corsa incontro ai costruttori». Secondo Morittu chi ha già beneficiato delle nuove volumetrie del vecchio Piano casa potrà presentarsi ancora all’incasso: «Solo nel caso in cui risultino cubature residue, un’esplicita ammissione del fatto che la nuova legge sarà più permissiva della vecchia». La dirigente di Italia Nostra insiste: «Con questo Ddl si va contro persino ai regolamenti comunali, è una cosa inaccettabile». Nessuno sconto alla Regione, la battaglia è annunciata: «Ci muoveremo in ogni sede - conferma Maria Paola Morittu - per fermare questa legge ispirata da consulenti vicini ai costruttori. È assurdo parlare di Ppr e di tutele, quando poi l’orientamento è di rianimare le betoniere. Davvero non pensavo che si potesse fare peggio del governo Cappellacci, invece ci sono riusciti».

postilla
A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, diceva Giulio Andreotti.Ovviamente, se i fatti testimoniano che ci si azzecca il peccato non c'è. Noi forse facciamo peccato, perché pensiamo, con Deliperi e Morittu, che l'annullamento (tardivo, e a questo punto inutile) è stato la copertura per far passare l'incredibile riproposizione, addirittura peggiorata, del famigerato "piano casa" di Cappellacci Se abbiamo peccato o no lo diranno i fatti: se la Giunta Pigliaru ritirerà il suo provvedimento saremo contenti di aver peccato.

Il manifesto, 11 ottobre 2014

Nella riu­nione di ieri mat­tina, la giunta ha deciso, su pro­po­sta dell’assessore all’urbanistica, Cri­stiano Erriu, di revo­care la deli­bera di ado­zione con la quale, nell’ottobre del 2013, la coa­li­zione di cen­tro­de­stra aveva, di fatto, abro­gato il piano di tutela del pae­sag­gio appro­vato nel 2006 dalla giunta di Renato Soru.

La deli­bera a suo tempo appro­vata dall’esecutivo Cap­pel­lacci cam­biava tutto rispetto alla legge Soru. Le coste della Sar­de­gna, che quella legge tute­lava come un bene pae­sag­gi­stico ina­lie­na­bile, diven­ta­vano, sol­tanto, un «sistema ambien­tale ad alta inten­sità di tutela». Che cosa esat­ta­mente signi­fi­casse que­sta for­mula, lo chia­riva un pas­sag­gio della bozza pre­pa­ra­to­ria, ora abro­gata, della legge poi appro­vata dalla giunta Cap­pel­laci: «È neces­sa­rio mediare tra la tutela delle risorse pri­ma­rie del ter­ri­to­rio e dell’ambiente e le esi­genze socio-economiche della comu­nità, all’interno delle stra­te­gie di svi­luppo ter­ri­to­riale e di soste­ni­bi­lità ambien­tale». Tutela sì, quindi, ma se que­sta blocca le «stra­te­gie di svi­luppo ter­ri­to­riale» va eli­mi­nata o dra­sti­ca­mente ridotta. E sic­come non è mai stato un mistero per nes­suno che per la stra­grande mag­gio­ranza dei comuni costieri le «stra­te­gie di svi­luppo» coin­ci­dono con la lot­tiz­za­zione del ter­ri­to­rio per costruire alber­ghi e vil­laggi turi­stici, era chiaro dove andasse a parare il con­tro piano di Cap­pel­lacci. Tanto più che le norme volute dal cen­tro­de­stra rece­pi­vano al loro interno sia il Piano casa appro­vato dall’ultimo dei governi Ber­lu­sconi e per ben tre volte pro­ro­gato nell’isola da Cap­pel­lacci, sia una legge regio­nale che dava il via libera alla costru­zione di venti campi da golf.

Non è quindi un caso che ieri la giunta Pigliaru abbia pro­po­sto anche nuove norme urba­ni­sti­che desti­nate a inter­ve­nire sugli effetti per­versi dell’ultimo Piano casa di Cap­pel­lacci, in sca­denza a fine novem­bre. Una serie di misure — ha chia­rito ieri in con­fe­renza stampa Erriu — che den­tro il qua­dro di tutela dise­gnato da Soru, che ora torna in vigore nella sua inte­rezza, rego­le­ranno l’attività edi­li­zia attra­verso incen­tivi al recu­pero del patri­mo­nio esi­stente e alla rea­liz­za­zione di pro­getti com­pa­ti­bili con la tutela del pae­sag­gio e con la sal­va­guar­dia delle coste

La Nuova Sardegna, 24 settembre 2014

Basi militari in Sardegna. Gli incidenti sono almeno serviti a risvegliare e coalizzare le antipatie verso questa anormale occupazione di terre, oltre 200 kmq, il 60% del totale nel Paese. Buona occasione per fare finalmente caso all' accumulo di controsensi nell'uso del territorio sardo, non solo a Capo Frasca, Quirra, Teulada.

Capisco la ritrosia a guardarla tutta insieme la Sardegna, credo per l' imbarazzante fardello di domande connesse: rivolte a chi ha avuto il torto di decidere tante invasioni/trasformazioni insensate, e ai delusi che hanno sempre applaudito. Dai signorsì, in tanti anni di Autonomia, è venuto uno sviluppo improbabile, e a seguire la disperazione che vediamo. È questa accondiscendenza che ha reso l'isola brutta e insicura, compromessa in più parti: disgraziatamente per sempre, perché dalle bonifiche non c'è da aspettarsi la palingenesi.

Cliccando sulle mappe online è facile farsene un'idea. Nella realtà è diverso, la bassa densità di popolazione allontana dalla vista i guasti, con i quali ci siamo abituati a convivere. Con poca voglia di impedire il “logorio profondo e irrimediabile” – di cui ha scritto Salvatore Mannuzzu in un saggio del 1998, pensando ai luoghi e alle comunità della Sardegna.

Impressiona il prolungato s'afferra-afferra. Senza intralci, perché chi ha preso dall'isola – senza restituire nulla – ha sempre contato su complicità locali; e chi si è opposto, tra i politici, non ha avuto vita facile.

Un'aggressione cominciata nell'Ottocento, quando tre quarti del patrimonio boschivo sono diventati carburante per produrre energia in Continente. E proseguita nell'ultimo mezzo secolo: con le regalie di vaste aree a imprenditori inaffidabili, sovvenzionati con libertà d'inquinarle – nel Sulcis e nel golfo dell'Asinara i casi più eclatanti della disfatta industriale – e oggi 450mila ettari di territorio sono avvelenati. E con il ciclo edilizio, specialmente in danno di litorali sfigurati e sottratti all'uso pubblico (la Sardegna “innocente” è ai primi posti nelle graduatoria dell'abusivismo, dopo Campania e Sicilia che però hanno il quadruplo degli abitanti).

Negli ultimi anni vanno e vengono le minacce da progetti di energia “verde”, e a volte si realizzano in assenza di valutazioni sul fabbisogno locale. Nello sfondo il deserto: travolgente se gli incendi continueranno a farci compagnia ogni estate e lo spopolamento cancellerà indispensabili presidi per gli usi agropastorali.

Ha stravinto il “partito del sì a tutto” – per accelerare il metabolismo dell'isola, ci ripetono da decenni. Tornaconti veri pochissimi. Neppure quelli più plausibili – penso alla disfatta del sistema trasporti che ci assicuravano prestante, bastava accondiscendere, approvare tutto senza condizioni.
Ripensare il modello di sviluppo, si dice. Dopo la manifestazione “no basi”, gli organi di informazione che stanno sostenendo la vertenza potrebbero intanto aiutare l'opinione pubblica a considerare tutte le forme di occupazione di terre inutilmente devastate. La vocazione agricola/turistica, continuamente evocata, non ammette remissività ai business di usi aberranti, allo strapotere di speculatori dell'energia o dell'edilizia scambiati per benefattori.

Per questo occorrono la visione lungimirante, di cui ha parlato il presidente Pigliaru, e adeguati atti di governo per tutelare il territorio senza distrazioni. Un esempio. Se le trivelle non strazieranno le campagne di Arborea è grazie alle manifestazioni di dissenso. Ma non sappiamo come sarebbe andata la valutazione d'impatto (SAVI) senza la lungimiranza del Piano paesaggistico. È infatti il contrasto con il Ppr – tempestivamente rilevato dal Servizio regionale per la tutela paesaggistica di Oristano – che sottrae quelle terre ai disegni della Saras. Ma attenzione al decreto “Sblocca-Italia”, approvato dal governo Renzi: incombe per racimolare briciole di Pil. La ragion di Stato che potrebbe esigere altri umilianti signorsì dalla Regione Autonoma, contrastando gravemente con le attese locali.

«Un giro sterminato di tangenti, con donazioni milionarie a funzionari che governano autorizzazioni paesaggistiche e concessioni edilizie nelle aree di maggior pregio». La Nuova Sardegna, 10 settembre 2014

Cagliari. Un giro sterminato di tangenti, con donazioni milionarie a funzionari e dirigenti che governano le autorizzazioni paesaggistiche e le concessioni edilizie nelle aree di maggior pregio della Costa Smeralda, fino agli ampliamenti degli hotel dorati ex Colony Capital, Romazzino, Cala di Volpe e Pitrizza: rimbalza a Cagliari un’inchiesta della Procura di Tempio che sembra destinata, se le ipotesi accusatorie troveranno conferma, a far tremare ancora una volta la politica sarda.

Perquisizioni. Per adesso gli indagati sono tre: il potentissimo ingegnere cagliaritano Tonino Fadda, ex componente della commissione Urbanistica del Comune di Cagliari e poi collaboratore dell’urbanistica regionale, il fratello geometra Raimondo Fadda e l’ex responsabile dell’ufficio tecnico di Arzachena Antonello Matiz, per anni plenipotenziario e crocevia burocratico di ogni iniziativa che riguardasse il cemento d’alto bordo nella Gallura degli appetiti immobiliari. L’accusa contestata fino a questo momento dal procuratore capo di Tempio Domenico Fiordalisi è per tutti e tre di concorso in corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, ma il materiale acquisito ieri mattina dai carabinieri di Sassari nell’abitazione di Fadda in vico Merello 7 e negli studi professionali di Cagliari e di Roma lascia prevedere per le prossime settimane un’ondata di avvisi di garanzia, mentre si parla di perquisizioni già programmate per questa mattina in diverse località della Gallura.

Iniziative immobiliari. L’inchiesta è in pieno svolgimento, Fiordalisi si è mosso in periodo feriale per tagliare corto e bloccare sul nascere qualsiasi tentativo di inquinamento delle prove: il decreto di perquisizione è stato controfirmato dal gip Marco Contu, che ha valutato in queste ore il materiale probatorio raccolto dai militari dell’Arma nel corso dell’estate. Al centro dell’indagine sono gli atti di concessione, i permessi di costruire, le autorizzazioni paesaggistiche che hanno reso possibili negli ultimi anni alcune iniziative immobiliari di grande impatto, le nuove suite degli hotel smeraldini ma anche le megaville di La Conia, la località di Arzachena in cui hanno realizzato i loro ritiri estivi numerosi dirigenti generali dello Stato e alti funzionari della tutela paesaggio.

Operazioni dubbie. È qui, tra Serra di Entu fino a La Conia passando per la proprietà Pasella che gli uomini di Fiordalisi hanno scoperto operazioni edilizie di dubbia legalità, sulle quali stanno indagando. Per scoprire le origini di quello che appare una sorta di sacco paesaggistico a base di tangenti il magistrato ha puntato decisamente su Tonino Fadda, per anni progettista di riferimento di Colony Capital e ancora sotto contratto fino a dicembre con la nuova proprietà che fa capo al Qatar, uomo vicinissimo al potente dirigente dell’urbanistica regionale Gabriele Asunis, indagato per corruzione e poi prosciolto nel procedimento romano per la P3 in cui è imputato Ugo Cappellacci.

Modifiche arbitrarie. Dalle carte dell’indagine sembra emergere un’asse solidissimo tra Fadda e Matiz, il primo come uomo delle proposte immobiliari a cinque stelle e il secondo nelle vesti di referente tecnico. In mezzo, fra progetti che sembrano aver passato agevolmente le verifiche urbanistiche e paesaggistiche, compaiono misteriose donazioni di cui i carabinieri hanno trovato traccia nei documenti sequestrati negli studi di Fadda: un appartamento al centro di Londra, acquistato e poi ceduto a un personaggio piuttosto conosciuto negli ambienti politici, passaggi di denaro molto consistenti, nell’ordine dei milioni di euro, che riporterebbero sempre a nomi noti. Filtrano indiscrezioni sulle perquisizioni compiute ieri, in presenza dell’avvocato Rita Dedola che difende i fratelli Fadda: Fiordalisi ha chiesto ai militari di cercare documenti riferiti al piano regolatore di Arzachena, che per ragioni da verificare sarebbero usciti dagli uffici del municipio gallurese per finire nello studio dell’ingegnere cagliaritano. Si parla di modifiche arbitrarie che lo strumento di pianificazione avrebbe subito nel tempo per garantire i permessi di costruire in aree coperte da vincoli, soprattutto quelle di La Conia. Ma sembra emergere un fitto reticolo di interessi legati a proprietà immobiliari private, con intermediari immancabilmente vicinissimi a personaggi della politica protagonisti nella legislatura Cappellacci.

Contratto principesco. Fadda, che dell’assessorato all’urbanistica era una sorta di fiduciario, avrebbe svolto il ruolo di tramite fra la Regione e gli interessi immobiliari che gravitano attorno alla Gallura rivierasca. Assunto con un contratto principesco dall’imprenditore statunitense Tom Barrack, l’ingegnere cagliaritano ha lavorato alla progettazione delle suite negli hotel smeraldini – la sola concessione rilasciata riguarda però il Romazzino – e in contemporanea avrebbe dato supporto tecnico a una serie di personaggi legati alla politica nazionale e sarda interessati a costruire in Gallura. Chiunque desiderasse un buen retiro dalle parti di Porto Cervo e dintorni si rivolgeva a lui, che secondo indiscrezioni avrebbe maturato parcelle per una cifra vicina ai 40 milioni di euro, guadagnati nella piena legittimità.

Carte e computer. I militari hanno bussato di buon mattino prima all’abitazione dell’ingegnere, che secondo l’avvocato Dedola ha fornito piena collaborazione e disponibilità. Sempre in un clima sereno gli investigatori inviati da Fiordalisi si sono trasferiti allo studio professionale di Fadda, dove hanno fotocopiato documenti e esaminato il contenuto dei computer. Nelle stesse ore i commilitoni di Roma perquisivano lo studio che Fadda ha aperto nella capitale. Ora il materiale raccolto sarà esaminato e trasmesso all’ufficio di Fiordalisi per una prima valutazione.

Altri nomi. Stando sempre a indiscrezioni da confermare, i documenti acquisiti dovrebbero consentire alla Procura di Tempio nuovi passi d’indagine. Il numero degli indagati – nel decreto di perquisizione sono tre – sarebbe molto più elevato e altri nomi saranno aggiunti di qui a breve in un’inchiesta dagli sviluppi imprevedibili.

La Nuova Sardegna, 5 luglio 2014, con postilla

Il Consiglio comunale di Arzachena ha approvato nei giorni scorsi un piano attuativo, oltre 7mila metricubi nei pressi di Porto Cervo. La cornice è lo strumento urbanistico (PdiF) utilizzato negli anni '40 e '50, con l'approssimazione di quel tempo lì, e di manica larga – per dirla in modo sbrigativo.

L'acronimo PdiF sta per Programma di Fabbricazione, voluto per assicurare un minimo di disciplina edilizia nei più piccoli comuni dalla legge del 1942, scritta quando del paesaggio nella pianificazione se ne parlava nella cerchia ristretta di Croce e Bottai.

Se lo sono tenuto ben stretto, a Arzachena, quella specie di piano, dandogli ogni tanto un' aggiustata con la prudenza dei collezionisti antiquari, e mancando ostinatamente a tutti gli appuntamenti con la storia dell' Autonomia in materia di governo del territorio. Per cui delle disposizioni di legge dagli anni '80 a oggi, non c'è traccia nel PdiF del comune gallurese, del quale è certificata l'intolleranza alle disposizioni della pianificazione paesaggistica, avviata in Sardegna verso una terza fase.

Il PdiF di Arzachena è più figlio della cultura dell'Italia anteguerra che delle riforme prodotte nell'isola al tempo di Mario Melis o di Renato Soru. Così evocano un mondo antico in bianconero quelle planimetrie ingiallite: inchiostro di china, foto Alinari, cinegiornali Luce, ecc., più che il clima multicolore degli anni '70 (me la immagino custodita tra i cimeli la carta originale, quella visionata dal principe Karim quand'era ancora sposato con Begun Salimah).

Insomma una trascuratezza imperdonabile. D'altra parte per il Comune gallurese è passato da un po' il tempo dell'innocenza; e non può pensare che uno dei posti più belli del pianeta – nelle mire dei più attrezzati gruppi imprenditoriali – si possa difendere con il bluff delle armi scariche. Ti aspetteresti squadre di tecnici specialisti, muniti di sofisticati attrezzi, a presidiare la splendida natura residua, e invece scopri la leggerezza di una conduzione familiare.

E tuttavia fa pensare il consenso scarno alla delibera del mese scorso (9 voti a favore, 8 tra astenuti e assenti). Segno di preoccupazione diffusa tra i consiglieri per la debordante liberalità di quell'atto che sfrutta una specie di congiunzione astrale: quel vecchio PdiF accomodante che incontra il recente furbesco piano casa, perfetto lasciapassare per grandi affari (ma presentato come risposta alle necessità di ogni famiglia).

E così un ettaro di terra intercluso (?) a Porto Cervo è trattato come un lotto nella periferia di un centro abitato tutto l'anno. Per quanto in Sardegna un villaggio turistico (dove magari risiede qualcuno pure d'inverno) debba essere oggi compreso per legge e buonsenso tra “gli insediamenti di tipo prevalentemente stagionale”. L'importanza di chiamarsi “C”: un vetusto privilegio utile per sfuggire alle disposizioni del Ppr complice il piano casa salvacondotto. La famigerata legge regionale ispirata da Berlusconi e incorporata al Pps, sta consentendo dappertutto pratiche simili a questa, uno stillicidio di cui ci scandalizzeremo quando vedremo gli effetti.

Il caso di Porto Cervo è un dettaglio – il diavolo è spesso nei dettagli, pare – che spiega il senso delle politiche del precedente governo regionale, ispirate dagli ultras della liberalizzazione edilizia, ovvero di “su connottu” contro ogni moderna idea di tutela del territorio.

Anche per questo, come promesso dal presidente Pigliaru, è necessario liberarsi quanto prima di tutti i lasciti ingombranti e pericolosi di Cappellacci urbanista: in grado di disorientare i comuni impegnati ad aggiornare i propri piani. E quindi le stesse iniziative della Regione a sostegno della pianificazione locale in grave ritardo e di cui ha parlato l' assessore Erriu agli organi d'informazione. Una bella notizia, ed è importante notare che i centri urbani inadempienti sono quelli dove il vento della speculazione immobiliare è stato più forte.

postilla
Quello che molti lettori non sanno è che il "programma di fabbricazione" (PdF) non è un piano urbanistico vero e proprio, ma solo un allegato grafico al Regolamento Edilizio. E magari non sanno neppure che in Sardegna è stato eliminato dal 1989 (come del resto in tutte le regioni italiane). Stupisce però che in Sardegna non si sia provveduto ancora a operare perché i comuni che non abbiano ancora provveduto a sostituirli con veri e propri piani urbanistici comunali (magari adeguati ai piani paesaggistici) non siano stati commissariati.

Sardinia post, 22 giugno 2014
Il Piano paesaggistico regionale (o dei sardi che dir si voglia) s’ha da annullare. La posizione è ribadita da sempre a chiare lettere dalle associazioni ambientaliste, ma ora più che mai a circa quattro mesi dalle elezioni regionali. E si punta chiaramente il dito contro l’attuale governatore di centrosinistra, Francesco Pigliaru, che ha ampiamente citato la salvaguardia del paesaggio nella breve – ma vittoriosa – campagna elettorale. Si chiedono interventi urgenti e immediati, perché ripete ancora Stefano Deliperi, storico referente del Gruppo d’intervento giuridico, “non basta l’annullamento in via di autotutela della delibera assunta a febbraio, a due giorni dal voto dalla precedente giunta”. Non basta, almeno, a tutelare coste e paesaggio. Servono azioni nuove, perché, secondo tecnici e specialisti il rischio è che il Pps voluto da Cappellacci sia in vigore e con il Piano anche quelle lottizzazioni definite zombie. Sopite solo perché messe in stand – by dal precedente Piano targato Soru. Sono due, principalmente, le ragioni di scontento degli ambientalisti (dal Grig a Italia Nostra) citate da La Nuova Sardegna in edicola oggi. Una è appunto la questione Pps, l’altra è il commissariamento della Conservatoria delle coste (società in house) decisa qualche giorno fa dalla giunta Pigliaru. Per gli attivisti è un primo passo verso il ridimensionamento, da qui le promesse tradite sull’attenzione ai temi ambientali.

Ma c’è di più. Intervistato sempre dal quotidiano sassarese scende in campo addirittura Gian Valerio Sanna (ex assessore all’Urbanistica Pd, della giunta Soru). Nessuna corsa alle regionali, per lui (era stata negata la deroga a ripresentarsi nelle liste dopo tre mandati, ndr) e un bel po’ di amaro in bocca. E’ lui uno dei padri del primo Ppr. Ebbene, si schiera fianco a fianco agli ambientalisti e rincara la dose senza mezzi termini, parla di “connivenze nel partito”, e ancora dice “sul cemento da riversare sulle coste destra e sinistra oggi mi sembrano uguali”. Critica anche la posizione di Soru: “Mi pare che in questa fase gli interessino di più vantaggiosi compromessi, come continuare ad avere un peso nella politica regionale”. E si spinge fino a indicare chi e cosa nutre il clima attendista. Come la Lega delle cooperative, mentre all’interno del Pd, non si contrasta più l’area Cabras – dice- apparsa più possibilista nei confronti degli interventi costieri. I punti di frizione con Pigliaru sono sempre due: il Pps, per Sanna è in vigore quello di Cappellacci, e il commissariamento della Conservatoria delle coste.

Troppi freni, per lui, troppi silenzi. Così, denuncia, il rischio è che piombino 12/13 milioni di metri cubi. E fa pure degli esempi concreti. Uno su tutti: gli investimenti in Costa Smeralda del Qatar. Secondo la normativa attuale, dice Sanna, sono concessi ampliamenti fino al 30% per le strutture ricettive, più un ulteriore 25% per l’ampliamento delle strutture ricettive collegate e ancora 15% per strutture di carattere tecnico. Insomma, a Pigliaru chiede di riprendere il vecchio Piano e di farlo senza indugi, prima che sia troppo tardi.

La Repubblica, 15 aprile 2014

Braccio di ferro in Costa Smeralda. Il Qatar impedisce l’accesso alle spiagge più à la page bloccando i posteggi pubblici delle auto. E il Comune di Arzachena, nel cui territorio ricade gran parte del Consorzio turistico creato dall’Aga Khan, reagisce con forza: da oggi saranno avviate le procedure di esproprio delle aree, riservate d’estate ai parcheggi di chi va in macchina sino alle splendide spiagge di Liscia Ruia, del Pevero e di Romazzino. Per raggiungerle, oggi bisognerebbe percorrere a piedi oltre 10 km: impossibile lasciare moto, scooter o auto lungo le stradine sterrate che portano fin lì. E tutto questo perché la Land Holding, una delle società madri che fa capo all’emirato, qualche giorno fa ha fatto collocare una fila di massi per impedire l’accesso nei posteggi usati dai villeggianti.

Ma c’è di più. A fianco ai macigni sono apparsi cartelli con la scritta «Proprietà privata». Una palese violazione di prassi e consuetudini, secondo il Comune. «Perché sarà pur vero che i terreni appartengono al Qatar, ma il principe Karim prima e il suo successore Tom Barrack poi li avevano sempre lasciati a disposizione della collettività» spiegano ad Arzachena. Senza contare che i parcheggi devono rimanere pubblici per assicurare l’efficienza del servizio antincendi lungo una costa più volte minacciate dai roghi.

La querelle, sorta alla vigilia del primo ponte che dovrebbe portare nell’isola decine di migliaia di turisti, non pare destinata a risolversi subito. A meno che la società dell’emirato di stanza in Sardegna non decida di fare un passo indietro. Così, se tutti cercano di dare il minor clamore possibile alla vicenda, per non ledere l’immagine internazionale della Costa Smeralda, un fatto resta evidente: per la prima volta in mezzo secolo non è stata osservata la tradizione della cessione gratuita delle aree. Aree che l’apparato per i servizi tecnici del Comune affida a una coop e dota delle attrezzature necessarie per la sosta. Non si tratta, chiaramente, di pochi stalli. In tutto, i posti auto in ballo sono 600-700: è in gioco l’ospitalità quotidiana per almeno duemila persone. Oggi la giunta di Arzachena darà corso alle operazioni di esproprio, segno che qualsiasi tentativo di mediazione con il Consorzio sinora è fallito. Non si sa quanto tempo richiederanno le procedure. Ma il sindaco e i suoi assessori sono fiduciosi sulla possibilità di trovare soluzioni prima dell’inizio dell’estate. In ogni caso rifiutano di credere, come molti invece ritengono, che dietro la mossa della multinazionale possa celarsi un sotterraneo ultimatum per ottenere il via libera ai lavori di ampliamento di una perla della zona, l’hotel Cala di Volpe. Ovvia, quindi, anche la protesta dei balneari: «Per noi piazzare sedie e sdraio in queste condizioni sarà impossibile — dicono — E tutto ciò equivarrebbe a un calo delle presenze, ingiustificato in un paradiso come questo ».

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