Il Comune di Firenze abolisce gli standard urbanistici. Quello che era sotto traccia nel Regolamento Urbanistico approvato nel 2014, diventa ora palese nel Piano di Recupero della ex Manifattura Tabacchi adottato nel gennaio del 2019. Si tratta di una vera e propria torsione (o se si vuole “distorsione”) sostanziale e giuridica, ma tant’è: il Comune di Firenze, non contento di avere messo in svendita il patrimonio immobiliare fiorentino fa così un ulteriore passo a favore dei developers. Già nell’aureo libretto «Florence, city of the opportunities», il Sindaco Nardella, assiduo frequentatore delle fiere immobiliari, aveva promesso facilitazioni ai potenziali acquirenti nella forma di varianti à la carte. Ma evidentemente le opportunities dovevano diventare ancora più allettanti. Come? L’ultima trovata è stata di eliminare anche quei pochi spiccioli che il DM 1444/1968 richiede ai proprietari costruttori in forma di standard. E’ quanto avviene nel Piano di Recupero della ex Manifattura Tabacchi, un immobile dismesso nel 2001, ora di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti e del The Student Hotel, una società olandese che dal 2006 opera nel settore del business immobiliare, a caccia di immobili di prestigio da trasformare in lussuose strutture ricettive.
La veste normativa viene fornita (o così dovrebbe) dall’art 36 del Regolamento Urbanistico che recita: «Si considerano piazze e aree pedonali gli spazi aperti prevalentemente pavimentati, con attraversamento veicolare precluso o regolato, delimitati e comunque chiaramente identificabili rispetto alle strade carrabili che in essi possono eventualmente confluire. Tali aree, esistenti e di progetto, concorrono, per analogia funzionale agli spazi di verde pubblico-parchi, alla dotazione territoriale specifica (standard DM 1444/1968)». Poco importa all’estensore della norma che a un atto come il Regolamento Urbanistico non è consentito di modificare la ratio delle leggi sovraordinate con interpretazioni e formulazioni che contraddicono la volontà sostanziale del legislatore; inconsistente a tal fine la torsione, più retorica che logica, di una presunta “analogia funzionale” tra piazze e giardini.
Difficile, infatti, comprendere in cosa consista questa analogia, dal momento che le superfici pavimentate e impermeabili non migliorano la qualità dell’aria, non regolano la temperatura, non offrono freschezza e ombra in estate, non fungono da filtro contro gli inquinanti atmosferici, non immagazzinano CO2 e acqua piovana, non favoriscono la biodiversità vegetale. Equiparate così, capziosamente, a verde sono la “piazza centrale”, “l’hotel courtyard”, la “student courtyard,” la “strada degli artigiani”, la “piazza dell’orologio”, il “boulevard”, più due spazi denominati giardini, ma anch’essi piazze pavimentate sia pure con qualche albero ornamentale. In sintesi, il verde viene abolito e i parcheggi in gran parte monetizzati, quindi non usufruibili in loco.
Una nuova Manifattura, privatistica, orientata al lusso, senza gli standard prescritti per legge, dove niente vi è di pubblico se non la possibilità di accedere agli spazi interni del complesso, sedersi al bar dell’albergo o sulle panchine delle piazze, accedere ai negozi o alle botteghe artigiane: ammesso che si facciano, perché per convenzione fino al 20% delle destinazioni può essere cambiato in corso d’opera.
«Attraverso l’iniziativa dei Cento Luoghi, i fiorentini sono stati chiamati a discutere del futuro della loro città, ed è emerso chiaramente quello che vogliono sia il futuro di questo complesso, con la scelta di una netta vocazione culturale e sociale che non aggravi, ma arricchisca la vita del quartiere, senza nette divisioni tra funzioni pubbliche e private…”, così scriveva nel 2010 Matteo Renzi nella premessa al volume Settant’anni in fumo. Storia della Manifattura Tabacchi delle Cascine.
Gli abitanti del quartiere, organizzati in un comitato, hanno sempre chiesto che una parte del complesso fosse usufruibile per attività culturali aperte al pubblico, avanzando diverse proposte, tutte realistiche, tutte fattibili. La risposta è stato un progetto che, nonostante le promesse di conciliare gli interessi dell’investitore con quelli degli abitanti, guarda solo alla convenienza privata. Come dire che premesse e promesse contano poco in politica, niente nei confronti dei cittadini.
Note
[1] Calcolati con il generoso rapporto di 42mq/abitante e non 25mq/abitante come prescrive la legge
La nomina da parte di Luigi Di Maio di Lino Banfi (si pronuncia benfi) come membro della Commissione italiana dell’Unesco ha sollevato qualche perplessità o, addirittura, contrarietà dai soliti intellettuali rosiconi della (ex) sinistra, che magari avrebbero voluto qualcuno competente in materia: che ne so, un Salvatore Settis o un Tomaso Montanari; o uno dei tanti laureati in materie come architettura, archeologia, storia dell’arte. Qualcuno potrebbe dubitare che lo spessore culturale dei film interpretati dall’ attore, come “l’allenatore nel pallone 1 e 2”, “al bar dello sport”, “la dottoressa ci sta col colonnello”, sia un viatico sufficiente per un incarico così delicato.
Ritengo, invece che Banfi sia l’uomo giusto al posto giusto, fondamentalmente per due motivi.
Il primo è che sta dilagando la moda di candidare e consacrare come patrimonio intangibile dell’umanità, piatti o addirittura vere e proprie cucine, ad esempio, quella francese e messicana. Tra i piatti, oltre il Keskek turco, il Kimchi della Corea del Sud e la Birra belga, anche la Pizza. Già ci immaginiamo i severi commissari dell’Unesco in giro per le pizzerie di tutto il mondo a controllare che la mozzarella sia di bufala, l’impasto ben lievitato, il forno a legna debitamente riscaldato; un lavoro di titanica capillarità che ci eviterà di mangiare (anche in Italia), pizze con formaggio truciolato e base precotta, per non parlare degli altri paesi…una bella soddisfazione. Inoltre quale migliore testimonial di Banfi per la candidatura delle orecchiette con cima di rape, importante passo per il riscatto del Sud dal secolare abbandono.
Il secondo motivo è che Banfi non può fare di peggio di quanto hanno fatto finora i commissari – italiani e non – che frequentano le commissioni Unesco e che, talvolta, scendono in piacevoli missioni per controllare lo stato dei beni tutelati. La costiera amalfitana, che dopo la consacrazione Unesco ha visto un vero e proprio boom di abusi edilizi. L’area archeologica di Agrigento dove le costruzioni illecite che circondano i templi sono in gran parte in attesa di demolizione (nonostante che l’amministrazione abbia stanziato nel 2017 ben 30.000 euro a tale scopo). Venezia e la laguna assediate dalle grandi navi da crociera e violentate dal Mose. Firenze, minacciata dal sottoattraversamento Tav e da un aeroporto incastrato tra autostrada e Università, prossimo alle ville medicee, anch’esse patrimonio dell’umanità. E Roma, caput mundi, dove Mac Donald si è insediato nei luoghi più centrali e simbolici, Roma assediata dal traffico e dalla spazzatura, stravolta da un turismo mordi e fuggi. E chiudiamo qui per carità di patria l’elenco dei disastri italiani, che al più hanno meritato una benevola tiratina di orecchi da parte dei commissari dell’Unesco.
Ciò che gli esperti dell’Unesco sembrano non capire è che i centri storici non sono avulsi dal loro contesto degradato e che la loro salvaguardia deve necessariamente partire da una riqualificazione delle periferie; che le città non sono fatte soltanto di edifici, di strade e di piazze, ma anche e soprattutto di un tessuto sociale che i provvedimenti di tutela non prendono in alcuna considerazione. Fuggiti i cittadini, fagocitate le abitazioni dagli affitti turistici e dai B&B, i centri antichi sono ridotti a scheletri mercificati, privi di vita propria: Esemplare di questa politica, il Sindaco Dario Nardella, che, da vero piazzista, offre nelle fiere immobiliari il patrimonio edilizio fiorentino più pregiato - palazzi e i complessi storici - a prezzi scontati e con varianti à la carte incorporate.
Ritornando a Lino Banfi, siamo sicuri che quando terrà i suoi discorsi, magari in inglese, a difesa dell’eredità mondiale del nostro paese, avrà un buon successo di pubblico e terrà in alto il nome dell’Italia; farà ridere con la sua comicità, volgare sì, ma in fin dei conti bonaria. Non come quella tragica e feroce dei nostri governanti.
Così, hanno vinto le mamme no-inceneritore dopo anni di lotta contro il presunto “termovalorizzatore”di Case Passerini, l’impianto in grado di bruciare 200.000 tonnellate di rifiuti... (segue)
Così, hanno vinto le mamme no-inceneritore dopo anni di lotta contro il presunto “termovalorizzatore” di Case Passerini, l’impianto in grado di bruciare 200.000 tonnellate di rifiuti l’anno che doveva sorgere nella piana fiorentina, in prossimità della pista del nuovo aeroporto. Una lotta che ha portato in piazza migliaia di persone, condotta come le donne sanno fare, con inventiva, mobilitazione, allegria, inclusiva e allo stesso tempo distinta dalle opzioni e dalle strategie amministrative.
Il progetto, deciso politicamente nel 2005, aveva ottenuto una Via positiva nel 2014 e un’autorizzazione unica ambientale nel novembre 2015, ma era stato bloccato dal Tar regionale della Toscana nel 2016. Ora il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar con grande scorno del sottobosco politico, quello che si ricicla nelle controllate pubbliche, nella fattispecie in Hera che insieme ad Ato Toscana controlla Q Thermo, la società che avrebbe dovuto realizzare l’impianto, con la nota distintiva di un presidente rinviato a giudizio per bancarotta e indagato per corruzione.
Le sentenze del Consiglio di Stato e del Tar hanno annullato l’autorizzazione ambientale con una motivazione che potrebbe fare scuola e che getta luce su una prassi consolidata di illegalità, tollerata dalle amministrazioni e incoraggiata dei politici. La prassi è di eludere le prescrizioni legate a varie forma di valutazione poste a difesa dell’ambiente e della salute pubblica, in primis la Via.
Il consiglio di Stato non ha trovato niente da eccepire sull’iter procedurale seguito da Q Thermo, ma rilevato che non sono state realizzate, né realizzabili, le misure compensative necessarie per mitigare gli effetti inquinanti dell’impianto, in particolare le opere di rinaturalizzazione e di creazione di nuovi boschi circostanti, opere non più fattibili perché su di esse si sovrappone la pista del nuovo aeroporto. Entrambe le sedi giudiziarie hanno, inoltre, affermato che in linea di principio i provvedimenti compensativi di un’opera impattante devono essere realizzati prima della sua entrata in esercizio e non rimandati a un futuro indeterminato; aggiungiamo, con la speranza che la loro memoria si perda nel tempo.
Una vittoria gravida di conseguenze che si applicano perfettamente all’altra grande opera che incombe nella piana fiorentina, il nuovo aeroporto di Firenze. E qui conviene fare un passo indietro e ricordare che nel 2003 la società Aeroporto di Firenze (AdF) aveva proposto l’incremento di voli e passeggeri dell’aeroporto esistente, ottenendo un decreto di compatibilità ambientale: tuttavia con prescrizioni ritenute da AdF troppo onerose e perciò impugnate con ricorso al Presidente della Repubblica. L’impugnativa era stata discussa nel 2012, ma i suoi esiti tenuti nel cassetto dal Ministero dell’Ambiente, né comunicati alla Regione Toscana. Ora, finalmente, per la tenacia di Gianfranco Ciulli, coordinatore dei Comitati per la salute della Piana Prato-Firenze, sappiamo che il ricorso era stato respinto; ma il suo occultamento ha permesso a AdF di tirare avanti come se niente fosse: prescrizioni contestate, confermate dal Consiglio di Stato e dal Presidente della Repubblica e ignorate in modo illegale e pretestuoso.
La storia si ripete, o così si vuole, per la Via del nuovo aeroporto, dopo che opacità e collusione tra privati e istituzioni statali sono state consacrate del Decreto legislativo 104 del 2017. Applicando il Decreto, che permette a proponente e autorità competente di mettersi d’accordo sul grado di definizione del progetto, già ridotto da “definitivo” a “di fattibilità”, sono state ammorbidite o eliminate molte delle prescrizioni condizionanti il parere positivo alla Via. Ma alcune di quelle rimaste in piedi, se rispettate, renderebbero impossibile la più volte annunciata apertura della nuova pista, sempre entro due anni dall’ultimo annuncio e progressivamente spostate dal 2017 al 2020. Diventa, perciò, decisivo il ruolo dell’Osservatorio, preposto a monitorare la realizzazione del progetto e a verificare l’ottemperanza di quanto prescritto nel parere di compatibilità ambientale.
Ed ecco un accordo in variante tra ENAC e Ministero dell’Ambiente che esclude dall’Osservatorio i Sindaci dei Comuni interessati dal nuovo aeroporto a favore di un unico rappresentante, Dario Nardella, Sindaco della Città metropolitana, strenuo sostenitore del progetto, uomo di Renzi, oltre che rappresentante politico dell’establishment fiorentino. Un Osservatorio, centralizzato, lontano dai cittadini e dai loro interessi, vicino ai poteri forti, possibilmente opaco e inefficiente, con l’obiettivo di rimandare alle calende greche e infine di vanificare i provvedimenti compensativi più importanti, in primis la creazione di nuove aree lacustri a compensazione delle oasi faunistiche che saranno distrutte dalla nuova pista.
Cosa faranno ora Toscana Aeroporti ed Enac, dopo la sentenza del Tar che pone la parole fine al progetto dell’inceneritore sancendo che le opere compensative destinate a ridurre l’impatto ambientale devono essere fatte prima della realizzazione del progetto sottoposto a Via e non rimandate a un futuro imprecisato e incerto? Seguiranno la stessa strategia di non ottemperare a quanto prescritto o premeranno per qualche provvedimento legislativo ad hoc? Dopo la Legge Madia che sbilancia grandemente a favore dei privati i ruoli e i pesi nella Conferenza di Servizi e il Decreto 104, scritto sotto dettatura di Confindustria, c’è da aspettarsi di tutto.
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Qualcosa di interessante sta crescendo in Toscana; si tratta dell'’opposizione di sette sindaci al verticismo del giglio magico che viene dall’interno del Pd, non a parole ma su fatti concreti: un segnale non da sottovalutare, perché, se compreso e raccolto, potrebbe delineare un’importante novità politica.
Il terreno del contendere si trova nella nevralgica area metropolitana, dove in questi giorni si sta assistendo a un tentativo di accelerazione delle pessime operazioni in corso - in primis il nuovo aeroporto e il sottoattraversamento Tav. Specularmente, le dichiarazioni di politici e notabili locali tradiscono la preoccupazione che i risultati delle elezioni e la conseguente crisi della nomenclatura renziana mettano in forse alcuni progressi faticosamente raggiunti a furia di strappi a leggi e procedure. «Senza la nuova pista non acquisteremo la Fortezza da Basso (sede delle manifestazioni espositive fiorentine)» dichiara Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di Commercio. Concetto ribadito in tono ricattatorio nel titolo de La Nazione Firenze del 13 marzo, «L’aeroporto non si fa? Allora niente Fortezza». E, ancora, si chiede La Nazione «Orfana del giglio magico, Firenze rischia la retrocessione?», rassicurando però i lettori con un «ma Renzi pensa al rilancio».
Ancora più chiaro il ministro Lotti: «Credo che sull'aeroporto si sia fatto tutto: mi auguro che si arrivi velocemente all'inizio dei lavori perché questo è il punto su cui il Pd e anche il nostro governo hanno fortemente lavorato e finalmente si è arrivati alla parte finale. Iniziamo i lavori: dopo resteranno solo le polemiche di chi dice sempre no». Una volta tanto siamo d’accordo: governo e Pd hanno fatto di tutto per togliere la parola ai cittadini: negando il dibattito pubblico previsto per legge, escludendo i Comuni interessati dall’Osservatorio che dovrebbe monitorare il rispetto delle prescrizioni Via sull’aeroporto, eliminando nel suo ruolo di controllore ambientale ogni terzietà all’Arpat, diventata una sub-articolazione della struttura direzionale della Giunta Regionale; con buona pace del legislatore nazionale, che aveva inizialmente concepito il sistema Anpa come un’authority completamente sganciata dal potere esecutivo.
Anche peggiore è la situazione del sottoattraversamento di Firenze da parte dell’alta velocità, con l’arresto di Duccio Astaldi, presidente del comitato di gestione di Condotte spa, sull’orlo del fallimento e i lavoratori non pagati in sciopero. Ma corruzione, malaffare e inefficienza nella Tav fiorentina, già denunciate nel 2016 in un’audizione della Commissione Ambiente del Consiglio regionale da Raffaele Cantone, hanno lasciato indifferente l’establishment politico-imprenditoriale fiorentino. Perché ora dovrebbe turbare la notizia che l’impresa appaltatrice dell’opera sia in drammatica crisi finanziaria e con i vertici indagati?
Tuttavia, qualcosa di interessante si sta muovendo in direzione opposta e non è casuale che proprio a Firenze e dintorni, dove il potere e l’ideologia renziana è più forte, si stiano manifestando le maggiori contraddizioni all’interno del partito. Da una parte l’establishment imprenditoriale che fa tutt’uno con i notabili del Pd, dall’altra sette sindaci dello stesso partito che, almeno su due questioni strategiche - aeroporto e nuovo inceneritore - si stanno opponendo alle decisioni dei vertici; ciò che al di là della sostanza delle specifiche operazioni, significa due politiche antitetiche: quella che decide dall’alto in nome del fare a ogni costo e rifiuta qualsiasi mediazione, anche nelle forme minimali di un dibattito pubblico; e la politica che ancora si ricorda che essere di sinistra significa tutelare gli interessi e la qualità di vita dei cittadini-elettori, il contrario del populismo che viene imputato a chiunque non la pensi nella scia del main stream della governabilità. Non si tratta di una contraddizione dettata da tattiche di corto respiro, ma nel merito: una spaccatura che potrebbe esaurirsi, soffocata dal potere dei vertici, ma cui potrebbe anche seguire una proposta politica che si leghi dal basso a comitati e movimenti, con una prospettiva diversa del ruolo del Pd, finora facilitatore delle politiche confindustriali.
I sindaci che si stanno ribellando ai diktat dei vari Lotti, Nardella, Nencini, Bassilichi, rivendicano il diritto-dovere di partecipare in rappresentanza dei loro quattrocentomila amministrati e indicano l’unica strada percorribile dal Pd se vuole dar senso alla parola “sinistra” e riconquistare il proprio elettorato: ripartire dal basso, ascoltare la gente, sostenere i diritti dei più deboli. I sette sindaci che hanno fatto ricorso al Tar su contenuti e procedure del progetto dell’aeroporto non si oppongono pregiudizialmente all’opera, ma vogliono che siano rispettate tutte le prescrizioni della Via; e se ciò non fosse possibile e se non vi fossero garanzie per la sicurezza e la salute delle popolazioni chiedono che l’opera non si faccia. Guardando più avanti, in prospettiva, propongono esplicitamente un diverso modello di sviluppo: una politica che punti sulla qualità dell’ambiente come fattore di crescita economica e sociale; aggiungiamo noi: che investa nell’università, nella ricerca, nella formazione del capitale umano; che assecondi e rafforzi gli ecosistemi naturali e non li violenti, con conseguenze disastrose. Noi, con loro, ci accontenteremmo di un partito che sappia comprendere le sfide del futuro e non guardi indietro, avendo come paradigma politico l’autostrada Bre-Be-Mi. Inutile, dannosa e costruita su rifiuti tossici.
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A noi che consideriamoil nuovo aeroporto fiorentino un’opera inutile e potenzialmente dannosa, farebbepiacere un radicale ripensamento di Rossi. Dobbiamo dare atto, tuttavia, che sconfessareun aeroporto da lui sempre sostenuto, dopo avere abbandonato il Pd a favore diun altro partito, sarebbe una prova palese di incoerenza istituzionale e unsuicidio politico. Al contrario, sarebbe del tutto confacente al ruoloistituzionale e, perché no? a una maggiore autonomia politica, farsi garantedel diritto alla salute, al benessere e alla sicurezza dei cittadini di Firenzee della Piana. Vale a dire che Enrico Rossi ha l’occasione di dare un segnaledi politica diversa, più trasparente, più di sinistra, se eserciterà nell’Osservatorio,come i cittadini sia aspettano, un peso decisivo per assicurare che tutte leprescrizioni della Via siano compiutamente e tempestivamente realizzate; acosto di arrivare alla conclusione che il progetto non è sostenibile e quindi nonrealizzabile.
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Non sono passati molti mesi, era il marzo di quest’anno, quando i Della Valle presentavano al pubblico il rendering del nuovo stadio di Firenze, suscitando gli incontenibili entusiasmi della stampa locale: “Tokyo in confronto sembrerà Sorgane”, mentre i turisti “visiteranno la periferia nord fiorentina con lo stesso sguardo sognante che indossano (sic) quando passano su Ponte Vecchio”, solleticati dall’aria “molto sexy” di questa arena. “Il nuovo stadio della città, non avrà nulla da invidiare a quelli di Monaco, Bilbao, Bordeaux, Nizza” E ancora: le “morbide volute” dello stadio gareggeranno con “le guglie aguzze” del Palazzo di Giustizia “in una gara ideale di architetture contemporanee” “Costruiremo un tempio sopraelevato che ci permetterà di superare i nostri limiti”, sarà uno stadio da Rinascimento”[1].
Presentato il rendering dello stadio (non un progetto, si badi bene) già si stappava lo champagne per l’inaugurazione. Vi era ed è, beninteso qualche piccolo problema da risolvere. Lo stadio o meglio, la “Cittadella Viola”, con outlet, alberghi e varie attività commerciali, secondo l’accordo tra i Della Valle e l’amministrazione fiorentina, dovrebbe sorgere su un’area di circa 30-40 ettari attualmente occupata da Mercafir, i mercati all’ingrosso della città; questi, a loro volta, dovrebbero trasferirsi sulla vicina area di Castello, di proprietà Unipol, che nel corso dei decenni ha visto declassare le proprie destinazioni da centro di ricerca scientifica, a polo espositivo, a quartiere residenziale e infine, appunto a mercato.
Una bazzecola, per il Sindaco Nardella e l’Assessore all’urbanistica Perra che ne hanno già annunciato l’inaugurazione per il 2021. Una bazzecola che tuttavia richiede la demolizione, la bonifica e lo smaltimento di milioni di metri cubi di costruzioni esistenti, l’acquisto dell’area di Unipol e la costruzione del nuovo mercato all’ingrosso. Chi paga tutto ciò? Non certamente i commercianti, propensi a trasferirsi in strutture più moderne purché a costi zero. Non certamente Unipol, disposta a vendere i propri inappetibili terreni, ma non a regalarli. In teoria, tutti i costi dovrebbero essere sostenuti dai Della Valle che, tuttavia, si imbarcherebbero in un’operazione senza alcun senso economico.
Ma non si tratta solo della non fondatezza economica dell’operazione. Se questa andasse in porto, sulla periferia nord ovest di Firenze, nel delicato innesto con la piana, sarebbero situati la Cittadella Viola, con stadio, mega-outlet e attività varie, il nuovo Mercafir, il nuovo aeroporto, il Polo universitario, il costruendo inceneritore di Case Passerini, più le attività e i supermercati esistenti o di progetto, ognuno di questi grande attrattore di traffico; tutte funzioni gravanti sul principale ingresso dall’area metropolitana verso Firenze, il nodo di Peretola già attualmente e sistematicamente congestionato.
Invece di decentrare nell’area metropolitana si vuole accentrare sul capoluogo, creando una situazione infrastrutturale non risolvibile; aggravata in futuro dall’aumento del traffico in entrata per la realizzazione della terza corsia autostradale, stante il fatto che non può essere aumentata la capacità di assorbimento della viabilità interna della città; uno scenario da incubo, quando tutti gli attrattori entrassero in pieno esercizio, ad esempio, in una domenica di partita in casa. Senza contare l’abnorme concentrazione di attività in un quartiere già critico e di difficile abitabilità. Nessuna persona di buon senso può pensare che uno scenario di questo genere sia praticabile; nessuno, a meno che non sia sprovveduto o in cattiva fede.
Ora, dei Della Valle si può pensare tutto, meno che siano degli sprovveduti. I patron della Fiorentina sanno benissimo che realizzare la Cittadella Viola nell’attuale area Mercafir sarebbe un’operazione assolutamente antieconomica e non gestibile; ma anche il Comune di Firenze dovrebbe essere stato avvertito da qualche tecnico sull’irrealizzabilità dell’operazione. Perché, allora, continua il balletto degli annunci e delle schermaglie? La risposta è che nessuna delle due parti, dopo tanti titoli trionfali su Firenze che riduce Tokio alla stregua della periferia di Sorgane (chi sa se i Giapponesi sanno di cosa si tratta), dopo avere paragonato le forme del nuovo stadio all’ottagono del Battistero, vuole assumersi la responsabilità di rendere palese agli ingenui tifosi che si tratta solo di un bluff, in cui ciascuno cerca di addossare all’altra parte la responsabilità di un fallimento (per fortuna solo) annunciato: i Della Valle che vogliono vendere la Fiorentina, con il pretesto dell’impossibilità di costruire la Cittadella Viola, causa i soliti ostacoli burocratici; il Sindaco Nardella, terrorizzato che venga imputato al Comune di Firenze il fallimento dell’operazione. Fino a quando, inevitabilmente, le carte dovranno essere scoperte.
[1] Cito da Antonio Fiorentino, su La città invisibile, 14 marzo 2017
tto del nuovo aeroporto... (segue)
Queste le affermazionidi Gianfranco Ciulli, portavoce dei Comitati della Piana contrari al progetto; ineccepibilidal punto di vista dell’osservanza delle leggi, sono, nella fattispecie, tenutein non cale, non solo dai privatidirettamente interessati, ma anche da coloro che istituzionalmente dovrebberoessere garanti del loro rispetto. In un paese normale, dove vige una democraziaeffettiva, queste affermazioni avrebbero provocato un acceso dibattito politicoe meritato i titoli di testa dei giornali. Nell’Italia, sospesa tra legge elettorale,la cui approvazione dovrebbe essere seguita da nuova elezioni per dare il benservito al governo clone di Gentiloni e ipotesi di nuove alleanze salvifiche traPD e Forza Italia contro la minaccia dei lanzichenecchi grillini, anche ledenunce più documentate non rompono il muro di gomma che i politici oppongonoai cittadini. In attesa che qualcuno annunci trionfalmente che il bird-strike non costituisce un pericolo,che i piani di rischio del proponente saranno controllati dal proponente, chel’Osservatorio, cui Enrico Rossi si è autocandidato come presidente-garante,non si farà. Ciò che, dati i precedenti, della Tav nel Mugelloe di casi analoghi, potrebbe non essere un gran male.
Virtuosa, la Regione Toscana; però solo sulla carta, perché spesso si dimentica delle proprie leggi e gestisce in modo opaco le politiche del territorio. L’opacità decisionale, figlia della discrezionalità delle scelte politiche, è una minaccia alla democrazia reale. Tra le varie forme di opacità vi è anche quella di non rispondere alle domande dei cittadini su questioni cruciali: ad esempio con quali criteri venga accertata la conformità dei nuovi piani strutturali - quello di Lucca è il più importante - al Piano paesaggistico e alle leggi. Proprio su questo punto la Regione ancora non risponde alle associazioni ambientaliste – Fai, Italia Nostra, Legambiente, Rete dei Comitati, WWF – che già nel settembre del 2016 avevano rivolto al Garante dell’informazione della Regione un quesito su un punto critico riguardante l’applicazione della legge di governo del territorio.
I lettori di eddyburg sanno bene che tra i molti meriti (e taluni compromessi) della LR 65/2014, forse il più importante è avere introdotto la distinzione tra territorio urbanizzato e non. All’interno del primo, sono consentite le trasformazioni che comportano impegno di suolo non edificato a fini insediativi o infrastrutturali; all’esterno non possono essere previsti insediamenti residenziali e ogni nuovo consumo di suolo deve essere approvato da una Conferenza di copianificazione cui partecipano la Regione e gli enti locali interessati. Il quesito delle associazioni era motivato dal fatto che il Piano strutturale di Lucca (allora adottato, ora approvato) prevedeva cospicui insediamenti industriali al di fuori del limite urbano senza che la precedente Conferenza di copianificazione ne avesse disposto il dimensionamento. L’omissione deriva, tuttora, da una lettura capziosa della legge; ci si basa su un’omissione della voce “dimensionamento” nell’art. 25 e non su un’interpretazione complessiva della “ratio” della legge e, in fin de conti, sul buon senso. Che senso può avere una prassi – il caso di Lucca vale per tutti i Comuni – in cui Regione, Provincia e Comune si mettano d’accordo sulle destinazioni e le caratteristiche degli insediamenti extraurbani senza stabilirne né dimensioni, né carico urbanistico? Un accordo in cui mancherebbe la parte essenziale, l’entità dell’intervento e la quantità di nuovo territorio urbanizzato - come se un’area produttiva di dieci ettari fosse quantitativamente e qualitativamente uguale a una di cento. Lecito perciò chiedersi quale prassi segua la Regione Toscana nell’interpretazione della legge e se non ritenga illogico che in Conferenza di copianificazione, il parere – favorevole o meno – sull’impegno di suolo non edificato possa essere espresso in assenza dei dati quantitativi, lasciati successivamente alla discrezione del Comune, uno solo dei contrenti.
Al primo quesito il Garante risponde, incredibilmente, che la questione non è di sua competenza; al quesito, reiterato nel febbraio 2017 e rivolto anche all’Assessore all’Urbanistica, Vincenzo Ceccarelli, il Garante risponde di avere trasmesso la domanda all’ing. Aldo Ianniello, dirigente del settore Pianificazione del territorio; ma anche Ianniello non risponde. Stante il perdurante silenzio, in aprile, la stessa domanda viene rivolta al Presidente Enrico Rossi, con la richiesta di chiarire a livello regolamentare la corretta interpretazione della legge. Tutto finora tace sul fronte tecnico e politico.
L’atteggiamento delle istituzioni regionali nei riguardi dei cittadini, che alla fine può suonare sprezzante, il fatto di non sentire la responsabilità istituzionale di rispondere a un quesito decisivo per una corretta applicazione della legge è incomprensibile da un punto di politico. Il Presidente della Regione Toscana, in passato, ha mostrato attenzione alle richieste che venivano dal basso e le buone leggi, anche se poco o non applicate, sono sue leggi; si può capire che in questi giorni sia impegnato su un fronte nazionale di particolare complessità e per tali ragioni non abbia ancora preso in esame la domanda delle associazioni; dovrebbe, tuttavia, essere consapevole che la democrazia si basa essenzialmente sulla trasparenza delle istituzioni e che il muro di gomma è il tratto più tipico della peggiore destra. È vero che in un quadro nazionale in cui vi è un premier eterodiretto e un governo ultra debole, in cui le lobby e le clientele scatenate dettano leggi e decreti legislativi (si veda il depotenziamento della Via o il condono edilizio preventivo e permanente degli abusi edilizi), la questione può apparire poca cosa; ma ha, invece, un significato politico non trascurabile per chi crede ancora che la trasparenza delle istituzioni sia un importante valore democratico e, se proprio lo vogliamo dire, di sinistra.
Il decreto legislativo 401, in corso di esame presso la 13ª Commissione “Territorio, ambiente e beni ambientali”, è non solo un colpo micidiale a territorio, ambiente, beni ambientali e paesaggio...(segue)
Il decreto legislativo 401,in corso di esame presso la 13ª Commissione “Territorio,ambiente e beni ambientali”, è non solo un colpo micidiale a territorio,ambiente, beni ambientali (e paesaggio), ma una prova generale dell’Italia chepotrebbe venire dopo le elezioni politiche. Neanche Berlusconi aveva mai osatotanto, dal momento che limitava la procedura speciale della Valutazione diimpatto ambientale alle sole opere dichiarate di interesse nazionale. Ora ilPd, asse portante del partito delle grandi opere, vuole estendere la proceduraspeciale di Via, quella della legge Obiettivo - condotta non sul progettodefinitivo ma su quello preliminare (qui chiamato “progetto di fattibilità” conriferimento al Decreto legislativo 50/2016) - a tutti i progetti che “possonoavere impatti ambientali negativi”, cioè a tutte le opere soggette a Via: laspecialità diventa normalità. E se non bastasse, se anche il progetto difattibilità si mostrasse troppo oneroso, il decreto offre la possibilità aproponenti e autorità competente di mettersi d’accordo sul grado di dettaglioda osservare nel progetto.
Il provvedimento nonsolo è devastante per la tutela di ambiente e paesaggio, ma è l’anteprima di unpossibile alleanza Pd-Forza Italia, giustificata dal disastrato bilanciostatale e dalle richieste dell’Europa. Dopo le elezioni, cosa si potrebbe metteresul piatto degli investimenti, non avendo risorse a disposizione? L’opportunitàpiù facile è di appropriarsi di un patrimonio comune che non appartiene alloStato, né tanto meno al governo, ma alla collettività: territorio, ambiente epaesaggio, appunto, da svendere al cartello delle imprese costruttrici e delle banche.Ma per dare il via alla riffa delle grandi opere (inutili, dannose e costose), occorrefin da ora eliminare le procedure di valutazione esistenti, troppo aperte,quando siano presentati progetti preliminari spacciati per definitivi, aopposizioni amministrative e legali - vedi ad esempio quelle di Comuni e comitatinei confronti del progetto del nuovo aeroporto di Firenze. Si sa bene che granparte dei progetti presentati a Via è vulnerabile perché scientemente lacunosae che sono proprio le lacune, quando approvate, a giustificare in corso d’operala moltiplicazione dei costi, indispensabile alimento della corruzione e dellapolitica. Vi è una discrasia drammatica tra il mondo politico, anche quello disinistra o che si dichiara tale, e i cittadini a proposito del valore diambiente e paesaggio - le migliaia di comitati e associazioni a difesa diterritori e monumenti lo stanno a dimostrare. In attesa, non passiva, di unsoggetto politico, esistente o nuovo, o per lo meno di politici che saninoquesta discrasia
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Con la nuova legislatura e il licenziamento dell’assessore all’urbanistica Anna Marson, il PD, incarnato in amministratori e consiglieri regionali ex di tutto e ora renziani, ha iniziato l’opera demolitoria di quanto era stato fatto nella breve “primavera toscana”. Si procede in modo erosivo, cambiando alcuni articoli e commi della LR 65/14 (legge di governo del territorio), aggiungendovi codicilli derogatori ed eccezioni alle regole. Lo stesso vale per il Pit con valenza di Piano Paesaggistico; in questo caso il lavoro di demolizione non riguarda il testo ma la sua applicazione: un combinato - modifiche alla legge ed elusione del piano - che procede verso una definitiva normalizzazione delle politiche territoriali, asservite a una strategia che privilegia sempre e comunque le grandi opere, le infrastrutture impattanti, l’incenerimento, le messe in sicurezza fasulle, lo sfruttamento geotermico ubiquitario e a stretto contatto con oasi naturalistiche; che procede a testa bassa e a orecchie tappate, anche quando tutto ciò è contro il volere di Comuni e cittadini. Un paradigma di questo percorso è il Piano Strutturale di Lucca, adottato nel maggio 2016, e ora in fase di controdeduzione alle numerose osservazioni avanzate da associazioni ambientaliste, comitati e anche (flebilmente e strabicamente) dalla Regione Toscana.
Il piano di Lucca è esemplare di come in quattro semplici mosse si eludano leggi e Piano Paesaggistico; si propone quindi come modello per enti locali e professionisti che ne vogliano seguire la strada. Vediamo come. Prima mossa: allentare ed estendere il confine del territorio urbanizzato al cui esterno, per legge non sono permessi insediamenti residenziali, mentre qualsiasi previsione di nuovo consumo di suolo deve essere sottoposta a una conferenza di copianificazione che veda coinvolti Comuni limitrofi, eventuale Città metropolitana o Provincia, e Regione. Il nuovo PS include all’interno della “linea rossa” del confine circa cento ettari di suolo che nel piano precedente avevano una destinazione rurale o agricola; ora privi, perciò, anche della tutela offerta dalla classificazione di “area agricola interclusa” prevista dalla Legge 65/2014.
Terza mossa: sterilizzare le prescrizioni formulate come “indicazioni per le politiche” per ciascuna delle quattro invarianti nel Piano Paesaggistico adottato e poi conglobate in quello approvato in un'unica voce, come “obiettivi di qualità e direttive”. L’idea è stata di ripetere nella disciplina delle quattro invarianti (i caratteri idro-geomorfologici, i caratteri ecologici, il sistema insediativo e i sistemi agro-ambientali) letteralmente, non una virgola in più o in meno, quanto contenuto nel Piano Paesaggistico. Nessun approfondimento, nessuna indicazione più specifica, nonostante il salto dalla scala 1:50.000 a quella 1:10.000. La preoccupazione degli estensori del piano di Lucca è il rispetto formale delle leggi e l’adeguamento elusivo alle direttive del Piano paesaggistico, rimandando eventuali dettagli al Piano Operativo, di competenza esclusiva del Comune e di fatto incontrollabile.
Ma in realtà il PS di Lucca non si adegua neanche formalmente alle leggi regionali. Infatti, la Vas, obbligatoria per i piani strutturali, è soltanto una raccolta di dati provenienti da varie fonti e il relativo rapporto ambientale non contiene le informazioni richieste dalla LR 10/2010 sugli impatti ambientali del piano (sulla biodiversità, la popolazione, la salute umana, la flora e la fauna, il suolo, l’acqua, l’aria, i fattori climatici, i beni materiali, il patrimonio culturale, ecc.), di nuovo rimandando politiche e azioni al Piano Operativo.
E la Regione Toscana? Ha osservato le pagliuzze, ma non le travi del Piano Strutturale; e anche in questi casi si limita a consigliare, usando prevalentemente condizionali e frasi ipotetiche (il PS “potrebbe” “è opportuno effettuare ulteriori verifiche”, ecc.). Quanto alla rispondenza del PS al Pit con valenza del Piano Paesaggistico, la Regione si limita a ricordare al Comune di Lucca che il Piano è stato approvato e che il Comune di Lucca ricade nell’ambito di paesaggio Lucchesia. Se il Comune di Lucca sembra credere poco al Piano Paesaggistico, la Regione, a quanto pare, non lo tiene in nessun conto.
Tutte queste operazioni hanno alcune caratteristiche in comune: i) sono strettamente collegate l’una con le altre, ma progettate in modo autonomo e con tempi diversi; ii) sono promosse con progetti sbagliati, obsoleti, spesso non rispondenti a quanto prescritto dalla legge, ma con il tratto comune di privilegiare la soluzione più costosa e meno efficiente; iii) sono bloccate o procedono con lentezza, non per le opposizioni di comitati e cittadini (impotenti e tuttavia vituperati dal PD), ma per gli errori progettuali, la mancanza di pianificazione, la diffusa corruzione che le accompagna. Il tutto con uno spreco colossale di denaro pubblico di cui nessuno risponde in un mondo di irresponsabilità politica.
Il caso della Tav fiorentina è esemplare e vale come paradigma di tutto il resto. Progettata alla fine degli anni ’90, con una VIA approvata le cui numerose prescrizioni sono state rimandate al progetto esecutivo; bloccata per due decenni dalla mancata soluzione dello smaltimento delle terre di scavo, con una trentina di politici e tecnici rinviati a giudizio (tra cui Maria Rita Lorenzetti, ex Presidente della Regione Umbria); definita criminogena da Raffaele Cantone in un’audizione al Consiglio regionale (senza che alcun consigliere del PD battesse ciglio); con la stazione sotterranea – che doveva contenere 5 piani di esercizi commerciali - su cui non è stata effettuata la VIA, ma in compenso si è già scavato un buco che con altre opere secondarie è costato 760 milioni (contro i 270 previsti).
Quando finalmente le Ferrovie italiane sembrano ripensarci a favore della soluzione di superficie, da un decennio sostenuta da comitati e Università di Firenze, si scatena un dibattito: non tecnico ma politico: Nardella è a favore del ripensamento voluto da Renzi, suscitando le reazioni risentite di Riccardo Nencini e Enrico Giani, inaffondabili della politica, e di Rossi anch’esso fautore, finora, del tubone sotto la città. I contendenti si vedono a Roma e ne esce un sottoattraversamento dimezzato. Col nuovo tracciato, la stazione Foster non serve più, anche perché qualcuno, dopo decenni, si è accorto che i viaggiatori vogliono arrivare a Santa. Maria Novella, ma che nel frattempo è saltato il collegamento tra le due stazioni inizialmente previsto. A questo punto, entra in crisi per mancanza di utenti la linea 2, pensata per servire oltre l’aeroporto, la stazione alta velocità. Qualcuno riesuma la vecchia ipotesi di Campo di Marte, nel settore est della città, qualcun altro ripropone la lontana e periferica stazione di Castello. Come al solito, chi parlano sono politici senza alcuna cognizione e competenza tecnica. L’argomento più forte è che dopo un ventennio si deve andare avanti, costi quel che costi (e più costa, meglio è). Qualcun altro, inevitabilmente tira in ballo i posti lavoro che andrebbero persi con soluzioni meno impattanti, una sciocchezza buona a tutti gli usi che vede uniti industriali e sindacati.
I protagonisti di tutto questo caotico vociferare non si rendono conto che le opere più impattanti, aeroporto, linea 2, e stadio-outlet vanno tutte a posizionarsi sui confini ovest della città e gravano sul già congestionato nodo di Peretola, dove si dovrebbe realizzare la terza corsia autostradale (sopraelevata per consentirne il sottoattraversamento del nuovo Fosso Reale, a sua volta condizione necessaria per la realizzazione del nuovo aeroporto, onere che Autostrade Italia rifiuta di accollarsi). Una situazione insostenibile, la cui insostenibilità viene mascherata da valutazioni dei singoli progetti e non complessiva. Senza peraltro un piano finanziario, senza risorse assegnate, i privati spingendo per gli aiuti pubblici anche se non consentiti.
Questo è il desolante quadro politico, in cui i protagonisti, oltre a essere uniti nell’insipienza specifica, lo sono anche dall’ignoranza totale di come sta cambiando il mondo. Le città del nord Europa, Rotterdam e Copenaghen in testa, si stanno attrezzando e stanno realizzando importanti progetti per affrontare il cambiamento climatico. Le parole d’ordine sono “rinaturalizzazione” e l’allontanamento del le automobili dalle città. Tutti i progetti fiorentini vanno in direzione opposta, verso un aumento dell’artificialità e quindi della fragilità dei sistemi ambientali. Con le automobili portate fin dentro al centro storico. Un futuro pensato per il turismo, quello ricco negli alberghi e residenze di lusso, quello povero a trascinarsi in uno spazio pubblico ormai ridotto a suk. La ciliegina sarebbe Mac Donald in Piazza del Duomo a sfruttare l’immagine della cupola del Brunelleschi. Operazione contrattata sottobanco dall’amministrazione fiorentina che ora apparentemente fa retromarcia sotto la protesta popolare. Mac Donald: simbolo di qualità e novità. Come la politica fiorentina.
Il 16 aprile, un episodio apparentemente marginale ha segnato simbolicamente la fine della primavera toscana, quella prospettiva balenata durante l’assessorato Marson di una politica che facesse di ambiente, paesaggio e territorio ingredienti di uno sviluppo innovativo e durevole.
Questo episodio, marginale ma significativo, è il suggello di una gara crescente tra Renzi e Rossi a chi è più bravo nel facilitare opere inutili e dannose. Basta ricordare due ultimi episodi. Il 25 marzo Renzi, accompagnato da alcuni suoi fidi e ignorando Rossi, ha convocato in segreto a Palazzo Vecchio il Sindaco Nardella e alcuni assessori per sancire che l’aeroporto dell’amico Carrai si doveva fare e altrettanto (ultima improvvisazione) una nuova linea della tranvia sotto il centro storico di Firenze. E poiché due tunnel nel sottosuolo fiorentino, la tranvia oltre la Tav, forse sarebbero stati troppi, quest’ultima poteva attendere. Pochi giorni dopo, simmetricamente, il Presidente Rossi si è precipitato a Roma, è intervenuto nel procedimento Via in corso sul nuovo aeroporto e annunciato che entro un mese la Commissione Via (che ancora deve pronunciarsi con votazione, in seduta plenaria) avrebbe dato parere favorevole con prescrizioni al progetto esecutivo: esattamente ciò che fin dall’inizio hanno sostenuto e preteso i proponenti del progetto. Infine, per rassicurare i cittadini, Rossi si è proposto come presidente di un costituendo Osservatorio, che ripentendo la tragica esperienza del Mugello, niente conterà e niente farà: un’autentica presa in giro.
Ha aggiunto Rossi che si sarebbe fatto il sottoattraversamento dell’alta velocità, fortemente voluto dalle cooperative rosse, e che le terre di scavo sarebbero state declassate da rifiuti a materiali riutilizzabili. Dimenticandosi che solo qualche mese fa Raffaele Cantone aveva ribadito di fronte al Consiglio regionale quanto già era scritto nella sua relazione del 4 agosto 2015: che erano mancati gli adeguati controlli da parte degli enti pubblici preposti e che le “criticità emerse dalle indagini della Procura non potevano ritenersi del tutto superate”. Tra queste, i permessi scaduti, i vertici delle società arrestati, chi per corruzione chi per associazione a delinquere, chi per abuso d’ufficio, chi per tutti e tre i reati e per altri ancora” e che “i comportamenti dei soggetti preposti all’esecuzione sono finalizzati a conseguire maggiori utili a discapito di una minore qualità dell’opera”.
La diretta streaming dell’audizione di Cantone è stata negata, la maggioranza ha glissato, i giornali hanno dato scarne notizie per tacere subito dopo, mentre sono acritici quando si tratta di diffondere autentiche balle tra cui spiccano le notizie che l’aeroporto sarà inaugurato nel 2018 e che i lavori di rifacimento dell’intero assetto territoriale della piana fiorentina costeranno (solo) 150 milioni. Soldi pubblici nelle intenzioni di Renzi, che perciò aveva spinto su Firenze come sede del prossimo G7 per giustificare con l’eccezionalità dell’evento i finanziamenti statali all’aeroporto, non altrimenti concedibili per normativa europea. Dirottata altrove la sede del G7, la classe dirigente fiorentina ha emesso alti lamenti, dichiarando tra l’altro che l’evento “avrebbe dato visibilità” a Firenze… finora, come si sa, ignota al mondo.
Una piccola perla che testimonia o la dabbenaggine di chi la dice o il fatto che egli creda di parlare a un esercito di mentecatti, ma riportata senza battere ciglio dalla stampa locale. In sintesi, Renzi e Rossi si comportano in modo simmetrico. Intromissioni in questioni e procedure che devono essere lasciate alle istituzioni rappresentative e agli organi competenti, indebite pressioni, violazione di norme e procedure; cui si possono aggiungere, nella sostanza, l’idea dei cittadini come massa inerte e l’attiva acquiescenza agli interessi del cemento e della finanza. Qualcuno dovrebbe spiegare a Rossi che l’alternativa a Renzi si fa sul terreno dei valori, sull’ascolto dei cittadini, sulla valorizzazione dei contributi dei cosiddetti “corpi intermedi”: In una parola su un’effettiva democrazia. Se Rossi vuole battere Renzi facendo a chi è il più Renzi dei due, la sua partita è persa. Purtroppo anche quella della Toscana e non solo.
Emendamento “mascalzone” quello per l’aeroporto di Firenze: , ma forse è meglio definirlo “criminale”. Si tratta ... (continua la lettura)
Emendamento “mascalzone” quello per l’aeroporto di Firenze: ma forse è meglio definirlo “criminale”. Si tratta di un emendamento presentato dai relatori della Legge di Stabilità, Melilli (Pd) e Tancredi (Ncd), volto a spianare la strada al progetto del nuovo aeroporto di Firenze. Mascalzone, perché manipolare le leggi per favorire un progetto o un intervento in corso, cambiare le regole durante il gioco, è profondamente antidemocratico. “Criminale”, perché qui non si tratta di una bretella stradale o di una linea ferroviaria (ciò che sarebbe già grave); qui si tratta di un aeroporto situato a tre chilometri dal centro di Firenze, in una zona densamente popolata, ad alto rischio idraulico, dove è insediato il polo scientifico universitario e dove si vuole costruire un nuovo inceneritore il cui inquinamento si sommerà a quello dell’aeroporto; e dove sono presenti centri commerciali, autostrade, linee ferroviarie e ogni sorta di infrastrutture. Un progetto che secondo l’Università di Firenze non valuta adeguatamente il rischio di catastrofe aerea: si gioca con la vita delle persone.
, hanno più volte .. (continua a leggere)
, hanno più volte annunciato che tutto deve procedere celermente nelle fasi di valutazione e approvazione del progetto, affinché alla fine del 2017 l’aeroporto possa accogliere i capi di governo in un G7 che, tuttavia, sembra ora dirottato verso la Maddalena con disperazione della stampa locale; che si è ben guardata di appurare se la data fosse credibile; e, poiché è del tutto incredibile, a chiedersi le ragioni di una così plateale mistificazione.
Ma vediamo quali sono le operazioni da compiere in poco più di un anno e mezzo. Approvato il, progetto esecutivo, si tratta di espropriare tutti i terreni necessari. Poi si deve realizzare il nuovo Fosso Reale e trovare una destinazione a oltre 3 milioni di tonnellate di terra da bonificare; e poiché il Fosso Reale deve attraversare l’autostrada nel tratto Peretola-Firenze Nord, questa deve essere sopraelevata di circa 70 cm per qualche centinaio di metri, in contemporanea alla costruzione della terza corsia su entrambe le carreggiate; nel frattempo devono essere realizzate le aree di laminazione a compensare quelle eliminate e a mitigare le nuove impermeabilizzazioni; deve, inoltre, essere realizzato il nuovo collegamento tra Sesto Fiorentino e l’Osmannoro, rifatto il reticolo minore delle acque basse e alte con la viabilità di servizio. Infine, si potrà costruire la nuova pista, le infrastrutture di supporto, la viabilità di accesso, i parcheggi e, ovviamente le gallerie commerciali, il vero business dell’aeroporto.
Tutto finito e funzionante e collaudato in meno di due anni. Da ciò si deduce che chi annuncia la fine dei lavori in quei tempi o è matto o è uno sprovveduto che sottovaluta la complessità delle operazioni da compiere (e interferenze e opposizioni) o è in malafede. E se è in malafede, per quale ragione tutta questa fretta? Le ragioni sono fin troppo chiare: si vuole forzare la mano rispetto a leggi, regole e procedure affinché il progetto sia approvato prima possibile, ma, soprattutto, senza opposizioni e senza che i cittadini siano informati delle magagne, delle criticità, della pericolosità e della non convenienza (pubblica) del progetto. Perciò, un Master Plan spacciato per progetto definitivo, con così numerose omissioni e carenze ed errori da far concludere all’Università di Firenze, nelle sue osservazioni, che nella procedura VIA vi sono evidenti profili di illegittimità, tali da “giustificare un parere negativo dell’Autorità competente”. Perciò, niente Dibattito pubblico, nonostante che sia obbligatorio per legge e prescritto da una delibera del Consiglio regionale: poiché i proponenti non intendono collaborare mentre la Regione Toscana è inerte e sostanzialmente collusiva.
Il progetto deve essere approvato perché così si vuole dall’alto. Lo ha affermato Il Presidente dell’ENAC, Vito Riggio, parafrasando il marchese del Grillo: discutete e opponetevi pure, tanto decide il Ministero dell’Ambiente (cioè noi). E cosa deve decidere? Semplicemente che per ‘prassi consolidata’ la soluzione di tutte le criticità, delle carenze progettuali, delle magagne, verrà rimandata al progetto esecutivo, dove nessuno sarà in grado di controllare alcunché. E se il rischio di catastrofe aerea (come segnala l’Università) è stato sottovalutato, pazienza; e se il volo non sarà esclusivamente monodirezionale e molti aerei passeranno sulla città di Firenze, i fiorentini ci sia abitueranno; e se la ‘diga’ dell’aeroporto comporterà qualche esondazione, l’acqua in quei luoghi c’è sempre stata, inutile preoccuparsi. E in ogni caso, nessuno sarà responsabile.
Ora è importante portare il progetto su un piano inclinato in modo da non potere tornare indietro, con una prima tranche di denaro pubblico impegnato e speso; come già è stato ribadito per il sottoattraversmento di Firenze da parte dell’altavelocità. Poi si vedrà.
Quanto al progetto del nuovo aeroporto di Firenze, ora sottoposto a VIA, è un concentrato di illegalità, già ampiamente segnalate e tali da portare l’Università di Firenze a concludere nelle proprie osservazioni “Si ritiene che, già sin d’ora, nella procedura di valutazione dell’impatto ambientale relativa al progetto siano rilevabili evidenti profili di illegittimità tali da giustificare un parere negativo da parte dell’Autorità competente”. Ma si va avanti lo stesso. Anzi, in un articolo apparso il 28 luglio sull’edizione locale della Repubblica, viene annunciata l’intenzione di Matteo Renzi (che ha perso la pazienza, sic!) di stravolgere con un proprio decreto le procedure di garanzia dei cittadini per accogliere nel nuovo aeroporto i capi di stato in occasione del G7 del 2017. Peccato che nessuno abbia designato Firenze come sede dell’avvenimento e che l’idea che l’aeroporto possa essere pronto tra due anni è una pura follia, cui evidentemente l’articolista presta fede. E poiché qualcuno deve pur avere avvisato il nostro Presidente del Consiglio che i tempi saranno dell’ordine, se tutto va bene, dei cinque – sette anni, l’eventuale G7 è solo un pretesto per invocare quelle circostanze eccezionali che giustificherebbero l’ennesimo strappo alle regole. Mentre l’Università, sempre secondo l’articolista, dovrebbe accontentarsi di qualche duna che proteggerebbe il Polo scientifico dai rumori del limitrofo aeroporto (operazione proibita per motivi di sicurezza, ma favola buona per gli ingenui). Quanto all’iter di approvazione dell’inceneritore, che dovrebbe concludersi con un ultima Conferenza di Servizi ad agosto, il Sindaco Nardella ha ricevuto i comitati della piana fiorentina che si oppongono con validissime ragioni all’ennesima opera inutile e dannosa (ma non per i costruttori e per Quadrifoglio), ribadendo la ferma volontà di andare avanti, magari con qualche albero e qualche rilevatore di inquinamento in più.
Vi è un filo che unisce ideologicamente e praticamente le tre opere: la loro dannosità non solo per gli impatti diretti e indiretti, ma perché insieme concorrono ad aumentare in modo drammatico il livello di artificialità del sistema territoriale fiorentino, in particolare di quello idrogeologico. E qui si può misurare tutta l’arretratezza dello sviluppo ciecamente perseguito dai nostri governanti. Mentre le città del nord Europa si stanno attrezzando per contrastare i fenomeni indotti dal cambiamento climatico, rinaturalizzando il proprio territorio, fuori e dentro le città, trasformando gli spazi asfaltati e cementificati in parchi e vasche di raccolta, noi pigiamo il pedale sui tubi, le condutture forzate, le soluzioni ingegneristiche che, ammesso che funzionino, implicheranno enormi costi di gestione, rendendo fragile il sistema e comunque altamente vulnerabile a eventi calamitosi sempre più probabili.
Avanti a tutta come kamikaze! Salvo che non saranno i nostri governanti a suicidarsi, ma “suicideranno” le popolazioni da loro amministrate. E quando si scoprirà che il tunnel sotto Firenze non è fattibile se non a costi triplicati e facendo gli scongiuri; che il completo rifacimento del reticolo idraulico della piana a contatto con Firenze è un’avventura rischiosa ed enormemente costosa (per i contribuenti, come è ovvio); che gli effetti inquinati dell’inceneritore insieme a quelli dell’aeroporto, dell’autostrada (con corsia aggiuntiva) e delle tante altre fonti di inquinamento già presenti, formeranno un cocktail micidiale. Quando i nodi verranno al pettine, nessuno sarà responsabile: non Adf, solo proponente; non ENAC, solo consulente; non la Commissione VIA nazionale che è solo un organo tecnico; non la Regione Toscana che ha solo espresso un parere. Colpevoli saranno i cittadini ammalati o alluvionati, perché nessuno li ha obbligati ad abitare nella piana e quindi che se ne stiano buoni e zitti.
La storia si ripete, e quanto sta accadendo oggi per il progetto del nuovo aeroporto di Firenze è un film già visto. Si tratta del 'remake' ...(continua a leggere)
Il problema è che le 'non valutazioni', perché di ciò si tratta, producono spesso effetti devastanti. Ha fatto scuola in tal senso l’alta velocità – nel sottoattraversamento appenninico - dove a seguito di ripetute segnalazioni da parte dei tecnici in merito alla probabilità che la realizzazione delle gallerie ferroviarie potesse intercettare l’acquifero e alla necessità, perciò, di approfondire le conoscenze in tal senso, la politica (tutta) ha, nel supremo interesse collettivo, approvato l’opera dando mandato affinché – ed ecco le parole magiche - “nelle successive fasi autorizzative” si verificasse la sussistenza di tale criticità. Et voilà, con la semplice frase “nelle successive fasi autorizzative” si è realizzata l'intuizione capace di sovvertire l’applicazione delle regole poste a tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Perche è bene ricordare - a riguardo - che gli acquiferi del Mugello sono stati effettivamente intercettati dalle gallerie, che fiumi, torrenti e sorgenti si sono effettivamente seccati; e, udite udite, la Regione Toscana si è costituita parte civile nel processo per disastro ambientale; sì proprio quella Regione che anni prima, in sodalizio con l’allora Ministro delle infrastrutture Matteoli, aveva approvato il progetto TAV convenendo che soltanto “nelle successive fasi autorizzative” si sarebbe dovuto verificare se avevano una base di fondatezza le preoccupazioni ambientali poste da coloro che oggi è di moda chiamare 'gufi'.
Ma torniamo alla procedura di VIA del nuovo aeroporto di Firenze in corso. Questa sta seguendo lo stesso sistema collaudato di aggiramento delle leggi e delle regole. Il primo passo è che il proponente presenti un progetto preliminare/definitivo, operazione impossibile solo per gli ingenui. Il significato autentico è che il progetto entra nella VIA come 'preliminare' e ne esce come 'definitivo'. Come? Con un secondo passo: la commissione VIA, invece di chiedere integrazioni e chiarimenti - atti ufficiali che interromperebbero la procedura e che richiederebbero risposte e approfondimenti altrettanto ufficiali - 'contratta' le modifiche del progetto con il proponente; e, in effetti, per quanto risulta, la Commissione Via non ha richiesto nessuna integrazione del materiale del Master Plan aeroportuale per quanto lacunoso, né lo farà la Regione, Toscana, né lo ha fatto il Comune di Firenze, ovviamente sponsor del progetto, che ha trasformato le proprie osservazioni in "prescrizioni realizzative".
Le "prescrizioni realizzative", un'invenzione senza alcun fondamento giuridico, spiegano il terzo fondamentale passo del "sistema". L'amministrazione - tanto per fare un esempio - invece di chiedere le necessarie integrazioni degli studi e dei modelli di valutazione del rischio idraulico, perché basati su dati non aggiornati, dirà che "nelle successive fasi di realizzazione del progetto si dovrà approfondire l'eventuale necessità di disporre di dati più aggiornati". E così si arriva al progetto esecutivo 'non valutato', con ritardi, interruzioni non previste, proteste, costi triplicati da scaricare sui contribuenti; e con il rischio di ripetere i disastri del Mugello.
Questo sistema è stato seguito dalla Commissione VIA con l'intermediazione e il patrocinio di ENAC nel corso degli anni per tutti i progetti aeroportuali soggetti a studio di impatto ambientale. E, ovviamente, nonostante l'allarme della pagina locale di Repubblica (colpo di scena! Palazzo Vecchio fa le bucce all'aeroporto!) le "prescrizioni realizzative" del Comune di Firenze sono state favorevolmente accolte dal proponente Adf che ha annunciato di volere avviare i lavori entro agosto, anticipando come favorevoli i pareri della Regione e degli altri enti interessati; e sottintendendo che le valutazioni (serie) non sono altro che un evitabile intralcio a decisioni già maturate.
Le opache e tortuose vicende del nuovo aeroporto di Firenze non fanno altro che ripetere un copione collaudato: aggiramento delle regole poste a tutela della sicurezza e della salute delle popolazioni, vanificazione dei processi partecipativi, decisioni prese dall'alto e gestite dall'alto, pubblicità sui giornali al posto di analisi serie. Il tutto con la complicità delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche; nel silenzio della stampa che riporta solo entusiastiche dichiarazioni a supporto del nuovo aeroporto. Non c'è da stupirsi che la 'politica' sia sempre più sentita come una collusione tra potenti, estranea e contraria agli interessi dei cittadini.
Le vicende in corso sul progetto del nuovo aeroporto di Firenze spiegano come i privati oramai decidano a loro piacimento sulla cosa pubblica ...(continua a leggere)
Le vicende in corso sul progetto del nuovo aeroporto di Firenze spiegano come i privati oramai decidano a loro piacimento sulla cosa pubblica con la collaborazione di organismi statali (leggi Ministero delle Infrastrutture ed ENAC); mentre gli enti rappresentativi, in primis la Regione Toscana, stanno a guardare. Comportamenti tanto più gravi se si considera che nel progetto elaborato dalla società Aeroporto di Firenze (Adf) e proposto da ENAC nella procedura VIA, in gioco non sono solo la pista e le sue attrezzature, ma il rifacimento completo della piana a contatto con Firenze: tra l'altro, il nuovo sistema di raccolta delle acque alte e basse - con la deviazione e ricostruzione di un ampio tratto del Fosso Reale - le aree di compensazione delle superfici impermeabilizzate, il nuovo collegamento (quanto mai improbabile) tra il centro di Sesto Fiorentino e l'Osmannoro; per non parlare delle criticità, tra cui le pesanti interferenze con il polo universitario di Sesto e i vincoli che ne impediranno non solo l'ampliamento, ma anche una gestione in sicurezza.
Progetti di questo tipo ed entità, secondo la normativa europea, nazionale e regionale, devono essere accompagnati da un ampio ed effettivo processo di partecipazione. Nella fattispecie, la Regione Toscana si era impegnata, in sede di Variante del Piano di indirizzo territoriale, a sottoporre il progetto a Dibattito pubblico, così come è previsto dalla legge regionale sulla partecipazione. Ma ENAC e Adf non sono d'accordo e non vogliono esami o discussioni: rispondono picche alla Regione che chiede di essere messa a conoscenza del progetto (come sarebbe doveroso in una leale collaborazione) e lo rendono noto come 'definitivo' solo nella procedura VIA. Tuttavia, leggendo la documentazione depositata presso il Ministero dell'Ambiente, ci si rende facilmente conto che il progetto è carente in molte parti e in altre elaborato solo in linea di massima; perciò, non di 'definivo' si tratta, bensì di 'progetto preliminare', non a caso indicato da proponente come 'Master Plan'.
L'aspetto più grave della vicenda, tuttavia, va oltre l'opacità della gestione del progetto. Il risvolto più critico - un anticipo del potenziale contenuto nella legge Sblocca Italia - è che il piano di una parte così critica e delicata dell’area metropolitana fiorentina sia affidato un operatore privato, Air Corporacion America (anche proprietaria dell'aeroporto di Pisa) che decide sulla base dei propri interessi: mentre quelli pubblici sono tutti da dimostrare; nella marea di documenti prodotti da Adf ne manca, infatti, uno fondamentale: uno studio serio e approfondito che spieghi l'utilità del nuovo aeroporto. Molte pagine a pagamento sui giornali, ma nessuna seria analisi ne spieghi i vantaggi a fronte di un riassetto che accentua criticità e caratteri di artificialità del territorio. In sintesi: il territorio al servizio dell'aeroporto e non viceversa.
A fronte di un progetto di rilevante interesse pubblico che viene gestito non solo privatisticamente, ma in modo non partecipato, cosa fa la Regione Toscana che si vede messa all'angolo e che non viene messa in grado di svolgere il Dibattito pubblico (ammesso che lo voglia veramente svolgere); che potrà intervenire sul progetto di Adf solo in seconda battuta, con un suo parere nella Conferenza di servizi, dove, presumibilmente si arrenderà ai voleri di Marco Carrai, presidente di Adf e sodale di Matteo Renzi? La Regione tace ed è implicitamente accondiscendente; e non è irrilevante che, nonostante il plateale sconfinamento di Adf e ENAC contro uno strumento di pianificazione approvato, la Regione Toscana non abbia presentato alcuna osservazione in proposito (né alcuna osservazione in generale). E cosa fa Enrico Rossi, rieletto con largo margine presidente della Regione Toscana? Manterrà, dopo avere preso le distanze da Anna Marson, il silenzio sulla richiesta di Dibattito pubblico presentata da tutte le associazioni ambientaliste? Rossi rieletto in modo plebiscitario, ma con un 50% di astensioni: per sfiducia nella politica e nelle istituzioni, come è giustificato dalle vicende tortuose e opache del nuovo aeroporto di Firenze.
PS Non stupisce che il progetto dell'aeroporto, nella fase di valutazione di impatto ambientale, abbia ricevuto numerose e dettagliate osservazioni, sia sugli aspetti normativi e procedurali, sia sugli aspetti sostanziali e tecnici. A tutto ciò i rappresentanti di Adf rispondono con arroganza, senza entrare nel merito; preferendo l'invettiva all'argomentazione. Alle documentate e precise osservazioni dell'Università di Firenze, contenute in decine di pagine di studi tecnici, Roberto Naldi, presidente di Corporacion America Italia, risponde: «Mi aspettavo qualcosa di più qualificato, invece lo studio è banale e squalificante, fatto da persone che non hanno alcuna esperienza in fatto di aeroporti»: il 'privato' in linea con l'atteggiamento aggressivo di una politica fatta di slogan e di insulti.
che dovrebbero essere soddisfatte >>>
Il succo 'politico' delle dichiarazioni di Rossi, sta nelle ultime frasi, in particolare quando il Presidente afferma: "sono certo che la crisi dei corpi intermedi e dei partiti impone il dovere di allargare lo spettro della rappresentanza, della discussione e della decisione politica. Sono grato ai comitati di cittadini impegnati da anni nelle battaglie ambientali e civili". E subito dopo: "credo che con il Piano del Paesaggio anche in Toscana possiamo contribuire alla ricomposizionee delle forze progressiste e delle culture della sinistra. Ci sono tutte le premesse. Tra le molte possibilità anche il voto disgiunto, consentito dalle regole e dall’offerta politica".
Rossi, a quanto sembra, invita gli elettori di sinistra che non voteranno né Pd né Grillo, ma più probabilmente altre liste, a esprimere comunque un voto a suo favore. Dobbiamo prendere sul serio la proposta di Rossi o si tratta solo di un brillante escamotage per porre fine a una polemica? Proviamo a prenderla sul serio.
La risposta potrebbe essere la seguente. Caro Presidente, quanto lei scrive è indubbiamente di grande importanza e siamo soddisfatti che abbia riconosciuto il ruolo positivo di associazioni ambientaliste e comitati nelle vicende del Piano paesaggistico e più in generale nella tutela del territorio toscano. L'unico appunto è che nel suo intervento sia riproposta la teoria degli "opposti estremismi", intesi come contrapposizione tra un'imprenditoria di rapina che pretende di avere le mani totalmente libere e un ambientalismo 'imbalsamatore' che vuole frenare ogni sviluppo. Lei sa bene che gli ambientalisti e i comitati vogliono arrestare - non basta frenare - lo sviluppo distruttivo e vogliono supportare, nei limiti delle loro possibilità, quello che crea lavoro, tanto meglio se qualificato, come lei stesso dice.
Ma torniamo alla sua proposta che indica come possibile una ricomposizione delle forze progressiste e della cultura della sinistra e all'ipotesi di un possibile voto disgiunto. L'una cosa si lega all'altra. In effetti, potrebbe essere la gestione del Piano paesaggistico a costituire il vero e proprio banco di prova di questa proposta, ma il dubbio è il seguente: lei è sicuro che sarà seguito su questa strada dal suo partito? E che un modello di governo toscano un po' eccentrico rispetto a quello nazionale sarà supportato, o per lo meno non ostacolato, dagli organismi centrali del Pd?
Dario Parrini, segretario regionale del Pd, di nomina e osservanza renziana, nel suo intervento a sostegno della candidatura di Enrico Rossi...>>>
Dario Parrini, segretario regionale del Pd, di nomina e osservanza renziana, nel suo intervento a sostegno della candidatura di Enrico Rossi a Presidente della Regione Toscana, ha avuto parole sbagliate nella forma e nel merito a proposito dell'intervista sul Pit-Piano paesaggistico toscano rilasciata dal sottosegretario del Mibact Ilaria Borletti Buitoni. Cosa ha detto la Borletti Buitoni? Che il Piano paesaggistico necessariamente è frutto di compromessi e che il compromesso raggiunto a proposito della tutela delle Apuane rappresenta un limite di equilibrio che, se fosse varcato in senso peggiorativo, potrebbe mettere in forse l'approvazione del Piano da parte del Mibact.
Parrini ha definito, senza alcuna motivazione, le giuste esortazioni del sottosegretario "superbe" e ha invitato la Borletti Buitoni a occuparsi dei fatti suoi, perché il consiglio regionale toscano non ha bisogno di "richiami"; aggiungendo, con un tocco di maschilismo che l'intervista in questione "gli fa tenerezza" (sottinteso: le donne sono delle testoline sventate , soprattutto quando si occupano di politica). Quanto al merito, Parrini sbaglia: il Piano paesaggistico è co-pianificato tra Mibact e Regione per precisa scelta politica e la sua approvazione da parte del Ministero comporta una serie di semplificazioni nelle zone vincolate, importanti per i Comuni e importanti anche per chi ha fatto un credo di efficienza e snellimento delle procedure. Ma il Mibact e le Soprintendenze toscane, che hanno svolto un lungo e meritorio lavoro insieme ai funzionari regionali sulla vestizione dei vincoli e sulla disciplina del piano, non sono - come vorrebbe Parrini - dei "convitati di pietra": che il sottosegretario del Mibact con delega al paesaggio esprima la sua opposizione a modifiche del testo concordato sotto la spinta delle lobby del marmo non solo è legittimo, ma anche doveroso.
La nuova legge urbanistica della Regione Toscana entrerà in vigore solo tra cinque anni, almeno nella sua parte più significativa per la difesa di ambiente e paesaggio. Il testo approvato dal Consiglio regionale contiene infatti una norma ... >>>
La nuova legge urbanistica della Regione Toscana entrerà in vigore solo tra cinque anni, almeno nella sua parte più significativa per la difesa di ambiente e paesaggio. Il testo approvato dal Consiglio regionale contiene infatti una norma che rischia di renderla addirittura controproducente.
La nuova legge ha riscosso un pressoché unanime consenso da parte di urbanisti, territorialisti e intellettuali, a vario titolo impegnati nella difesa del Paese. Ultimo, fra i tanti, un bell'articolo apparso su La Repubblica (17/12/2014) di Tomaso Montanari che sottolinea l'importanza dell'obbligo, contenuto all'articolo 4 della legge, di prevedere nuova edilizia residenziale soltanto nel territorio urbanizzato, da distinguere con una "linea rossa" da quello agricolo che deve essere preservato alla sua funzione.
Intendiamoci: la nuova legge urbanistica è una buona legge nel suo complesso, ma, indubbiamente, questa è la disposizione più forte; non solo per un effettivo (e non solo a parole) contenimento del consumo del suolo, ma anche in senso politico, come segnale di controtendenza rispetto ai misfatti prefigurati dal disegno di legge Lupi e dalla legge SbloccaItalia. Un vero e proprio miracolo, in cui un atollo toscano sembra emergere nel mare limaccioso degli accordi tra Renzi e Berlusconi. Peccato che questo miracolo, nell'ipotesi più ottimistica, si verificherà solo tra cinque anni.
Avete capito bene: la nuova legge urbanistica toscana entrerà in vigore tra cinque anni, almeno nella sua parte più significativa per la difesa di ambiente e paesaggio. Il veleno è contenuto nelle Disposizioni transitorie, a partire dall'articolo 222 che recita: " Nei cinque anni successivi all’entrata in vigore della presente legge, i comuni possono adottare ed approvare varianti al piano strutturale e al regolamento urbanistico che contengono anche previsioni di impegno di suolo non edificato all’esterno del perimetro del territorio urbanizzato, ..." Sono dunque confermate per un quinquennio (ma in realtà i tempi potrebbero raddoppiarsi) tutte le previsioni di nuova edilizia residenziale contenute nei piani strutturali e nei regolamenti urbanistici, non solo approvati, ma anche soltanto adottati (sarebbe stato ovvio e possibile "salvare" con il vecchio regime solo le convenzioni approvate e firmate). Ma c'è di peggio: non ci si limita a consolidare le destinazioni pregresse, ma, addirittura, si concede ai comuni la possibilità di (auto)approvarsi nuove varianti di urbanizzazione del suolo agricolo, in attesa che i comuni stessi avviino i procedimenti di formazione dei nuovi piani strutturali che dovrebbero conformarsi al Pit-Piano paesaggistico, si spera approvato a quella data .
La conclusione è evidente: le velenose deroghe contenute nelle norme transitorie, non solo minano la nuova legge urbanistica, ma finiscono per rovesciarne l'utilità, essendo, di fatto, un incentivo a edificare sul territorio agricolo e a estendere il confine di quello urbanizzato, prima che - anche se non si sa quando - la cosa diventi più difficile. Ulteriore conclusione è che tutto il complesso delle norme transitorie dovrebbe essere abrogato. Questo sarebbe possibile se il Presidente Enrico Rossi fosse in posizione di forza. Ma, il Presidente ha contro la maggior parte del suo partito e non è supportato dal consiglio regionale, riottoso ed evidentemente ispirato dal "partito dei sindaci", mentre la sua candidatura è rimessa in gioco. Non vi sono molte ragioni di ottimismo.
Qui la replica di Anna Marson: Non c'è veleno nells coda della legge
Foglio un articolo del vicedirettore Alessandro Giuli che prende di mira l'assessore all'Urbanistica della Regione Toscana>>>
Le ragioni della rivolta contro il Pit sono sostanzialmente tre e l'una non esclude l'altra. Il primo motivo, di natura psicologica, corrisponde a un riflesso di tipo pavloviano. Non pochi agricoltori sono stati in passato angariati dai Comuni con provvedimenti illegittimi; è bastato, perciò, qualche accenno di limitazione per fare scattare una reazione allergica: tanto virulenta quanto ingiustificata dal momento che il Pit non impone e non prescrive niente al mondo dell'agricoltura. Il secondo motivo è che gli agricoltori sembrano non inquadrare il nocciolo della questione, cioè dove sta il loro interesse. Il Pit, infatti, per quanto riguarda il mondo dell'agricoltura ha un taglio esclusivamente promozionale, si rivolge cioè ai programmi settoriali della Regione e non agli strumenti urbanistici dei Comuni, (dei quali la nuova legge urbanistica, anch'essa in attesa di approvazione, esclude ogni competenza sulle scelte colturali). Gli agricoltori, perciò, piuttosto che paventare inesistenti vincoli del Piano, dovrebbero preoccuparsi di dove e di come sono distribuite le risorse finanziarie, cioè degli orientamenti e delle scelte del Programma di sviluppo rurale 2014-2020, in corso di gestazione e facente capo all'assessore all'agricoltura, Gianni Salvadori.
Il terzo motivo è di natura politica: la protesta degli agricoltori contro il Pit è stata cavalcata dall'assessore all'agricoltura che si è messo alla testa dell'opposizione al Piano; dimenticando che il Piano - per ciò che riguarda le direttive e la disciplina rivolta al mondo rurale - è stata concordato parola per parola con i suoi uffici e che lui stesso lo ha approvato in giunta senza aver niente da obiettare. Difficile dire se l'assessore stia a capo o dietro alla protesta; certo è che non vuole che il Pit, con le sue direttive, condizioni il Piano di sviluppo rurale e, volente o meno, fa parte di uno schieramento che attacca il presidente Enrico Rossi colpevole di una politica un po' più di sinistra rispetto a quella renziana. Può essere una tattica di logoramento, tuttavia il bersaglio grosso, è l'approvazione del Pit rimandata alla prossima legislatura, dove tutto può cambiare: non più Marson, la nuova legge urbanistica cassata e la politica regionale ancora più spostata verso le grandi opere, le autostrade, gli inceneritori, ecc. D'altronde, Salvadori, nel cui curriculum vanamente si cercherebbe qualche competenza rispetto ai problemi del mondo agricolo, è un sostenitore dell'agro-industria; è, per fare un esempio, un convinto supporter del progetto della mega-centrale a combustione di biomasse, "riconversione" dell'ex zuccherificio Sadam di Castiglion Fiorentino - un inceneritore mascherato.
Rimane il rimpianto che anche quella parte del mondo toscano che era o sembrava più aperta al cambiamento e più consapevole che un paesaggio sano, ricco di testimonianze e bello, aiuta a vendere i prodotti ed è un valore economico prezioso - ad esempio il Consorzio Chianti Classico, che ha pur sempre una fondazione per la tutela del territorio, - si sia accodata acriticamente alla guerra scatenata contro il Piano; una operazione che mira soprattutto alla distruzione personale dell'assessore Marson; ciò che forse non è "polpottismo", ma sicuramente è bieco stalinismo.
Speculatore: gli affari vanno male, la politica deve fare la sua parte.
Ministro: non ti preoccupare: riusciremo a fare quello che non ha fatto il nostro amico di Arcore, troppa opposizione, troppe incertezze ... qui tira un'aria nuova
S. E come?
M. Rifacciamo la legge urbanistica nazionale. Anzi: rilanciamo una mia vecchia proposta che fu affondata da qualche vecchio barbagianni nostalgico di Bottai.
S. Quale è l'idea?
M. Molto semplice: rendere tutto il territorio edificabile ... beh non esageriamo. Ad esempio non le Alpi al di sopra dei 3000 metri, salvo gli impianti sciistici e gli alberghi e qualche eccezione. I Comuni stabiliranno gli ambiti e le densità edilizie, cioè tutto il territorio dove fisicamente è possibile costruire. Diritti edificatori per tutti, questa è vera democrazia!
S. Ma non si può costruire dappertutto, io ho per esempio un bel parco attorno alla villa.
M. Non ti preoccupare. I diritti edificatori del tuo parco li potrai vendere o trasferire altrove.
S. Avrei anche una grande area industriale dismessa e inquinata
M. La mia legge prevede la riqualificazione. Oltre a quanto stabilito dal Comune puoi aggiungere come premio altri volumi.
S. E l'inquinamento? Le bonifiche costano.
M. Ci potrebbe pensare il Ministro dell'ambiente. Basta innalzare i limiti di tolleranza e il gioco è fatto!
S. E le case nei centri storici? Molte converrebbe ricostruirle.
M. Non nominare questa parola "centro storico", è di sinistra. Si tratta di "rinnovo urbano": potrai cacciare i tuoi inquilini o espropriare i proprietari se hai la maggioranza delle quote e compensarli con i diritti edificatori del tuo giardino.
S. Ma se il piano regolatore non lo prevede?
M. Presenti un progetto in deroga e il Comune lo accetta: è tutto previsto! Tieni conto che ho stabilito che le controversie urbanistiche sono solo di competenza del giudice amministrativo. Basta con l'abuso di ufficio considerato come reato penale!
S. Ma gli standard urbanistici?
M. Aboliti. Puoi dare una quota di diritti per attività di interesse pubblico! Chiese, non ci va nessuno; scuole, sono anche troppe! Verde, pure. Potresti cedere un po' di terreno su cui costruire un pezzo di centro commerciale, naturalmente in un'area agricola..
S. Ma se c'è un vincolo che lo impedisce.
M. Pensato anche a questo. Ho ideato un nuovo strumento: la Direttiva Quadro Territoriale cui i piani paesaggistici regionali e via via discendendo si dovranno adeguare.
S. Ma è incostituzionale!
M. Basta cambiare la Costituzione. La Repubblica tutela lo "ius aedificandi" invece che "il paesaggio". Ci stiamo dando da fare.
S. E per il futuro? Quando saranno esauriti i diritti edificatori?
M. Non ti preoccupare. I diritti si rinnoveranno ogni dieci anni. Non è giusto che le future generazioni non godano delle nostre stesse opportunità. Siamo per uno sviluppo sostenibile.