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Roma, 20 gennaio 2005 - Sulla proposta di costruire nuovi stadi in Italia e a Roma vale bene, purtroppo, l'amara ironia dell0articolo di Ribecchi sul manifesto del 16 gennaio scorso. Si può solo lanciare l'allarme anche sul pericolo di tutto l'indotto che gli Europei 2012 porterebbero, come per i Mondiali '90, con possibili leggi e provvedimenti a cascata. Basta ricordare le vicende degli "alberghi d'oro" conseguenti ad atti che si possono così riassumere:

1) legge 556/88 "recante misure urgenti e straordinarie per la realizzazione di struttore turistiche, ricettive e tecnologiche";

2) decreti "Carraro" per l'approvazione di progetti a carattere regionale, in particolare 14/12/89 per il Lazio;

3) decreti "Tognoli" (nel frattempo Carraro sindaco di Roma) di proroga degli stessi, in particolare 7/6/90;

4) approvazione, a Mondiali ormai conclusi, di interventi privati ancora da realizzare, con profluvio di soldi pubblici, in deroga alle norme urbanistiche in vigore ma con la solerte attivazione delle amministrazioni regionali e comunali e dei loro uffici.

Erano i tempi in cui venne alla luce la Tangentopoli romana, preludio della successiva rivelata da Mani Pulite. Emblematico fu il caso dell'albergo fantasma ai Parioli, progettato su un'area inedificabile sia secondo il Prg che per una sentenza del Consiglio di Stato. Lo scandalo fu talmente grosso che quell'edificazione fu stroncata sul nascere.

Grazie Paolo di ricordarci queste storie. Testimoniano ulteriormente la continuità tra gli obiettivi, i principi, i metodi, gli strumenti e gli uomini degli anni di Craxi e quelli di Berlusconi. E di aver segnalato l’articolo di Robecchi, che mi era sfuggito. Lo inserisco subito.

sono stato all’assemblea della sinistra a Roma – organizzata dal manifesto – a cui si fa cenno nell’editoriale ultimo di Eddyburg . E’ stato un evento importante, mi pare. Ci sono andato con l’auspicio di uscirne rassicurato, che la sinistra – quella parte della sinistra – ha ancora voglia di stare a sinistra, indisponibile a rinunciare alla radicalità su alcune questioni: per cui a “guerra” non si risponde “un po’ meno guerra”, a “lavoro molto flessibile” non si risponde “ un po’meno flessibile”, a “via i vincoli ambientali” non si risponde “lasciamone qualcuno”, eccetera.

Tanti sono interessati a capire – seguendo le argomentazioni di Asor Rosa – se vi sia spazio per una nuova sinistra che , a stare alle sue parole, o sarà rossoverde ( così: non rossa e verde) o non sarà ( verde per comodità di sintesi per alludere un’idea di buon governo del territorio).

In questa prospettiva è facile riconoscersi e tuttavia c’è un senso di disappunto (molto diffuso, credo) per come le sinistre tutte hanno trattato in questi ultimi anni la questione ambientale nei tanti aspetti di cui si scrive in questo sito ( ogni tanto qualche enunciazione al centro e in periferia largo spazio alle mediazioni).

Però di questi temi all’assemblea di Roma – otto ore di dibattito senza interruzione – non c’è che qualche riferimento qua e là nello stile delle formule propiziatorie. Anche se non mancano bei discorsi come quello di Carla Ravaioli.

Troppo poco rispetto alle attese, anche se si sa che le assemblee generali trattano gli argomenti che vengono considerati più pertinenti alla politica e questo (sob!) è ancora considerato un argomento specialistico, per pochi.

C’è tuttavia l’impegno dell’assemblea, e questo è un aspetto interessante, di andare rapidamente a incontri per temi così da arrivare a sintesi condivise da fare entrare con forza nel programma del centrosinistra, e come è noto Prodi ha già avviato la discussione.

Ecco, credo che ognuno dei lettori di questo sito possa fare qualcosa perché la politica torni a occuparsi del governo del territorio, chiedendo un impegno – a chi si ha più vicino e si pensa che possa influire – perché di governo del territorio si riparli anche nelle sedi della politica. La voglia, a sinistra e non solo, di partecipare alle scelte è forte dimostra quanto è demodé la delega conferita a piccoli gruppi di consiglieri ( ad esempio sui temi dell'irbanistica) di confezionare proposte per temperare i propositi reazionari delle destre.

Se c’è un punto del progetto liberista di Berlusconi che si sta attuando ora dopo ora, in ogni parte del Paese , è quello di togliere regole per lasciare spazio alle più ciniche opere di trasformazione dei luoghi i più preziosi ( come quelli sardi). Ottimista se penso che Eddyburg possa avere un ruolo ?

Noi ci proviamo

Udine, 3 gennaio 2005 - Stasera, per la televisione pubblica è stata una serata eccezionale, perchè finalmente il cavallo ha fatto bene il suo dovere, ha assolto la sua missione: fare informazione di parte, dalla parte del cittadino, del lavoratore, di chi è sfruttato. Riccardo Iacona è riuscito, in un periodo di buio pesto e di regime dilagante a cominciare dall'informazione, con chissà quali difficoltà nell'azienda dato che si tratta di programma andato in onda in prima serata e con chissà quali facilmente immaginabili effetti, a realizzare un bel servizio, approfondito, ragionato, partecipato, nudo e crudo, direi quasi alla Ken Loach, sul "governo dell'economia" che il Governo che abbiamo si diletta quotidianamente a praticare. Iacona, con ieratica semplicità, ha ben meso in evidenza il peso del non governo del mercato libero sui redditi: di chi produce l'ortofrutta, di chi fa salti mortali per comprarsela ai mercati generali invece che nei negozi o nei supermercati, di chi pur essendo stato un piccolo agricoltore proprietario è diventato, suo malgrado, bracciante, indebitato con le banche e strozzato dai clienti. Chiarissimi gli intrecci tra brookers del mercato agricolo, pochissimi e potentissimi, i grandi distributori, tra i quali la rossa Cooop ha fatto una figura a dir poco oscena al pari di qualsisi altra multinazionale della grande distribuzione alimentare sul mercato, ancorchè la Coop sei tu, come recita la pubblicità. Ferma la dignità dei lavoratori, la loro intelligenza e coscenza. Elevatissimo il senso di dignità morale. Riccardo Iacona ci ha mostrato un Paese vivo, fatto di persone serie, brave. Di popolo perbene, esattamente all'opposto delle Mercedes, delle Audi, delle Posrche, delle vetrine di Dolce & Gabbana e simili in cui la confezione di un vestito in lana di qualità elevata costa - vero ! - 12.000 euro, ai 30 euro per una confezione da 3 etti di carote crude francesi a Peck di Milano. Quel popolo non è degno della classe di governo e politica. Quel popolo ha una sua enorme dignità. La dignità del lavoro e del rispetto di se. Valori elevatissimi. Questo popolo è stato ridotto a indebitarsi nel solo 2004, tenetevi forte, di ben 64.000 miliardi di vecchie lire per sbarcare il lunario. Questo è criminale. Comincia con A e finisce con A: suona Argentina. Altro che recessione. Incazzarsi e pensare che quel signore, alto un "cazzo e due barattoli" come si dice a Roma di quelli nei riguardi dei quali si nutre null stima, dovrà pagare tutto, per me e mi auguro per tanti, è un pensiero costante. I più gentili, quelli del politicamente corretto, sostengono che lo sfascio dei redditi da lavoro, del risparmio, dell'indebitamento esponenziale delle famiglie salariate, la recessione dei consumi che ormai tocca nel vivo quelli essenziali, è l'esito dell'incapacità del Governo. Come se la questione fosse un mero aspetto tecnico. No, no, c'è ben più. Una volta si diceva sfruttamento del lavoro, sfruttamento delle masse. Ma ora questo termine non è sufficiente a delineare l'enorme squarcio che nel corpo sociale della nazione sta dilagando.A volte penso e mi convinco sempre di più, oggi più che in altri momenti, che tutto ciò che sta accadendo in Italia e nel mondo, la miseria dilagante, l'insanabile arroccamento dell'occidente dal resto della comunità mondiale, l'arroganza dei potenti, l'invivibilità economica, sociale e ambientale, è responsabilità dei monopolisti, del capitale, dei governi lacchè e della debolezza delle cosidette opposizioni democratiche. Sempre di più sono convinto che c'è bisogno di grande e profonda pulizia. E' uno scempio vedere l'immiserimento sempre maggiore di donne, uomini e giovani.

Caro professore,

come ricordavi giustamente nel tuo ultimo eddytoriale, l’esclusione della tutela dei beni paesaggistici e culturali dal governo del territorio è un errore madornale e, come ha spiegato efficacemente De Lucia, contraddice l’evoluzione della normativa nazionale degli ultimi trent’anni.

Non solo: tale esclusione si pone anche in contrasto con un gran numero di leggi regionali che prevedono l’integrazione tra pianificazione paesaggistica e pianificazione generale, territoriale e comunale. In particolare, molte regioni hanno delegato alle provincie la specificazione della pianificazione paesistica regionale, stabilendo che i piani territoriali di coordinamento provinciale considerino in modo specifico gli aspetti paesaggistici e ambientali, secondo quanto disposto dalla legge nazionale 431/1985.

In Basilicata, la legge regionale 11 agosto 1999 n. 23 dispone che il piano strutturale provinciale (PSP) abbia “valore di piano urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori paesistici, della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e delle bellezze naturali e della difesa del suolo” (articolo 13.4).

In Calabria, la legge regionale 16 aprile 2002, n. 19 attribuisce valenza paesistica al quadro territoriale di riferimentoregionale (QTR); il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) “si raccorda ed approfondisce i contenuti del QTR” (articolo 18.1).

In EmiliaRomagna, la legge regionale n. 20, riconosce il piano territoriale paesistico regionale tra gli strumenti di pianificazione regionale. Il piano territoriale di coordinamento provinciale “definisce le caratteristiche di vulnerabilità, criticità e potenzialità delle singole parti e dei sistemi naturali ed antropici del territorio e le conseguenti tutele paesaggistico ambientali” (articolo 26.2b).

Nel Lazio, la legge regionale 28 novembre 1999, n.38 attribuisce al piano territoriale provinciale generale (PTPG) “l'efficacia di piano di settore nell'ambito delle seguenti materie: a) protezione della natura e tutela dell'ambiente; b) acque e difesa del suolo; c) tutela delle bellezze naturali (articolo 19.2).

In Liguria, la legge regionale 4 settembre 1997, n. 36, affida al quadro descrittivo del piano territoriale regionale (PTR) il compito di “aggiornare le indagini e le analisi poste a base del vigente Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico (di seguito denominato PTCP) ai fini della definizione della disciplina paesistica a livello regionale” (articolo 9.2); il piano territoriale di coordinamento (PTC) provinciale integra e specifica le disposizioni della pianificazione paesistica regionale.

In Puglia, la legge regionale 27 luglio 2001, n.20 dispone che il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTC) “assume l'efficacia di piano di settore nell'ambito delle materie inerenti la protezione della natura, la tutela dell'ambiente, delle acque, della difesa del suolo, delle bellezze naturali, a condizione che la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la Provincia e le Amministrazioni, anche statali, competenti” (articolo 6.2).

In Toscana, la legge regionale 16 gennaio 1995, n.5, stabilisce che il piano di indirizzo territoriale (PIT) regionale definisca “prescrizioni in ordine alla pianificazione urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ai sensi della legge 8 agosto 1985, n. 431” (articolo 6.2d) e che il piano territoriale di coordinamento (PTC) provinciale “ha valore di piano urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori paesistici, di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 431”. (articolo 16.2d).

In Umbria, la legge regionale 10 aprile 1995, n. 28 stabilisce che il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) abbia valore di piano paesaggistico (articolo 12) e indichi “le parti del territorio ed i beni di rilevante interesse paesaggistico, ambientale, naturalistico e storico-culturale, comprese le categorie di cui all'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431, da sottoporre a specifica normativa d'uso per la loro tutela e valorizzazione” (articolo 13, comma 1, lettera e);

In Veneto la legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 stabilisce in via generale che “il piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e il piano territoriale provinciale (PTP), nonché i piani regolatori comunali sottopongono a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il territorio includente i beni ambientali, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 149 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490” (articolo 5.3).

In via generale, quindi, le leggi regionali affidano al piano provinciale il compito di definire la disciplina paesaggistica di area vasta, riservando alla regione compiti prevalenti di indirizzo (tranne in Emilia Romagna e in Liguria, regioni nelle quali è stato approvato un piano paesistico regionale, confermato quale riferimento principale). Al piano territoriale provinciale competono anche il coordinamento e l’integrazione dei piani relativi alla protezione della natura e alla difesa del suolo, portando a sintesi (per quanto possibile) la disciplina ambientale e paesaggistica. Spetta successivamente ai comuni recepire e – ove occorra - specificare le disposizioni dei piani territoriali nei propri piani regolatori e, in particolare, nella componente strutturale di questi ultimi, avente validità a tempo indeterminato.

Un ultimo accenno merita la nuova legge urbanistica regionale della Toscana che, ad un decennio esatto di distanza, aggiorna la precedente normativa, a suo tempo pioniera della nuova produzione normativa regionale.

Nel primo articolo relativo al titolo “Tutela e uso del territorio” (articolo 31) si dispone che "gli strumenti della pianificazione per il governo del territorio concorrono tutti a definire, con particolare riferimento ai beni tutelati ai sensi degli articoli 32 e 33, le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela, nonché gli interventi di valorizzazione del paesaggio di cui all'articolo 35, in relazione alle prospettive di sviluppo sostenibile".

Mi pare che non ci sia molto da aggiungere: in molte regioni l’integrazione tra pianificazione paesaggistica e pianificazione generale, ad ogni livello, è un dato acquisito e sancito dalla legge. Non si comprende perché i comuni e le provincie (particolarmente bistrattate dalla proposta di legge nazionale) debbano rinunciare ad occuparsi della tutela e dei beni culturali e del paesaggio. La proposta di netta separazione è quindi foriera, per l’ennesima volta, di conflitti tra Stato ed enti locali, con grave danno per il funzionamento complessivo dell’amministrazione pubblica.

Monaco di Baviera, 23 dicembre 2004 - In occasione di Natale un saluto particolare dalla Baviera e un grazie almeno virtuale per il tuo bel lavoro che dammi un respiro di speranza.

Faccio sempre un gioco su Italia con una collega, la direttrice delle pagine culturale della rivista 'mare' (una bellissima rivista tedesca che si occupa solo con il mare in tutti i sensi.) Lei, una mezzaitaliana (padre un Barese), nata in Svizzera, e molto severa con l'Italia d'oggi ed io, tedesco tedesco, con un cuore per la cultura italiana, critico anche ma forse un po' meno. Se ci sono fenomeni negativi da registrare in Italia vince lei un punto, talvolta (p.e. la "Salva Previti ) anche di più. Un punto per me quando si vede una speranza democratica o civile in Italia. Naturalmente (o purtroppo) lei vince sempre lo scudetto. Ma quando ho segnalato a lei il tuo sito eddyburg.it mi ha subito scritto: "Questa vale tre punti per Carlo a Monaco". Era molto entusiasta per la speranza 'Eddyburg' a Venezia.

"Bisogna operare. Non pensare al bene fatto, ma a quello che resta da fare" (da un certo Don Ferdinando Maria Baccilierì, trovato in una chiesa romana)

Grazie Carl, a te e alla direttrice della rivista Mare.

Roma, 22 dicembre 2004 - Potrei semplicemente concordare con il tuo commento alla mia nota 11.12.04 con la quale, rispondendo alla tua 15.10 e a quella di Ballardini 16.10, centrate sui problemi politici del momento, proponevo il ritorno ai temi urbanistici, ma mi preme insistere sul fatto che, ferme restando la preminenza, l’attualità e urgenza della dimensione politica, il mio intento era, ed è,che essa sia affrontata non col tono della denuncia, ancorché giusta e dovuta, ma con atti, o almeno proposte. “in positivo” su temi concreti e praticabili.

Penso che questi, in questo momento, si possono trovare nei problemi urbanistici del nostro tempo, del nostro Paese e del mondo, sui quali è per noi possibile (e forse dovuto) richiamare l’attenzione della gente, e magari anche dei politici della Sinistra.

Dobbiamo proporre e praticare, sia pure nel minimo possibile, una urbanistica nuova e convincente, perché intonata sui problemi reali della gente. A cominciare dalla gestione efficiente ed onesta delle città. Non le grandi opere (da lasciare ai governi d’affari), ma le cose indispensabili ( seguendo la vecchia lezione berlingueriana dell’austerità), perseguendo la bellezza insieme all’utile, etc., etc. Questo potrà richiedere di correggere qualche canone della nostra vecchia ortodossia, ma anche di superare tanti sfarfallamenti pseudomodernisti alla moda (e pelosi) e di riconfermare (ed è il più importante) i nostri antichi principi, che vengono da lontano e hanno radici profonde e sicure. Mi sta bene quindi che “torniamo all’urbanistica”, e al più presto: proprio per fare politica.

D’accordo. Ma gli sforzi che si fanno alla periferia dell’impero (penso a tanti bravi e onesti tecnici nelle amministrazioni comunali, provinciali, regionali) per proporre e praticare, come tu dici, un’urbanistica “nuova e convincente, perché intonata sui problemi reali della gente”, sono continuamente frustrati, impediti, cancellati dal generale prevalere di quella concezione della pubblica amministrazione e della pianificazione territoriale e urbanistica che trovano nel pasticcio urbanistico Lupi la loro espressione. Il male è profondo. E poche le voci che sembrano accorgesene (Tra queste, ti segnalo una lettera di alcuni assessori pubblicata da Liberazione giorni fa, e anche in Eddyburg)

Tu dici “a cominciare dalla gestione efficiente ed onesta delle città”. Cominciamo pure da lì. Hai esempi interessanti da documentare? Io molto pochi, e nei limiti delle mie possibilità cerco di farlo. Poi penso al pur bravo sindaco Veltroni: vogliamo misurare quante aree di Villa Borghese ha lasciato privatizzare? Il fatto è che la cultura politica, che “comanda” quella amministrativa, non conosce più alcune grandi discriminanti: pubblico/privato, collettivo/individuale. Non voglio dire che i secondi termini delle diadi sono il cattivo, ma voglio ricordare ciò che tutti dovrebbero sapere: che, nel governo della città, è al pubblico e al collettivo che deve essere riconosciuto il primato.

Torino, 21 dicembre 2004 - Il 15 dicembre scorso il presidente Ciampi ha firmato la legge delega ambientale e "misure di diretta applicazione". Non e ancora in G.U. Avevamo sperato in un miracolo: evidentemente, per il presidente e bastato solo rispedire al mittente la legge di riforma sulla giustizia. Forse il viaggio in Cina lo ha distratto... Non sono bastati gli appelli e le firme di Italia Nostra. Occorre una seria riflessione anche su questa vicenda e soprattutto le conseguenze sul territorio di "quelle misure di diretta applicazione" che ci spaventano molto.

Non è la prima volta che ci accorgiamo che il territorio è (per usare un eufemismo) considerato poco- Forse si pensa che le ferite alla giustizia e ai meccanismi della democrazia sono meno risarcibili rispetto a quelle inferte ai patrimoni comuni materiali. Secondo me è un errore di valutazione, ma ci cascano in molti.

Roma, 19 dicembre 2004 - caro Eddy, l'appello che ti invio è il segnale di una situazione davvero allarmante che si sta verificando in tutta Italia. Le multisala che sorgono nelle periferie, spesso accanto agli ipermercati, determinano una forte accelerazione nel processo di sfibramento del tessuto già fragile dei centri storici. E' avvenuto a Roma dove Warner Village e simili hanno concorso alla chiusura di decine di sale cinematografiche importanti nella zona centrale e semi-centrale di Roma (dalla Balduina rimasta senza una sola sala, dormitorio perfetto, a Capranica, Capranichetta, Rialto, Quirinale, Etoile, ecc. ecc.). E' successo a Voghera dove la famosa casalinga, specie se in età, non può più andare a vedere un film perché tutte e quattro le sale cittadine sono state "uccise" dalla programmazione, peraltro tutta commerciale, della multisala vicina all'Iper di Montebello. La vera pianificazione dei consumi di ogni tipo la fanno quindi, dall'esterno dei Comuni stessi e al di fuori di ogni pianificazione effettiva, la grandissima distribuzione e le multisala. Il fenomeno è sempre più diffuso e dirompente. Esso concorre a snervare quanto resta del tessuto urbano e dei servizi collettivi che esso offriva. Le più recenti statistiche confermano che l'Italia è il Paese più automobilistico d'Europa con un'auto ogni 1,69 abitanti (nel Lazio, una ogni 1,49) contro una media europea di un'auto ogni 2 abitanti. Un'autentica follia. Si configura così, sempre più, una società a misura di automobile e sempre meno a misura d'uomo. Con masse di anziani costretti in casa a rincitrullire davanti alla televisione (e a che televisione!), senza più lo svago (né il moto) della passeggiata per andare e tornare dal cinema di quartiere o della città e cittadina. E gli altri forzati a prendere comunque la macchina, a farsi inscatolare tutti i giorni, pure in quelli festivi. Mentre le città si disertificano sempre più. Auguri sinceri

Il guaio è che stanno distruggendo le città italiane nei loro caratteri più "urbani", e ciò avviene nella totale indifferenza delle forze politiche anche di sinistra. L'urbanistica non è più di moda: come se fosse cosa che riguarda gli urbanisti, e non tutti i cittadini. Ma forse siamo diventati solo "clienti", e non siamo più "cittadini". Certamente firmo l'appello che proponi, e che riporto in calce

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DICHIARAZIONE DI SDEGNO

Noi sottoscritti dichiariamo il nostro sdegno per l'ennesimo colpo

inferto alla vita del centro storico di Pesaro, con la chiusura del

Cinema Moderno e la sua trasformazione in mini appartamenti. Chiediamo al Sindaco e alla Giunta un impegno concreto per impedire questa umiliazione alla città il cui centro è da alcuni anni in costante

perdita di vita sociale, culturale e di identità.

L'appello firmato va inviato a
61100@libero.it

Roma, 19 dicembre 2004 - Caro Eddy, i lettori del giornale dell'architettura hanno dichiarato (pag. 12 del numero di dicembre) che tra i siti internet che visitano c'è anche Eddyburg, mi pare un riconoscimento intanto ai lettori del giornale dell'architettura poi anche a te. Tra i siti citati è l'unico diciamo non istituzionale, che non ha dietro una casa editrice, un prodotto da vendere, un'associazione di qualche tipo, ma solo la passione civile.

Grazie della segnalazione, apena torno in Italia compro l'utile rivista di Carlo Olmo.. E grazie anche della deliziosa cartolina di ElleKappa, che inserisco qui

Caro Eddy, i temi che mi piacerebbe trattare sono tantissimi, troppi, ma la tristezza per il tempo che stiamo vivendo è tale che quasi non ce la faccio a parlarne o scriverne; quindi mi limito ad un solo argomento, che mi angustia due volte: come cittadina che lo subisce e come funzionaria della pubblica amministrazione che lo deve pure gestire. Si tratta, ovviamente, del condono che con gli ultimi interventi legislativi di questo governo "finalmente" ha espresso tutto il suo potenziale.

Se in regioni con un più alto tasso di rispetto per l'ambiente, per i diritti dei cittadini, per la tutela delle risorse inalienabili dello Stato (?), gli effetti di queta follia legislativa forse saranno contenuti, qui, in Campania, nella mia regione, non potranno che realizzarsi, come di fatto si stanno realizzando, ulteriori disastri e alla distruzione del territorio si sommerà la devastazione ancora più grave della coscienza civile di cittadini che già da tempo sembrano non saper più distingere il lecito dall'illecito, i propri bisogni dal diritto della collettività. I proclami della Regione Campania contro questo condono (per colpa della crisi del governo regionale o per paura di andare coerentemente fino in fondo) sono rimasti lettera morta e della legge regionale non si parla più, dopo l'inutile pubblicazione estiva del disegno di legge.

Resta la legge statale che è stata "perfezionata" (quando ho letto dello slittamento dei termini al settembre di quest'anno credevo che si scherzasse) buttando giù anche gli ultimi paletti delle esclusioni per vincoli ambientali. Resta la sostanza sociale del fenomeno: chi in questi mesi ha fatto i fatti suoi (anche se lo abbiamo colto sul fatto e se è partito il procedimento amministrativo nei suoi confronti) alla fine non ha sbagliato, anzi si trova in mano un investimento che non ha paragoni con nulla...

Fare il proprio dovere in questa temperie è davvero duro e applicare questo tipo di leggi, anche se dovuto, è sconsolante.

Non è la prima volta, nella nostra storia, che si attraversano tempi molto bui. Portroppo abbiamo imparato che lo sviluppo delle civiltà umane (e della civiltà umana che tutte dovrà comprenderle) non è lineare: a epoche di progresso fanno seguito epoche di regresso, o di stasi. Ma quando il progresso riprende, ciò che certamente si scopre è che la ripresa è avvenuta perché, nella generale cupezza, c’è qualcuno (pochi, molti, qualche pattuglia, una moltitudine) che ha resistito alla vergogna, al cedimento: ha sentito e ha deciso che si poteva, e quindi si doveva, rifiutarsi di “accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più”, come ha scritto Italo Calvino. Non è detto che oggi (o alle prossime elezioni) la speranza sia premiata, ma senza qualcuno che la coltivi il futuro non è possibile. Si o no?

Bologna, 07.12.2004 - Salve, sono , sono laureato in Lettere Classiche all'Università di Bologna con una tesi in Geografia delle comunicazioni, con relatrice la prof.ssa Paola Bonora, sui forum telematici nei comuni dell'Emilia Romagna, strumenti che vengono utilizzati per creare un rapporto dialogico tra amministrazione e cittadino su tantissimi argomenti...Qualche settimana fa ho partecipato ad un convegno a Bologna, nella sede del quartiere S. Stefano, nel quale lo spunto di discussione sulle nuove frontiere della democrazia partiva dalla tesi di laurea di Cinzia Rinzafri sull'urbanistica partecipata e su Gio.Co.Mo. Ebbene l'argomento mi è parso molto interessante e per l'esame di ammissione al dottorato (in Storia d'Europa: identità, territorio e cittadinanza), al quale sono stato ammesso ho proposto un progetto di studio proprio su tali argomenti. A riguardo mi è stata molto molto utile la lettura della tesi della Rinzafri e la discussione pubblica da lei supportata, e vorrei chiederle, approfittando della sua competenza, alcune informazioni riguardo ad una prima distinzione che ho incontrato nell'approfondire l'argomento e sulla quale sono un po’ confuso. Cioè vorrei capire ( e sapere se a riguardo ci sono dei testi) qual'è e se c'è una distinzione metodologica e concettuale tra pianificazione partecipata e urbanistica partecipata. Dove posso trovare informazioni a riguardo?

La ringrazio ancora per l'attenzione, a presto,

Non sono termini consolidati. Sono tre concetti diversi: "urbanistica" (la scienza, o tecnica, che si occupa della città), "pianificazione" (un metodo, e un insieme di strumenti, inventati per governare le trasformazioni), "partecipazione" (un'aspirazione, un obiettivo, una serie di tecniche per accrescere l'intervento dei governati sul governo). Forse chi parla di "urbanistica partecipata" intende esprimere un interesse più largo e più generico alla questione dell'intervento dei governati (del popolo) alla conoscenza e all'azione sulla città, chi parla di "pianificazione partecipata" allude all'intervento di soggetti estranei alla coppia tecnici-decisori nelle operazioni volte al governo delle trasformazioni. Inserisco la sua lettera e la mia risposta nella "posta ricevuta", così magari qualcun altro ci aiuta a capire meglio.

Udine, 11.11.2004 - La visita alle Fiamme Gialle è l'occasione, per Berlusconi, per ribadire un concetto. Ovvero che ''C'è una norma di diritto naturale, che dice che se lo Stato ti chiede un terzo di quello che con tanta fatica hai guadagnato, questa ti sembra una richiesta giusta, e glielo dai in cambio di servizi che lo Stato ti dà. Se lo Stato ti chiede di più, o molto di più, c'è una sopraffazione nei tuoi confronti e allora - continua Berlusconi - ti ingegni per trovare dei sistemi elusivi o addirittura evasivi, che senti in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralità, e che non ti fanno sentire intimamente colpevole.''. Mi domando davvero se queste parole, oltre ad essere immorali, in quanto proferite da un Capo del Governo che ha la funzione di garantire il rispetto delle leggi del Parlamento, non costituiscono gravissimi atti di sovversione istituzionale e di incitazione a delinquere. Se si pensa poi che queste parole sono state dette dal capo di Governo di fronte agli organi della polizia dello Stato preposti alla repressione dell'evasione fiscale, allora quelle parole suonano anche come chiara incitazione a non indagare, a non svolgere il proprio ruolo di polizia. Insomma il Capo del Governo in carica dichiara agli italiani di non pagare le tasse, di auto-ridursele se superano il 30 %. Tanto prima o poi ci sarà il condono fiscale e quello non subisce rinvii. E mi raccomando: che le guardie chiudano un occhio. In fondo quei poveracci che non pagano le tasse sono solo sopraffatti dall'ingordigia dello Stato ladrone. Terzo e forse più grave. Il Capo del Governo ha detto a chiare lettere che se il cittadino ritiene che la legge è ingiusta, ha il dovere di infrangerla, purchè si senta a posto con se stesso. Il singolo è e fa la legge. Lo Stato non è la legge. E o no questa sovversione ? Questo è il rappresentante di un paese ... civile nel quale tanti individui asocializzati rendono omaggio e grazia e non pagano le tasse.

Non ho parole. Mi domando se non possa essere incriminato. Mi domando come si possa vivere in uno Stato in cui il Capo del governo dice che i ricchi possono non pagare le tasse mentre i poveri devono. Mi domando come fanno i tanti che non si indignano.

Milano, 04.11.2004 - Caro Eddy, il 30 ottobre, nella lettera di accompagnamento al pezzo sulle Nuove Milano, ho accennato, fuori sacco, all’intervista di Martinotti su Repubblica del 22. Scrissi: “Martinotti sfonda porte aperte da noi vent’anni fa”; intendevo in particolare riguardo al tema dello spopolamento delle città e altri fenomeni connessi, come il contrasto fra le due Milano del giorno e della notte.Poi leggendo su Eddyburg il “grido di allarme” di Emiliani e il tuo commento relativi – per l’essenziale – allo spopolamento e alla “commercializzazione” delle città, da Urbino a Roma a Venezia, ho ripensato alla sorte di Milano e sono andato a rileggere un lungo saggio, Milano uno spazio in sfacelo,pubblicato su polinewsia, rivista del Politecnico, appunto vent’anni fa, il 13 aprile 1984. Te ne propongo un pezzetto. La situazione “giornalistica”, ora, è simile a quella dell’estratto su Bologna che, ripubblicato venticinque anni dopo, evidenziava argomenti d’attualità. Il testo non ha subito alcuna modifica; ho aggiunto minimi riferimenti all’attualità con corsivi in parentesi quadre e un corsivo alla fine. Vedi cosa farne; nel caso, dagli tu un titolo e crea il collegamento con “il grido di allarme” e con la tua Venezia (come qui sopra).

Grazie Lodo, il tuo articolo è nella cartella dedicata a Milano

Roma, 29.10.2004 – Urbino, alla quale ho dedicato il mio ultimo libro "L’enigma di Urbino. La città scomparsa" uscito da Aragno - rappresenta certamente un caso-limite : il calo dei residenti entro le mura è pari all'86 per cento rispetto al 1951, con la punta incredibile del 95 per cento nel quartiere del Duomo. Dei 350 residenti da me ricontati assieme ad altri testimoni si è precipitati a 16 abitanti appena. Il quartiere è occupato da Istituti universitari (e per i grandi palazzi era pressoché inevitabile) e da "pollai" per studenti creati dagli affittacamere. Le ultime notizie - che nel libro non sono riuscito ad infilare - sono queste : alcuni contenitori sarebbero stati di recente acquistati da investitori della Riviera romagnola, riminesi in cerca di investimenti di "rapina" ad alto reddito.

La periferia, per contro, si è molto estesa nonostante che tutto il Comune (molto vasto, 23.000 ettari) si sia spopolato scendendo da 23.000 a 15.000 abitanti (-34 per cento). Anche lì Villettopoli avanza.

Tutte le città universitarie vivono processi analoghi, ma con patologie meno gravi. Altre città divenute sedi universitarie di recente hanno fissato un "tetto" massimo agli iscritti : per es. Cesena dove il numero chiuso è stato posto a 5.000 iscritti. Nella città romagnola, anni fa, venne restaurato e recuperato in pieno centro storico il quartiere popolare della Valdoca che, con grande piacere, ho visto giorni fa a tarda sera con tante finestre illuminate. Qui si ha ben presente che il piano Fanti-Cervellati attuato, a partire dal 1970, per molti edifici minori (e quindi abitati da ceti poveri) a Bologna venne insabbiato proprio dalla lobby potente degli affittacamere e dei bottegai.

A Cortona - dove il Comune ha cercato di contrastare la tendenza allo svuotamento - la popolazione del centro storico è scesa, ma in maniera drammatica. Forse perché lì gli stranieri hanno comprato casa dentro le mura o nei pressi divenendo residenti. Per contro a Viterbo i residenti sono letteralmente crollati nel deceiio 1990-2000 : da 19.000 a 10.000. Una rotta. E il degrado avanza. A Genova lo spopolamento è stato molto forte in passato, ma nel ventennio 1981-2000 il calo è rallentato : le tre Circoscrizioni storiche, Pré, Maddalena e Molo, hanno perduto complessivamente 4.245 residenti su 27.461 ( - 15,45%). Ne ha perduti soprattutto il quartiere del Molo (- 2.715, cioè - 21,7 %). Spopolamento più limitato quindi, specie nel quartiere, molto popolare, di Pré ( - 10,06 %). Dopo tanti anni di progetti si sono di recente innescati processi di recupero e di riuso che poggiano sul Porto Vecchio divenuto sede di Facoltà universitarie, dell'Acquario, di ristoranti, ecc. Un pezzo di città. Interessantissimo.

Nel Sud, all'opposto, lo spopolamento è stato in alcuni centri pressoché totale, fino ad una rioccupazione "storica" da parte di immigrati arabi, maghrebini. E’ accaduto anche a Palermo, nella Kalsa. Sulle Madonne centri storici come Gangi si stanno letteralmente svuotando.

A Roma, nel 1945, erano poco meno di mezzo milione i residenti entro le Mura Aureliane (più Borgo, credo). Ora siamo sui 130.000 ufficiali che salgono a 150.000 con altri abitanti quasi fissi. Insomma si può dire che il calo di residenze sia stato del 66 per cento, con punte più alte nelle zone (Campo Marzio, per es.) vicine a Camera e Senato e minori riduzioni nei rioni come Monti o Ponte che male si prestano ad uffici, studi, ecc. Certo, anche lì c'è stata una sostituzione di popolazione : ceti borghesi in luogo di ceti popolari, con una presenza artigiana ancora abbastanza forte e vitale. Ma dove il Comune ha largheggiato in licenze per bar, trattorie, pizzerie e pub (vedi rione Parione, dintorni di Piazza Navona o di Trevi), la devastazione sociale è molto avanzata e con essa il deserto delle residenze. I soli interventi romani sul modello Bologna sono quelli di San Paolo alla Regola e, soprattutto, di Tor di Nona dove di recente (decenni dopo!) sono state insediate botteghe e laboratori artigiani prima spiazzati da abusivi dediti allo spaccio e simili, sloggiati con grande spiegamento di polizia. Pochi mesi fa. Per contro, pur essendo la popolazione del vastissimo Comune in netto calo ( - 250.000 abitanti fra i due ultimi censimenti), il consumo di suoli si mantiene elevatissimo, fra costruzioni legali e abusive. Queste ultime, da sole, si sono divorate nell’ultimo mezzo secolo circa 18.000 dei 150.000 ettari dell’intero Comune (oggi ridotti per la nascita del Comune di Fiumicino)

Il grido di allarme che ho voluto lanciare raccontando la vicenda esemplare di Urbino riguarda ormai tutta Italia. Il vero enigma è come mai un popolo evoluto dissipi contemporaneamente due patrimoni straordinari : i suoi centri storici, le sua città antiche (anche le meglio conservate) e la campagna circostante, l’ambiente, il paesaggio. Tanto che fra città e campagna non c’è più interruzione spesso : il continuum cemento+asfalto è terribile.

Il tuo bel libro, e la tua lettera, pongono all’attenzione di chi ti legge un problema certamente grave. Gli anni delle iniziative bolognesi di Pierluigi Cervellati, di quelle cesenesi di Eddy Pregher, e delle altre che si sono sviluppate attorno agli anni Settanta sembrano ormai lontane. Il fatto è che la politica, anche quella di sinistra, ha voltato le spalle a quella che definirei la "urbanistica sociale". Una volta ci si poneva concretamente (cioè adoperando la pianificazione urbanistica e la politica della casa) l’obiettivo di conservare ai quartieri antichi e ai centri storici quella composizione sociale e quella complessità di funzioni che rendeva belle e vive quelle parti di città. Tu hai parlato di Bologna, di Cesena, di Roma – e della tua Urbino, i cui decenni trascorsi evochi magistralmente nel libro.

Vorrei accennare a Venezia, dove la "nuova" sinistra, quella affascinata dal liberismo, ha smantellato le difese che la "vecchia" sinistra (ma non solo quella) aveva eretto contro l’invadenza delle funzioni turistiche, contro la commercializzazione della città, contro la trasformazione delle residenze in locande e dei negozi ordinari in rivendite di junk. Alla politica sociale pubblica della casa, alla difesa rigida delle destinazioni d’uso definite nei piani, si è sostituito il laissez faire, laissez aller in campi nei quali i liberali hanno da tempo dimostrato che il mercato non esiste, e se esiste fa danni.

Un esempio? Il sindaco Casellati e l’assessore Cecconi si erano battuti per anni per impedire l’apertura di un fast food in Campo San Luca, e abbiamo tutti respirato quando si è riusciti ad applicare una legge che consentiva di impedire la sostituzione di esercizi commerciali tradizionali; il primo atto della giunta Cacciari fu quello di revocare quella delibera. Un altro esempio? Il piano regolatore del centro storico veneziano (al quale io stesso avevo lavorato, e poi era stato completato da Boato e Salvagno) impediva di sostituire le residenze con altre utilizzazioni; quello successivamente predisposto da Benevolo e D’Agostino ha liberalizzato lemodifiche di destinazioni d’uso.

Il problema, caro Vittorio, è politico . Finché la politica non riscoprirà la città come luogo nel quale si svolge un conflitto tra gli interessi contrastanti della proprietà immobiliare e dei cittadini che la abitano e vi lavorano, e finché non si schiererà in questo conflitto con coerenza, continueremo a registrare e a piangere quelle cose miserevoli che tu riporti sotto gli occhi di chi ti legge: svolgendo n lavoro meritorio che ormai sono pochi a fare.

Roma, 02.12.04 - Caro Eddyburg, il dibattito, che si era avviato per tuo mezzo, si è allargato di molto, non per il numero dei partecipanti, sempre troppo esiguo, ma per il tema, che dall’urbanistica si è esteso alla politica, a quella della Sinistra in particolare. L’estensione non deve sorprendere, perché nel nostro dibattito si era già parlato di politica urbanistica della Sinistra, ma poi anche perché, non illudendoci di presunte neutralità, sappiamo che tra urbanistica e politica l’interferenza è naturale , in bene e in male. Se non riconoscessimo questo, rischieremmo proprio di cadere in quelle technicalities, che tu, ancora di recente. hai avvertito di scansare..Ora, nella tua nota 15.10. 2004 si denunciano puntualmente le pregresse responsabilità della Sinistra nelle bordate, con le quali il Parlamento, non tanto il Governo, sta spezzando gli alberi maestri della nostra democrazia (ambiente, ordinamento costituzionale dello Stato).

Bruno Ballardini nella sua nota 15.10 aveva detto, papale papale, che “ è arrivato il momento di riformare la Sinistra, che così non funziona”, e propone, in sostanza, di non più sostenere col voto i suoi attuali esponenti. Scontato se le cose dette nella prima nota sono fatti innegabili, sui quali non c’è dubbio, desidero dire qualcosa della seconda, della quale condivido lo stato d’animo, meno la sua estrinsecazione e le cose che vi sono dette. .Non capisco perchè la riforma della Sinistra dovrebbe sfociare in un “bipolarismo all’americana”, che è concetto politico formale (e un po’ tanto avvocatesco), quando le questioni , per noi, sono terribilmente sostanziali: riguardano gli uomini, le idee, le cose date, e quelle possibili e attese, e la pratica azione politica, che si può mettere in atto nel luogo e tempo determinati. Penso, cioè, che qualunque cosa si proponga di fare debba essere, come si usa dire, “in positivo”, configurandosi come vera e propria proposta politica.

Per spiegarmi, e venire alle cose nostre, dal punto di vista di semplice urbanista penso che a nostra categoria abbia molto da dire a sinistra, ma non solo, e soprattutto alla gente, sui problemi propri del nostro mestiere: temi del nostro Paese e del mondo, comuni a ogni schieramento ideale e politico. Con il che, dovremmo tornare alle “questioni” dell’urbanistica, trattate qualche settimana, o mese addietro; a dibattere e approfondire le quali, sia le più generale e alte, sia quelle che possono sembrare un poco “tecnicalities”, mi auguro che siano di motivo e incentivo queste ultime divagazioni nel mare più aperto , ma anche più mosso e incero, della politica.

Come ricordi, politica e urbanisstica sono dimensioni strettamente legate.

Ci sono momenti nei quali il peso della politica (sulla politica) è talke che sovrasta ogni altra cosa. Spero che ci saranno presto le condizioni per tornare a parklare tranquillamente del nostro mestiere, sebbene nopn si debba abbandonarlo neppure adesso.

Padova, 01.12.2004 - Caro Salzano, ti invio in allegato alcuni articoli sulle vicende urbanistiche padovane degli ultimi anni. Dopo una lunga battaglia condotta - come Legambiente - contro una Variante al PRG adottata dalla Giunta di centrodestra, che prevedeva una nuova cubatura edilizia di oltre 2 milioni e mezzo di mc e la cementificazione (con elevati indici di perequazione) delle poche residue aree verdi del territorio periurbano, speravamo che con la vittoria del Centrosinistra vi fosse una radicale inversione di tendenza negli indirizzi urbanistici dell'Amministrazione e che si procedesse speditamente - attraverso reali processi partecipativi - verso una riprogettazione in chiave ecologica delle trasformazioni urbane. In questo senso avevamo raggiunto precisi accordi in campagna elettorale con il candidato Sindaco, di cui vi è chiara traccia nel programma presentato agli elettori e poi approvato dal nuovo Consiglio Comunale. Purtroppo le prime iniziative della nuova Amministrazione sembrano riproporre vecchie logiche, riconfermando nella sostanza gli indirizzi urbanistici della precedente Giunta.

Come potrai vedere dai documenti che ti allego, su questo tema siamo riusciti ad aprire un confronto pubblico piuttosto acceso, che ha guadagnato le prime pagine della stampa locale per alcune settimane e che ha innescato (in occasione del dibattito in Consiglio Comunale, per iniziativa dei Verdi e di Rifondazione) una semi-crisi di Giunta, poi rientrata. La Variante alla Variante predisposta dal nuovo Assessore all'Urbanistica ed adottata dal Consiglio Comunale è attualmente in pubblicazione e si sta avviando la fase delle Osservazioni. Ti sarei grato se potessi inviarmi un tuo parere nel merito delle questioni affrontate e delle metodologie urbanistiche che sottendono gli indirizzi della Variante di PRG adottata dal Comune di Padova (con la consulenza, almeno nella fase di studio iniziale, di Campos Venuti ed Oliva).

Un cordiale saluto,

, Presidente di Legambiente Padova

Ti ringrazio. Inserisco nella cartella Città e territorio / Corrispondenze il pezzo che mi hai mandato. Buon lavoro a Padova. Ormai per certi aspetto le differenze tra sinistra e destra non si avvertono più: non è la prima volta che le cronache dell’urbanistica lo testimoniano. Nuove cubature nei cunei verdi del PRG di Luigi Piccinato: sulla base di quale necessità? Di quale calcolo del fabbisogno? Per quali capacità di spesa, a che prezzi, con quali controlli? Accompagnate da quale politica della casa?

Padova, 29.11.2004 - Seguo con interesse il dibattito su questo portale, condividendo le preoccupazioni di molti, riguardo alla riforma urbanistica che si sta delineando con consensi spesso trasversali o per dirla alla moda, bipartisan. Eppure a me sembra che questo genere di riforme non facciano altro che legittimare una pratica che si è consolidata e diffusa da molto tempo. Imbocchiamo una qualsiasi statale del nord-est, apriamo gli occhi e osserviamo. Il tappeto di villette unifamiliari, i bussolotti dell’edilizia usa e getta delle aree industriali diffuse, i più recenti centri commerciali, direzionali, di servizi, ogni zona è frutto di pianificazione ed ogni zona è frutto di trattativa elettorale, di casi particolari risolti, la casa per la figlia che si sposa, il nuovo capannone per non perdere il contributo, il centro commerciale che dà lavoro, anche se interinale.

Si parla di rigidità della pianificazione classica, eppure non c’è nella storia europea niente di più flessibile di un PRGC modificato annualmente con le sue brave varianti. Se a Roma il nuovo piano regolatore prende atto, e legittima ufficialmente, l’abusivismo edilizio, nel nord est tutto avviene secondo la legge, anche se spesso sono leggi ad hoc, modificate anch’esse annualmente come la L.R. 52/91 del FVG. Mi sono sempre chiesto, in quale paese dell’Europa allargata una legge urbanistica, ambientale, o sul falso in bilancio, è modificabile a piacere di questa o quella maggioranza? Appare allora evidente che la crisi di cui si parla è una crisi culturale, una crisi che scambia il progetto con il compromesso. Se la carta di Atene parlava di trasformare le città per garantire il diritto all’aria pura, alla luce e al verde, nel nostro paese si è pensato fosse sufficiente dare un poco, no un pochino, cioè abbastanza, va bene un pochetto di aria pura, di luce, di verde.

Quanti progettisti e amministratori realisti, pragmatici, che vanno al sodo, che fanno muovere l’economia, ci sono anche nell’Italietta di sinistra? Perché le economie del resto dell’Europa si sono mosse sempre, pur bloccando l’espansione del costruito? Forse perché in Germania si progetta e si realizza l’umanizzazione dei Wonunggebiet, gli insediamenti periferici della DDR che tanto piacevano a Carlo Aymonino, e qui da noi il dibattito giornalistico verte sul “Dente cariato” di Roma rivestito di travertino, ma con le vescichette alla moda, oppure sui tramezzini verticali dell’ex fiera di Milano, per inciso mi piacerebbe conoscere gli assistenti sociali artefici del recupero di Ligresti. La crisi è dunque culturale, venute meno le ideologie contrapposte che permettevano involontarie tutele del territorio per veti incrociati ora, spaventosamente, ci troviamo di fronte a questo nulla che, purtroppo, lascerà profonde ferite sulla nostra fetta di Terra (intesa come pianeta).

Che cosa si può fare? Personalmente credo, e mi impegno, per una sostenibilità che sia “l’arte di produrre benessere con sempre minor impiego di risorse” (Wolfgang Sachs) quindi anche di suolo. Mi piacerebbe discutere di piani regolatori delle demolizioni, in cui si toglie un po di robaccia e si fa crescere vegetazione, di architettura leggera, temporanea (30 anni) da non tramandare ai posteri, mi piacerebbe veder limitato l’uso del cemento armato ad opere importanti alla Nervi. Al posto di parole vetero-democristiane quali perequazione mi piacerebbe parlare di partecipazione, di contratti sociali che definiscano le regole della convivenza della cittadinanza, partendo dai concetti di limitatezza delle risorse, di responsabilità, di sostenibilità, di accessibilità nel senso più ampio. Io credo che al lamento sulla degenerazione attuale si debba sostituire l’impegno a contribuire ad una nuova cultura urbana prima che urbanistica. I regimi passano lasciando il loro strascico di macerie, anche se sottoforma di costruzioni, agli uomini di buona volontà resta il compito di costruire anche magari demolendo.

Come non darle ragione? Le responsabilità del mal-fare sono diffuse. Anche se c'è chi determina il clima e chi ne è determinato. Tra questi, c'è chi potrebbe concorrere a cambiarlo e non lo fa per pigrizia o vigliaccheria, e chi è soltanto succube.

Milano, 23.11.2004 - 1. Eh, già... la nuova legge urbanistica sarà ancora peggiore di quanto temessimo da quando sono cominciati i nostri interventi contro il nuovo corso Inu, contro Avarello, Lupi, ecc. Il 3 novembre "Il Sole 24 ore" riportava un'intervista al presidente dell'istituto col sottotitolo Avarello (Inu): avanti con la legge Lupi di riforma. Del resto il caso di Milano (in principio la Bicocca, ma come manifesto a grande dimensione di un modo di intervenire nel corpo della città da tempo impiegato; poi i nuovi, assurdi progetti sui più significativi dei quali ho già scritto) l'abbiamo citato più volte quale anticipata applicazione della nuova "urbanistica" (anche qui, come per certe parole virgolettate da Eddy, quei segni ortografici sono obbligatori e stanno ad indicare che l'urbanistica è morta, per me, o sta per morire, per voi). Se la proposta della Margherita s'incontra veramente con quella estremistica non vedo come ci possiamo salvare dalla distruzione che per me, come sapete, è già quasi compiuta. I Ds che ci stanno a fare? Per noi che veniamo da lontano (quantomeno Eddy e lo scrivente), la delusione e la preoccupazione sono davvero enormi. Ma quando ci è capitato di leggere qualche passo serio sulla politica urbanistica nei documenti della sinistra partitica? Forse solo nel programma di Cofferati per Bologna e dintorni. La realtà, bruta e brutta, è che nella sinistra i termini urbanistica, architettura, città, territorio, natura, ambiente, paesaggio... possono essere scritti o detti per caso, non hanno dietro niente. Dopo le elezioni amministrative abbiamo sperato nei nuovi compiti che nuovi e vecchi comuni del centrosinistra avrebbero potuto svolgere: ma siamo sempre allo stesso punto: sperare sperare sperare e poi resistere resistere resistere. I grossi comuni già da tempo governati dalla sinistra, in quale strada si cono incamminati? A leggere Erbani su Firenze (L'assedio degli architetti, Repubblica 20.11.04) sembra che ben poco li distingua quanto a scelte esecutive, a parte la presenza del piano regolatore che invece a Milano proprio non esiste più. Non solo sono preoccupato, sono altresì incazzato mentre leggo "sono ben quarantasette i comitati sorti a difesa del centro storico e di aree verdi minacciate", e in parallelo "per il Comune siamo invece a una svolta con l'arrivo di grandi progettisti, da Norma Foster a Jean Nouvel". Non se ne può più con la faccenda dei Grandi (?) chiamati dagli ignoranti amministratori (sì, anche il sindaco di Firenze) come fossero gli dei salvatori mentre, al contrario (vedi Milano, appunto con Foster, Lebeskind ecc.ecc ), esibiscono loro forme più o meno fantasiose nel più totale disinteresse dei contesti e della storia. Ma a Firenze, mi si obietta, ci sono anche Natalini, Isola e Dal Co, c'è il vecchio amico Leonardo Ricci: ma se anche lui è contagiato dalla mania grattacielica, benché 64 metri siano nanismo rispetto al grattacielo pensato per la sede della Regione Lombardia...

Non conosco il documento di Fassino (maggioranza) per il congresso dei Ds. Leggo l'articolo di Alessandro Genovesi sull'Unità del 21 novembre, Maggioranza Ds, un progetto da contrastare: la preoccupazione aumenta perché, a parte la sicura mancanza di qualsiasi riferimento ai temi che ci preme sentire trattare da sinistra, è probabilmente vera la critica di Genovesi: "Un progetto da contrastare perché sbagliato e destinato a farci tornare indietro, come Ds e come centrosinistra. Nel merito della proposta programmatica perché essa sancisce una subalternità proprio a quel modello che, dopo 20 anni, ha privatizzato il mondo, ridotto il lavoro in merce, prosciugato la democrazia reale nei paesi ricchi, portato più miseria e più guerra nei paesi poveri, fino a mettere in discussione la nostra stessa sopravvivenza su questo pianeta". Come pretendere un'attenzione all'urbanistica in questo fosco quadro? Catastrofismo, si dirà. Niente affatto. Anche Fassino, per non dire di un Morando o un De Benedetti, esponenti della vecchia mozione di destra ora confluiti nella maggioranza, mi sembra perfetto per gestire una svolta definitiva moderata e conservatrice, entro cui potrebbe trovare la sua comoda nicchia la nuova "urbanistica" avarelliana e lupesca.

2. L'articolo di Scalfari sulla patrimoniale o qualsiasi altra forma simile di tassazione mi è parso davvero interessante, direi impressionante per il coraggio di rompere un tabù. Escluso Bertinotti che ha accennato a una patrimoniale "classica", chi nel centrosinistra ha mai valicato la barriera del silenzio in particolare relativo alle rendite fondiarie e finanziarie? Noi, intendo gli anziani se non vecchi, ci ricordiamo bene le battaglie contro la rendita, Pci certamente in campo forse non in primissima linea, sebbene non tutti, urbanisti e architetti di sinistra, fossimo d'accordo nell'attribuire alla sola rendita il primato dei mali della società.

Oggi la conclusione di Salzano nella risposta a Fatarella paragona gli interessi "perversi" ecc.ecc. a "un muro di mattoni": perciò "la pazienza e la tenacia possono sgretolarlo". Sono colpevole se alla mia età tenacia ne possiedo ancora molta, ma pazienza pochina?

“Il nous faut drainer la colère”, dobbiamo incanalare la collera, scriveva Louis Aragon e cantava Yves Montand. Costruiamo canali, se non ci sono. Uno schieramento che va da Scalfari a Bertinotti dovrebbe essere abbastanza vasto nelle coscienze. Non potrà non farsi sentire.

Udine, 21.11.2004 . Su Repubblica di oggi Eugenio Scalfari ha scritto: “I patrimoni in Italia sono cospicui perché ... i profitti enormi derivanti dall'urbanizzazione e dalla valorizzazione delle aree destinate all'edilizia, hanno determinato un ammontare di ricchezza molto rilevante e in larga misura improduttiva”. Mi sembra che queste parole dovrebbero stimolare a superare il comodo rifiuto di capire come gli odierni attrezzi dell'urbanistica (pianificar-facendo, urbanistica perequata, contrattata) stiano contribuendo a consolidare tali dannosi profitti. In altri tempi, sostiene Radicioni su Eddyburg, il fu glorioso PCI avrebbe mobilitato la cultura, gli amministratori ai vari livelli, l'ANCI, i parlamentarti per suscitare un grande movimento di contrasto e di costruzione di nuove prospettive, contro la privatizzazione dell'urbanistica. Oggi?

Oggi no. Il problema non è solo la mancanza di qualcosa di simile al PCI, il quale era animatore, organizzatore, suscitatore, ma non era tutto il movimento per una corretta amministrazione della città e del territorio. Anche nelle file della democrazia cristiana, del PSI prima di Craxi, dei “partiti minori” c’era chi predicava e praticava la corretta urbanistica.

Abbiamo tutti esultato per la caduta del Muro di Berlino e la fine delle chiese e delle ideologie, e rimpiangere il passato non serve. Serve capire come si può andare avanti. Io continuo a credere che intanto bisogna resistere, protestare, documentare, spiegare e sforzarsi di far comprendere, indicare vie diverse. Battere Berlusconi, e insieme il berlusconismo. Senza illudersi che la vittoria della ragione e dell’interesse comune sia a portata di mano, ma senza sgomentarsi per lo spessore del muro che sta davanti a noi: è un muro i cui mattoni si chiamano interessi perversi, interessi mediocri, egoismi sopraffattori ed egoismi paurosi, grabdi arroganze e piccole viltà, cecità e miopie. La pazienza e la tenacia possono sgretolarlo.

L'editoriale di Scalfari

Torino 18.11.2004 - Caro Eddy, prendo lo spunto dal primo argomento del tuo Eddytoriale di lunedì 15 u.s.: la privatizzazione dell'urbanistica, che, malgrado l'apparente sonnolenza, in realtà incombe sulla vita delle città italiane e quindi di tutti. Non mi riferisco solo alla proposta di legge ma anche alla realtà, che si sta consolidando nella testa di coloro (politici, amministratori, tecnici. etc), che operano e fanno opinione sull'argomento.

Non occorre che ti dica che concordo con la tua preoccupazione e con le critiche di fondo, che hai evidenziato non da ora; al riguardo ho riletto gli scritti, che hai raccolto, gli Eddytoriali, che via via hanno trattato dell'argomento in questione.

Mi pare però evidente la sproporzione fra il pericolo incombente e le iniziative politico - culturali, di fatto inesistenti, da parte di coloro (forze politiche, enti culturali, singoli) che sono contrari almeno sul nodo centrale: la privatizzazione dell'urbanistica.

In altri tempi il fu glorioso PCI avrebbe mobilitato la cultura, gli amministratori ai vari livelli, l'ANCI, i parlamentarti per suscitare un grande movimento di contrasto e di costruzione di nuove prospettive.

Questo sembra non più possibile.

Ma allora occorre rassegnarsi comunque, scambiandosi le preoccupazioni fra chierici?

Perchè non tentare di organizzare una iniziativa nazionale che scalfisca almeno l'opinione pubblica?

Potrebbe essere così costruita?

- rivolgendosi ai politici più avvertiti appartenenti ai vari tronchi della sinistra;

- coinvolgendo le associazioni culturali disponibili: Italia Nostra, Polis, Lega Ambiente....;

- sensibilizzando gli amministratori regionalòi, provinciali, comunali disponibili;

- prendendo contatti con docenti di varie facoltà di architettura.

Questo lavoro ben inteso non si fa da sè; occorre che quanti concordano si prendano alcuni impegni in ragione delle disponibilità e degli ambienti (politici, amministrativi, culturali, accademici...), in cui ciascuno opera.

Mi illudo? Sono proposte scontate, in quanto iniziative del tipo sono in atto ma che io non conosco perchè di fatto opero da isolato?

Rassegnarsi no. Il danno è troppo grave. Proviamo a vedere se qualcuno si muove. Proviamo a scrivere, a telefonare, a parlare. Ci saranno pure amministratori che si rendono conto che affidandosi all'iniziativa della proprietà immobiliare si va dove Lauro e Cioccetti hanno portato Napoli e Roma. Possibile che dormano tutti? Io non credo. Facciamo ciascuno quello che può. La tua proposta mi sembra utile, vediamo.

Caro Eddyburg, Mi compiaccio, per l'articolo e per il Sito, che l'ha subito ripreso. Il riferimento è al pezzo di Piero Sansonetti, alle circostanziate critiche a Pansa, e a tutto il resto. Sentivo una forte sensazione di disagio, leggendo la dovizia di commenti totalmente e ottusamente (si: ottusamente, è l'unico avverbio possibile, malafede a parte) conformisti che hanno seguito la manifestazione di "shop surfing". Si sprecavano riferimenti a rapine, terrorismo, nefandezze varie, e ci si risparmiava qualunque riflessione che non fosse implicitamente la solita: così si spaventa il mitico "centro". Non mi ha stupito più di tanto la presenza, nella premiata schiera, anche del Serra (Michele, non Achille) di figiciotta memoria, che probabilmente ai tempi degli espropri proletari "veri" si cibava di slogan appunto figiciotti d'epoca, tipo "non vogliamo vetri rotti, ma la testa di Andreotti". Gusto superiore, senza dubbio, certo parto dell'allora organo culturale figiciotto, diretto da Nando Adornato, che così si preparava l'attuale luminoso futuro.

Stupisce invece rivederli tutti, diversamente sparpagliati, ma egualmente tozzi, sordi, faziosi. Perché lo capiscono sin troppo bene che questo "shop surfing" non è terrorismo, né la sua anticamera, ma comunicazione politica di alto livello. Loro non la sanno fare, sanno solo occupare tanto spazio con poca qualità comunicativa. Lo shop surfing ci dice invece efficacemente: guardate come sono vicine, le merci e i servizi, e guardate come ce le stanno portando via lontane, artificiosamente.

Se si vuole leggere qualcosa, si legga almeno il sito di San Precario, non la bile maldigerita di chi, parafrasando Guccini, "giovane non è stato mai". Qui sotto c'è il link, e basta.

http://www.sanprecario.info/6nov/comunicato.html

Monaco di Baviera (D), 15.11.2004 - Caro Eddy, grazie, grazie per la lettera nuova. È importantissima, ma mi basta una. Ricevo sempre tre (!) 'Newsletter' che sono davvero un po troppo.

Da Monaco di Baviera dove i cattolici ( secondo On. Buttiglione ) si trovano nelle catacombe di un Europa laica...un saluto caro

Scusami, hai ragione. Colpa un po' del programma un po' (e soprattutto) della mia impazienza. Mi scuso con te e con le altre 404 .persone che hanno ricevuto più volte la mia newletter. Il mio webmaster dice che dipende dal fatto che più aumentano i destinatari più lenta è la spedizione, a me sembra che la lettera non sia partita e clicco di nuovo. Starò più attento

Venezia, 08.12.2004 - La recentissima dichiarazione di Massimo D'Alema - che, lo ricordo, ricopre la seconda carica politica all'interno del maggior partito del centro sinistra - favorevole ad una riforma elettorale a meno di due anni dalle elezioni politiche, di fatto legittima la possibilità che il meccanismo di rappresentanza parlamentare sia modificato dalla Casa della libertà, attuando di fatto una sorta di "golpe bianco" che modifica le regole fondamentali della determinazione di tale rappresentanza, in deroga alla grundnorm democratica sulla condivisione dei principi elettorali da parte di tutti gli attori del quadro politico.

Quest'ultima presa di posizione segna simbolicamente l'approdo definitivo di ampi settori del centro sinistra ad un moderatismo politico sempre più caratterizzato sia dal tatticismo opportunista delle proposte politiche, sia da una subordinazione, che in molti casi appare vera e propria empatia politica, alle proposte e al modus operandi della destra governativa. E' tempo di dichiarare senza ulteriori infingimenti che una parte cospicua della dirigenza del centro sinistra non è di fatto politicamente distante dalle posizioni espresse dalla Casa delle libertà. Vi è anzi un'oggettiva convergenza - al di là di schieramenti e dichiarazioni di facciata - tra i comportamenti politici del settore "ulivista" dell’opposizione e settori "centristi" della maggioranza, convergenza che nel moderatismo di centro sinistra si manifesta sostanzialmente nella costante applicazione di un principio-guida non dichiarato, ma sempre operante nella prassi: ostacolare sistematicamente qualunque elemento programmatico, concettuale, tattico e ideologico che segni un ripensamento rispetto alla tendenza liberistico-privatistica e democratico-massmediatica oggi imperante sia nei settori di centro-destra che di centro-sinistra dello schieramento politico italiano.

Da tale situazione che è innegabile e che nessuna considerazione pseudo-politica sulla necessità “assoluta” di sconfiggere “a qualunque prezzo” il centro-destra alle prossime elezioni può occultare deriva una conseguenza epocale: è oggi impossibile attuare in Italia una politica in qualche modo innovativa se non si apre nel centro sinistra inteso come realtà politico-sociale complessiva, non come schieramento partitocratico una decisa frattura, una vera e propria “guerra politica” che tramite il conflitto smascheri la convergenza cui prima accennavo. In Italia si sta andando infatti verso una sostanziale omogeneizzazione del quadro politico, ove scompaiono tendenzialmente le differenze tra i due schieramenti, all’insegna di un moderatismo che è prima di tutto resa dell’autonomia del politico alla dislocazione occulta del potere in centri e settori di comando della società “non politici” , resa che ovviamente risulta fatale soprattutto per le tendenze programmatiche “di sinistra”.

In tale prospettiva non dobbiamo nemmeno escludere la possibilità del rifiuto di sancire con il nostro voto il quadro politico sin qui delineato. Come ogni volta è accaduto nella storia politica dell’Italia del dopoguerra, forse una possibilità di rompere l’ attuale, oggettiva convergenza maggioranza-opposizione sta nella ripresa dell’iniziativa politico-sociale di base, al di fuori degli schieramenti partitici, che inneschi nuovamente il conflitto come momento ineludibile della produzione di “senso politico” anche nell’ambito di quella che un tempo si denominava “la sinistra”.

Mi sembra una tesi molto vicina a quella sostenuta, in questa rubrica, da Bruno Ballardini. Non è priva di ragioni che condivido. Sostengo infatti da molto tempo che, come scrive Cecchi, "una parte cospicua della dirigenza del centro sinistra non è di fatto politicamente distante dalle posizioni espresse dalla Casa delle libertà". Tuttavia resto convinto che Berlusconi sia un pericolo così grave per le basi stesse della convivenza civile che per batterlo è necessario allearsi perfino con D’Alema, oltre che con Mastella e con Paolo Cirino Pomicino.

Al liceo, quarant'anni fa, la professoressa di letteratura latina e greca (un grato pensiero a Maria Teresa Leoni Ronga, fino a non molto tempo fa ancora viva e vegeta) era solita ammonirci, con una punta di divertita malizia, che la cultura era come le mutande: doveva esserci, ma non si doveva vedere.Ai giovani d'oggi più che divieti bisognerebbe suggerire che le mutande sono come la cultura: devono esserci, ma non si devono vedere.Forse, però, il modello di cultura che hanno sotto gli occhi oggi non li aiuterebbe molto a chiarirsi il concetto.



Il problema è proprio questo

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