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Vezio De Lucia
Urbanistica e tutela
25 Gennaio 2005
Vezio De Lucia
"L’eddytoriale del 21 dicembre gronda sacrosanta indignazione perchè ..."

L’eddytoriale del 21 dicembre gronda sacrosanta indignazione perchè i beni culturali e il paesaggio sarebbero scorporati dal governo del territorio, come prevede uno gli ultimi emendamenti apportati al terrificante disegno di legge urbanistica in discussione alla Camera. L’urbanistica sarebbe così ferita a morte e disonorata. E sarebbero oltraggiate alcune delle pagine più belle della recente storia, non solo urbanistica, del nostro paese. Chi ha scritto quella norma sciagurata probabilmente non sa che la tutela dei beni culturali è sempre stata uno dei contenuti essenziali della pianificazione del territorio. E’ ben vero che , in Italia, operano due regimi distinti: quello specifico delle tutele, che fa capo alle leggi del 1939 e a successive norme di protezione del paesaggio, dell’ambiente e dell’integrità fisica del territorio; e il regime delle trasformazioni urbanistiche, che fa capo alla legge del 1942 e ai successivi precetti statali e regionali. Ma le tutele sono ancheun obiettivo proprio della disciplina urbanistica. E’ così da sempre. A cominciare dalla legge del 1942, anzi, dal precedente disegno di legge urbanistica del 1933 che prevedeva, fra i contenuti dei piani regionali, i vincoli per la tutela di bellezze artistiche o panoramiche. Quel disegno di legge non fu approvato per l’opposizione della federazione nazionale fascista della proprietà edilizia. Lo stop sgomberò il campo a favore delle leggi del 1939 e del piano paesistico. Si stabilì allora la distinzione fra il regime delle tutele e quello delle trasformazioni urbanistiche. Distinzione che ha retto al trascorrere degli anni e delle vicende storiche, nonostante alcuni tentativi di superamento del doppio regime (commissioni Franceschini e Papaldo). Solo i “piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali” della legge Galasso hanno unificato pianificazione urbanistica e del paesaggio.

Ma l’affermazione del doppio regime, convalidato dalle numerose sentenze costituzionali che si sono susseguite, con indiscutibile coerenza, dal1968 (sent. n.55)al 2000 (sent. n.378) non ha mai comportato – è bene dirlo con assoluta chiarezza – un affievolimento del potere di tutela riconosciuto ai piani urbanistici ordinari. Non è qui possibile una rassegna di testi legislativi, di pronunciamenti giurisprudenziali e di esemplari esperienze applicative. Mi limito a ricordare la cosiddetta legge ponte del 1967, che incluse fra i contenuti sostanziali del piano regolatore generale “la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici”. Dieci anni dopo, il decreto presidenziale (616/1977) che regola il trasferimento delle funzioni dallo stato alle regioni, attribuisce alla materia urbanistica “la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente”.

La legge ponte del 1967 va ricordata anche per aver imposto un’appropriata tutela dei centri storici. Come molti sanno, la legge ponte fu voluta da Giacomo Mancini, ministro dei Lavori pubblici negli anni del primo centro sinistra, dopo l’indignazione provocata dalla frana di Agrigento del luglio 1966, causata dall’immane sovraccarico dell’edilizia speculativa. La legge fu definita “ponte” perché doveva rappresentare un rimedio provvisorio, nell’attesa di un organico provvedimento di riforma urbanistica, quello che stiamo ancora aspettando. Riguardo ai centri storici, la legge ponte subordina, di fatto, ogni intervento di sostanziale trasformazione all’approvazione di piani particolareggiati. Una soluzione all’apparenza precaria e semplicistica che però, con il passare degli anni, si è dimostrata di eccezionale efficacia. Tant’è che l’Italia è l’unico paese d’Europa che ha in larga misura salvato i propri centri storici. Certamente, nessuno può sostenere che nel nostro paese la tutela del patrimonio immobiliare d’interesse storico sia perfettamente garantita, ma certamente non sono più all’ordine del giorno gli episodi di gravissima alterazione, se non di vera e propria distruzione, che avvenivano frequentemente nei primi lustri del dopoguerra.

L’obbligo o la facoltà di tutela da parte degli strumenti urbanistici non sono stati soltanto riconosciuti legislativamente, ma anche diffusamente utilizzati nella pratica della pianificazione. Solo qualche esempio. Il decreto ministeriale di approvazione del piano regolatore di Roma del 1965 introdusse, per “preminenti interessi dello Stato” una modifica al piano adottato, sottoponendo a tutela, e quindi destinando a parco pubblico, oltre duemila ettari dell’Appia Antica e della campagna circostante, da porta San Sebastiano al confine comunale. Mi pare importante ricordare, ai fini del nostro discorso, che con lo stesso decreto furono eliminate le possibilità edificatorie consentite dal piano paesistico dell’Appia Antica approvato nel 1960.

Fra gli esempi illustri di urbanistica sposata alla tutela, si può citare il caso di Ferrara, la sua prodigiosa addizione verde, milleduecento ettari fra la cinta muraria e il Po, destinati a formare un gran parco urbano.

E, ancora, mi permetto di menzionare il nuovo piano regolatore di Napoli che ha sottratto all’edificazione, per ragioni di tutela, quanto resta del territorio comunale non coperto di cemento e di asfalto.

Soprattutto, mi pare giusto porre in evidenza che i centri storici sono stati più volte oggetto di studio, di politiche e di interventi di salvaguardia nell’ambito della pianificazione urbanistica, mentre sono molto meno frequenti le azioni di conservazione promosse dai titolari di specifiche competenze in materia di tutela. E’ noto, infatti, che solo alcuni centri storici sono integralmente sottoposti alle leggi del 1939 e che la propostaper generalizzare il vincolo monumentale a tutti i centri storici (cosiddetto disegno di legge Veltroni) non fu approvata per le resistenze dell’Inu e degli energumeni del cemento armato.

Tutto ciò è probabilmente ignoto, come ho detto, ai parlamentari che propongono la separazione della tutela dall’urbanistica e forse non si rendono conto (o è questo che vogliono?) che si avvierebbe in tal modo un rovinoso revisionismo legislativo il cui esito sarà la sistematica devastazione del territorio nazionale. Propongo che Eddyburg promuova una indignata mobilitazione, sollecitando in particolare quanto resta della sensibilità istituzionale e civile dell’opposizione.

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