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"Urbino:grido d'allarme"
12 Dicembre 2004
Lettere e Interventi
Vittorio Emiliani

Roma, 29.10.2004 – Urbino, alla quale ho dedicato il mio ultimo libro "L’enigma di Urbino. La città scomparsa" uscito da Aragno - rappresenta certamente un caso-limite : il calo dei residenti entro le mura è pari all'86 per cento rispetto al 1951, con la punta incredibile del 95 per cento nel quartiere del Duomo. Dei 350 residenti da me ricontati assieme ad altri testimoni si è precipitati a 16 abitanti appena. Il quartiere è occupato da Istituti universitari (e per i grandi palazzi era pressoché inevitabile) e da "pollai" per studenti creati dagli affittacamere. Le ultime notizie - che nel libro non sono riuscito ad infilare - sono queste : alcuni contenitori sarebbero stati di recente acquistati da investitori della Riviera romagnola, riminesi in cerca di investimenti di "rapina" ad alto reddito.

La periferia, per contro, si è molto estesa nonostante che tutto il Comune (molto vasto, 23.000 ettari) si sia spopolato scendendo da 23.000 a 15.000 abitanti (-34 per cento). Anche lì Villettopoli avanza.

Tutte le città universitarie vivono processi analoghi, ma con patologie meno gravi. Altre città divenute sedi universitarie di recente hanno fissato un "tetto" massimo agli iscritti : per es. Cesena dove il numero chiuso è stato posto a 5.000 iscritti. Nella città romagnola, anni fa, venne restaurato e recuperato in pieno centro storico il quartiere popolare della Valdoca che, con grande piacere, ho visto giorni fa a tarda sera con tante finestre illuminate. Qui si ha ben presente che il piano Fanti-Cervellati attuato, a partire dal 1970, per molti edifici minori (e quindi abitati da ceti poveri) a Bologna venne insabbiato proprio dalla lobby potente degli affittacamere e dei bottegai.

A Cortona - dove il Comune ha cercato di contrastare la tendenza allo svuotamento - la popolazione del centro storico è scesa, ma in maniera drammatica. Forse perché lì gli stranieri hanno comprato casa dentro le mura o nei pressi divenendo residenti. Per contro a Viterbo i residenti sono letteralmente crollati nel deceiio 1990-2000 : da 19.000 a 10.000. Una rotta. E il degrado avanza. A Genova lo spopolamento è stato molto forte in passato, ma nel ventennio 1981-2000 il calo è rallentato : le tre Circoscrizioni storiche, Pré, Maddalena e Molo, hanno perduto complessivamente 4.245 residenti su 27.461 ( - 15,45%). Ne ha perduti soprattutto il quartiere del Molo (- 2.715, cioè - 21,7 %). Spopolamento più limitato quindi, specie nel quartiere, molto popolare, di Pré ( - 10,06 %). Dopo tanti anni di progetti si sono di recente innescati processi di recupero e di riuso che poggiano sul Porto Vecchio divenuto sede di Facoltà universitarie, dell'Acquario, di ristoranti, ecc. Un pezzo di città. Interessantissimo.

Nel Sud, all'opposto, lo spopolamento è stato in alcuni centri pressoché totale, fino ad una rioccupazione "storica" da parte di immigrati arabi, maghrebini. E’ accaduto anche a Palermo, nella Kalsa. Sulle Madonne centri storici come Gangi si stanno letteralmente svuotando.

A Roma, nel 1945, erano poco meno di mezzo milione i residenti entro le Mura Aureliane (più Borgo, credo). Ora siamo sui 130.000 ufficiali che salgono a 150.000 con altri abitanti quasi fissi. Insomma si può dire che il calo di residenze sia stato del 66 per cento, con punte più alte nelle zone (Campo Marzio, per es.) vicine a Camera e Senato e minori riduzioni nei rioni come Monti o Ponte che male si prestano ad uffici, studi, ecc. Certo, anche lì c'è stata una sostituzione di popolazione : ceti borghesi in luogo di ceti popolari, con una presenza artigiana ancora abbastanza forte e vitale. Ma dove il Comune ha largheggiato in licenze per bar, trattorie, pizzerie e pub (vedi rione Parione, dintorni di Piazza Navona o di Trevi), la devastazione sociale è molto avanzata e con essa il deserto delle residenze. I soli interventi romani sul modello Bologna sono quelli di San Paolo alla Regola e, soprattutto, di Tor di Nona dove di recente (decenni dopo!) sono state insediate botteghe e laboratori artigiani prima spiazzati da abusivi dediti allo spaccio e simili, sloggiati con grande spiegamento di polizia. Pochi mesi fa. Per contro, pur essendo la popolazione del vastissimo Comune in netto calo ( - 250.000 abitanti fra i due ultimi censimenti), il consumo di suoli si mantiene elevatissimo, fra costruzioni legali e abusive. Queste ultime, da sole, si sono divorate nell’ultimo mezzo secolo circa 18.000 dei 150.000 ettari dell’intero Comune (oggi ridotti per la nascita del Comune di Fiumicino)

Il grido di allarme che ho voluto lanciare raccontando la vicenda esemplare di Urbino riguarda ormai tutta Italia. Il vero enigma è come mai un popolo evoluto dissipi contemporaneamente due patrimoni straordinari : i suoi centri storici, le sua città antiche (anche le meglio conservate) e la campagna circostante, l’ambiente, il paesaggio. Tanto che fra città e campagna non c’è più interruzione spesso : il continuum cemento+asfalto è terribile.

Il tuo bel libro, e la tua lettera, pongono all’attenzione di chi ti legge un problema certamente grave. Gli anni delle iniziative bolognesi di Pierluigi Cervellati, di quelle cesenesi di Eddy Pregher, e delle altre che si sono sviluppate attorno agli anni Settanta sembrano ormai lontane. Il fatto è che la politica, anche quella di sinistra, ha voltato le spalle a quella che definirei la "urbanistica sociale". Una volta ci si poneva concretamente (cioè adoperando la pianificazione urbanistica e la politica della casa) l’obiettivo di conservare ai quartieri antichi e ai centri storici quella composizione sociale e quella complessità di funzioni che rendeva belle e vive quelle parti di città. Tu hai parlato di Bologna, di Cesena, di Roma – e della tua Urbino, i cui decenni trascorsi evochi magistralmente nel libro.

Vorrei accennare a Venezia, dove la "nuova" sinistra, quella affascinata dal liberismo, ha smantellato le difese che la "vecchia" sinistra (ma non solo quella) aveva eretto contro l’invadenza delle funzioni turistiche, contro la commercializzazione della città, contro la trasformazione delle residenze in locande e dei negozi ordinari in rivendite di junk. Alla politica sociale pubblica della casa, alla difesa rigida delle destinazioni d’uso definite nei piani, si è sostituito il laissez faire, laissez aller in campi nei quali i liberali hanno da tempo dimostrato che il mercato non esiste, e se esiste fa danni.

Un esempio? Il sindaco Casellati e l’assessore Cecconi si erano battuti per anni per impedire l’apertura di un fast food in Campo San Luca, e abbiamo tutti respirato quando si è riusciti ad applicare una legge che consentiva di impedire la sostituzione di esercizi commerciali tradizionali; il primo atto della giunta Cacciari fu quello di revocare quella delibera. Un altro esempio? Il piano regolatore del centro storico veneziano (al quale io stesso avevo lavorato, e poi era stato completato da Boato e Salvagno) impediva di sostituire le residenze con altre utilizzazioni; quello successivamente predisposto da Benevolo e D’Agostino ha liberalizzato lemodifiche di destinazioni d’uso.

Il problema, caro Vittorio, è politico . Finché la politica non riscoprirà la città come luogo nel quale si svolge un conflitto tra gli interessi contrastanti della proprietà immobiliare e dei cittadini che la abitano e vi lavorano, e finché non si schiererà in questo conflitto con coerenza, continueremo a registrare e a piangere quelle cose miserevoli che tu riporti sotto gli occhi di chi ti legge: svolgendo n lavoro meritorio che ormai sono pochi a fare.

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