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Penso che Tuvixeddu debba farci sentire ancora più vicini ai nostri fratelli libici che in queste ore stanno versando il loro sangue per conquistare la libertà. Tuvixeddu è una testimonianza della loro e della nostra antica cultura. E' sempre più evidente che il Mediterraneo rappresenterà una delle parti più cruciali nel futuro geopolitico del nostro pianeta, in cui nuove dimensioni socio-culturali ed economiche avranno modo di svilupparsi. Tuvixeddu per l'Italia e l'Europa potrebbe rappresentare un punto di riferimento importante per una nuova civiltà di fratellanza dei popoli del mediterraneo e del mondo.

Io credo che questa sia la direzione da prendere nei confronti di questo luogo millenario e in questo senso quelle aree salvate dal cemento debbano essere organizzate.

Anch’io.

Ho sempre ammirato molto Antonio Cederna, del quale sono stato anche personalmente amico. Ma la questione di cui dobbiamo parlare è la libertà di stampa.

Faccio il giornalista- con qualche merito forse – da oltre cinquant’anni. Sono stato inviato di guerra in Algeria. Ho fatto inchieste in tanti Paesi del mondo, Italia compresa. Sono stato per un grande giornale corrispondente da Washington. Sono autore di decine di programmi storici su Rai3 che hanno avuto, per lo più buona accoglienza sia di pubblico che di critica. Per una vita, cioè, ho dovuto occuparmi di questioni relative alle responsabilità e alla libertà della stampa. Presumo quindi d’avere acquisito una qualche esperienza in materia.

Il mio è un punto di vista molto semplice. Parliamo di un’antologia di scritti di Cederna sulla Lombardia che è stata curata dal Consiglio Regionale lombardo di Italia Nostra. Essendo un’antologia è stata fatta una scelta di articoli da pubblicare, e come tutte le scelte ha qualcosa di arbitrario. E questa antologia è stata accompagnata da una serie di articoli di commento, di cui due in particolare (Mazza e Ferruzzi) hanno suscitato l’indignazione dei figli di Antonio, Giulio, Camilla e Giuseppe Cederna. Ad essi si sono uniti diversi intellettuali e ambientalisti, Alberto Asor Rosa, Vittorio Emiliani e tanti altri.

Ma veniamo al dunque. In una società aperta il diritto alla critica è sacro. È una delle poche certezze della cultura contemporanea. Il progresso del sapere scientifico (si pensi all’epistemologia di Popper) si regge sulla possibile “falsificazione” di ogni “verità”. Dunque, se ai figli di Cederna, a Asor Rosa, Emiliani e agli altri il libro è dispiaciuto (e dispiaciuto molto) lo dicano con tutta la veemenza che vogliono. Ci mancherebbe! L’errore però è nel chiedere interventi repressivi che ricordano la censura. Si è voluto che il libro venisse – come è successo – tolto dalla circolazione. Alcuni poi hanno addirittura chiesto che venisse deferito ai “probiviri” di Italia Nostra il Presidente del Consiglio Regionale lombardo Luigi Santambrogio (si chiama proprio così, come il famigerato parcheggio!). Nella tradizione dei 56 anni di vita di Italia Nostra ci sono stati solo 4 o 5 casi di soci deferiti ai probiviri (a Feltre, Cesena e Roma) per gravissime scorrettezze. Ciò che mi stupisce inoltre, in tanta indignazione, è che proprio uno degli accusati – il Prof. Luigi Mazza – mi ha detto, e autorizzato a riferire, che ha gravi perplessità sulla legge 12 della Regione Lombardia che regola (male) l’edilizia e che non condivide il piano regolatore milanese. Una tempesta in un bicchier d’acqua? Ferruzzi – ahimè – resta affezionato al parcheggio del Sant’Ambrogio… ma in fondo nessuno è perfetto.

Caracciolo mescola e confonde due questioni. Il ritiro della pubblicazione intitolata ad Antonio Cederna; il dibattito culturale che si è tentato di aprire nel direttivo di Italia nostra. La pubblicazione è stata ritirata dalla casa editrice perchè in contrasto con la vigente legge n. 633/1941 che dovrebbe essere ben nota a chi ha esperienza editoriale. La libertà di stampa non c’entra: siamo (ancora) in un paese libero e ognuno, com’è successo tante volte in questi anni, può pensare e scrivere ciò che vuole su Antonio Cederna. Altra cosa è pubblicare un’antologia di suoi articoli, a suo nome, senza rispettare i diritti morali e materiali previsti dal nostro ordinamento. Speriamo che il dibattito sul merito della linea di IN prosegua, e si possa capire da che parte sta l'associazione oggi.

Chi scrive è un insegnante in un Istituto Tecnico di Gubbio, appassionato frequentatore di Eddyburg. Disturbo per segnalare (vedi allegato) l'iniziativa di tre consiglieri regionali umbri del PD sconcertante e aberrante (uso entrambi i termini nel loro significato letterale): con la scusa del sostegno all'agricoltura (!) si mettono le basi per un ennesimo attacco al paesaggio e all'ambiente nella verde (!) Umbria, governata ancor oggi e cinquant'anni da una sinistra che ha negli ultimi anni smarrito in molte delle sue componenti qualunque sensibilità culturale e politica per la tutela dell'ambiente e del paesaggio. Ma questa è solo una mia opinione.

Grazie e buon lavoro.

Ho letto. Ahimè succede in tutt'Italia. Anche peggio che pollai. Anche in aree di consolidata sinistra storica. Hannno cambiato le teste, sostituito gli interessi ai principi e ai valori. Dobbiamo sforzarci di: 1) mantenere pulita la nostra testa, cioè critico il nostro pensiero; 2) cercare di far comprendere a molti come stanno le cose, e aiutarli a liberare anche le loro teste.

Servono pazienza e speranza. E naturalmente, indignazione.

Sono un cittadino nonché consigliere comunale di Cogoleto (Genova). 9.200 abitanti. Due aree industriali dismesse: ex Tubi Ghisa 90.000 mq; ex Stoppani 198.000 mq (sito di interesse nazionale da bonificare). Un'altra area dismessa : ex Ospedale Psichiatrico 970.000 mq. Appetiti immensi. Non so in quale modo possiate darlo a questa cittadina, ma chiedo aiuto.

Nessuno si salva, o salva la sua città, da solo. Chi, dei frequentatori di eddyburg, può aiutare Baratella, e con lui Cogoleto?

Caro Eddyburg, debbo comunicarti con immenso dolore che a Milano la stagione della resistenza popolare agli atti di urbanistica contrattata ha definitivamente cessato di esistere: due sentenze parallele del Consiglio di Stato condannano i cittadini che hanno fatto ricorso contro il progetto Citylife a rifondere oltre 20.000 Euro di spese legali a Fondazione Fiera, Citylife e Comune di Milano perché non legittimati a ricorrere né in primo né in secondo grado sulla base della sola "vicinitas" all'intervento, non avendo sostenuto né dimostrato che esso sminuisce il valore economico dei loro immobili o delle loro attività, ma "solo" che esso sminuiva le dotazioni di spazi pubblici e, quindi, la qualità urbana e ambientale. Ovviamente queste sentenze sono una campana a morto non solo per Vivi e progetta un'altra Milano, che a fatica potrà far fronte a tale onere economico, ma per tutti gli altri comitati milanesi di ricorrenti alla giustizia amministrativa (Isola, Varesine, eccetera) che già si apprestano a rinunciare ai ricorsi avviati per non incorrere un rischio analogo.

Ti allego il comunicato stampa del Presidente Associazione Vivi e progetta, un vero e proprio requiem per la resistenza popolare all'urbanistica contrattata, temo non solo a Milano.

Mi sembra davvero una sentenza gravissima, che rafforza la tendenza a cancellare ovunque la presenza dei cittadini e ammettere solo i portatori d’interessi economici. Non potrà però impedire che la resistenza alla malaurbanistica si rafforzi e cresca, e soprattutto che da ogni luogo dove si vive un disagio, si combatte uno scempio, si contrasta un furto pubblico, ci si oppone a un saccheggio, dove nasce una protesta, si compiano sforzi generoso per convincere i tiepidi e unire quanti non smettono di resistere.. Tienici al corrente delle iniziative che prenderete a Milano, dove immagino che la questione avrà un peso rilevante nella campagna elettorale di sostegno a Pisapia.

Oggi(12 novembre) ho visto delle scene vergognose, indecorose per la democrazia e la libertà politica in questa città. In Provincia, presso la sede di Cà Corner, le forze dell’ordine, inspiegabilmente, hanno deciso che il diritto di partecipare a riunioni pubbliche da parte dei cittadini può essere revocato a discrezione, e che la repressione fisica diviene lecita quando i cittadini reclamano l’esercizio del diritto, sancito dalla Costituzione italiana, a partecipare alla vita politica e ad esprimere liberamente la propria opinione.

Oggi, venerdì 12 novembre, alle ore 15, nella sede della Provincia di Venezia il ministro Renato Brunetta esponeva, in una riunione pubblica, il suo progetto della nuova Legge speciale per Venezia. Un nutrito gruppo di cittadini di ogni età e ceto sociale voleva entrare per sentire l’illustrazione del progetto. A questi cittadini, respinti e presi più volte a spintoni e a manganellate, è stato impedito, fino alla partenza del Ministro relatore, di entrare mentre l’ingresso era riservato inspiegabilmente solamente a ogni consigliere eletto in Provincia, Comune e Municipalità. Una scelta inspiegabile e un palese abuso di potere! Oggi dalle 15 alle 16 in Provincia i cittadini venivano divisi in due categorie, una buona (tutti) e una sana (i consiglieri eletti) mentre l’ora dopo in Comune l’ingresso era libero per tutti! Da sottolineare la particolare attenzione rivolta dalle forze dell’ordine schierate in assetto antisommossa ai contestatori più giovani, vittime preferite dei manganelli degli agenti più scalmanati. Ma l’episodio più indecoroso è stata l’assoluta mancanza di proteste e di aiuto da parte dei consiglieri di centrosinistra presenti in Provincia! Evidente il tentativo di intimidire non solo le voci critiche nei confronti di Brunetta, ma soprattutto di creare un precedente repressivo per mettere in guardia chiunque oserà contestare il discutibilissimo progetto di una Nuova Legge Speciale per Venezia che si basa sul totale stravolgimento delle due Leggi Speciali precedenti per regalare la Laguna e Venezia agli speculatori di ogni tipo! Un assaggio, un anticipo delle future azioni repressive nei confronti di chiunque disturbi il sommo manovratore… ma noi sapremo resistere e lotteremo per la democrazia e il diritto al dissenso nella nostra città, per salvarne il futuro contro chi la vuole uccidere!

Caro Eddyburg, purtroppo la distruzione di Malfatano, della quale più volte si è occupato anche eddyburg, procede ad una velocità che toglie il respiro. Ma non possiamo permetterle di toglierci anche la speranza. Malfatano, Amal Fatah - come dice il suo nome - è sempre stato il “Luogo della Speranza”. Ora una norma transitoria e inspiegabili nulla osta vorrebbero trasformare quel territorio unico e intatto in un anonimo Malfatano Resort, che inghiotte la bellezza e s’impadronisce dei luoghi.

“Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate” ripetono ogni giorno più forte le arroganti costruzioni che assediano e sovrastano i muretti a secco, l’ovile e il furriadroxus del coraggioso Ovidio. Ma la Speranza resta là, ancorata nel porto punico e abbarbicata sul promontorio di Capo Malfatano. Perchè crede in un principio fondamentale della nostra Costituzione: la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. E’ davvero l’ultima speranza, caro Eddyburg. Ma, forse, l’inizio di questa distruzione servirà a farci capire che il vero “sviluppo” nasce solo dal rispetto e dalla cura delle culture locali. E che il benessere della popolazione non si misura dal numero delle case o degli alberghi presenti sul territorio. Ne parleremo a Cagliari, domani, durante l’incontro di cui ti allego la locandina. Grazie per essere anche la nostra voce. Un forte abbraccio a tutto il popolo di eddyburg .

Auguri a te, e a noi tutti, e a quelli che potranno godere ancora l’antica bellezza della Sardegna e dei suoi paesaggi se riusciremo oggi a resistere e ad opporci

Mercoledì 29 a mezzanotte si sono chiuse le votazioni del festival cinematografico on-line Viaemiliadocfest.

Il film Il suolo minacciato è risultato secondo con 1108 voti. Negli ultimi giorni il film è stato a lungo in testa ed è sembrato possibile poter vincere il premio per il film più votato dal pubblico. Proprio sul filo di lana siamo però stati superati dal film L’estate spezzata, un documentario sulla strage di Bologna a trent’anni dall’evento. Poco male. L’obiettivo primario era arrivare tra i 5 film più votati per potere partecipare al concorso finale che si terrà a Reggio Emilia tra il 15 e il 17 ottobre (qui il programma: http://www.viaemiliadocfest.tv/programma_viaemilia.php ) e concorrere al premio di miglior documentario e soprattutto alla messa in onda sul canale satellitare Current TV.

Ciò che più conta, al di là dei premi, è infatti la diffusione del film e del suo messaggio. La competizione on-line è stata una bella occasione per allargare il pubblico del film e raggiungere nuove persone attraverso il tam-tam della rete. Il sito di Eddyburg ha svolto da questo punto di vista una opera fondamentale. Ringrazio di cuore Eddy per l’entusiasmo e la costanza con cui ha promosso il film e tutte le persone, che attraverso Eddyburg, lo hanno sostenuto e fatto conoscere. Noi nel frattempo proseguiremo con le nostre proiezioni sul territorio, mettendo a disposizione il film a tutte le associazioni, i movimenti, i comitati, le persone che ne fanno richiesta. Il prossimo appuntamento è il 14 ottobre a Villafranca di Verona, dove è in progetto la realizzazione di Motor City, una new town per i motori che prevede di consumare 460 ettari di suolo in mezzo alla campagna risicola del veronese.

Nell’Italia della rendita e delle speculazioni immobiliari, motivi ed occasioni per continuare a diffondere il film purtroppo non mancano.

Chi volesse contattarci può scrivere a
info@ilsuolominacciato.it

Grazie ancora a tutti per il sostegno e arrivederci alle prossime proiezioni!

Abbiamo sostenuto con entusiasmo il film perchè ci sembra, insieme, molto utile e molto bello. Se non riusciamo a illustrare le idee in cui crediamo dimostrando la loro utilità e aggiungendo bellezza alla vita non riusciremo mai a farle diventare idee vincenti. Grazie a te e ai tuoi collaboratori, Nicola

Il sito ripropone il sagace dialogo formulato da Calvino tra il Gran Kan e Marco Polo nelle “città invisibili”. Si chiedeva il Kan “se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale”; e il saggio viaggiatore replicava con l’ attegiamento di “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” Un dialogo di pensieri lineari e conseguenti che mi sembrano appropriati per rilanciare con fermezza la realizzazione di spazi pubblici di qualità; per rendere vivibile la città con progetti che puntino al benessere dei residenti. La città progredisce e si modifica in armonia se parte da questa attenzione di base.

Sono stato in vacanza otto giorni a Barcellona e ne sono tornato soddisfatto oltre che sorpreso: Una storia molto simile a quella di Napoli a partire dalla fondazione romana col tracciato ippodameo in un sito naturalisticamente simile a quello di Neapolis.

Ma Barcellona è molto più avanti per la qualità urbana raggiunta: percorsi pedonali e bicicletta pubblica, parchi e giardini prossimi alle residenze e un centro storico ben valorizzato. Rimangono certo zone con incognite e questioni ancora da risolvere, come l’area del Forum, dove comunque sono già realizzati strade e luoghi pubblici con contenimento del traffico auto e attenzione per i residenti. Molto belle le realizzazioni di spazi pubblici sul litorale dal Porto a Barceloneta: La Rambla del mar, la bellissima spiaggia, e poi i moli con ormeggi per le piccole barche realizzano un rapporto col mare ben recuperato per i cittadini. Il Villaggio Olimpico si è ricostituito come residenza stanziale con verdi viali pedonalizzati. L’ Università ha la sua sede storica nel centro città, con giardini aperti al pubblico, ma la sua presenza è concentrata nella Città Universitaria della periferia nord-occidentale. Sempre qui, sulla collina di Sarrià, si trova il Centro Sportivo Universitario di fronte a cui si trovano alcune ben organizzate case dello studente. Tutte opere e percorsi di grande qualità architettonica e paesaggistica con una attenzione particolare riservata gli spazi pubblici.

Il 5 settembre dell’anno scorso eddyburg pubblicava, nella Posta Ricevuta, le mie osservazioni critiche sul Programma Centro Storico del Comune. Sono stato parecchi anni impegnato per la valorizzazione della città antica da realizzarsi non solo col recupero e la manutenzione dei monumenti ma con la realizzazione di un ampio parco archeologico, verde e pedonalizzato, come pure ricostituendo il tessuto socio economico legato tanto alle attività della tradizione come alle tecnologie innovative per il disinquinamento, il risparmio energetico e il recupero dei materiali. Potremo avere ancora nel Centro Antico, come previsto dal Prg, un vasto Parco Archeologico con piazze, percorsi pedonali, fontane e zone alberate? Il cuore del Centro Storico potrebbe avere oltre al patrimonio artistico monumentale valorizzato, anche funzioni utili alla cittadinanza tutta: uffici pubblici e centri culturali nel ricchissimo scenario di antichità recuperate e luoghi di culto di una tradizione ancora molto sentita. Mi auguro che la cultura democratica, quella delle amministrazione di sinistra degli anni settanta, come quella più recente della prima stagione dei sindaci, riemerga in tempo per evitare la perdita di una ennesima occasione storica della nostra città: Napoli guadagni oggi la fisionomia, gli spazi, la vivibilità e il respiro di una grande città europea e mediterranea nel suo Centro come nelle periferie, lungo la costa come sulle colline.

Caro eddyburg, so che avete molto apprezzato Il suolo minacciato, tanto da inserirlo nelle segnalazioni. Vorrei comunicare a quelli, dei visitatori del sito, che condividono il vostro giudizio, che il nostro film è stato selezionato per il festival on-line “Via Emilia Doc Fest. I film selezionati sono in tutto 30 e sono visualizzabili sul sito del festival, esattamente qui. E’ possibile votare fino a 3 film. Per votare basta cliccare sull’apposito bottone che avvia una procedura di registrazione molto semplice ed immediata. Le votazioni rimarranno aperte fino al 29 settembre. I 5 film più votati saranno i finalisti del concorso e verranno proiettati in un cinema a Reggio Emilia dal 15 al 17 ottobre dove una giuria eleggerà il vincitore della rassegna. Uno dei film finalisti verrà inoltre premiato con una proiezione sul canale satellitare Current TV. Per sperare di arrivare in finale è dunque fondamentale raccogliere il più alto numero di voti on-line. Se Il suolo minacciato vi è piaciuto e vi sembra utile allora, dopo aver guardato anche gli altri film in lizza, votatelo. Grazie.

Il vostro film ci è davvero piaciuto molto. Crediamo che molti lettori di eddyburg lo voteranno, proprio perché è – al tempo stesso – molto bello e molto utile. Da quando lo abbiamo visto cerchiamo di diffonderlo, e ci piacerebbe che andasse nelle scuole e nelle sale cinematografiche. Forse se Il suolo minacciato ottenesse questo premio ...

Caro Eddyburg, non sono consigliere comunale come l'udinese che in precedenza ti ha scritto, ma semplice cittadina. Non sono nemmeno di sinistra, e vivo in un comune amministrato dalla Lega Nord nella limitrofa provincia di Pordenone: ma Lega Nord o PD, cambia davvero qualcosa?.

Scrivo qui perchè, dopo aver letto i tuoi editoriali, mi pare l'unico sito in cui trovare qualcuno che capisca quel che dico: cioè che Porcia, il mio bel paese un tempo di 10.000 abitanti (oggi di 15.000, fra qualche anno non so) 40 anni fa aveva un borgo medievale con castello cinto da mura, oggi ha un centro "storico" sventrato e sfigurato da una strada di grande scorrimento; 40 anni fa era rivestita di valli e vallette di origine glaciale e boschi planiziali e irrorata di polle, rivi, fontanili e laghetti (siamo nella pianura friulana, area di risorgiva), oggi la quasi totalità di tutto questo è stata dichiarata zona industriale, residenziale, commerciale e abbiamo, disseminati ovunque, 700 appartamenti sfitti. Pazienza per le fabbriche e le case dei primi anni: davano lavoro e dimora alla gente. Ora, invece, è lo scempio legale che imperversa da due decenni. Infatti, se demolire un immobile storico è impresa più difficile, così non è per un umile bosco, un laghetto, un prato e le loro creature, i cui fragili fili che li legano alla salute di ogni essere vivente è invece facile lacerare a colpi di piani regolatori e denaro sonante.

Io scrivo e pubblico in zona (è l'unica cosa che so fare) ma non serve a nulla. Ho letto con interesse il tuo splendido ultimo editoriale, cercherò di farne tesoro e di diffonderlo in loco, ma il problema è che un sito come il tuo dovrebbe esistere in ogni regione d'Italia. Associazioni benemerite come Legambiente e altre non possono occuparsi di tutto, e pertanto limitano e selezionano i loro obiettvi. Il problema è che ad occuparsi del territorio dovrebbero essere soprattutto i suoi abitanti: i quali, invece, sono disposti a scannarsi davanti alla TV pro o contro Berlusconi, pro o contro l'Inter (faccio per dire) ma di destra o di sinistra che siano, nemmeno un briciolo delle loro preziose energie sono disposti a donarle per la terra che li nutre, andando a bussare alle porte dei signori amministratori.

Permetti solo qualche considerazione. Io non credo all'assunto Berlusconi + televisione= Mussolini. Io sono convinta che la gente il cervello per pensare ce l'ha intatto, a dispetto del Grande Fratello. Solo che spesso non vuole usarlo: non l'ex operaio che vuol star bene come tutti e gli fa comodo che il suo fazzoletto di terra diventi edificabile; non il giornalista di sinistra o di destra che preferisce rilanciare cento volte le stesse notizie (Berlusconi, Tremonti, Fini, se addizioni mille altri addendi il risultato non cambia) piuttosto che puntare su inchieste davvero dalla parte dei cittadini come quelle sullo scempio dell'ambiente e del paesaggio; non l'uomo qualunque che non sa nemmeno da dove arriva l'acqua che beve perchè non investe in cultura ma in telefonini, multisala, pizzerie domenicali, cioè esattamente quello schifo di contenuti che immediatamente stipano i fabbricati di cemento appena eretti dai palazzinari di turno.

Il mio non era solo uno sfogo: se hai altri suggerimenti da darmi, oltre a quelli del tuo ultimo bellissimo articolo, saranno i benvenuti. Grazie

Anche gli sfoghi servono, se aiutano altri ad accrescere la consapevolezza dei danni che subiamo. Credo che l’obiettivo cui dobbiamo mirare sia proprio quello di far aumentare lo spirito critico: se vogliamo che qualcosa cambi occorre che i cervelli intorpiditi si rimettano in moto. Occorre che ciascuno comprenda che paghiamo tutti per gli stravolgimenti che ti denunci: anche quelli che credono di beneficiarne. Per esempio, bisogna far capire all’ex-operaio che se tutti i pezzettini di terra come il suo diventano edificabili lui diventerà un po’ più ricco come proprietario, ma come cittadino pagherà il prezzo del paesaggio distrutto, dell’ambiente più inquinato, del traffico più impazzito, del’acqua più scarsa e più sporca, delle tasse più alte per avere scuola, sanità e pulizia. Un prezzo alto, che non sarà solo lui a pagare, ma anche i suoi figli e nipoti e pronipoti…

Io non credo che tutti i partiti siano uguali, ma sono convinto che subiscano tutti il fascino di questo sviluppo, di questo modo di sputtanare il territorio: il Partito del mattone è il nuovo partito unico, che si sta formando e in gran parte esiste già. Bisogna rinnovare il modo di fare politica, partendo dalle cose, dalla loro comprensione, dell’aggregazione delle persone che vogliono cambiare il mondo nella stessa direzione. Come diceva lo scolaro della Scuola di Barbiana, “il mio problema è anche quello degli altri, e risolverlo da solo è l’avarizia, risolverlo insieme è la politica” (Lorenzo Milani,
Lettera a una professoressa, Firenze, 1967).

Caro eddyburg, il consiglio comunale di Udine di cui sono componente come eletto da Sinistra ecologia e libertà, è a maggioranza di centrosinistra. Ha approvato una decisione che a me sembra una follia. Da oggi a Udine vale il principio che se hai un terreno con qualsiasi destinazione di piano e vuoi costruirci residenze o uffici, è sufficiente che tu ceda gratuitamente metà del tuo terreno all' Ater per alloggi ad edilizia convenzionata. Il comune poi ti cambierà la destinazione urbanistica. Non importa dove sia la zona interessata, come in questo caso in mezzo a terreni agricoli senza servizi di vicinato o pubblici per favorire un minimo di comunità di quartiere. Non importa se questa zona ha già conosciuto nel corso degli ultimi vent'anni e più un aumento delle espansioni edilizie. Non importa se poi, davanti ai cittadini del quartiere che l'amministrazione va incontrare, la parola d'ordine è riduzione delle espansioni. Ciò che pare padossale è che si giustifica questa operazione con la logica dell'emergenza: in commissione ho sollevato il dubbio se qualcuno conoscesse un certo Bertolaso che con le emergenze e le urgenze ci ha fatto gli affari... Ho presentato un ordine del giorno per sospendere la decisione approfondire l’argomento per comprendere se davvero ci fosse l’emergenza che veniva invocata, ma è stato bocciato. Il mio voto finale è stato ovviamente contrario.

Scardinare la logica della pianificazione adoperando i suoi stessi strumenti (nel caso specifico, una variante parziale del piano regolatore) è una delle tattiche più seguite nella strategia di saccheggio del territorio. Invocare l’emergenza è il grimaldello che viene correntemente adoperato. Torniamo così indietro verso tempi che sembravano tramontati: prima delle riforme degli anni 60 e 70 del secolo scorso. Gli anni che vengono in mente, e che sembrano ritornare come un incubo, sono quelli nei quali, invocando l’emergenza della ricostruzione postbellica (ben più forte di quella di oggi), si incentivò lo spontaneismo dell’attività edilizia accantonando la legge urbanistica del 1942, e si distrussero così territori, paesaggi e città rendendo queste inviviibili. Se oggi, mezzo secolo dopo, anche partiti che si richiamano alla sinistra ricorrono a metodi che lei denuncia, ciò vuol dire che la cultura politica ha fatto giganteschi passi indietro, e che davvero ricostruire una politica decente comporta la necessità di guardare ben oltre i partiti attuali, e i loro stessi esponenti, centrali e periferici.

Caro Eddyburg rispondo al caro Emanuele Masiero,

Come non condividere il tuo accorato appello? Vorrei spiegare, secondo il mio credo, il senso contenuto in "Essere veri urbanisti".

Oggi essere veri urbanisti significa trovarsi fuori dalle logiche di ateneo che imbrigliano la ricerca coinvolgendola solo verso alcune lobby, credere nell'etica che la professione impone, etica che rifugge dalla perequazione, dai giochini fra i professionisti, dalle amicizie malate basate solo sul favoritismo.

Essere veri urbanisti oggi vuol dire avere a cuore il territorio e non usarlo per fulgide carriere politiche o accademiche, significa avere una dignità professionale che non consente ai differenti Edoardo Nottola di vivere e prosperare.

Questo implica la solitudine e il dedicarsi al sociale, ecco cosa significa essere veri urbanisti oggi. Ho parlato di sociale e non di housing sociale che crea solo appartamenti per i ceti abbienti e che usa la finanza. A proposito essere veri urbanisti oggi significa denunciare i legami fra finanza ed urbanistica che giocano sulla pelle degli abitanti e del territorio.

Insomma, è una cosa veramente difficile, ma bella ed esaltante, e vorrei rammentare che alcuni urbanisti queste scelte le hanno fatte, le fanno e portano avanti. E' l'esercito delle piccole formichine operose che non compaiono nei "salotti in" o sui giornali patinati ma che lottano per ridare dignità ai quartieri violentati da quegli urbanisti che si dichiaravano "Le corbuseriani" o razionalisti e poi usavano la rendita fondiaria camuffandola con le belle parole, ma sempre rendita fondiaria era! Sono le formichine che lottano per cercare di restituire il Genius Loci ad una città che lo sta smantellando e perdendo sempre di più.

Il PGT di Milano non è certo nato con la Moratti, ma ha origini storiche lontane, che comprendono il Rito ambrosiano la deregulation e che includono anche le discussioni infinite sul Piano dirigistico che tanto facevano intelletual radical chic e che hanno condotto all'idea di variante per poi giungere alla Legge Regionale. Ecco qui una delle tante genesi del PGT. Ed adesso? I nuovi sviluppatori del territorio fanno sembrare Edoardo Nottola un ragazzino che giocava con il Monopoli. Essere veri urbanisti oggi significa ribadire la dignità di Gaia e dei suoi abitanti, contro la logica del territorio che diventa un immenso monopoli formato solo da caselle del Parco della Vittoria.

Anche la sottoscritta fa parte dell'esercito silenzioso delle formichine e vorrebbe rammentare come un incolpevole granello di sabbia che il vento porta nell’ingranaggio di una macchina apparentemente sofisticata la fa spaccare, così i veri urbanisti possono spaccare le logiche che animano la perequazione ed il PGT diventando quel granello di sabbia.

Concludo affermando che i granelli di sabbia uniti possono ancor far qualcosa!

Nulla da aggiungere (del resto la risposta spetta semmai ad Emanuele Masiero), se non un chiarimento ai più giovani e agli smemorati. Edoardo Nottola è lo speculatore, protagonista negativo del film Mani sulla città, di Francesco Rosi.

Caro eddyburg, sono un pianificatore "iunior" (bestie rare), di nome,

ma di fatto mi occupo di sistemi informativi territoriali e relative banche dati. Dal 2006 lavoro come supporto al pianificatore/valutatore di PAT e VAS e poi realizzo web-gis per la pubblica amministrazione. Il mio lavoro mi piace moltissimo, ma come in tutte le cose belle c'è un però...

Sto assistendo a un decadimento generale dell'urbanistica. Se mi guardo attorno vedo che gli amministratori locali e i professionisti da loro assoldati hanno perso qualsiasi riferimento.... Non vedo un briciolo di etica, di buone pratiche, di fare per il bene comune. Il territorio è in preda ai barbari!

Mi sento intrappolato in questo sistema di cose che sta degradando nel disinteresse più generale: nessuno parla (mi riferisco anche agli ordini professionali che sono, per legge, i depositare dell'arte del pianificare) e la gente comune non ha la minima idea di quello che sta avvenendo nei loro territori, nonostante le nuove normative abbiano introdotto delle “cosette” chiamate concertazione, partecipazione, sostenibilità... ma infatti è solo una normativa!

Regione e provincia, che avrebbero le competenze e i mezzi per contrastare questo scempio, invece lo assecondano. Ogni tanto mi metto alla ricerca di piani adottati, nella speranza di trovare esperienze degne di essere prese ad esempio, ma non ne trovo!

A questo punto mi chiedo: è possibile in questo momento e in questo luogo, lavorare nel campo della pianificazione senza andare contro i propri principi di bene comune? Cercasi veri urbanisti
emanuele.masiero@gmail.com

Condivido quanto di analisi c'è nella tua e-mail. Urbanisti bravi e onesti ce ne sono, ma non sono tanti. Non ne conosco molti che non attacchino il carro dove vuole il padrone; quello che ci sono annaspano e cercano di difendersi.

Viviamo una fase nella quale bisogna dedicare un po' di tempo al proprio mestiere, aiutandosi a sopravvivere, e un altro po' di tempo (il massimo possibile) a lavorare per capire, e aiutare gli altri a capire. Senza illudersi di poter trovare un lavoro retribuito che sia pienamente soddisfacente, ma senza farsi coinvolgere interamente dalla routine quotidiana. In fondo la protagonista de L'eleganza del riccio (un libro che ti consiglio) faceva così, ed era l'opposto del protagonista di Videocracy (un film che ti consiglio)

Non so proprio che altro consiglio e aiuto darti, se non: (1) invitarti a seguire eddyburg ; (2) pubblicare la tua lettera e ... chissà che qualcuno ti risponda? Intanto, leggiti la Opinione di Mariangiola Gallingani, appunto su eddyburg.

Penso di aver trovato la fonte dell’ispirazione che ha mosso Marchionne a dettare le regole che la FIAT vuole adottare, a partire da Pomigliano d’Arco, alle imprese gestite o controllate, in Italia e nel mondo: è in questo documento, tratto dalla stampa d’archivio, che segnalo ai frequentatori di eddyburg. La Svizzera è vicina, e – sembra – anche il 1889, data del documento allegato. La modernizzazione avanza impetuosa.

Non sono in grado di garantire l’autenticità del documento, ma mi sembra molto interessante poiché dimostra, a un tempo: i grandi progressi per l’umanità compiuti in 120 anni, grazie al movimento dei lavoratori; il pauroso regresso che oggi ci si vuol far compiere.

Segnalo alcuni punti dell’"ordine di servizio”: l’affermazione che “siamo fiduciosi che tutti i dipendenti effettueranno le opre di straordinario che la Compagnia riterrà necessarie”; la proibizione di parlare nelle ore d’ufficio, accompagnata dal dichiarazione che “l’operaio che fuma, beve alcoolici, frequenta sale di biliardo o ritrovi politici (sic) compromette il suo onore, il suo credito, la sua probità e la sua reputazione”; la raccomandazione al lavoratore di “risparmiare una parte considerevole dello stipendio per i giorni di malattia”, nei quali “lo stipendio non sarà corrisposto”, nonché per “evitare di divenire un peso per la comunità quando sarà vecchio e inabile al lavoro”.

Gentili redattori di Eddyburg, ringrazio per aver riportato il testo de l'Unità. Se aveste letto il libro, sapreste però che la legge regionale E.R. ed io non consideriamo assolutamente "diritti edificatori" le destinazioni "residue" dei vecchi PRG. Che infatti suggerisco di "sospendere" in base alla legge regionale, nei nuovi PSC programmatici e non prescrittivi. "Diritti edificatori" sono solo quelli sanciti dai vecchi PP e per di più "convenzionati"; questi si, incancellabili salvo indennizzo. La difficoltà di cancellare almeno in parte le "previsioni residue", è soltanto politica; perchè - comprensibilmente - i Comuni faticano a cancellare le previsioni che il vecchio PRG ha formalmente approvato e lasciato in vigore, magari per 20 o 40 anni (Roma), suggerendo così che proprio quelle previsioni il PRG voleva si realizzassero. Però la legge regionale dell'Emilia Romagna, togliendo prescrittività al piano generale, risolve il problema, sospendendo di fatto le previsioni residue, che non sono già state cancellate da provvedimenti urbanistici sovraordinati ( es. Piano Paesistico, Parchi regionali, ecc.). Infatti nel PSC di Reggio, che poco attentamente è stato attaccato, gli indirizzi di PSC hanno ridotto fortemente il precedente trend edilizio, ma l'uso dei residui non è affatto confermato, lasciando al POC di selezionare il prescrittivo quinquennale, che sarà molto più basso del residuo; e che comunque dovrà attuarsi con parametri urbanistici e ambientali stabiliti a priori dal PSC, quindi senza contrattazioni. La legge regionale può anche scegliere di inserire nel POC un ambito su tre o quattro, con un concorso che parte dai parametri minimi citati. Comunque a Reggio il tentativo fatto è quello di suggerire col PSC indirizzi in larga prevalenza di riqualificazione di aree già costruite; gli indirizzi su aree inedificate riguardano in prevalenza la zona intorno alla nuova stazione mediopadana, che giustamente innescherà un minimo di nuove funzioni. Forse per informare correttamente i molti lettori di Eddyburg, potreste aggiungere questa postilla a quella inavvertitamente formulata. Saluti da

Ringraziamo Campos Venuti per la sua precisazione. Così sappiamo che per lui oggi i “diritti edificatori” molto sono solo quelli dei piani attuativi convenzionati. É una posizione certamente più vicina alla nostra di quella che è stata predicata e applicata, anche da Campos Venuti, nel caso del PRG di Roma. Lì i “diritti edificatori” (forse è la prima volta che questa espressione è stata adoperata) sono stati invocati per rinunciare a tagliare le vastissime aree definite zone d’espansione dal vecchio PRG: un piano unanimemente ritenuto sovradimensionato. Si tratta di “residui” consistenti: 14mila ettari di Agro romano.

Campos Venuti, nella sua precisazione, si riferisce solo all’Emilia Romagna, dove certamente le cose vanno meglio che nella Roma di Rutelli e Veltroni (e Alemanno). Temiamo però che tra le rose di un passato glorioso siano cresciute molte spine. Come testimonia molte informazioni, ad esempio, sull’ingiustificato consumo di suolo. Né ci tranquillizza il fatto che Campos Venuti consideri “un minimo di nuove funzioni” i 400 ettari aggiunti col piano strutturale a Reggio Emilia.

Su questo e su altri punti, sollevati dalla precisazione di Campos Venuti e dal suo libro, torneremo con l’ ampiezza che meritano sia gli argomenti che il nostro interlocutore.

Si è aperto lo scorso 22 Aprile il workshop interfacoltà “Idee per L’Abruzzo”, un laboratorio che mette insieme le specificità dei diversi corsi di laurea IUAV ( Pianificazione, Architettura, Arti e Design). Il laboratorio ha l’obbiettivo di creare percorsi di ecologia della pianificazione, del restauro, del design e dell’architettura con lo scopo di offrire metodi, idee e spunti progettuali nelle aree dell’Abruzzo colpite dal sisma. Tramite la comunicazione diretta con amministrazioni locali, enti ed organizzazioni cittadine, stiamo cercando di produrre modelli di pianificazione e progettazione partecipata sostenibile che terranno in considerazione gli elementi storici e dei paesaggi culturali. L’approccio per ridefinire e ripensare questi spazi terrà conto degli aspetti sociali, ambientali, storico-architettonici ed economici. Agli studenti verranno forniti i requisiti utili ad una corretta analisi, progettazione e gestione dei processi connessi per definizione e attuazione di politiche di recupero e restauro del patrimonio materiale ed immateriale (quindi edilizio e culturale), oltre che alla conservazione e valorizzazione del sistema urbano, del territorio rurale e del paesaggio. L’esperienza si concluderà con una pubblicazione e mostra dei documenti di analisi e progetto aperta alla cittadinanza. Alla prima fase seguirà una seconda che prevederà la realizzazione concreta degli elaborati prodotti per uno o più comuni dell’area terremotata dell’Abruzzo. Quindi si provvederà alla messa in opera di modelli di pianificazione, di recupero e/o progettazione di edifici e spazi pubblici attraverso modelli partecipati e di pianificazione delle risorse naturali, rurali, e agroforestali.

Stiamo cercando di fare rete con altre iniziative simili che sono in essere a livello locale e nazionale, chiunque fosse interessato ci contatti alla e-mail:mail.studenticatron@gmail.com

Certamente avete utilizzato l’ampia documentazione raccolta in eddyburg, nella cartella dedicata al terremoto e alle sciagurate politiche del dopo-terremoto. E magari qualcuno di voi frequenterà le giornate dell’evento “ Una città un piano: L’Aquila”, dedicato proprio a questo tema.

La vicenda ricorversione, iniziata nell'euforia generale nell'autunno 2008, già dopo pochi mesi ha cominciato a mostrare le prime incrinature: ritardi, rinvii e promesse; molte parole ma pochi fatti.

Chiariamo prima la nostra posizione, così che nessuno pensi che siamo la solita sinistra critica che dice no a tutto (come spesso siamo dipinti), eravamo favorevoli ed entusiasti di questa riconversione ed abbiamo contribuito attivamente affinchè ciò accadesse, lo possiamo dimostrare rivendicando l'idea e l'organizzazione delle 15000 cartoline inviate a Stoccolma al presidente dell'Electrolux.

Da fine 2008 ad oggi abbiamo seguito l'evolversi della situazione con crescente preoccupazione, informandoci, facendo ricerche, parlando con i lavoratori ecc. finchè, 15 giorni fa, abbiamo inviato a giornali , sindaco e politici una "interrogazione virtuale" (non abbiamo rappresentanza nel Consiglio Comunale di Scandicci siamo quindi un gruppo "extra-consiliare") con la quale denunciavamo quello che in molti sapevano e tutti tacevano. Il nostro documento, "si dice che ..." è allegato alla presente.

Gli articoli di giornale sono ricchi di parole, promesse e tentativi di giustificazioni sulle quali noi nutriamo forti perplessità, si parla di enormi investimenti, 22 mil di euro, ma chi li ha visti? di difficoltà di reperimento di silicio, sarà vero? non si parla invece dell'uso di tecnologie superate, esiste in commercio il fotovoltaico di 2° e 3° generazione.

Nella nostra ricostruzione dei fatti, facilmente confermata da una semplice ricerca online, si evidenzia anche la presenza e la "sponsorizzazione" dell'operazione del mondo della politica, si accenna anche qualche passaggio perlomeno dubbio dal punto di vista etico e qualche perplessità sulle competenze di alcuni soggetti scesi in campo.

Insomma abbiamo l'impressione che ci troviamo davanti alle classiche nozze con i fichi secchi ed ovviamente i fichi sono pagati con soldi pubblici.

Il sindaco di Scandicci, in un articolo allegato, ci chiama avvoltoi dimenticando che quei volatili sono presenti sempre dove c'è del marcio. Ci auguriamo vivamente che il sindaco si sbagli.

Qualche mese fa abbiamo segnalato il caso di Scandicci come esempio positivo. L'azione dell'amministrazione, dei sindacati e dei cittadini aveva impedito ogni speculazione edilizia sull'area, ottenendo la riconversione produttiva del sito. Secondo la stampa locale, le scelte urbanistiche non sono messe in discussione, anche se l'inquietudine degli operai e dei cittadini che si erano mobilitati è giustificata. Seguiremo con attenzione gli sviluppi di questa vicenda emblematica del difficile momento che stiamo attraversando (m.b.).

Volevo segnalare che il 26 febbraio su Repubblica di Roma c'era il seguente articolo: "Centro storico, 50 piazze vietate ai tavolini". E' un provvedimento che giudico fosse necessario da anni. E' una maniera di "de-commercializzare" il valore del suolo pubblico, che tornerebbe indisponibile per usi privati. Se ad esso seguisse una politica coerente - ma non lo ha fatto la sinistra (anzi), figuriamoci la destra - che lo facesse rispettare e casomai lo allargasse, potrebbero derivarne numerosi vantaggi. Il centro storico perderebbe - in parte - l'interesse per gli speculatori commerciali. I vani di ridotte dimensioni rimarrebbero botteghe e non basi operative di bar all'aperto. Insomma, si potrebbe evitare il processo per cui Roma negli ultimi anni è diventata una specie di Luna Park.Il vantaggio di questo provvedimento è che è abbastanza semplice, ma piuttosto "potente". Almeno così a me sembra. Che cosa ne pensate?

Se davvero chi governa la città volesse interrompere la commercializzazione e privatizzazione degli spazi pubblici gli strumenti da adoperare non mancherebbero certo. Magari non è necessario eliminare del tutto i tavolini dei bar, ma senz’altro contenere lo spazio che occupano e dotare le piazze di panchine, gradini e altri arredi che consentano a chi vuole di soggiornarvi con qualche comodità senza essere costretti a diventare “clienti”.

Ma i governanti benintenzionati dovrebbero innanzitutto: 1) essere convinti che gli spazi pubblici devono rimanere tali, in tutti i loro aspetti, a partire dalla proprietà e dall’uso; 2) essere ugualmente convinti che quegli spazi devono essere aperti a tutti, e non solo a chi può pagare un biglietto d’ingresso e indossa giacca, cravatta e scarpe lucide; 3) volere e sapere emanare regole che siano coerenti con le loro convinzioni. Quanti amministratori comunali vi sono in Italia che rispondano a questi tre requisiti?

Chi l’aveva detto, che Bossi riesce solo a sparare cazzate, o al massimo furbate? Prendiamo la storia delle megaregioni: cos’altro manifesta, in nuce, l’idea dei sindaci di fermare il traffico in tutta l’area padana, se non una specie di movimento federalista dal basso, in grado di costruire unità e identità ben oltre l’ingegneria istituzionale? Ha perfettamente ragione Paolo Hutter (“Liberi dalle marmitte”, Terra, 25 febbraio 2010) a ribadire e ancora ribadire come si nota qualcosa di davvero nuovo nell’approccio bi-partisan alla tutela della salute e dell’ambiente, indipendentemente dal successo - reale e/o di immagine - di cui discuteremo dal lunedì successivo in poi. Ed è appunto perché c’è qualcosa di nuovo, che sarebbe il caso di non buttare il bambino giù per lo sciacquone, insieme alle odiate marmitte e ai nemici più o meno inventati per l’occasione.

Verissimo che quelle marmitte sputafuoco ci avvelenano la vita, ma come ogni tanto spiega (molto interessatamente, si scopre sempre poi) qualche tecnico o scienziato, con l’odio si combina poco, perché in fondo servono anche a qualcosa di buono. Ed esattamente a quello che prometteva Henry Ford circa un secolo fa: a portare la gente dove le pare anche su distanze considerevoli. L’ho detta grossa? Ebbene si, l’ho sparata proprio malamente e un po’ da pirla, ma non del tutto. Vero che le promesse di Henry Ford si sono trasformate nell’incubo degli ingorghi, delle schifezze che respiriamo, delle guerre per il petrolio eccetera eccetera, ma senza macchine cosa succede? Succede, nel migliore dei casi (ma proprio nel migliore), la fotocopia dei primi anni ’70: ci si ferma a contemplare cosa potrebbe essere un mondo diverso, si riscoprono spazi, priorità, occasioni … Ma poi?

foto f. bottini

Poi scopriamo, non tutti ma la gran maggioranza di tutti, che in qualche modo le marmitte delle macchine sono solo l’estremità sporca di un metabolismo lungo e complesso, e che non ci si può smarmittare così tanto alla leggera. C’è un grande sistema che mangia, digerisce, usa la sua energia, e poi naturalmente deve scaricare. Il tappo nel sedere per non scaricare, o il digiuno per non produrre quegli scarichi, ce li possiamo imporre per un po’, ma poi se le cose restano come stanno dobbiamo per forza riattaccare come prima. E la questione si ripropone: è possibile cambiare le cose, scaricare meglio scaricare tutti, o non scaricare affatto?

Inutile, oltre che schiettamente reazionario, fare prediche di vaga nostalgia sul ritorno alle sane abitudini dei nonni. Le apprezzavano così tanto, quelle abitudini, che le hanno cambiate. Quindi, per favore, non si potrebbe per una volta fare a meno del sermone d’ordinanza sulla riscoperta di certi ritmi, di certi angoli della città, del gusto di passeggiare eccetera eccetera?

Non perché non sia vero, e a modo suo anche abbastanza buono e giusto. No.

Il fatto è che così ci si fa automaticamente odiare dalla maggioranza di chi non ha alcuna città da riscoprire, ritmi da recuperare, amici reperibili con qualche falcata. Oggi, ed è ottima cosa che sia così, il territorio urbanizzato è luogo di flussi, mobilità, scambi. La vera questione è: si può mantenerlo tale anche da smarmittato? O è davvero come tapparsi il sedere, con tutto ciò che metaforicamente ne segue?

Qualche giorno fa stavo componendo diapositive per una lezione, e senza rendermene conto ho impiegato parecchi minuti solo per cercare (invano, ahimè) in rete una versione più leggibile della copertina di un rapporto, e altri parecchi minuti per cercare di migliorare la versione piccola e sfocata che avevo a portata di mano. Alla fine ho dovuto accontentarmi, ma con le matricole di Architettura a cui è destinata quella diapositiva fra tante dovrò trovare un modo altrettanto efficace dell’immagine chiara, per evidenziare quel titolo: Transit and Land Use Plan. Mezzi pubblici e sistema insediativo progettati o concepiti come una sola cosa, vale a dire binari, edifici, spazi aperti, marciapiedi, piste ciclabili, corsie degli autobus, fermate, scale, negozi, uffici, servizi, verde … Proprio il genere di cose che si vuole vedere quando ci si smarmitta, e che chi sta in città qualche volta riesce pure a sperimentare, nelle domeniche smarmittate. Ma gli altri, visto che di Transit and Land Use Plan non se ne è mai parlato e ancora non se ne parla se non in qualche convegno, gli altri sentono solo quella certa costipazione comportamentale.

E si incazzano. E poi al momento buono votano chi gli garantisce quel territorio urbanizzato luogo di flussi, mobilità, scambi. Non chi gli ripropone una specie di Arcadia caricaturale. Dentro la quale l’intellettuale sedicente “progressista” suona la cetra, o abita l’edificio col pronao palladiano che non manca mai. Mentre gli altri, smarmittati, possono solo far scorazzare le pecore, o se sono signore star chiuse in casa a far girare qualche marchingegno tessile a pedali … Esagerazione? Sicuro che lo è, ma serve a far capire che reazione generano certi entusiasti in chi non ha proprio motivo di essere entusiasta, visto che abita in un posto dove la marmittatissima macchina fa da surrogato a quasi tutto. Ma non ci pensano mai, questi signori, tanto per fare un esempio, alle generazioni, intere generazioni umane, che ormai hanno raggiunto una maturità erotica quasi esclusivamente automobilistica, che magari non riescono a raggiungere l’orgasmo se non c’è a portata di mano la leva del cambio? O ai comunissimi modelli di consumo dove a piedi risulta difficile o impossibile raggiungere la maggior parte dei prodotti e servizi, e non c’è a portata di mano alcuna alternativa all’auto (o all’autobus tradizionale che da un certo punto di vista è la medesima cosa ma peggio)?

Transit and Land Use Plan. Negli ultimissimi giorni si è parlato molto, moltissimo, di due nuove lottizzazioni marmittatissime che tra parentesi stanno a poche centinaia di metri l’una dall’altra. Ammazzala se qualcuno, solo qualcuno, ha dedicato una virgola a questo aspetto, che pure poteva dirla molto lunga anche su tutti gli altri. La prima è la cosiddetta Milano 4, sui terreni di Arcore giusto davanti alla mitica Villa San Martino, chiusa a sandwich fra un tratto del Lambro forse scampato all’ecatombe e un bell’impianto dello sponsor Rovagnati. La seconda è quella che il Lambro, e poi il Po, e poi chissà cos’altro, li ha direttamente inondati di petrolio, ed è la Eco-City giusto di fronte a un altro impianto del prosciuttiere Rovagnati. Oltre alla vicinanza alla multinazionale del porco salato, le due lottizzazioni hanno però un tratto che le rende molto simili, e molto simili a tutti gli altri prodotti territoriali contemporanei: sono pensate solo ed esclusivamente in funzione della mobilità automobilistica, pur trovandosi entrambe (Eco-City addirittura gli sta sopra) molto vicine ai binari delle ferrovie suburbane.

Così anche se poi ci sono le piste ciclabili, l’energia o le finiture da catalogo di sostenibilità commerciale, anche il sogno immerso nel verde sputa veleni da tutte le marmitte che ci vanno e ci vengono. Perché l’unico modo di andarci e venirci è quello. Non a caso (lo spiego meglio per chi volesse sul mio sito http://mall.lampnet.org) la Milano 4 di Arcore è attaccata all’autostrada Pedemontana come un vitellino alla tetta della mamma, e la Eco-City di Villasanta sta affacciata sulla rotatoria che immette alla bretella per la Tangenziale Est. Entrambe ignorano quei rugginosi binari, là dove nella logica di un Transit and Land Use Plan ci sarebbe stata innanzitutto la grande piazza della stazione, e poi tutto attorno la città, e poi tutto attorno gli altri quartieri da trasformare in modi simili per traboccamento logico ed economico. E invece le nostre cittadelle hanno il solito aspetto da lottizzazioni suburbane chiuse su se stesse, pronte a chiudersi ancora di più se necessario, salvo uscirne rintanati nel simbolico SUV.

Ecco, se la domenica smarmittata padana può servire a riflettere su questi obiettivi di nuova libertà, mobilità, opportunità, fantastico. Altrimenti, se ci aspetta la predica vagamente autoritaria di chi lo fa per la nostra “salute” (non suona sinistramente troppo simile a chi fa altro per la nostra “sicurezza”?) finirà come le altre volte.

E pensare che negli anni ’60, proprio quelli a cui la crisi petrolifera mise culturalmente fine, la vulgata progressista e di sinistra più pervasiva coincideva, esattamente, con l’antiautoritarismo. Non sarebbe il caso di ricordarsene, e di mandare a quel paese certi profeti di sventura a gettone?

Nota: per i tre temi attorno ai quali si sviluppa questo pezzo, si vedano l'articolo di Paolo Hutter sulla domenica padana a piedi, quello di Gabriele Cereda sulla Eco-City e l'apocalisse del petrolio nel Lambro, infine quello del sottoscritto Fabrizio Bottini sull'urbanistica berlusconiana declinata a Milano 4 (f.b.)

Cari amici, sono in linea di massima d'accordo con l'autore de L'opinione. Però, detto tra noi, che cerchiamo di non mescolare l'essenza dell'architettura con altre questioni importanti ma di altra natura, andando nel merito di quell'edificio, per quanto posso aver capito dai disegni e dalle molte foto interne ed esterne, mi pare una puttanata. Poi , l'architettura, si sa, al mondo d'oggi, basta saperla raccontare. Le parole, magari scritte su carta patinata, valgono piu' di significati trasmessi da spazi e pietre. Ma così vuole la società a cui piace farsi imbonire . Ho letto le ragioni delle scelte architettoniche espresse personalmente da O. Niemeyer: non solo sono tutte molto opinabili , ma da quelle poteva scaturirne un oggetto completamente all'opposto nelle linee generali. Ho visto recentemente altre opere di personaggi famosi: dal vero è ancora peggio. Non entriamo nemmeno nel capitolo della gestione dei lavori, delle varianti, ecc.; basta sentire, a microfoni spenti , i responsabili degli uffici comunali . A questi "grandi" o ex grandi piace essere portati come la statua della madonna in processione, cioè strumentalizzati, perchè si puntellano a vicenda con questa società. Ma Oscar non è il solo, anzi è in buona compagnia. Attendo con ansia una serie di tomi (forse sarebbero troppi ) sulle puttanate delle archistar che se la ridono bellamente di tutti quelli che si occupano di loro. Se qualcuno ha incominciato quell'opera mastodontica, posso fornigli gratuitamente anche elementi di realizzazioni fatte da queste parti . Qualche voce del dissenso sta per fortuna uscendo dall'omertà.

Mi pare che non solo le archistar ma ormai gran parte del mondo degli architetti sia insensibile alla legalità (vedi il consiglio degli architetti a proposito del piano casa). Non si rendono conto che, in particolare nel Mezzogiorno, il ricorso anche dei pubblici poteri a soluzioni fuori legge alimenta l'illegalismo diffuso nel quale la grande criminalità nuota come il pesce nell'acqua. Quanto alla qualità architettonica, mi pare che l'entusiasmo iniziale cominci a raffreddarsi. Noto che l'ossessivo bombardamento d'immagini dell'auditorium tende a escludere quelle visioni d'insieme che metterebbero in luce come quel volume enorme e rotondo schiaccia la trama minuta e ortogonale dell'edilizia circostante: quella apprezzata da Le Corbusier. (v.d.l.)

Caro eddyburg, desidero informarti dei prossimi incontri della Libera Università di donne e uomini “Ipazia” che,con Il Giardino dei Ciliegi e l’Associazione Rosa Luxemburg, organizza il 5° ciclo su "Città reale / città possibile", articolato in due incontri, il sabato 28 novembre e il 12 dicembre 2009. Il titolo dell’iniziativa è “Il desiderio abita la città? Sguardi di donne fra spazi pubblici e privati”. Al suo centro sono una serie di domande: donne e uomini pensano e abitano diversamente gli spazi? Disegnano relazioni differenti con i luoghi pubblici e la casa? Di quale città e di quale casa parlano le donne quando immaginano luoghi pubblici e privati?

I due incontri metteranno in luce idee, pratiche, esperienza, geografie emozionali nell’arte, nella narrativa, nell’urbanistica, per affrontare il nesso fra il desiderio e l’abitare, contribuendo ad una città da vivere, insieme.

Entrambi gli incontri inizieranno alle 10,00 e , dopo una pausa pranzo, riprenderanno nel pomeriggio secondo il programma allegato. Parleranno Silvia Macchi, Gisella Bassanini, Tiziana Plebani, Anna Lisa Pecoriello, Marvi Maggio, Anna Di Salvo, Barbara Serdakowski. Vi saranno letture a cura di Clotilde Barbarulli, Mara Baronti, Anna Biffoli, Sandra Cammelli, e la proiezione dei video “Contromano in città” e “Maria Lai, Inventata da un dio distratto”.

Ti ringrazio molto della segnalazione. Mi sembra un’iniziativa molto interessante, in linea con i ragionamenti che abbiamo cercato di sviluppare, in particolare nelle ultime due edizioni della “Scuola di eddyburg”. Le donne sono le principali vittime di una città organizzata per gli interessi immobiliari e contro quelli dei suoi abitanti, e il loro sguardo è essenziale per affinare la critica e comprendere la direzione del cambiamento necessario. Ti sarò grato se metterai a disposizione dei lettori di eddyburg i materiali che saranno prodotti nell’ambito dell’iniziativa.

Ci sono territori abbandonati che spesso non sanno neppure di esserlo. Sono spazi, àmbiti, porzioni e segmenti che qualcuno dimentica di considerare, almeno in uno o più aspetti essenziali. Questa latitanza dell’attenzione innesca l’abbandono, ovvero per inesorabile legge fisica il subentrare di qualcos’altro. Abbandonata è per definizione la periferia urbana: prima dalla campagna che si è ritirata altrove, poi dalle speranze di nuova centralità aggiunta di chi l’aveva progettata, di chi ci aveva investito andandoci ad abitare, aprendo un negozio, ecc. Abbandonate sono anche grandi porzioni di centro storico, o di nucleo metropolitano interno: zone produttive, infrastrutture obsolete. Qui il processo ha anche un nome che riassume un po’ tutto, ed è “disinvestimento”.

Vale a dire che non si investe più a sufficienza, o meglio, che non si investe più realizzando un equilibrio “giusto” (è il termine “giustamente” utilizzato dagli amministratori delle città tedesche per realizzare interventi di riuso misto di aree sottoutilizzate delle periferie -misto soprattutto per quanto riguarda l’offerta abitativa - attraverso il modello “SoBoN”) , perché quello spazio sia vitale, socialmente utile e desiderabile per tutti: per chi ci abita, per chi ci lavora, per chi lo frequenta per i più svariati motivi.

E per la nota legge fisica, lo spazio lasciato libero dal disinvestimento si riempie di altro, mica solo delle classiche erbacce.

Un esempio recentissimo del genere è descritto nel rapporto (disponibile dal 17 novembre sul sito del ministero dei Trasporti britannico www.dft.gov.uk ), curato da Peter Hall e Chris Green, sul degrado delle stazioni della rete ex pubblica, un tempo luoghi centrali per città, cittadine, zone rurali, che prima la diffusione dell’auto privata … e poi certo eccesso di fiducia nella panacea dell’iniziativa privata hanno ridotto a terra di nessuno, a danno di tutti.

Questo della dismissione, disinvestimento, abbandono di territori, è un problema che storicamente nasce dalle ricadute sociali e ambientali dell’innovazione. Una innovazione che ormai pare quotidiana, e con la quale dunque occorre imparare a misurarsi attivamente e positivamente. Farlo tutti i giorni, farlo bene, farlo d’abitudine. In altri paesi si è fatto: possono piacere o meno, ma, a puro titolo di esempio, i grandi progetti per il riuso dell’Est parigino, hanno rilanciato quell’ampia porzione degradata della “periferia storica” ridandole qualità e attrattività e, soprattutto, dando nuove occasioni anche all’artigianato di alta specializzazione (liutai, accordatori,…) e al commercio di prossimità ( Cité de la Science, Cité de la Musique, Palais Omnisport Bercy, etc.).

Significativamente, il rapporto sulle stazioni di Hall e Green si apre con la gloriosa immagine dell’epoca vittoriana, quando le fermate del treno erano il vero nodo e orgoglio della comunità. Spazi moderni, ricchi di servizi e di traffico, centro fisico e nevralgico dell’insediamento, concentrato di interessi, attenzione, aspettative.

Tutto vero? Sicuramente no, le magagne c’erano anche allora di sicuro, e anche da quelle probabilmente sono scaturiti poi i motivi dell’abbandono progressivo. Pensiamo ai nostri centri storici, al loro metabolismo spaziale e sociale. Salta anche agli occhi di osservatori non particolarmente attenti la grande differenza fra quartieri che sono stati oggetto di gentrification, e quartieri che si sono mantenuti sostanzialmente inalterati almeno da un paio di generazioni. Non si tratta semplicemente della migliore manutenzione degli edifici o degli spazi pubblici, ma di una vistosa trasformazione nei tempi e modi d’uso del quartiere. Spariscono le vecchie attività, sostituite da nuove o da nessuna, così come spariscono gli utenti di certi spazi, e spesso il senso, dei medesimi spazi. Qualcosa rimane, magari prospera, ma è lecito chiedersi: perché? come? secondo quali aspettative? In altre parole: chi sta “investendo” nei vari spazi e funzioni dei tanti Soho sparsi per le città contemporanee?

Pensiamo a qualcuna delle piazze italiane più vivaci e tradizionali. I portici, l’angolo dell’edificio pubblico/monumentale, le abitazioni, i locali pubblici, gli imbocchi delle vie, le bancarelle, ecc. Tutto identico? Macché: tutto diverso, e in qualche modo “finto”, esattamente come in un qualunque centro commerciale. Perché quei locali, quelle bancarelle, quelle case, anche negli esempi migliori di relativa continuità e/o graduale evoluzione sociale, non sono vissuti e gestiti da un’utenza più o meno locale, come avveniva una volta. Né offrono le medesime aspettative riguardo al lavoro, al reddito, alla qualità dei servizi. Diciamocelo: chi mai fra noi sognerebbe per sé o per i figli un futuro fatto di sveglia alle tre, qualche ora in coda sul furgone, e poi una giornata a battere i piedi al freddo vendendo fiori o magliette all’ombra di una Loggia? O quando si parla di spopolamento di alcune zone, di degrado di territori per carenze di manutenzione corrente, ci si chiede mai il tipo di qualità della vita media che offre l’abitare e lavorare in quei territori? E chi mai potrebbe, se non costretto dagli eventi, sognare quella vita?

Gli spazi tradizionali, anche quando appaiono “vitali”, spesso lo sono solo perché qualche rivolo di investimento continua a fluire. Esempio tipico, il flusso di immigrazione da paesi molto lontani, che popola esattamente le stesse bancarelle di cui sopra, e alimenta pure il passaggio di tanta clientela per quelle bancarelle. Ma se si riflette solo un attimo in più sui flussi migratori, il pensiero non può sfuggire all’immagine di ben altri quartieri, che pure si popolano e vivono sulla medesima spinta: i capannoni e depositi dismessi, le ali abbandonate di qualche ex servizio o edificio pubblico, militare, demaniale. È il medesimo ciclo, solo con parecchia brutalità in più: quegli spazi, tutti, vivacchiano in attesa che arrivino investimenti non di pura sopravvivenza.

È questo, molto schematicamente, il motivo per cui quando un certo flusso di investimenti appare consolidato nel tempo, deciso a ribadire nei fatti le proprie intenzioni, forse sarebbe almeno il caso di osservarne anche le potenzialità positive, oltre a sottolinearne giustamente i caratteri di squilibrio. Ad esempio, gli spazi commerciali e di servizio: sono sempre di più anche gli esercenti minori, oltre alle grandi catene organizzate, ad auspicare ambiti di qualità, sicurezza, stabilità. Perché? Perché le aspettative della maggioranza degli operatori, nonché della loro clientela, sono esattamente quelle. Perché evidentemente l’ambiente di lavoro ed erogazione-fruizione dei vari servizi nel centro tradizionale si addice solo ad una minoranza degli aspiranti imprenditori, vuoi per carenze qualitative insormontabili, vuoi per aumento esponenziale delle pure quantità di offerta-domanda. Uno degli orientamenti mainstream della nuova offerta strutturata di spazi, è quello pubblicitariamente sbandierato dei Superluoghi: parola evidentemente derivata dai vecchi non-luoghi di Marc Augé, e che ne sfrutta e ribalta in positivo la notorietà assai diffusa. Una parola e basta, visto che poi sta a connotare investimenti di qualunque genere, purché vagamente mixed-use, a forte concentrazione, a forte capacità decisionale.

E la domanda è: sono spazi in genere auspicabili? Si può rispondere di sì o di no, e articolare queste risposte secondo varie sfumature e opzioni. Certo se si schematizza l’equazione “Superluogo = Corsia preferenziale per l’interesse particolare contro quello generale” la risposta viene da sé. Però esiste anche un’altra domanda: non si possono orientare diversamente, questi flussi di investimento che comunque è semplicistico definire come regressivi? Invece è di sicuro regressivo pensare a un futuro di lavoro nero (di questo vivono le attività tradizionali), di incessante sprawl (lì vanno a finire gli sfollati dai centri e dai contenitori dei riuso strisciante), e di sostanziale fai-da-te urbanistico.

Quelle riassunte sono, tutte, tendenze perfettamente leggibili, e rispetto alle quali il cosiddetto “governo” si è dimostrato, nel nostro paese, storicamente impotente, perché non ha capito, o voluto “governare” l’orientamento delle aspettative.

Nota: invito anche a leggere su Mall l'estratto dal recente L'urbanistica dei Superluoghi di Mario Paris, dove quantomeno si propone una rassegna di casi e potenzialità; alcuni limiti sono già colti da Corinna Morandi nella prefazione allo stesso libro, disponibile in un altro articolo nella medesima cartella Spazi del Consumo (f.b.)

Postilla

In attesa di avere il tempo di rispondere più distesamente vorrei esprimere il mio dissenso per una frase del testo dell'articolo. La frase è questa: "Però esiste anche un’altra domanda: non si possono orientare diversamente, questi flussi di investimento che comunque è semplicistico definire come regressivi?"

Io non so se, come urbanisti, abbiamo il compito di farci carico dei flussi di investimento nel senso di favorire le tendenze degli investitori accettando la logica che le determina. Sono certo però che, come intellettuali, abbiamo in primo luogo il compito di analizzarli e valutarli. Quindi ritengo certamente necessario conoscerli e riflettere su di essi, ma poi dobbiamo esprimere un giudizio.

Il mio giudizio, che ho costantemente sostenuto su queste pagine e altrove, è che quei flussi sono determinati dalla volontà (consapevole o inconsapevole poco importa) di utilizzare tutte le rendite di posizione disponibili, adoperando tutti i mezzi (a partire dalla corruzione) per indurre i poteri poubblici per favorirle e accrescerle. Privatizzazioni di beni comuni (a partire dalle scelte sul territorio), eliminazione delle regole (a partire da quelle della pianificazione), formazione di una opinione comune che accetta come inevitabile quanto sta succedendo: questi sono alcuni degli strumenti adoperati.

Come intellettuali abbiamno il compito di testimoniare, dimostrare e argomentare quanto sta accadendo. Come intellettuali urbanisti abbiamo il compito di rivelare gli aspetti territoriali di ciò che sta accadendo.

E' poi una scelta soggettiva quella di scegliere se accodarsi al mainstream o di contrastarlo e aiutare a costruire, con la pazienza e il senso della durata necessari, una contro-egemonia. Ma in questa occasione voglio ricordare che obiettiivo essenziale di eddyburg è stimolare la formazione di uno spirito critico, e che tra i suoi principi c'è il seguente: "la critica all’appiattimento di ogni dimensione dell’uomo e della società alle pratiche, agli interessi e ai meccanismi di dominio dell’economia data, che caratterizza il mainstream dell’attuale processo di globalizzazione e di insostenibile sfruttamento di tutte le risorse, e la rivendicazione della necessità e possibilità di ricerca di alternative credibili e praticabili".

Abitando a Scandicci (Firenze) ho particolarmente apprezzato l'articolo di Baioni sulla riconversione produttiva della Electrolux nella mia città.

Ci sono un paio di aggiunte che probabilmente sarebbero state necessarie: oltre a sindacati ed istituzioni c'è stata una attorno alla lotta dei dipendenti electrolux una vasta mobilitazione popolare; sono state stampate, distribuite ed inviate alla sede centrale della electrolux oltre 15.000 cartoline, affissi dei manifesti e distribuiti dei volantini (vedi qui sotto). Ogni cittadino che ha firmato la cartolina ha pagato il francobollo.

Nella iniziativa sono state coinvolte le parrocchie, ma anche le strutture di vendita della coop hanno aperto i loro spazi ai 'banchini' di solidarietà. La solidarietà si è estesa anche ai comuni circostanti perchè il caso non era solo 'scandiccese'.

La seconda aggiunta è che, purtroppo, ancora la produzione dei pannelli fotovoltaici non è partita e si registra un certo ritardo nella realizzazione delle line di montaggio e - di conseguenza - nel riassorbimento dei dipendenti. Per questo fino a che le linee non saranno completamente attivate ritengo che non si debba abbassare la guardia.

Grazie delle ulteriori informazioni. Baioni scriverà un articolo più ampio sull’argomento, e lo pubblicheremo anche sul settimanale Carta. Comunque eddyburg non abbasserà la guardia, se avrà la fortuna di essere informato tempestivamente di cià che avviene. Siamo molto contenti di poter presentare la vicenda di Scandicci come un esempio positivo di ciò che si può fare quando i lavoratori, i cittadini e le istituzioni combattono per una causa giusta e, nell’Italia di oggi, certamente controcorrente.

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