Il Parco del Ticino non è più di moda come un tempo. Quando nel 1974 fu costituito il Parco Lombardo della valle del Ticino, con una legge regionale, fu subito chiaro che la tutela che andava a porsi sopra un territorio che comprendeva 47 Comuni era ben diversa dalle caratterizzazioni del «parco gemello» (il Parco Naturale della valle del Ticino) sorto in Piemonte.
E questo non solo perché il parco piemontese era di estensione ben più delimitata di quello lombrado ma, soprattutto, perché quello coinvolgeva solo le aree fluviali, con l’esclusione dunque delle aree urbanizzate.
Il nostro Parco del Ticino, invece, decollò sopra l’intero territorio dei Comuni che vi aderirono e la scelta che fu fatta a suo tempo andava nella direzione di estendere la tutela del Parco non solo sull’area meramente fluviale, e sul suo ambiente naturale, ma su tutti gli aspetti storici, agricoli, architettonici presenti in una realtà strettamente correlata alla metropoli milanese. Un territorio, dunque, dinamico e produttivo: dentro la quale opera, vivendoci e lavorandoci, una popolazione di oltre mezzo milione di persone. Ripercorrere la difficile dialettica tra conservazione dell’ambiente e sviluppo, da intendere sia in senso positivo sia nelle sue voraci degenerazioni di speculazione edilizia e devastazione urbanistica, significa non solo rivivere la storia del Parco stesso ma un po’ tutte le fasi che hanno conosciuto i comuni attorno a Milano, a cominciare da quelli della provincia di Pavia investiti sempre di più, negli ultimi anni, da una forte pressione al consumo del territorio.
Non stupisce dunque che il Parco non sia più di moda, che al massimo lo si voglia relegare a un ruolo di educazione ambientale, di cassa di risonanza delle bellezze del fiume e del suo habitat, inducendolo a lasciare ad altri soggetti le cose serie, vale a dire cosa fare del territorio che pure continua a essere formalmente sotto la sua tutela.
Si inserisce forse in questa logica la presentazione, da parte delle forze che reggono la Regione Lombardia, di un emendamento (l’emendamento art. 13 bis alla legge urbanistica regionale) che, se approvato, darebbe una mazzata esiziale al ruolo di tutela del territorio svolto sino ad ora dai parchi, a cominciare - pur con tutte le carenze registrate in questi anni - da quello della Valle del Ticino.
Infatti l’emendamento 13/bis prevede che i Comuni che progettano di espandere le zone urbanistiche in spazi non sottoposti strettamente ai più stretti vincoli naturalistici del Parco, lo possano fare eludendo l’eventuale parere negativo del Parco stesso. E a dirimere l’eventuale dissidio provvederà la Regione che, essendo di fatto la levatrice del provvedimento che sta per decollare, non si metterà presumibilmente dalla parte delle tutele del Parco ma cavalcherà le richieste di urbanizzazione di sempre nuove zone avanzate dai Comuni.
E, su quest’ultimo punto, vale a dire il ruolo dei Comuni, bisogna dire che, al di là del colore della giunta che li regge, questi Enti locali adottano sempre di più, rispetto al consumo del territorio, anche all’interno dell’area del Parco, comportamenti omogenei, all’insegna del monetizzare al più presto gli ultimi asset di verde ancora disponibili per far fronte alle generalizzate difficoltà di bilancio.
Non è dunque un caso che attorno a questo emendamento, che doveva essere discusso mercoledì scorso in commissione regionale e che pare sarà esaminato la prossima settimana, ci sia stato - con la sola eccezione delle forze ambientaliste - un silenzio clamoroso, una mancanza di discussione e di iniziative da parte delle forze politiche che colpisce. E questo accade perché le pressioni dei sindaci, di quasi tutti i sindaci potenzialmente «favoriti» da questo ampliamento di poteri a scapito del Parco, sono precise e forti su tutti i loro referenti politici.
A questo punto, in vista della discussione su questo «emendamento azzoppa/parchi», sarebbe corretto che le forze politiche, tutte le forze politiche, si facessero sentire. Spiegando ai cittadini, ai loro elettori, da che parte stanno in una questione che condizionerà, in maniera incisiva, in tutti i prossimi anni, la gestione del nostro territorio più pregiato. Ammesso, e non concesso, che lo si voglia ancora mantenere tale.
Nota: al Parco Ticino eddyburg ha dedicato anche una delle sue Pagine di Storia con molti testi rari e vari materiali (f.b.)
Della "logistica" in questi tempi si fa un gran parlare, tanto da far persino dimenticare il significato della parola. Quando si parla di logistica si pensa agli interporti, a nuove autostrade progettate affinché funzionino da magnete per attrarre ai loro bordi massicci insediamento commerciali, nonché all'alta velocità. Alta velocità che dovrebbe consentire alle merci, giunte dall'Estremo Oriente sino ai porti europei, di collocarsi al più presto sugli scaffali del più defilato centro commerciale. Pochi ricordano che la logistica, nel suo significato fondamentale, quello che emerge anche aprendo un buon vocabolario dovrebbe essere essenzialmente "l'attività di coordinamento e di sincronizzazione di movimenti di persone o cose in una struttura collettiva". E un territorio, abitato da una comunità, quale ad esempio la nostra provincia, è certamente una "struttura collettiva" dove la "logistica" dovrebbe dare il meglio di sé.
Tuttavia vi sono dei missionari della "grande logistica" - disseminati nella politica e nelle imprese, a volte collocati sul crinale di confine dell'una o della altre - che sembrano convinti che solo con le grandi opere, quelle di cui sono imperiosi paladini, si possano sanare le magagne di un territorio quale il nostro, pesantemente penalizzato nella razionalità ed efficienza delle comunicazioni e dei trasporti. Eppure davanti ai loro scenari è legittimo evidenziare qualche dubbio, far affiorare domande che, partendo dai disagi concreti che affliggono ogni giorno la gente comune, chiedono ragione di una contraddizione sempre più evidente.
Se la logistica è coordinamento e sincronizzazione di movimenti di persone e cose perchè, anziché intervenire tempestivamente dove le incongruenze sono immediate e palesi, risolvibili con investimenti ridotti e interventi che facciano tesoro di quanto già c'è, si imbocca sempre un'altra direzione? E così si privilegia l'opera a grande impatto e dai costi vertiginosi piuttosto che l'intervento attento sulla manutenzione, sull'intelligente scioglimento di nodi così palesi che la soluzione salta immediatamente agli occhi del più distratto dei cittadini.
Ad esempio perchè si consente a molte strade della nostra provincia, e non da oggi, di essere in condizioni di tale degrado da costituire un vero attentato alla sicurezza delle persone? Cosa è stato dell'attenta manutenzione che dovrebbe rappresentare il primo compito di un'oculata gestione delle pubbliche infrastrutture prima di vagheggiare mega-opere in sostituzione di quelle esistenti negligentemente condannate al decadimento?
A volte non sono solo le pubbliche amministrazioni a latitare, ma anche le imprese private che controllano la parte della viabilità più significativa. Ad esempio, è possibile che il gestore dell'autostrada Serravalle che fa anche da significativa bretella di collegamento tra Pavia e Milano, non si sia ancora reso conto di come, ogni giorno, all'ingresso della superstrada di Bereguardo, si formino code - in entrata al mattino e in uscita la sera - perchè quel casello è del tutto sottodimensionato rispetto al bisogno degli utenti? Possibile che nessuno degli amministratori pavesi, finora presenti nel consiglio d'amministrazione della Serravalle, abbia speso la propria influenza affinché fosse adeguato? Magari cominciando a estendere le entrate abilitate all'uso del Telepass?
Saranno piccoli dettagli, bazzecole per chi è abituato a delineare le grandi strategie della logistica, ma per l'utente comune rappresentano tempo prezioso che quotidianamente viene buttato via.
Ma, su tutto l'assetto dei trasporti che innerva la provincia di Pavia, il grande malato continua ad essere, inutile negarlo, il treno. Qui migliaia di pendolari misurano ogni giorno il degrado del servizio, l'inaffidabilità di una rete ferroviaria che peggiora di anno in anno e che, opportunamente valorizzata, con costi inferiori a quelli previsti per le faraoniche opere stradali in progettazione, potrebbe costituire il fondamentale sistema di collegamento tra Pavia e Milano, rappresentando la rete di circolazione, efficace e a ridotto inquinamento, della Grande Milano.
Ma i paladini della logistica, davanti a queste sfide poste dall'esistente, nicchiano, tacciono, latitano. Preferiscono guardare alle mega-opere del futuro. Quelle che, per imporsi, pare debbano prima ridurre il presente in macerie.
Nota: il contesto pavese in particolare, vede l'incombere dello sciagurato progetto dell'autostrada Broni-Mortara (f.b.)
Regione Lombardia, Gruppo Consiliare Verdi per la Pace, Comunicato stampa
La Regione Lombardia chiude i parchi: via libera alla cementificazione del Parco Sud
Milano, 7 novembre 2007 - Nel corso dell'odierna seduta in V Commissione l'assessore Davide Boni ha annunciato ulteriori emendamenti alla sua modifica della legge 12/2005 Testo Unico sull'Urbanistica che attribuiscono ai Comuni la facoltà di prevedere - attraverso i PGT, Piani di Governo del Territorio - espansioni insediative nel territorio dei Parchi Regionali.
In caso di contrarietà dell'ente Parco, interviene la Regione Lombardia modificando autonomamente il Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Regionale, con procedure addirittura semplificate e accelerate, dando di fatto la facoltà di edificare nel Parco.
Il risultato di tutto questo è l'annullamento di qualsiasi potere dei Parchi, che diventerebbero solo organizzatori di qualche convegno e produttori di qualche peluches evocativo.
La cosa più immediata sarà la totale cementificazione del Parco Sud secondo i desiderata dei costruttori, ultimamente già troppo spesso avvallati da molti Comuni, quello di Milano in primis.
Carlo Monguzzi, capogruppo dei Verdi in Regione Lombardia
Via libera alla cementificazione del Parco Sud
Nel corso dell'ultima seduta della quinta Commissione regionale, l'assessore Davide Boni ha annunciato ulteriori emendamenti alla sua modifica della legge 12/2005 " Testo Unico sull'Urbanistica" che attribuiscono ai Comuni la facoltà di prevedere - attraverso i PGT, Piani di Governo del Territorio - espansioni insediative nel territorio dei Parchi Regionali. In caso di contrarietà dell'ente Parco, interviene la Regione Lombardia modificando autonomamente il Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Regionale, con procedure addirittura semplificate e accelerate, dando di fatto la facoltà di edificare nel Parco. Il risultato di tutto questo è l'annullamento di qualsiasi potere dei Parchi, che diventerebbero solo organizzatori di qualche convegno e produttori di qualche peluches evocativo. La cosa più immediata sarà la totale cementificazione del Parco Sud secondo i desiderata degli speculatori, ultimamente già troppo spesso avvallati da molti Comuni, quello di Milano in primis. Personalmente sono molto preoccupato per la situazione di Buccinasco, infatti, qui il PGT della precedente Giunta di centro-sinistra è stato sospeso dal T.A.R. - Tribunale Amministrativo Regionale - per un vizio di forma e la nuova Amministrazione di destra (dello stesso colore di quella regionale) lo deve ripresentare. E' noto che a Buccinasco, vista la sua storia, gli " appettiti" del " partito del mattone" sono inesauribili e "ben rappresentati" politicamente. La metà del nostro territorio comunale è oggi vincolata dal Parco Agricolo Sud Milano, cioè circa 6 Km/q. Faccio appello a tutte le forze democratiche, alle Associazioni ed ai Cittadini perchè si attivino in difesa del nostro Parco Agricolo Sud MI.
Rino Pruiti
Consigliere Comunale di Buccinasco
Uniti per Buccinasco
Nota: sembra così trovare sbocco istituzionale la recente polemica sulla "fruibilità dei parchi", per usare le parole rivelatrici dell'assesore milanese Masseroli, usate nel contesto del discutibilissimo progetto CERBA. Che a questo punto si rivela per quello che è: un grimaldello per creare un precedente, e dare la stura a qualunque rivendicazione localistica, giustificata o meno, azzerando il ruolo della greenbelt metropolitana, e potenzialmente i nquesto senso anche quello degli altri parchi regionali. Proprio da Buccinasco e da Corsico, altro comune del sud Milano, un gruppo di studenti aveva scritto pochi giorni fa al Presidente della Provincia lamentando il sostegno a queto tipo di approccio (f.b.)
Si è svolta sabato 27 ottobre, presso la Sala municipale di Bressana Bottarone, l’Assemblea dei Comitati e delle Associazioni contro l’autostrada Broni-Pavia-Mortara. Di fronte a 150 persone, si sono alternati al tavolo dei relatori i rappresentanti di dieci dei diversi comitati cittadini, che hanno esposto i problemi che il tracciato procurerà ai singoli centri abitati, e delle diverse associazioni, che hanno posto l’accento sulle criticità dell’opera. I Comitati e le Associazioni riconoscono che alcune aree della Provincia di Pavia hanno oggettivi problemi viabilistici, ma ritengono che l’autostrada, lungi dal risolverli, li aggraverà. Ma i problemi viabilistici non sono gli unici aspetti che sconsigliano la realizzazione dell’autostrada. L’autostrada ha, secondo i Comitati, forti controindicazioni per la salute: nel corso della serata sono state ricordate alcune evidenze statistiche, presentate anche in un recente convegno sull’inquinamento svoltosi alla Fondazione Maugeri, da cui si ricava come gli inquinanti del traffico siano tanto più dannosi quanto più giovani sono le persone che li respirano e come la vicinanza a strade trafficate aumenti l’incidenza dell’asma e delle malattie respiratorie. Altre statistiche stabiliscono che a Pavia, dove nel 2006 per ben 111 giorni è stata superata la soglia di attenzione per le polveri sottili, esiste una relazione significativa tra malattie dell’apparato respiratorio e cardio-circolatorio e inquinanti legati al traffico. Da un punto di vista strettamente ecologico, hanno invece ricordato i rappresentanti del WWF, un’autostrada lunga 67 km e larga 40 m, comporta la distruzione di 3.000.000 mq di un territorio eccezionalmente vocato per l’agricoltura; e altri 3.800.000 mq di questo territorio se ne andranno per l’esecuzione delle cave (alcune tra l’altro sotto il livello delle falde idriche) necessarie per ottenere gli inerti per la costruzione dell’opera. E anche sotto il profilo giuridico l’opera non manca di punti oscuri, tanto è vero che la palese violazione di numerose disposizioni di legge ha spinto i Comitati e le Associazioni a presentare tre ricorsi al TAR.
Al dibattito sono anche intervenuti Ezio Corradi vicepresidente dei Comitati Ambientalisti Lombardi che ha riferito delle analogie con l’ autostrada Cremona-Mantova, i rappresentanti del Comitato di Zinasco che si oppone alla costruzione dell’impianto di bioetanolo, del Comitati agricoltori, delle associazioni, Legambiente, La Rondine e Italia Nostra.
L’idea che è emersa nel corso della serata è che il territorio della Provincia di Pavia non deve essere considerato uno spazio da riempire, a maggior ragione se il riempimento avviene con colate di cemento e asfalto.
Milano è la città favorita ad ospitare l’Expo 2015. La decisione sarà a marzo 2008. Il sito scelto è adiacente alla Fiera tra i comuni di Milano, Bollate, Rho e Pero. Sarà un affare enorme, un grande evento commerciale simbolo dell’economia globalizzata, e del prevalere dei mercati sulla politica e la società:
- 4 miliardi di euro d’investimenti (1,4mld di _ pubblici)
- milioni di mq di nuove aree cementificate
- 160.000 visitatori attesi al giorno per 180 giorni
- realizzazione del Tav e di nuove autostrade (Brebemi, Pedemontana, 2 nuove tangenziali a Milano, Broni-Casale e Boffalora-Malpensa)
- terzo teminal a Malpensa
- alberghi, parcheggi, poli logistici di servizio
Una macroregione che va da Torino a Verona, già oggi tra le più inquinate e congestionate al mondo, alterata in maniera irreversibile. Sarà un gran business per le speculazioni sulle aree, la costruzione e la gestione dell’evento; un affare per i soliti pochi noti (Fiera, immobiliari, multinazionali, imprese di costruzioni); un guadagno effimero, precario, magari in nero per chi vi lavorerà. Un territorio sacrificato all’utopia di rilanciare il prestigio di Milano nel mondo con un grande evento, che finirà per essere fine a se stesso, non affrontando i problemi di chi vive, lavora, studia su un territorio così vasto.
Tutto questo senza consultare i territori, nell’unanimismo più totale delle istituzioni e nella disinformazione più completa nei confronti di chi pagherà per sempre le conseguenze di tutto questo.
E il tema proposto per l’evento (Nutrire il Pianeta, energia per la vita) resta un titolo vuoto senza critica al modello agro-alimentare imposto dalla globalizzazione neoliberista, fatto di Ogm, monocolture, sementi ibride, cibi massificati e plastificati; un modello che affama i tre quarti del pianeta, inquina e distrugge la bio-diversità ed arricchisce solo le grandi aziende del settore. Nessun accenno al fallimento delle politiche e delle campagne alimentari degli organismi internazionali.
L’Expo non è ciò che serve ad un territorio già sfruttato, inquinato, cementificato. Non è ciò che chiedono le persone che vivono in questa situazione e che semmai rivendicano città più vivibili a misura dei soggetti più deboli; che immaginano un modello sociale di convivenza costruito sulla relazione e non sullo scambio di merci; che vogliono una città ricca di differenze e non povera nella sua esclusività e uniformità culturale e sociale; che vedono nel territorio un bene comune da difendere; che chiedono cultura, servizi, verde, diritti, un’altra mobilità e non autostrade, alberghi e investimenti per eventi effimeri.
Info e adesioni:
info@noexpo.it ;
noexpo@libero.it; www.noexpo.it
Prime adesioni:
Piero Maestri, Basilio Rizzo, Luca Guerra,Mario Agostinelli, Luciano Muhlbauer, Giorgio Riolo, Augusto Rocchi, Daniele Farina,Vittorio Agnoletto, Paolo Cagna Ninchi, Osvaldo Lamperti, Giorgio Schultze, Emilio Molinari, José Luis Del Roio,Marco Bersani, Maria Carla Baroni, Gigi Sullo,Marco Revelli, Bebo Storti, Dario Lesmo.
Due giorni fitti di dibattito in consiglio regionale e ben 1.800 emendamenti presentati dall’opposizione di centrosinistra alla fine hanno convinto la Casa della libertà in Regione a fare un mezzo passo indietro sulla nuova modifica della legge regionale urbanistica, per dare più tempo al consiglio comunale di Monza di raccogliere le osservazioni sul proprio piano generale del territorio (pgt, ex piano regolatore). Un escamotage per spianare nuovamente la strada al progetto di Paolo Berlusconi di costruire un nuovo maxi-quartiere residenziale alla Cascinazza, uno degli ultimi polmoni verdi della Brianza, a due passi dal parco della Villa Reale. Dopo il blitz della settimana scorsa, quando il centrodestra compatto in commissione Territorio aveva tenuto duro chiedendo una proroga di addirittura 270 giorni (nove mesi) per poi scendere a 180 (sei mesi). Ieri l’assessore lombardo al Territorio leghista Davide Boni, con un emendamento a sorpresa, si è accontentato di 150 giorni. In pratica, al netto dei termini già previsti, Monza, che da maggio è amministrata di nuovo dal centrodestra, avrà 60 giorni in più per approvare il nuovo pgt. E in teoria Berlusconi ha quindi modo di ripresentare il suo piano (300 mila metri cubi su 700mila metri quadrati) alla giunta "amica", dopo che quella di centrosinistra lo aveva bloccato.
Tutta l’Unione ha votato contro. «Un regalo a Paolo Berlusconi e soci - denunciano i verdi Carlo Monguzzi e Marcello Saponaro - . Ora possono aumentare le pressioni per ottenere un incremento delle volumetrie da realizzare sull’area della Cascinazza». «Come ogni anno arriva la leggina ad personam per Monza - aggiunge Pippo Civati dell’Ulivo - . La stagione delle leggi vergogna prosegue anche in Lombardia». «Vince ancora una volta il partito degli affari» insiste Luciano Muhlbauer di Rifondazione comunista. Di tutt’altro avviso i commenti del centrodestra. «Le modifiche introdotte - spiega l’assessore Boni - servono a migliorarne l’applicabilità, dando tempistiche certe che non mettano in difficoltà i comuni. Troppo spesso molte amministrazioni introducono nuove disposizioni a pochi mesi dalle elezioni, facendo così ricadere su quelle successive le decisioni in materia urbanistica».
La giunta dell’ex sindaco Michele Faglia, infatti, aveva osteggiato in tutti i modi il progetto di Paolo Berlusconi. Nel frattempo, il nuovo assessore all’Urbanistica è diventato il berlusconiano Paolo Romani, ex coordinatore regionale di Forza Italia. «Il nostro voto favorevole al provvedimento è un voto di responsabilità - si giustifica il capogruppo di An in Regione Roberto Alboni - . Soprattutto se si considera la difficoltà che molti comuni stanno incontrando nell’approvare in tempi stretti il pgt». Dalla società di Paolo Berlusconi nessun commento ufficiale.
Durante il dibattito c’è stato un duro botta e risposta tra l’ex assessore Alessandro Cè e i suoi ex compagni della Lega. «C’è molta gente qui che non si può più guardare allo specchio - ha esordito lui - . Le porcherie non si fanno e non si deve obbedire a nessun padrone, si abbandona il proprio partito piuttosto». Secca la replica dell’assessore Boni: «Dovevi uscire prima dalla Lega».
Nota: l'affaire Cascinazza, in quanto emblema di un certo rapporto col territorio e la cosa pubblica del centrodestra nostrano, è stato ampiamente trattato su queste pagine. A partire ad esempio dall'intervento dell'assessore all'urbanistica della ex giunta di centrosinistra Alfredo Viganò; o ai tentativi che sembravano riusciti della medesima ex giunta di bloccare per sempre il progetto, all'intervento su questo tema di Eddyburg per Carta; alla descrizione di quanto l'atteggiamento della "classe dirigente" berlusconiana consideri l'elettorato (e il territorio) un vero e proprio parco buoi. E molti altri: si possono cercare, con un po' di pazienza, digitando la parola chiave "cascinazza" nel motore di ricerca interno di Eddyburg (f.b.)
1. CRONACA DI UN SACCHEGGIO (DEL TERRITORIO) ANNUNCIATO
●Nel luglio 1999 la Regione Veneto emana una legge per la realizzazione di un autodromo regionale.
●Nell’ottobre 1999 viene deliberato il “Piano d’Area Quadrante Europa”, nel quale si individua un’area di circa 100 ettari a nord di Trevenzuolo adatta ad ospitare il circuito e le relative infrastrutture, con la prescrizione che la quota di superficie permeabile del suolo (ovvero non edificabile) non deve essere inferiore al 70%; nello stesso piano d’area la maggior parte del territorio tra Vigasio e Trevenzuolo viene tutelato, insieme agli alvei fluviali, come ambito di interesse paesistico-ambientale e destinato al futuro parco fluviale della pianura veronese. Il territorio rimanente viene destinato alla filiera agroalimentare.
●Tra il 2000 e il 2001 viene creata la "Strada del Riso Vialone Nano Veronese IGP", associazione riconosciuta dalla Regione del Veneto che ha come scopo la valorizzazione turistica di un vasto territorio a vocazione risicola situato nella zona Sud Occidentale della Provincia di Verona, che comprende anche i territori di Vigasio e Trevenzuolo.
●Nel marzo 2000 viene dato l’incarico di valutare le proposte di localizzazione dell’autodromo a “Veneto Sviluppo SpA”.
●Nel gennaio 2001, tra le 16 proposte, viene scelta l’area tra Trevenzuolo e Vigasio, in base ad un progetto dello studio di architettura Lyskova-De Togni che nulla aveva a che spartire con il “mostro” attualmente proposto.
●Nel giugno 2001 viene costituita la “Società Autodromo del Veneto srl” allo scopo di realizzare l’autodromo, i soci sono “Veneto Sviluppo SpA” e un “Comitato Promotore”; nell’aprile 2002 i comuni di Trevenzuolo e Vigasio entrano nella compagine sociale.
●Nel marzo 2003 entrambi i comuni approvano varianti urbanistiche per classificare la zona autodromo come ZTO “F”.
●Intorno la metà 2004 la “Società Autodromo del Veneto srl” diventa titolare dei diritti d’opzione per l’acquisto delle aree (scadenza 30 settembre 2006).
●Nel luglio 2004 Earchimede SpA e Draco SpA, individuate quali società realizzatrici, sottoscrivono un contratto preliminare per rilevare una quota del capitale sociale di “Autodromo del Veneto srl”.
●Nell’agosto 2004 viene sottoscritto un accordo quadro tra 4 i soci storici della “Società Autodromo del Veneto srl”e le 2 società realizzatrici Earchimede SpA e Draco SpA.
●Nel settembre 2004 avviene la trasformazione della “Società Autodromo del Veneto” da Srl a
SpA con aumento di capitale di euro 2.000.000 finalizzato all’esercizio del diritto di opzione sui terreni.
●Nel novembre 2004 si delibera una Convenzione per la redazione dei piani urbanistici attuativi tra il comune di Vigasio, il comune di Trevenzuolo e la “Società Autodromo del Veneto SpA”.
●Nel dicembre 2004 viene emanata una legge regionale che modifica la legge del 1999 per la realizzazione dell’autodromo, inserendo le nuove funzioni produttive e commerciali in deroga agli obiettivi di sviluppo.
●Nel febbraio 2005 viene emanata un’altra legge di modifica della legge del 1999 per la realizzazione dell’autodromo, che stabilisce la deroga anche ai limiti dimensionali della grande distribuzione.
●Nel marzo 2005 la Giunta Regionale approva la variante n.3 alle norme tecniche di attuazione del PAQE, che, recependo quanto modificato nella legge del 1999, introduce per la zona autodromo le deroghe ai vincoli di tutela degli ambiti paesistico-ambientali; recepisce le nuove funzioni produttive e commerciali; indica una blanda concertazione con la Provincia di Verona; riduce la quota di superficie permeabile del suolo dal 70% al 30%, escluse le aree per urbanizzazione primaria e secondaria.
●Nel maggio 2005 viene approvato dai comuni il “Patto Parasociale” sottoscritto da tutti 6 i soci.
●Nell’agosto 2005 il consiglio provinciale di Verona delibera le “osservazioni alla variante n. 3 al P.A.Q.E.”, dove si propone di mantenere le tutele ambientali stabilite dal PAQE vigente; lastipula di una convenzione tra Provincia e i 10 comuni contermini alla zona autodromo perconcertare le opere necessarie per un corretto inserimento ambientale, la viabilità di accesso, lacoerenza dei dimensionamenti delle aree produttive e commerciali con le previsioni di sviluppo dell’area.
●Nel corso del 2006 il Consorzio per lo Sviluppo del Basso Veronese – CSBV – di concerto con la Regione Veneto, elabora una bozza di legge per l’istituzione del Parco Naturale Regionale “Delle Antiche Terre del Riso tra il Tartaro e il Tione”. Viene prodotta una mappa che individua l’ambito territoriale del parco, del quale non fa più parte l’area del progetto autodromo.
●Nel giugno 2006 la Giunta Regionale approva la richiesta di parere alla Commissione consiliare sulle controdeduzioni alle osservazioni alla variante n.3 PAQE.
●Nell’agosto 2006 la Earchimede SpA cede il totale delle quote possedute in Motor City Holding srl (3.333.000 euro) alla Draco SpA.
●Nel novembre 2006 la Draco SpA cede quote per 3.333.000 euro di Motor City Holding srl alla Coopsette Soc.Coop. di Reggio Emilia.
●Nel novembre 2006 “Autodromo del Veneto” perfeziona l’accordo di acquisto dei terreni, versando ai proprietari il 30% del valore a titolo di acconto
●Nel febbraio 2007 la Provincia di Verona organizza una Conferenza dei Servizi con la Regione Veneto e i Comuni di Mozzecane, Nogarole Rocca, Trevenzuolo, Erbè, Isola della Scala, Vigasio, Buttapietra, Castel d’Azzano, Povegliano, Villafranca per concordare le clausole di un accordo di programma per la definizione di un “piano delle infrastrutture”.
●Il 29 giugno 2007 i proprietari dei terreni, un gruppo dei quali assistiti dall’avv. Laura Poggi (assessore alle Attività Produttive e Beni Ambientali della Provincia di Verona), e “Autodromo del Veneto” (rappresentata da M. Dall’Oca) firmano presso il notaio D. Fauci di Verona il rogito notarile. La società versa il rimanente 70% di quanto pattuito (15,49 euro/mq) a saldo.
●L’11 Luglio 2007 la società Autodromo del Veneto, rappresentata dal presidente S. Campoccia e dal vice M. Dall’Oca, presenta ufficialmente il progetto “Motorcity” all’hotel Leon d’Oro di Verona, presenti gli assessori regionali Chisso, Marangon, Gava, Conta; i sindaci di Vigasio Contri e Trevenzuolo Meneghello e il presidente della Provincia E. Mosele (unico ad esprimere preoccupazione sulla viabilità e il benessere dei cittadini). Opere previste nel “MOTOR CITY” su un’area complessiva di 456 ettari:
●AUTODROMO (211 ettari - pista 5.200 metri)
●PARCO DIVERTIMENTI TEMATICO (35 ettari)
●STRUTTURE RICETTIVE E RISTORATIVE (32 ettari)
●AREA COMMERCIALE (104 ettari)
●AREA PRODUTTIVA (50 ettari)
●AREA RESIDENZIALE (24 ettari)
●2 CASELLI AUTOSTRADALI SULLA A22
Edificabilità possibile sul 70% dell’area, più urbanizzazione primaria e secondaria: più di 300 ettari cementificati!
Investimenti: 1.500 Milioni di Euro (2.900 miliardi di lire), di cui 70 milioni per il solo acquisto dei terreni (15,5 euro al mq) - (investimenti pubblici: 424 mila euro) - 3° grande opera veneta (dopo passante di Mestre e MOSE).
Superficie: 456 ettari
Visitatori: previsti 2 milioni l’anno per il solo parco tematico
Occupazione: annunciati più di 7.000 addetti a regime
Nota: allegato di seguito l'intero dossier elaborato dal circolo Legambiente "Il Tiglio" di Vigasio, nell'area interessata da questo ennesimo "mostro"; da notare che, solo per fare un esempio, il modello di intervento è piuttosto simile a molte altre cose descritte su queste pagine, a partire dal non molto lontano (in termini di scala vasta) Hub aeroportuale di Montichiari, col suo contorno di strutture sportive, commerciali, ecc. Che avrebbero senso in una logica pianificata, di concentrazione dell'insediamento per nodi ad alta densità. ma diventano ridicole sparpagliando ovunque ogni bella pensata di "valorizzazione", ad esempio lungo gli insediamenti lineari veronesi di pianura, in questo caso sull'asse nord-sud dove già cresce compatta la statale del mobile Verona-Rovigo via Legnago, e dove gli architetti griffati hanno già messo il timbro dell'arte su VeMa, praticamente parallela e a un tiro di sasso dal post-marinettiano autodromo, fatto più di metri cubi inutili che di velocità pura. E poi i giornali parlano di "emergenza riscaldamento globale" ... L'emergenza è la faccia tosta cronica con cui abbiamo a che fare (f.b.)
TORINO - Il parco divertimenti più grande d'Italia, per il momento, è solo un sogno custodito su migliaia di pagine e decine di faldoni. Il progetto ormai definitivo, al vaglio di una commissione di esperti per la valutazione di impatto ambientale che dovrà pronunciarsi entro il 15 novembre, è gelosamente custodito in una villa sulla collina di Ivrea, sede legale e quartier generale di Mediapolis, la società torinese pronta ad investire 200 milioni di euro per un'opera attesa da ormai otto anni, in grado di richiamare ad Albiano, dove verrà costruito, un milione e 600 mila persone all'anno, ma anche oggetto di forti contestazioni (in particolare la battaglia di Maria Crespi, presidente Fai, ente proprietario del castello di Masino) da parte delle associazioni ambientaliste, spesso riportate anche nel blog di Beppe Grillo.
In attesa dell'inchiesta pubblica invocata da Fai, Pro Natura, Legambiente, e Wwf sul progetto, l'iter va avanti ed entro fine anno, inizio 2008, dovrebbero mettersi in moto le prime ruspe. Ecco, nel dettaglio, che cosa sarà il Parco Mediapolis, quasi 600 mila metri quadri divisi tra spazi destinati al classico divertimento da fine settimana, quello che possiamo trovare a Gardaland o Disneyland o al parco danese di Tivoli, a Copenaghen e la tecnologia esasperata e di ultima generazione. Giostre, da un lato, simulatori, elettronica d'alto livello e realtà virtuali, dall'altro. E ancora: centri commerciali (non è prevista piastra alimentare), cinema, teatri, sale convegni, hotel, aree destinate a concerti e spettacoli.
Parco e ambiente
L'obiettivo che il pool di progettisti si è imposto, è integrare il più possibile il parco con l'ambiente circostante. Sarà un parco in un parco, il primo costruito dall'uomo, il secondo offerto dalla natura con lo spettacolo dell'anfiteatro morenico tutt'attorno. In otto anni, da quando si è incominciato a pensare a che cosa sarebbe stata questa immensa area divertimenti, le modifiche sono state innumerevoli. «E spesso - spiega l'amministratore delegato Sergio Porcellini - sono servite le critiche e le dure opposizioni per migliorare il progetto nei suoi aspetti».
Natura, viaggi, sport
Mediapolis Park, nella porzione ovest, si estende per 148 mila metri quadri all'aperto. Viaggi e avventura, giostre che si snodano in corsi d'acqua artificiali tra foreste e calotte, insenature e canali, laghi e cascate. Un richiamo alle fiabe di Andersen o ai viaggi di Marco Polo, mondo reale e fantasia che si mescolano in continuazione attraverso viaggi a sorpresa fra la vegetazione e le attrazioni. L'utilizzo dell'acqua è il tema principale, il grande lago scenografico di 22 mila metri quadrati è una delle maggiori attrazione del parco: ci si potrà dedicare ad una gita in barca o alle giostre acquatiche come il roller coasters o la torre di caduta alta 40 metri, solo per citare due esempi. E ancora: aree per bambini, famiglie, teen zone, eco-garden, sport estremo e percorsi avventura per gli adulti e per i più piccini.
Tecnologia e interattività
L'evoluzione tecnologica, con particolare riferimento ai new-media e alla realtà virtuale è la caratteristica fondamentale. In sintesi si potrà viaggiare e ci si potrà addentrare in avventure fino a ieri immaginate, senza muovere un dito. Un viaggio nella natura e nella storia sarà reso possibile, reale ed avvincente in un unico posto, senza necessità di viaggiare, attraverso la tecnologia virtuale e i simulatori di ultima generazione. Lo spazio indoor, 25 mila mq, sarà trasformato nella «città della comunicazione»: attrazioni audiovisive, videogiochi, studi tv, sale concerti, teatri destinati ad ospitare spettacoli dal vivo e un cinema multiplex. Il parco Mediapolis, sostenuto da Regione e Provincia (con in testa il presidente Antonio Saitta che l'ha inserito nel piano strategico del Canavese), nato dai Patti Territoriali all'epoca coordinati da Ivrea, ora croce e delizia a seconda da dove lo si guardi, è pronto a spiccare il volo.
Nota. in questa stessa sezione SOS Padania numerosi altri articoli sul progetto Mediapolis (f.b.)
Lo sprawl fa share: in tutti e due i sensi. Il primo, più allarmante e letterale, è che i confini amministrativi di Scatolonia, dell’insediamento diffuso selvaggio, si allargano a ogni minuto che passa, e si prendono uno “share” crescente della vita di ognuno: di spazio, di tempo, di respiro. Il secondo, declinando il verbo “ to share” nel senso pubblicitario-mediatico più in voga oggi, è la possibile buona notizia: anche parlare di sprawl può attirare l’interesse della gente, di tanta gente. Della maggior parte dei politici pare ancora di no, ma della gente che poi li dovrebbe eleggere sicuramente.
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Naturalmente, per iniziare a comunicare bisogna porsi il problema, e non sperare (come ahimè si fa quasi sempre) che basti la forza del messaggio a travolgere gli animi. Lo diceva anche McLuhan, che il messaggio è il mezzo, no? E lo diceva un paio di generazioni fa. Non sarebbe magari ora di pensarci?
Le folle attirate nella tiepida serata estiva di sabato 16 giugno alla sala comunale di Bressana Bottarone (PV), a qualche centinaio di metri dagli argini del Po, e a pochi centimetri da una parallela folla di zanzare, forse erano anche incuriosite dalla presenza di nomi noti, come il giornalista della Stampa Giorgio Boatti, o ancor più il meteorologo televisivo Luca Mercalli. E aiutava molto, anche, l’incombere da queste parti di una collezione di mostruosità da catalogo: poli logistici come se piovesse, centri commerciali, e a legare il tutto (all’ubiquo ed esiziale asse Lisbona-Kiev, of course) l’ultimo capolavoro della Broni-Mortara, vera e propria fabbrica di sprawl secondo i più classici meccanismi.
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Però, sia gli aspetti di – sacrosanta - protesta locale, sia quelli più sottili della logica “e adesso un bell’applauso”, hanno lasciato gran parte dello spazio al convitato di pietra: il consumo di suolo vivo sotto i nostri piedi, sostituito rapidamente e sconsideratamente da goffi quanto inutili scatoloni e asfaltature, fin quando come ha osservato a un certo punto Mercalli “Ci troveremo con tanti capannoni. Vuoti. E la pancia pure”.
E la pancia pure. Perché in Italia, come ci mostrano spietate le immagini satellitari dell’Agenzia Europea per l’Ambiente proiettate sullo schermo, si costruisce nelle aree piane più “facili”, ovvero quelle che molti millenni di storia avevano addomesticato attraverso l’agricoltura ad una presenza umana, trasformandole in un sistema di suoli fra i più fertili e produttivi del pianeta. Ora invece il sistema delle sue città gonfiato ed esploso nell’insediamento diffuso, via via abbandona e divora le radici da cui è nato, trovando di che alimentarsi sempre più lontano, e con forme che ricordano molto da vicino la rapina: come possono altrimenti arrivare sulle nostre tavole cestini di frutta a prezzi competitivi, trasportati in aereo per migliaia di chilometri bruciando tonnellate di petrolio?
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Che fare, quando il petrolio sarà finito, e saranno anche esauriti i suoli coltivabili attorno alle città, sostituiti da parcheggi, centri commerciali, e “ quartieri immersi nel verde a cinque minuti d’auto da ..”?
Qui, davanti all’ovvio, ma non abbastanza ovvio da convincere gran parte dei grandi decisori, scatta l’applauso in stile televisivo della gremita sala comunale di Bressana Bottarone. A dimostrare, in modo imperfetto e magari contraddittorio, per carità, che per raccontare verità scomode non è assolutamente obbligatorio essere involuti, farfuglianti, tribunizi, tanto si ha ragione comunque.
Impariamo almeno che la comunicazione è essenziale, da Berlusconi. Come si diceva a proposito di un'altra cosa: non si butta via niente.
Nota: per i lettori meno affezionati di questo sito, si avverte che articoli sui temi dell'insediamento diffuso, del consumo di suolo ecc., sono sparsi fra tutte le cartelle, ma in particolare si concentrano in Mall/Spazi della Dispersione, e in Eddyburg/Il Consumo di suolo (f.b.)
Il Coordinamento dei Comitati che si oppongono all’autostrada Broni-Mortara rilancia la mobilitazione con una nuova raccolta di firme per chiedere l’annullamento dell’iter autorizzativi dell’opera. Il dito è puntato nuovamente contro la Giunta Formigoni e Infrastrutture Lombarde spa. Il motivo è chiaro: il 7 febbraio scorso la Conferenza dei Servizi ha votato all’unanimità un odg per subordinare la predisposizione del progetto definitivo all’esito positivo della Valutazione Ambientale Strategica (VAS), in grado di stimare la sostenibilità complessiva dell’intervento, con l’auspicio di un confronto ampio e partecipato tra istituzioni, attori e comunità locali sul progetto.
Un esito non scontato vista l’irresistibile marcia dei promotori dell’autostrada – società SA.Brom spa, 85% gruppo Gavio leader autostradale e 15% Milano Serravalle, e l’imponente schieramento a sostegno (Regione, Unione industriali, Camera di Commercio, Amministrazione provinciale, Compagnia delle Opere). Tutti a favore dei 69 km del nastro di asfalto che dovrebbe collegare il Pavese - dopo avere affettato la Lomellina, riserve naturali e risaie comprese - con il Corridoio 5 Barcellona-Kiev!
In prima fila l’assessore regionale alla famiglia e alla solidarietà sociale Abelli, con “delega all’autostrada” secondo i Comitati.
Nonostante la macroscopica anomalia di una VAS chiesta per il progetto definitivo e ignorata prima della presentazione (come indicato dalla normativa europea) l’attesa sulle scelte della Regione era grande. Invece nella deliberazione di Giunta del 4 maggio, assunte le determinazioni della Conferenza dei Servizi e definito il corridoio di salvaguardia di 75 metri per lato, dando mandato ai 24 comuni coinvolti nel progetto di recepirlo nei propri strumenti urbanistici, della VAS non c’è traccia. Il solo richiamo è per Infrastrutture Lombarde spa, soggetto “concedente” dell’autostrada regionale Broni-Pavia-Mortara e presentatrice del progetto preliminare, che farà una “valutazione sintetica dell’impatto ambientale, ispirandosi alle specifiche direttive in materia di VAS”. Per i Comitati è una beffa, l.ultima scorrettezza sulla quale chiedono ai sindaci di intervenire nei confronti di Provincia e Regione per fermare “la cancellazione di parole e impegni”.
Per info e adesioni il sito dei Comitati
Nota: su questo sito altre informazioni sul progetto autostradale Fabbrica di Sprawl dal fantasioso tracciato lungo le traiettorie dei corridoi elettorali (f.b.)
Un incontro memorabile, quello che ha avuto luogo l’altra sera a Bressana Bottarone, organizzato da diverse organizzazioni ambientaliste e culturali impegnate sul territorio. Tema principale la nuova autostrada.
La sala del teatro, presso il palazzo comunale, era gremita: duecento persone, forse di più, che attente e partecipi hanno seguito la serata che ha avuto come ospite d’onore Luca Mercalli, lo studioso di meteorologia reso famoso dal programma Tv di Fazio “ Che tempo che fa?”. Ma il pubblico non era accorso per ascoltare in Vip, peraltro civilmente impegnato in sacrosante battaglie di difesa ambientale. Né era lì – come accade in certi festival culturali – perché ci sono serale alle quali, se si è gente di mondo, non si può mancare. No, i cittadini presenti all’incontro di Bressana erano lì perché davvero coinvolti nei temi proposti: ovvero i nodi cruciali di un territorio – che costituisce peraltro una parte significativa della nostra provincia – messo sotto assedio da una certa idea di sviluppo. Erano lì perché davanti ai tanti incastri con cui si sta progettando di mutare radicalmente l’assetto attuale di tante località – con l’autostrada Broni-Mortara, con l’interporto, con centri commerciali e altri progetti ancora che stanno sopra le loro vite come altrettante spade di Damocle – loro vogliono capire, chiedono di sapere e di poter avere voce in capitolo.
Come moderatore dell’incontro, mi ha impressionato non solo la quantità di persone presenti, ma la qualità della loro partecipazione, asseverata dalla dozzina di interventi che si sono susseguiti: serrati, concreti, documentati. Una polifonia rappresentativa delle molteplici iniziative ed esperienze che sono sorte in tutti questi mesi nella realtà a cavallo tra il Pavese, la Lomellina e l’Oltrepo: presenze che hanno lavorato con passione per studiare i dossier dei progetti, nonostante la frettolosa arroganza con cui le istituzioni e la pubblica amministrazione avrebbero voluto raccogliere un distratto consenso senza consentire un reale esame di come stavano le cose. Invece, con passione civile assolutamente stupefacente, queste persone hanno saputo lavorare assieme. Hanno bussato a tante porte, alcune pervicacemente chiuse, per raccogliere dati, procedere a comparazioni, sentire la valutazioni dei tecnici, avanzare proposte e alternative. Tutto questo rappresenta una ricchezza di partecipazione civile che fa onore alla nostra comunità e che, in un mondo che non gira al contrario, dovrebbe essere valorizzato al massimo.
Tanto per capirci, l’incontro di Bressana avrebbe dovuto vedere le forze politiche, e i loro rappresentanti, schierati e presenti: per ascoltare, dialogare, confrontarsi. Solo così si favorisce la tessitura di una vera e rispettosa democrazia capace di cimentarsi con temi concreti, non con fumosità ideologiche o psicodrammi di nascite e morti di soggetti politici più o meno improbabili.
E invece a Bressana la politica dei partiti non c’era. Alla riuscitissima serata la politica dei politici – segretari di federazione, deputati e senatori, sindaci e assessori e, perché no? esponenti di partito immessi nei consigli di amministrazione di autostrade o interporti – non ha partecipato: ha ritenuto non fosse necessario lo scomodarsi per andare ad ascoltare e per farsi ascoltare.
Un errore, di sensibilità e di percezione, particolarmente grave visto anche il tema su cui ci si stava confrontando. A meno di sostenere che, di quei dossier, la politica si sta già occupando, ma i naltra sede e preferisce che i cittadini non interferiscano.
Insomma, lasciateci guidare lo sviluppo.
E, soprattutto, “non disturbate il manovratore”.
Roberto Lodigiani
Stop all’avanzata di asfalto e cemento
Bressana – La cipolla di Breme contro gli asparagi bianchi made in China. Luca Mercalli usa una metafora volutamente provocatoria per sottolineare la fertilità del suolo padano, minacciato dalla cementificazione selvaggia, alla quale l’autostrada regionale Broni-Pavia-Mortara potrebbe dare un ulteriore incremento. Il meteorologo di casa Fazio è stato uno dei protagonisti dell’incontro di Bressana.
Una simbolica chiamata alle armi per il fronte del no alla superstrada il cui iter avanza nonostante il fuoco di sbarramento. Proprio il dibattito nella sala conferenze del municipio di Bressana, gremita di pubblico, è valso a lanciare ufficialmente l’ultima proposta, quella di annullare la procedura autorizzativi dell’opera, visto che gli impegni assunti alla conferenza dei servizi, come l’analisi dell’impatto ambientale, sarebbero stati disattesi. Fronte del no all’autostrada attento e compatto. CI sono gli esponenti del coordinamento delle associazioni locali, ecologiste e non (Italia Nostra, Legambiente, Wwf Oltrepo, comitato Parco Visconteo, Terra Celeste, Insieme, La Rondine); ci sono le rappresentanti del neonato comitato donne, che si unirà alla lotta; c’è Valeria Bevilacqua, portavoce del comitato Cascina Bella, che allarga l’orizzonte per ribadire la contrarietà all’interporto, l’altro progetto che agita i sonni degli ambientalisti, e annunciare l’imminente consegna al sindaco Eddy Latella della petizione anti-logistica con 1.300 firme.
E c’è il gruppo degli “Amici di Beppe Grillo”, che ha fatto della Broni-Mortara uno dei suoi cavalli di battaglia. Con un contributo giocato innanzitutto sui numeri dell’impatto che verrà prodotto dall’autostrada, documentato da un filmato: 45.000 veicoli in transito al giorno, incremento degli ossidi di azoto e delle polveri sottili in aree, come quella di Tre Re-Cava Manara, dove oggi si registrano livelli di Pm10 al di sopra dei limiti di guardia, secondo i dati diffusi dall’Arpa. Altre cifre eloquenti sono state prodotte sull’effetto cementificazione. Oltre 13mila ettari di suolo agricolo cancellati dal 1950 al 1998 in provincia di Pavia, e un tasso annuo di ettari “bruciati” salito dai 270 ettari di quel periodo ai 355 dei sei anni compresi fra il 1998 e il 2004; particolarmente pesante la situazione in Oltrepo, con il 12% dei suoli agricoli di pianura cancellati fra il 1961 e il 2000. Mercalli, dal canto suo, ha posto l’accento sull’esigenza di salvaguardare la nostra autosufficienza alimentare, difendendo suoli fertili come quelli della pianura padana.
Sullo stesso tema si vedano Lo Share dello Sprawl; La Fabbrica dello Sprawl; Fermate quell'autostrada nel Parco Ticino - altri links nel pdf allegato al "La Fabbrica ..." (f.b.)
Che ci guadagni qualcosa il Pantuflè? In italiano fa letteralmente il Pantofolaio, ed è un negozio di calzature “moderno” sulla statale Padana Inferiore nell’Oltrepo pavese, appena fuori Redavalle, verso Broni. L’edificio del Pantuflè è esattamente il tipo di scatolone che il magico svincolo della Lisbona-Kiev-bis previsto un pochino più a nord-ovest di lì, dovrebbe diffondere copioso in tutta la pianura, inseminando appunto svincolo dopo svincolo le terre attualmente sprecate da inutili risaie.
Sembra più o meno questa, la filosofia alla base dell’autostrada regionale lombarda nota come Broni-Mortara, ma appunto solo piccolo tassello di un’idea del mondo. Un mondo di scatoloni.
Sono già state dette molte cose, serie, documentate, contro questa ennesima grande opera utile soprattutto a chi la costruisce. E non è il caso di ripeterle, salvo riassumerne in due parole una delle idee di fondo (molto in fondo): raddoppiare il sistema dei grandi flussi est-ovest noto come Corridoio 5, dall’asse pedemontano dell’A4-Ferrovia all’ex cuore verde padano, ovvero dal Monferrato alla bassa padovana. La megabretella che raccorda queste due linee parallele, è un tracciato che da un nodo autostradale nelle risaie a sud di Vercelli, si ricollega dopo una sessantina di chilometri verso sud-est, a un altro percorso autostradale ai piedi delle colline dell’Oltrepo pavese. A un tiro di sasso dal Pantuflè. Che sembra essere, per così dire, la sua “ragione sociale”, almeno simbolica.
In principio c’è sempre una road gang, la banda di quelli dei lavori pubblici, delle strade in particolare e tanto per cominciare. L’hanno raccontato per decenni centinaia di ricercatori e giornalisti, come quella delle strade sia sempre e comunque una scusa: quelle che servono anche per andare da un posto all’altro, così come quelle che servono solo a chi le fa. E in questo caso sposerei il giudizio di chi opta soprattutto per la seconda ipotesi. Ma restiamo alle imprese delle road gang, e della loro parola d’ordine per niente segreta: lo svincolo. Nel caso specifico la parola d’ordine si pronuncia ben sette volte. Sette volte, ovvero una volta ogni meno di dieci chilometri, il che ragionando in una prospettiva continentale sembra una sciocchezza. E lo è. Ma qui la prospettiva non è affatto continentale, e quegli svincoli sono il sale della vita. Gli orifizi da cui il serpente spargerà le sue uova a forma di piccoli e grandi cloni del Pantuflè. Per dirla in linguaggio esotico: la road gang vuole fare lo sprawl. Per dirla in italiano, il partito autostradale vuole cementificare il territorio con la scusa dei corridoi europei. Per dirla – obiettivamente - con le parole della relazione tecnica del progetto: “La nuova infrastruttura si pone l’obiettivo di separare, a livello regionale, il traffico di scorrimento da quello locale e di offrire un servizio ed un’opportunità di sviluppo produttivo alle aree dell’Oltrepo e della Lomellina” [1].
Il servizio e opportunità di sviluppo, di development si dice in alcuni ambienti con traduzione un po’ forzatuccia, viene erogato appunto attraverso lo svincolo.
E dunque la lettura di queste opportunità virtuali di crescita (naturalmente di crescita edilizia perbacco!) si può già cominciare a fare a partire dagli svincoli. Nel senso che lì non c’è ancora niente, salvo quelle inutili risaie, buone al massimo (si mormora in alcuni ambienti) per fare un po’ di etanolo di alta qualità per i SUV del domani. Non sono ancora cresciute quelle belle distese di scatoloni, come per esempio nelle ex risaie di Vicolungo, dove il Corridoio 5 ne incrocia un altro, e ora invece dei tristi acquitrini ci sono un bell’Outlet, un Parco Logistico, un Parco a Tema, qualche lottizzazione sparsa di villette che cresce rigogliosa, molte rampe, svincoli, rotatorie e tanti, tanti comodi parcheggi.
Qui in Lomellina queste cose non ci sono ancora, ma si può iniziare a immaginarle guardando gli svincoli, e quello che ci sta attorno (continua ... vedi sotto)
Nota: per motivi di spazio e organizzazione delle immagini, il testo integrale dell'articolo è disponibile di seguito in Pdf, con mappe e foto; per un confronto si veda anche in questa stessa cartella il progetto della complementare "ACME" Cremona-Mantova (f.b.)
[1] Infrastrutture Lombarde, Autostrada regionale “Integrazione del sistema padano direttrice Broni-Pavia-Mortara”, Relazione Sintetica Divulgativa, p. 7.
Per trovare il Po, quello vivo, con le lanche e i pescatori, le anguille, gli storioni e l´acqua che si stendeva fuori dall´alveo fra dune e salici, bisogna guardare in alto, sugli alberi. Qui a Luzzara, in riva al fiume, gli «Amici del Po» hanno appeso su pioppi e ontani decine di quadri naif, con i cani e cacciatori di Barilon, lo storione di Ivonne Melli, le barche di Luigi Bagnoli.
Un museo all´aperto per ricordare il fiume che non esiste più. Anche dentro gli argini maestri sono arrivate le ruspe che hanno spianato le dune, ed ora ci sono i pioppi messi in riga come soldati, i campi di granoturco e di soia ed anche i filari di vite. Il Po, quello vivo, è stato rubato. «Divieto di accesso», annuncia un cartello sull´argine. «Autorizzazione Aipo 589/003 Regione Lombardia. Esclusi i concessionari».
Provi a entrare comunque. C´è un bosco fra i campi di granturco. In mezzo al bosco, una lanca con anatre che volano e pesci che saltano. «Acque private. Pesca riservata. Attenti al cane e al padrone»... Nella palazzina dell´Arni (Agenzia regionale navigazione interna) c´è una mappa recente, del 1970. «Trentasette anni fa - dice Edgardo Azzi, che sul Po ha scritto cinque libri - qui di fronte a Boretto c´era ancora la lanca. I pesci ci andavano a depositare le uova, i pescatori a raccogliere branzini e carpe. La lanca era un ramo del Po che girava dietro l´isola Umberto I°. Quando c´era la piena, l´acqua usciva dalla lanca e copriva anche le dune. Ma da molti anni l´acqua del fiume non riesce più a salire nella golena perché questa è diventata troppo alta». Bisogna partire da qui, dalla golena chiamata anche «Mai finita» perché era tanto grande da sembrare infinita, per capire come e perché il Po è stato rubato. Si vedono ancora, in riva all´alveo centrale, i sassi dei «pennelli», le opere costruite prima durante il fascismo poi fino agli anni ‘60, per regolare la corrente e permettere la navigazione fluviale. Quando il Po è in magra, sovrastano l´acqua di due o tre metri. «Ma bastava una piccola piena - dice l´ingegnere Ivano Galvani, direttore dell´Arni - per superare i sassi dei pennelli. L´acqua poteva così entrare in golena, portando la vita. Dava forza agli acquitrini e si depurava naturalmente, depositando sabbia e limo». L´acqua non entra più in golena perché, sopra i pennelli, ora ci sono almeno quattro metri di terra, portata da fiume. Quelli che avevano la concessione per le golene non avevano certo interesse a rimuovere questa terra. E così i concessionari di paludi e dune - un paesaggio bellissimo, ma poco redditizio - in pochi anni si sono ritrovati proprietari terrieri. «Io sostengo da anni - dice Ivano Galvani - che per il Po serve un piano regolatore che permetta di ripristinare le golene. Dopo la piena, il fiume, tornando nell´alveo, potrebbe rimettere circolo parte del materiale che aveva portato. L´alveo di magra, in questi trent´anni, causa le escavazioni di sabbia si è abbassato di almeno quattro metri. Il Po non può diventare un canale, in caso di piena si vendicherebbe. Ho fatto anche un´altra proposta: i concessionari dei pioppeti, dopo il taglio, dovrebbero togliere parte del terreno abbassandolo di tre metri. Il materiale potrebbe essere venduto al posto della sabbia presa dall´alveo. Non ho mai ricevuto risposte».
La plancia di comando del grande fiume è a Parma, nella sede dell´ex Magistrato del Po. Qui ci sono l´Autorità di bacino e l´Aipo, l´azienda interregionale (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) per il fiume Po. «Il nostro compito - dice Franco Cerchia, ingegnere che dirige il servizio di piena - è esprimere pareri idraulici, verificando se l´opera o la concessione richieste siano compatibili con la vita del fiume. Per i pioppeti, ad esempio, c´è un commissione nazionale fin dagli anni´60, ci sono le commissioni provinciali. Stabiliamo che i pioppi debbono essere piantati 6 metri uno dall´altro, perché in caso di piena non provochino intasamenti di materiali. Certo, l´abbassamento del fiume ha messo in maggiore sicurezza le golene e dopo i pioppi sono state chieste concessioni per le colture basse, come il mais e l´erba medica. In caso di piena verrebbero sradicate senza creare danni. Abbiamo detto no a piante come i meli, perché richiedono antiparassitari inquinanti, e vigneti che, sradicati dal fiume, ostruirebbero le arcate dei ponti». Ma basta andare sull´argine di Gualtieri per vedere, dentro le golene, lunghissimi filari di viti per il lambrusco. Più a valle, a Gaiba, Calto, Stienta ci sono poi chilometri di frutteti. Da Torino al delta - questi i dati Aipo - nel Po ci sono 72.290 ettari di golene. Il 17,4% sono golene chiuse (protette da argini interni, oltre che da quello maestro) e queste sono tutte private. È ormai privato anche il 70% dell´intera area golenale. Quasi impossibile conoscere il numero delle concessioni. Solo nel parmense, negli ultimi 16 anni, sono state esaminate 800 pratiche. Non costa molto, «comprare il Po» e i furbi possono farla franca fra leggi e autorità che cambiano continuamente. Un tempo, a controllare tutto, c´erano il Genio civile (per gli affluenti) e il Magistrato del Po. Dopo la nascita delle Regioni, sono nati i Servizi tecnici di bacino (Stb) che hanno preso il posto del Genio. Questi autorizzavano le concessioni e l´Intendenza di finanza incassava il denaro. Da quattro anni tutto è cambiato nuovamente. Sciolta l´Intendenza anche l´incarico di stabilire i canoni è stato affidato ai Servizi di bacino. Il parere tecnico sulle concessioni del Po è rimasto invece all´Aipo. «L´Intendenza - dice Raffaella Basenghi, ingegnere che dirige l´Stb di Reggio Emilia - ci ha messo anni, a consegnarci le pratiche, nemmeno fossero oro. E quando le abbiamo aperte, abbiamo trovato lasorpresa: tante erano vuote. Nome, cognome e indirizzo del concessionario e basta. Sopra c´era scritto: «canone extracontrattuale», con relativo importo, proprio perché il contratto non era più agli atti. Stiamo cercando di mettere ordine, ma è dura. C´è chi non paga da anni, chi ha venduto, chi è morto. Certo, non è che parli di cifre esose: un ettaro di pioppeto costava al concessionario 76.500 lire nel 1993 e 100.124 lire nel 1996. Cercheremo di recuperare i crediti e già oggi, per ogni pratica nuova o rinnovata, mettiamo ogni dato nel computer. Ma siamo solo agli inizi».
Nelle golene asciutte, le radici dei pioppi non arrivano più alla falda. Hanno bisogno di irrigazione, in quella che fino a pochi anni era una palude. Se l´acqua sollevata dalle idrovore non arriva, i pioppi si abbattono al suolo, come soldati sfiniti.
ROMA - Il Nord Italia ha un traffico equivalente a quello di una megalopoli, una Bombay in movimento su quattro ruote. In 20 anni sono raddoppiati i chilometri di percorrenza e la Pianura Padana è diventata un'unica gigantesca città. E' questa la fotografia scattata da un dossier del Wwf intitolato "Nord Italia", in vista della domenica di stop al traffico, domenica 25 febbraio, dell’intero nord Italia Stop che, secondo un sondaggio svolto da Legambiente, è visto con favore dalla stragrande maggioranza degli italiani: ben l’83% è convinto che il blocco sia una decisione giusta in una situazione di emergenza smog ormai cronica, anche se il 62% non pensa che sia una misura sufficiente per risolvere il problema.
LA CITTA' DIFFUSA - Il traffico ha cancellato i confini regionali. Nella Pianura Padana è nata infatti la "città diffusa" con 20 milioni di persone, tanti quanti sono gli abitanti di Bombay, che percorrono 20 km in media al giorno (nel 1980 erano 10) e 16.000 km all'anno (il doppio rispetto al 1980) su un'area urbana e sub-urbana di 30 mila kmq (con una densità di 650 abitanti a km) pari ad un quarto del Nord Italia.
TAGLI ALLE FERROVIE - Il problema è che mentre gli investimenti su strade e autostrade continuano a crescere (con un + 25% in dieci anni) quelli nella ferrovia subivano un taglio progressivo (-2% in dieci anni) provocando ingorghi e code sulle strade, inquinamento e conseguenti malattie respiratorie. Il tasso medio di motorizzazione nell'Italia settentrionale è cresciuto di oltre il 50% (da 380 a 585 autovetture ogni 1000 abitanti), ma contemporaneamente i passeggeri sulla ferrovia sono aumentati solo del 13%.
Le emissioni di CO2 - il principale gas serra - dovute al traffico autostradale ammontano a 66 milioni di tonnellate l'anno con un incremento nel 2000, rispetto al 1980, del 71%. La megalopoli padana include il Piemonte centrale intorno a Torino, l'area metropolitana milanese e il Pedemonte lombardo, l'area veronese e il fondovalle dell'Adige tra Trento e Bolzano, l'area centrale veneta (intorno a Vicenza, Padova, Venezia-Mestre e Treviso) l'area triestina e udinese, l'intero asse della via Emilia da Piacenza a Rimini, il litorale ligure. Nel 1951 i 21 milioni di abitanti del Nord Italia vivevano ancora in prevalenza all'esterno delle aree urbane, mentre gli attuali 25,3 milioni di abitanti si sono sempre più concentrati in aree urbane e sub-urbane, alimentando la città diffusa sino alle zone pedemontane consumando paesaggio e territorio.
LE PROPOSTE DEL WWF - Contro questa emergenza e in occasione del blocco auto del 25 febbraio, il presidente del Wwf Fulco Pratesi ho scritto ai Presidenti delle Regioni del Nord proponendo 10 interventi strutturali e 20 azioni concrete per governare la mobilità nella megalopoli padana. Tra queste compaiono l'uso dei motori a metano e ibridi, l'incentivo dell'efficienza con veicoli più piccoli e leggeri, la pianificazione territoriale, la riorganizzazione radicale della rete del trasporto pubblico passeggeri, il ripensamento dell' assetto dei servizi logistici, il potenziamento dei nodi di interscambio, il rafforzamento dell'innovazione logistica e il potenziamento della rete ferroviaria.
LA REGIONE Lombardia ha avviato la procedura per ottenere l´autorizzazione a costruire un´autostrada sulla direttrice Broni-Stradella-Pavia-Mortara, che, se perfezionata, costituirebbe palese violazione della normativa nazionale sulla valutazione di impatto ambientale. Si tratta inoltre di un´opera pubblica inutile e sovra dimensionata che danneggerebbe il Parco del Ticino.
Si tratta di un collegamento autostradale tra la A26 e la A21, con svincolo di raccordo all´A4, di complessivi 65,8 km (49,8 in Lombardia e 16 km a cavallo tra la Lombardia e il Piemonte). Il progetto si presenta come autostrada regionale ma ha valenza sovra regionale nella connessione con Vercelli. Ciononostante viene sottoposto a procedura di via regionale. Secondo il dpr 12 aprile 1996, si stabilisce che debbano andare a procedura di via regionale le seguenti infrastrutture: le strade extraurbane secondarie e le strade di scorrimento in area urbana o potenziamento di esistenti a quattro o più corsie con lunghezza in area urbana superiore a 1500 metri. Come si vede, la via regionale non si applica per infrastrutture autostradali. Emerge dunque la dubbia legittimità della procedura sull´autostrada "Broni-Pavia-Mortara", che se perfezionata, in violazione della normativa nazionale, costituirebbe un grave precedente.
I flussi di traffico attratti dal nuovo collegamento risultano decisamente modesti, variando tra i 3.800 ed i 7.300 veicoli al giorno, a seconda della tratta presa in esame. Tali livelli di traffico rappresentano un tasso di utilizzo medio giornaliero della capacità stradale inferiore al 10%. Nel 2021, con un incremento medio annuo del traffico del 4.6%, si potranno raggiungere i 14.600 veicoli al giorno (quando una nuova opera autostradale è giustificata nel momento in cui si hanno flussi di 70-80 mila autoveicoli al giorno). Questi risultati assolutamente mediocri si potranno raggiungere, però, solo in assenza di interventi futuri di potenziamento delle reti autostradali che circondano i capoluoghi di Milano e Pavia.
Assumendo una vita utile pari a 30 anni, ed un tasso di attualizzazione pari al 5,50% l´anno, e tenendo conto che il costo totale attualizzato dell´opera (comprensivo delle somme non quantificate e dei costi forfetari di esercizio e di manutenzione ordinaria) è attorno a 1,3 miliardi di euro, e assumendo come data di entrata in esercizio il 2011, risulta che il cash flow annuale e cumulato è del tutto insufficiente ad assicurare l´autofinanziamento dell´opera e che nei primi 8-10 di esercizio i ricavi risultano persino inferiori ai costi correnti (esercizio e manutenzione), con un conseguente mantenimento di un flusso di cassa negativi sino al 2018. La realizzazione dell´intervento risulta dunque possibile (in assenza degli altri interventi sopra descritti) soltanto a fronte di un contributo a fondo perduto da parte dello Stato pari a circa l´85-90% del costo complessivo, cioè oltre 800 milioni di euro.
Va considerato anche che l´autostrada attraverserà interi campi agricoli e zone fertilissime eliminando così molti fontanili preziosi per l´irrigazione. Fontanili che data l´incombente siccità diventeranno sempre più ricercati e pregiati. Infine bisogna tenere conto dell´unicità di questo ecosistema, che rappresenta una cruciale riserva di ossigeno e biodiversità in una zona ormai fortemente antropizzata, una meta di salute, di ricreazione e svago per molte persone e famiglie. Viste queste considerazioni chiediamo al presidente del Parco del Ticino di esprimere parere negativo sul progetto dell´autostrada.
Nota: per saperne qualcosa di più, vedi anche i materiali sul sito del Coordinamento contro l'Autostrada Broni-Mortara (f.b.)
Per spiegare la vertigine aperta dall’omicidio di Erba, il vescovo, ieri, durante il rito funebre, ha evocato Caino. L’ombra del male, che ci segue d’appresso. Vicino a casa, in famiglia, nei luoghi della nostra vita quotidiana. Che è dentro di noi. Sempre. Però, bisogna ammetterlo: da qualche anno con maggiore frequenza. Come testimonia la scia di sangue prodotta dai (mis)fatti di "ordinaria follia", commessi da persone che propongono biografie "normali". Basta ripercorrere i giornali; o meglio: guardare la tivù.
Perché la violenza che esplode tra la gente comune risulta particolarmente spettacolare. E più visibile di un tempo. Però è indubbio che si ripeta incessante. E proponga alcuni elementi che la rendono inquietante. Non è solo il fatto che avvenga, sempre più, al di fuori della criminalità organizzata. Secondo il rapporto curato da Eures in collaborazione con l’Ansa, dal 2002, in Italia, la maggioranza assoluta degli omicidi si verifica in famiglia, nella cerchia dei parenti, degli amici, dei conoscenti, del vicinato. Il rapporto rivela, inoltre, una geografia dell’orrore piuttosto precisa. Questo tipo di delitti avviene prevalentemente nel Centro-Nord. Anzi, nel Nord. Ancor più precisamente, in provincia. Basta ripercorrere le cronache.
Partendo dal caso di Pietro Maso, che nel 1991, complici alcuni amici, massacrò i genitori. Poi, andarono tutti insieme in discoteca. Al ritorno, diede l’allarme, dopo aver cercato di simulare una rapina. La scena: Montecchia di Crosara. Piccolo paese affondato nella Pedemontana, fra Verona e Vicenza. Stessa vertigine, stesso clamore, esattamente dieci anni dopo. Quando, a Novi Ligure, Erika, spalleggiata dal fidanzato Omar, ammazza a coltellate la madre e il fratellino. Insieme al delitto di Cogne, costituiscono gli idealtipi dei delitti familiari. Che coinvolgono figli che ammazzano i genitori. E genitori accusati di aver ammazzato i figli. E per questo attraggono la morbosa attenzione dei media. Altre vicende degli ultimi anni, però, si iscrivono in questa classe di delitti. A Parma, ad esempio, incontriamo Ferdinando Carretta. Scomparso per anni, nel 1998 ricompare. E a "Chi l’ha visto" confessa di aver ammazzato padre, madre e fratellino, 10 anni prima.
Ma la categoria degli omicidi familiari, nella provincia del Nord, è particolarmente folta. Vi occupa un posto importante Guglielmo Gatti, quarantenne di Brescia. Nell’agosto 2005 ammazza gli anziani zii, che vivevano nella stessa villa, nell’appartamento sotto al suo. Dopo averli narcotizzati, li porta nel garage, e li uccide. Poi li fa a pezzi e ne sparge le spoglie in montagna, intorno al passo del Vivione. Infine, lo scorso settembre, a Chiuppano, nell’alto vicentino, Assunta Beghetto viene spappolata con una mazzetta da muratore dal nipote, poco più che ventenne. Il quale, raccattati in fretta pochi euro dall’appartamento della nonna, se ne va al bar, a giocare a videopoker con gli amici.
C’è poi la saga dei serial killer. In cui ha un ruolo da protagonista Gianfranco Stevanin, arrestato negli anni Novanta per i suoi orrendi delitti ai danni di ragazze, prima violentate, poi uccise e sezionate, con sistematica e "chirurgica" ferocia. Nato a Montagnana, ridente cittadina del padovano, al momento dei delitti viveva nella bassa veronese, in riva all’Adige. Abitava in un casolare, colmo di arredi sacri e profani (vibratori, video porno, ecc.). Lo fiancheggia, degnamente, Donato Bilancia, detto "il giustiziere". E’ di Genova. Fra il 1997 e il 1998 dichiara di aver ucciso 17 persone, tra cui 7 prostitute e 2 metronotte.
Altri omicidi di provincia si consumano all’ombra dei riti satanici. Fra gli episodi più sanguinosi e clamorosi, due avvengono nelle valli lombarde. Nelle zone padane più a Nord. Il primo a Chiavenna, dove, nel 2000, suor Maria Laura Mainetti viene "sacrificata" da tre ragazze di buona famiglia. Il secondo episodio vede protagonista un gruppo di satanisti, giovanissimi. Le "bestie di Satana". Fra il 1998 e il 2004, uccidono tre compagni, loro coetanei, e ne inducono un quarto al suicidio. Gli assassini, capeggiati da Nicola Sapone, e le loro vittime, abitano fra Busto Arsizio e Somma Lombardo, in provincia di Varese.
Delitti nell’ambito degli amici e dei conoscenti. Come dimenticare la povera Desirée Piovanelli? Violentata e uccisa a coltellate, il 4 ottobre del 2002, da alcuni amici, in una cascina abbandonata; con la complicità, pare, di un adulto, Giovanni Erra, sposato e con un figlio. Abitava a Leno, in provincia di Brescia. Infine, per avvicinarci ai nostri giorni, rammentiamo il piccolo Tommaso Onofri di un anno e mezzo. Rapito e quindi ucciso. In questo caso, per la verità, si tratta di una violenza a scopo di estorsione. Commessa, però, da conoscenti. Gente del paese. Di Castelbaroncolo, frazione di Sorvolo, vicino a Parma. Persone a cui il padre aveva affidato dei lavori di ristrutturazione della casa. Infine, pochi giorni fa: Giuseppina Brasacchio, di Mirandola, vicino a Pavia, da anni disabile. Il figlio, disoccupato, e a sua volta ammalato, la massacra con 40 sprangate.
Un catalogo, incompleto ma non troppo, dei delitti commessi nei luoghi di vita quotidiana. Da persone che ci stanno intorno. Non per il piacere dello splatter. Non ci appartiene e non lo sappiamo "raccontare". Ma perché fa impressione – davvero – vederli in sequenza, questi delitti. Uno dopo l’altro. Collegare i fatti ai contesti. Associare l’orrore alla normalità. Ne emerge, chiaro, il legame con il territorio. Caino abita soprattutto a Nord. In provincia più che nella metropoli. Nelle città medie e nei piccoli paesi. Il che, ovviamente, non serve a stabilire relazioni causali. Sarebbe ingenuo, infatti, indulgere a un sociologismo positivista di basso profilo. Sostenere che l’ambiente "produca" i mostri. Che la provincia del Nord "generi" Caino. Tuttavia, questa geografia dell’orrore quotidiano serve a contraddire lo stereotipo opposto. Che induce allo stupore ogni volta che avviene un fatto di sangue come questo. Il pregiudizio, radicato, che la provincia del Nord sia un ambiente sicuro. Protetto. Lontano dall’alienazione e dalla disgregazione metropolitana. Al riparo dalle minacce che provengono dal mondo. La provincia, quella provincia, non c’è più. E’ finita. Insieme all’esplosione dell’economia diffusa, che negli ultimi vent’anni ha trasformato la Pedemontana del Nord in un unico grande reticolo di aziende. Insieme al dilagare della plaga immobiliare, che ha ridotto la Padania, e in particolare la Pedemontana del Nordest, in un unico ammasso urbano. Cresciuto senza un disegno. Sulla base di interessi grandi e piccoli. Con un unico esito: che la provincia, intesa come rete di piccoli centri, dotati di visibile e specifica identità, non esiste più. Da tempo, ormai. Ma negli ultimi anni tutto ciò è diventato più evidente. Anche a chi ci vive. La provincia padana e pedemontana del Nord. Cuore dello sviluppo; area tra le più internazionalizzate d’Europa. La società si è arricchita in fretta. Ha lavorato duro e ha conquistato un meritato benessere. Non è più luogo di emigrazione. Al contrario: attrae flussi di immigrati fra i più elevati d’Italia, come ogni zona che abbia conosciuto benessere e sviluppo. (L’immigrazione è sempre un indicatore di benessere e di sviluppo). Tuttavia, questi paesi, sono divenuti e si sentono insicuri. La classifica relativa alla crescita dei delitti denunciati dal 2001 a oggi (proposta dall’annuale inchiesta del Sole 24 Ore sul benessere delle province), vede, agli ultimi 20 posti, 15 province del Centro-Nord. Di cui 10 del Nord. Fra queste: Bergamo, Reggio Emilia, Modena, Parma, Cremona. In fondo, epicentri della nuova insicurezza, Verona, Trento e, ultima, Mantova.
La provincia del Nord. Non produce mostri: ma non riesce più a impedirne la riproduzione. Né a contrastare il diffondersi dell’insicurezza. Al contrario: in qualche misura la alimenta. Perché non dispone più dei tradizionali meccanismi di integrazione e di controllo sociale. I legami di famiglia; le reti degli amici e di vicinato. Le cerchie comunitarie. Hanno subito un degrado profondo. Come l’ambiente intorno. I vicini: sono sempre più lontani. E la strada, la piazza: hanno smesso di essere luoghi sociali. Devastati dal traffico e dalle rotatorie. Gli stessi bar. Non sono più luoghi sociali, accoglienti. Ma luoghi di consumo, perlopiù anonimi. Che i più giovani frequentano restando fuori. In piedi. I paesi pedemontani del Nord. Contesti globali e globalizzati. Frammenti di una grande metropoli. Dove si respira insoddisfazione, risentimento. Dove cresce la protesta politica e sociale. I paesi del Nord padano e pedemontano, il Nordest: in larghi settori rammentano Los Angeles. Con una grande differenza. Che non se ne rendono conto. Non ne hanno l’organizzazione, i servizi. La cultura. Non più paesi, ma neppure città. Tanto meno metropoli. E non si rassegnano, al cambiamento. Non ci rassegniamo. Per cui proviamo disagio, un dolore profondo. E ogni volta che avviene un fatto orrendo, vicino a noi, cerchiamo i colpevoli altrove. Lo straniero di turno. Per dimenticare, scacciare da noi il pensiero molesto di cosa e come siamo diventati. Stranieri noi stessi, di una metropoli inconsapevole. Dove, nel silenzio che avvolge l’ordinaria normalità, talora esplodono storie di straordinaria ferocia.
Nota: un punto di vista a modo suo "complementare" a quello di Diamanti, è quello del tuttologo Aldo Bonomi, che in una intervista a Repubblica sul caso di Erba sostiene una curiosa tesi post-Haussmanniana. In pratica, se la provincia (o "città infinita" secondo il suo vago marchio neologista) risulta arretrata in termini di modernizzazione sociale, sicuramente costruendo autostrade e centri commerciali non si può che farle del bene. Leggere per verificare, su Mall (f.b.)
Coordinamento delle Associazioni Ambientaliste, Osservazioni agli elaborati del progetto “Parco a tema polifunzionale Mediapolis”, 21 dicembre 2006 (estratto)
Si rileva una illogica non corrispondenza tra l’impostazione progettuale e le intenzioni di salvaguardia e tutela del territorio nonché di efficienza e innovazione.
Il documento risulta carente e poco esplicativo delle effettive problematiche ambientali e dei potenziali impatti, nonché delle risposte progettuali, a seguito della realizzazione e dell’esercizio dell’opera/intervento che ben si discostano invece dai risultati attesi.
1. suolo e sottosuolo: dal punto di vista geologico vengono evidenziate delle importanti anomalie nella classificazione dei suoli dell’area di intervento. Ciò deve essere trattato in modo esaustivo e dettagliato in considerazione dell’alta pericolosità geologica e geomorfologia del sito e della estesa natura del progetto. Nel valutare i potenziali rischi che una classificazione superficiale del luogo di intervento può arrecare, si conclude che lo studio in oggetto risulta insufficiente.
2. ambiente idrico: la documentazione presentata risulta carente sotto diversi punti di vista: mancano dati quali i volumi di invaso dell'area, calcoli idraulici di dettaglio relativi al nuovo tracciato della Roggia dei Cugnoni, elaborati di calcolo relativi ad un evento di piena contemporanea della Roggia dei Cugnoni e del Fiume Dora Baltea. Pertanto, considerata la pericolosità delle esondazioni e le sue possibili conseguenze su un’area destinata ad un ampio bacino d’utenza, si ritiene non adeguato lo studio effettuato in merito al progetto.
3. vegetazione, flora, fauna – ecosistemi: dal punto di vista naturalistico sono state evidenziate gravi criticità relative al progetto in oggetto, relativamente a: scomparsa di habitat naturalistici con conseguente banalizzazione della biodiversità, nuovi problemi igienico sanitari dovuti alla capacità del progetto di fomentare focolai di zanzare in un’area già critica, eccessivo disturbo antropico nei confronti di tutta la biocenosi. Tale intervento quindi non risulta avere sufficienti ed idonee caratteristiche per essere accettato quale intervento di miglioramento ambientale ed ecologico.
4. paesaggio e beni storico-culturali: il progetto non si inserisce nel contesto paesistico rispetto a nessuno dei criteri descritti, ovvero morfologico e tipologico, linguistico, visivo, ambientale e simbolico, difatti il giudizio risulta essere “molto alto”. Ciò significa che la proposta dovrebbe essere automaticamente respinta e rimandata alla completa riprogettazione o alla valutazione di localizzazioni alternative.
5. viabilità e traffico: il documento esaminato oltre a non analizzare le diverse previsioni di traffico, non valuta gli impatti che dovranno subire le strade e gli incroci urbani principali di Albiano di Ivrea e dei comuni circostanti, a seguito di tale intervento. Con riferimento poi ai valori di traffico esistente e futuro rapportati alla capacità veicolare oraria della bretella autostradale, indicati nella relazione ambientale, risulta che il livello di servizio dell’infrastruttura stessa è scadente e pertanto induce a significativi fenomeni di congestione.
Nota: i paragrafi riportati sopra sono soltanto un estratto dalle conclusioni finali, qui di seguito è scaricabile il documento integrale delle Osservazioni; sul progetto Mediapolis, data la quantità di riferimenti qui su Eddyburg e eddyburg_Mall, posso soltanto consigliare una ricerca a parola chiave sul motore interno in alto a destra (f.b.)
Leggo nell’ultimo intervento di Eddyburg per Carta, di una “ orrida megalopoli padana, pseudocittà sguaiatamente sdraiata fra Torino e Mestre”. Ne apprezzo l’utile contributo lessicale, a scrollarci di dosso gli eccessi di americanismo. Dopotutto nemmeno oltreoceano, e dopo due generazioni, si sono ancora messi d’accordo su cosa significhi esattamente il termine “ sprawl”, quindi meglio usare al meglio la ricchezza dell’italiano. E sguaiatamente sdraiata sia. Tra l’altro, dopo aver letto l’articolo, finalmente anche certi relatori di convegni la pianteranno di confondersi e confonderci con divagazioni su “qui non ci abbiamo mica il sprùl!”(la grafia poi è soggetta a varianti in corso d’opera).
Lasciando però il mondo dei convegni a coccolarsi il suo “sguaiatamente sdraiata”, vorrei tornare su quella frase nel suo insieme, su quello che evoca nel lettore: fra Torino e Mestre si attraversano 400 e rotti chilometri di stravaccamento insediativo, episodicamente interrotto da una pieve o ermo colle, che subito fuggono via ingoiati dal blob socio-cementizio che tutto pervade.
Vista l'attenzione al contesto? |
Una prospettiva, a mio parere, tanto diffusa quanto fuorviante. Certo, è impresa impossibile sostenere che l’area geografica e socioeconomica fra gli sbocchi di valle alpini, appenninici e l’Adriatico, sia un paese dei campanelli: di guai, e pure grossi, ce ne sono a bizzeffe. Le ubique villette, i capannoni, gli svincoli che smistano il traffico verso lo svincolo successivo, i cantieri infiniti che non risolvono affatto i problemi ma anzi … Un sacco di guai, certo. Ce li racconta quotidianamente la stampa, e ce lo conferma il solo guardare dal finestrino. Forse è anche questa immagine subliminale, dell’accumulo di pasticci, di “pseudocittà sguaiatamente sdraiata” fra gli sbocchi di valle e il grande fiume, ad alimentare certi appetiti irrefrenabili, che non vedono (né gli interessa gran che) il sistema complesso della megalopoli. Vedono appunto solo la pseudocittà, o per usare un recente neologismo di successo la “città infinita”, spazio illimitato, sterminato territorio di conquista per investimenti, quasi sempre con una soverchiante componente brick & mortar, che in italiano si pronuncia asfalto per le strade, cemento per gli scatoloni, e pudicamente un po’ di siepi attorno ai parcheggi e ai prati delle villette. Invece qui c’è moltissimo altro, per quanto mescolato e intaccato da tutto questo: c’è un sistema urbano complesso, di grandissime dimensioni, che si chiama appunto megalopoli, e che non è affatto “infinito”. Un sistema geografico, insediativo, socioeconomico dove, volendo, è possibile declinare termini come densità, sostenibilità, ecc. Tanto per fare un esempio, in queste settimane in Gran Bretagna la CPRE ha pubblicato un curioso e interessante rapporto sulla “tranquillità”: cos’è dal punto di vista socio-sanitario, socio-economico, e come si relaziona nei grandi sistemi metropolitani alle forme insediative, alla distribuzione relativa di ambienti urbani e rurali. Anche questo è un modo per valutare, giudicare, pianificare la grande dimensione: liquidarla da un lato come territorio irrimediabilmente perduto, etichettarla dall’altro come “città infinita” buona per tutte le occasioni, è una prospettiva - se non altro – più istintiva che scientifica. La megalopoli in fondo è una città, se la si legge con gli strumenti adeguati. Una città che a modo suo dovrebbe esprimere (forse non lo fa ancora) i propri anticorpi rispetto agli organismi predatori, esattamente come succede (naturalmente con vario successo) sotto qualunque campanile.
Il territorio "vuoto" dove dovrebbe nascere VeMa |
Credo sia esattamente l’idea di città, o l’assenza di questa idea, a generare fotografie sfocate come il mostro sguaiatamente sdraiato. Certo, lo stravaccamento esiste: ce l’hanno raccontato, l’abbiamo visto dal finestrino, addirittura dal passeggino sotto forma di nostrana rustbelt produttiva, o nella versione paranoico-familiare delle siepi di villette ad libitum, in quei piani di lottizzazione talmente identici, banali, da chiedersi se si tratti effettivamente di un progetto, o di una fotocopia. Talmente identici che i frequentatori abituali di questi ambienti (camionisti, postini, a volte anche urbanisti) sviluppano rapidamente un istinto geografico per il cul-de-sac con difficoltà di manovra, o la strozzatura stradale che però da' accesso alla sterrata con sbocco …
Si tratta però di porcherie episodiche, a volte pure schierate a sbarramento, infiltrate a rete, insinuate a cuneo, ma sempre eccezioni. Del resto succede in tutte le migliori città, e solo gli slogan delle avanguardie artistiche (o delle loro varie eco più o meno interessate) suonano giudizi perentori di condanna o assoluzione per una città: sprofondare Venezia, o santificare Casalpusterlengo.
Insomma, come già spiegava un paio di generazioni or sono Jean Gottmann nella sua ideale passeggiata lungo i viali di Bos-Wash, anche qui ci sono i quartieri malfamati e i prati spelacchiati, che però non rappresentano il tutto.
È mia modesta opinione che, non si tiene sempre presente questo aspetto (enorme, ma pur sempre aspetto) della questione, si rischia di non cogliere il senso. Ovvero di fare involontariamente il gioco di chi non vede la megalopoli come tale (infatti non ne parla mai), ma solo un assegno in bianco, su cui scrivere via via la cifra che interessa. Nascono così, in questa apparentemente infinita pagina bianca delle occasioni, i doppioni infrastrutturali, a simbolo (malafede a parte) di un rapporto davvero arcaico con lo spazio: conquista dei territori, infusione di “vita” là dove non ce n’era. E la stessa organizzazione a rete dell’insediamento, anziché assumere almeno in prospettiva la dovuta complessità, si declina semplicemente nei termini a-spaziali della competitività territoriale, delle grandi infrastrutture autoreferenziali, dell’adattabilità di tutto e tutti allo slogan del momento, con strascichi che poi durano però alcuni milioni di momenti.
La stessa trappola in cui volenti o meno si sono cacciati gli impavidi progettisti di VeMa, senza sapere o voler riconoscere il contesto dentro a cui si appoggia il bel giocattolino dalle aggraziate forme: grandi campiture territoriali, delimitate da linee di infrastrutture, da riempire col solito asfalto, cemento, vetro e neon. Quelli sì, inevitabilmente e sguaiatamente sdraiati. Salvo che sulle copertine delle riviste, naturalmente.
Nota: come per tutte le altre cose, anche per la megalopoli è legittimo avere opinioni diverse; ciò non toglie che ad esempio quella riportata in questo sito dell'architetto Massimiliano Fuksas, sia un po', come dire, vaga; su temi paralleli, ci sarebbe anche - volendo - un altro mio intervento sulla cosiddetta " città infinita" nel quadro di un dibattito sullo spazio pubblico aperto dal nuovo sito Metronline a cui tutti sono invitati a partecipare (f.b.)
Caro direttore, le «prove di forza» sul futuro del traffico aereo e sulle strategie di sviluppo delle infrastrutture aeroportuali in Italia, alle quali assistiamo in questi giorni, ci preoccupano non poco.
I dati di traffico complessivo sia per il sistema aeroportuale milanese che romano sono entrambi ad un tasso di incremento annuo che si attesta intorno al cinque per cento. Ma questa crescita si inserisce in un contesto aeroportuale europeo altrettanto vivo, altamente concorrenziale e già strutturato e consolidato rispetto al nostro: Londra, ad esempio, è il principale hub europeo, con 67milioni di passeggeri all´anno, ma non dimentichiamo hub già consolidati quali Amsterdam, Parigi e Francoforte, ormai centrali per l´intera rete europea.
Il punto cruciale, quindi, è che l´Italia non ha giocato in tempi utili la strategia di integrazione con il sistema europeo, ed è quindi rimasta prigioniera della presunta rivalità tra snodo milanese e romano.
Le condizioni attuali sono quindi del tutto diverse da quelle esistenti quando si ipotizzò la coesistenza di due hub italiani, Malpensa e Fiumicino. Il dibattito in corso è erroneamente e strumentalmente affrontato come rivalità Roma-Milano: è una triste reiterazione di vecchi riti ormai vuoti di significato, superati dal tempo e dalla capacità stessa delle imprese e dei cittadini italiani di adattarsi, di autoregolarsi e di trovare soluzioni alternative altrettanto efficaci. Lo testimonia il fatto che a fronte delle mancate scelte e della permanenza di rivalità localistiche, il traffico e le infrastrutture aeroportuali si sono ormai reindirizzate su modalità che ormai prescindono dall´esistenia di un hub principale e di un vettore nazionale di riferimento come Alitalia; e lo testimonia lo sviluppo di ben Il infrastrutture aeroportuali pienamente operative ed in crescita in tutto il nord Italia (Genova, Torino, Malpensa, Linate, Bergamo, Brescia, Verona, Treviso, Bolzano, Venezia, Trieste) con collegamenti garantiti con i principali hub europei.
Un ulteriore punto critico è dato dall´erroneo presupposto che l´aumento del traffico aereo implichi automaticamente l´espansione dell´aeroporto di Malpensa e della complessa rete di infrastrutture collegate. Perché? Perché non ottimizzare invece l´impiego delle infrastrutture esistenti a Malpensa, definendone la vocazione principale e la complementarietà rispetto ad altri snodi europei ed italiani? Servono scelte chiare, lungimiranti e culturalmente evo Iute. Ma soprattutto è necessario smettere di discutere e pianificare prescindendo dall´impatto ambientale e sociale di certe scelte e di invocare sempre gli spettri del ricatto occupazionale e della delocalizzazione degli investimenti.
La nostra profonda preoccupazione, quindi, è nel vedere come l´attuale dibattito su Malpensa prescinda dall´utilità oggettiva dell´opera e dal fatto che ogni ampliamento ed ogni nuova infrastruttura avverrà, ancora una volta, a spese del Parco del Ticino: una cruciale, unica riserva di ossigeno e bio diversità in una zona ormai fortemente antropizzata; una meta di salute, di ricreazione e svago per quelle persone e famiglie, sempre più numerose, che non si possono permettere il lusso di andare lontano nelle vacanze di fine settimana e ferie estive.
I nostri amministratori conoscono questa realtà e hanno ben presenti questi problemi? Pensano davvero che tutti i cittadini lombardi siano passeggeri o frequentatori di aeroporti? Non sanno che tante e diffuse realtà produttive del territorio del Ticino non considerano l´ampliamento dello scalo di Malpensa come presupposto essenziale per la loro attività? L´ambiente, la nostra salute, il nostro benessere fisico e mentale non possono, ancora una volta, essere vittime sacrificali di scelte sbagliate, poco trasparenti o poco lungimiranti.
*presidente Fai
Nota: qualche particolare in più sul tema degli aeroporti padani, anche nel mio HUB? BURP! e articoli seguenti (f.b.)
Riccardo Martinotti, Millennium: discussione in Provincia
Nei vari interventi succedutisi durante la convocazione del Consiglio provinciale di Torino indetto il 22 settembre 2006 per discutere il progetto Millennium Canavese, le stantie retoriche sulle opportunità economiche e opache argomentazioni sulla reale utilità del parco a tema esternate dai sindaci di Albiano e Ivrea non sono minimamente riuscite ad offuscare le brillanti esposizioni del sindaco di Settimo Rottaro e quelle dei rappresentanti delle Associazioni ambientaliste che con efficacia hanno illustrato invece le gravi implicazioni ambientali del progetto. La cordata politico-ingegneristico-imprenditoriale può avere dimestichezza sui vari budget, sui finanziamenti occorrenti (chi paga? pantalone) sulle mirabili (per loro) implicazioni sull’economia locale che permettono all’artigiano alimentare di dare più visibilità al suo cotechino (sic!), sulla capacità perversa di strumentalizzare la disoccupazione usandola, adoperandola nel vero senso della parola per aggrapparsi con le unghie e con i denti ad un avallo dell’opera che spera in cuor suo di ottenere. Si tratta però di argomentazioni fruste, fritte, performance oratorie poco pregnanti e scarsamente convincenti che atterrano nel solito pantano dello sviluppo a oltranza e nel buio tunnel della pseudocultura che abilmente il sindaco di Settimo Rottaro ha progressivamente smontato. Egli ha parlato saggiamente del tesoro naturalistico e geologico del Canavesano, sollevando quindi dubbi sul traffico, sull’inquinamento e lo smaltimento dei rifiuti, sull’adeguamento delle infrastrutture legate al progetto Mediapolis che sconvolgerebbero un territorio ancora intatto che va tutelato dallo sviluppo fine a se stesso che peggiorerebbe la qualità della vita degli abitanti della zona.
Analogamente e con molta competenza gli ambientalisti hanno richiamato l’attenzione sulle problematiche riguardanti l’esondazione della Dora Baltea e la ricarica delle falde idriche sui terreni che andrebbero sacrificati per il Millennium Park, terreni di prima classe e quindi sicuramente perchè i più fertili. Argomenti chiave che le forze politiche ed imprenditoriali non si sono degnate minimamente di sfiorare nei loro discorsi. Un aspetto importante che le associazioni ambientaliste hanno inoltre trattato, ma che mai viene messo in discussione, è quello del modello economico perdente o del modello culturale superato rappresentato dal parco a tema in questo decennio, perchè tale progetto è vecchio di almeno vent’anni e quindi non più proponibile in quanto ancor prima di nascere rischia solo di essere una grande scatola vuota o poco più di una superdiscoteca.
L’idea del progetto Mediapolis è nata nel 1998: quanto è costato quindi fino ad oggi, sia che parta o non parta, si chiede legittimamente il sindaco di Caravino con molto buon senso.
Purtroppo stride l’affermazione del sindaco di Ivrea che in barba a tutto e a tutti, superando qualsiasi ostacolo di natura ambientale o finanziaria sostiene che in fondo anche per il castello di Masino o la Basilica di Superga già allora una collina era stata spianata... Come dire che si può proseguire senza preoccuparsi troppo. Ma il castello di Masino e la Basilica di Superga sono strutture architettoniche, vere opere d’arte costruite in coincidenza di precise circostanze storiche, preziose eredità che hanno contribuito a far conoscere Torino e il Piemonte. Il parco a tema si rivelerebbe un ennesimo obbrobrio fin da subito.
Nell’ascoltare non sapevo se ridere o piangere. Soprattutto mi montava la rabbia per il silenzio assordante di alcuni politici o degli imprenditori sullo stato dell’ambiente, significativo esempio di un paese malandato, l’Italia, ormai alla frutta, incapace da sempre di gestire risorse ambientali che non meriterebbe, abile nello sperperare denaro pubblico riciclando lacune del passato mai tamponate che diventano carte vincenti per assicurarsi il potere; quel potere che soffoca una zolla di terra, copre un raggio di sole, avvelena un bicchier d’acqua e frusta le speranze del cittadino onesto.
Il Documento delle Associazioni Ambientaliste
Riportiamo il documento diffuso da FAI (Fondo Ambiente Italiano), Italia Nostra Piemonte e Valle d’Aosta, Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, Pro Natura Torino, WWF Piemonte e Valle d’Aosta dopo il Consiglio aperto della Provincia di Torino.
Finalmente il Consiglio Provinciale di Torino si è aperto, seppure tardivamente, alle richieste delle associazioni ambientaliste di portare in aula il dibattito relativo al progetto Mediapolis di Albiano. Molti interventi hanno stigmatizzato la mancanza di dibattito politico su un progetto di tale portata che se realizzato connoterà in maniera irreversibile la serra morenica del Canavese.
Le associazioni ambientaliste sino dal 2001 hanno rivolto pesanti e puntuali critiche rispetto alla scelta di localizzazione territoriale di questo parco divertimenti e commercio che andrebbe ad occupare 60 ettari di territorio inedificato. Le principali critiche riguardano:
• le caratteristiche idrogeologiche dell’area di insediamento: area di esondazione della Dora Baltea e di ricarica delle falde. Le mappe di rischio regionali classificano tale area in classe terza, ossia inedificate ed inedificabili;
• fabbisogno idrico; si attinge alle stesse falde (già esigue) utilizzate dai comuni limitrofi;
• tutela del paesaggio; messa a rischio di un insieme ambientale unico in Europa; qualità dei terreni, si tratta di terreni agricoli di prima classe.
Le stesse ragioni portarono la Commissione Tecnico Urbanistica della Regione Piemonte a bocciare questo progetto.
Ma ancora oggi, a distanza di ben otto anni dalla presentazione del progetto, manca sia una seria valutazione di impatto ambientale che una valutazione approfondita e credibile degli aspetti economici ed occupazionali.
L’amministratore delegato di Mediapolis, Porcellini, invece di chiarire finalmente il progetto con dati e analisi economiche fondate, ha presentato un caso di realizzazione in Francia di un parco a tema, nato venti anni fa con un finanziamento pubblico rilevantissimo di 288 milioni di euro.
Tra gli interventi succedutesi nella mattinata quelli di due sindaci della Comunità Collinare del lago di Viverone hanno espresso fondate preoccupazioni sia sul piano economico che dell’impatto ambientale e sociale, chiedendo precise garanzie.
Mediapolis resta, secondo FAI, Italia Nostra, Legambiente, Pro Natura e WWF, un progetto apparentemente suggestivo perché scarsamente analizzato, soprattutto sotto il profilo della convenienza economica collettiva e della compatibilità con le linee strategiche evolutive, dello specifico territorio canavesano.
Difficile sostenere che tre Centri commerciali rappresentino un investimento innovativo e foriero di progressivo sviluppo, oltretutto senza alcuna garanzia effettiva di completamento!
La situazione esposta e le prospettive di sostanziale incertezza che ne emergono impongono a giudizio delle Associazioni ambientaliste due adempimenti decisivi per la valutazione del progetto: in primo luogo una seria valutazione di impatto ambientale; in secondo luogo la conoscenza di un preciso programma di esecuzione delle operepreviste (alcuni delle quali ancora molto indefinite), accompagnato dalle opportunegaranzie economiche e una aggiornata valutazione delle risorse private epubbliche previste, onde valutarne urgenza ed opportunità, prima di sottoscriverel’Accordo di Programma.
Nota: per le altre notizie sul progetto si può iniziare a risalire da QUI oppure scorrere l'elenco di questa cartella SOS Padania (f.b.)
Associazione Industriali del Canavese, Progetto Canavese – Linee Operative, Fase 2, maggio 2005
[…] 6.3 Linee di azione
Le possibili azioni per raggiungere gli obiettivi prefissati possono essere molteplici. Di seguito riportiamo alcune idee che riteniamo possano essere prese in considerazione da esperti del settore turistico per un eventuale sviluppo.
6.3.1 Turismo dei grandi numeri
Sviluppare progetti innovativi che possano attrarre un numero rilevante di turisti italiani e stranieri tra cui i PARCHI A TEMA (iniziative da oltre un milione di turisti). Tra i parchi in fase di progettazione od in via di realizzazione possiamo citare:
●Mediapolis
●Motorlandia
I parchi a tema possono rappresentare il motore in grado di accendere una industria del turismo del Canavese. Riteniamo, da questo punto di vista fuorviante ed inutile la discussione sulla scelta tra un turismo di quantità ed uno di qualità, che si è sviluppata in questi ultimi anni anche in sede locale. In Canavese non potranno mai venire grandi masse di persone se non ci sarà un’occasione, uno spunto, un’idea che li possa portare; i parchi a tema possono essere quello spunto; da questo pubblico, in accordo con le società che promuovono i parchi e che li realizzeranno, si può partire per ingenerare una ricaduta sul resto del territorio. Pur avendo un’area territoriale simile in termini di bacino d’utenza (principalmente il nord ovest d’Italia) i due progetti sono diversi per tema sviluppato e questo è un vantaggio non indifferente; inoltre, per la loro differente localizzazione nello stesso Canavese potrebbero generare insieme una ricaduta sull’intero territorio: Mediapolis sull’eporediese, i Laghi e la Serra d’Ivrea; Motorlandia sul Calusiese, Rivarolo ed il Canavese occidentale.
In sostanza il turismo dei grandi numeri può aiutare il turismo di qualità. D’altra parte coloro che vengono per l’arte, l’ambiente, lo sport, ecc., potrebbero trovare nella presenza del Parco divertimenti un completamento dell’offerta perché potrebbe essere d’interesse per la famiglia, i figli, ecc. (ad esempio, potrebbero venire non più da soli ma con altri o fermarsi qualche giorno in più).
In tema di Parchi dei divertimenti, ci permettiamo di inserire anche il Parco Nazionale del Gran Paradiso; l’accostamento è, forse, irriverente, ma si tratta di una risorsa unica che può essere utilizzata maggiormente, in cui il tema è lo spettacolo della natura e degli animali. Se facciamo il confronto con i grandi parchi degli Stati Uniti, ci rendiamo conto di quanto possiamo ancora fare. Ma nelle Valli del Gran Paradiso ci si deve poter arrivare con una strada adeguata, deve esistere ricettività, ristorazione (es. malghe, agriturismo, ecc.), si devono offrire prodotti e gadget da acquistare, ecc.
Siamo convinti che con una promozione adeguata, infrastrutture sufficienti, sviluppo di imprenditorialità di servizio il Parco del Gran Paradiso potrebbe portare ad un numero di visitatori enormemente superiore agli attuali.
Nota: per il progetto Mediapolis, si veda l’ultimo documento pubblicato qui su Eddyburg , da cui è poi possibile risalire ad altre informazioni; il documento PDF integrale da cui sono estratti questi brani è scaricabile di seguito (f.b.)
MEDIAPOLIS THEME PARK
Il presidente del Consiglio provinciale, Sergio Vallero, ha aperto la seduta alle 10, salutando tutti gli intervenuti. Ha ricordato che il Consiglio aperto è da considerarsi come punto di arrivo di una lunga fase istruttoria, durata circa un anno, nel corso della quale sono stati sentiti i pareri di tutti i soggetti concorrenti al progetto, sia favorevoli, sia contrari. Ha comunicato che nella mattinata si sarebbero stati svolti gli interventi delle parti interessate mentre i consiglieri avrebbero potuto esprimersi nel pomeriggio.
Mediapolis S.p.A.
Per la società proponente ha preso la parola l'Amministratore delegato, arch. Sergio Porcellini che ha illustrato il progetto.
L'operazione Mediapolis consiste nel lancio di un polo di intrattenimento e commerciale di nuova concezione (tecnicamente un “Mixed-Use Development” ovvero uno sviluppo immobiliare che si compone di vari e diversi elementi tra loro integrati e sinergici). Il complesso avrà sede in un'area di 500.000 mq. localizzata in posizione baricentrica rispetto a Torino e Milano sulle grandi arterie di comunicazione del Nord-ovest d'Italia (Autostrade A4-A5), affacciata per un fronte di 1 km. sull'asse autostradale in corrispondenza dell'uscita di un casello (Albiano d'Ivrea). Un Parco a Tema di primario livello nazionale, un motore in grado di generare visibilità e capacità di attrazione su un bacino di 4 milioni di persone nell'ora di percorrenza, 12 milioni nelle due ore e 20 milioni nelle 3 ore, con una previsione di circa 12 milioni di visitatori/anno, dei quali 1,6 milioni di ingressi paganti al Parco.
Il modello si completa con una serie di altre funzioni commerciali (centro commerciale, servizi, cinema, teatri, ristoranti, alberghi) inserite in un contesto architettonico e paesaggistico di grande suggestione.
La Città della Comunicazione, l'insieme degli elementi che compongono il progetto, il loro dimensionamento e la logica del loro inserimento in un unico complesso urbanistico fortemente integrato, sono il risultato di due anni di investimenti in ricerca e sviluppo di prodotto. Il “prototipo” che Mediapolis ha messo a punto costituisce un mix evoluto e dinamico di offerta di svago e divertimento che prende spunto da alcune delle esperienze più interessanti e di successo nel settore a livello mondiale. Il progetto verrà progressivamente implementato e lanciato sul mercato a partire dalla primavera del 2007.
Gli interventi istituzionali
Hanno, quindi, preso la parola i sindaci di Albiano, Gildo Marcelli, di Ivrea, Fiorenzo Grijuela, di Caravino, Clara Pasquale e di Settimo Rottaro, Francesco Comotto.
Dai loro interventi è stato possibile comprendere due posizioni rispetto al progetto: una, favorevole, soprattutto come opportunità di creazione di posti di lavoro e di attrazione territoriale, l'altra, decisamente contraria, preoccupata per la tutela dell'ambiente e della pregevole posizione naturalistica del sito prescelto.
In particolare, mentre il sindaco di Albiano ha espresso piena adesione all'iniziativa, seguito dal sindaco di Ivrea, qui in rappresentanza dei comuni del Patto territoriale, più sfumata è apparsa la posizione del sindaco di Caravino, appartenente alla Comunità collinare intorno al Lago mentre decisamente critico è stato l'intervento del sindaco di Settimo Rottaro.
Associazioni ambientaliste
Sono intervenuti l'architetto Maria Teresa Roli, presidente interregionale di "Italia Nostra" e Nevio Perna di Legambiente. Entrambi hanno espresso le loro perplessità sul progetto che verrebbe inserito nello scenario naturalistico tra il lago di Viverone e la Serra d'Ivrea.
Organizzazioni sindacali
A rappresentare le tre organizzazioni sindacali è stato Gianfranco Moia della CGIL del Canavese che ha tracciato un excursus storico sull'occupazione e, con alcune puntualizzazioni, quali, ad esempio il monitoraggio del cantiere e degli insediamenti, ha espresso un parere positivo.
Unioni industriali
E' intervenuto il presidente dell'Associazione Industriali del Canavese, Giovanni Battista Giudici il quale ha ritenuto che il progetto Mediapolis Theme Park possa essere un'utile iniziativa per valorizzare il Canavese.
SEDUTA DEL 22 SETTEMBRE 2006
I lavori sono stati ripresi alle 14 ed ha preso, per prima, la parola l'assessore Giuseppina De Santis la quale ha illustrato tutto l'iter del progetto, iniziato alla metà degli anni '90, da sempre ritenuto strategico per il rilancio del Canavese.
Il dibattito
Giuseppe Cerchio (Forza Italia)
Ha valutato come il progetto sia stato studiato nei minimi particolari, tenendo in considerazione tutte le osservazioni avanzate dalle istituzioni, e che, di conseguenza, è da considerarsi valido e sicuro. Inoltre ha valutato positivamente la ricaduta occupazionale, turistica e di valorizzazione del territorio, spesso dimenticato. Ha auspicato una mozione unitaria in proposito.
Roberto Tentoni (Alleanza Nazionale)
Ha rilevato come il progetto attuale, rispetto a quello presentato “ab origine” , sia completamente cambiato, con una maggiore attenzione nei confronti del territorio, con una riduzione volumetrica sia in superficie, sia in altezza, per avere un minore impatto ambientale. Il complesso turistico e ricettivo di quella porzione del territorio provinciale potrà essere sicuramente un modo nuovo per dare l'avvio allo sviluppo del Canavese.
Luigi Sergio Ricca (Sdi)
Ha svolto un intervento che ha saputo coniugare il passato ed il presente del Canavese, soprattutto in chiave occupazionale. Convinto assertore dell'iniziativa ha affermato che la scelta compiuta dal territorio non è avvenuta a cuor leggero o senza un dettagliato e partecipato processo di verifica. Infatti sia i Comuni, la Provincia, la Regione, le parti sociali hanno svolto la loro parte in un continuo processo di adattamento del progetto alle osservazioni e sollecitazioni che sono giunte da più parti e, più di un tavolo di concertazione ha, alla fine, definito una soluzione progettuale che potrà ancora essere migliorata dalla V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale) sul progetto definitivo.
Vilmo Chiarotto (Democratici di Sinistra)
Ha espresso la propria posizione, favorevole al progetto che è stato esaminato in tutti gli aspetti, condiviso dal Ministero per i Beni ambientali e architettonici. Le correzioni avvenute devono essere ascritte all'azione propositiva delle associazioni ambientaliste. Ha ritenuto il progetto favorevole al territorio, certamente non risolutivo, ma in grado di dare una notevole spinta in avanti.
Favorevoli all'iniziativa, per le motivazioni evidenziate già in altri precedenti interventi, si sono espressi Aldo Buratto (Margherita), Fabrizio Bertot (Alleanza Nazionale), Arturo Calligaro (Lega Nord) e Franco Maria Botta (Udc).
Giovanna Tangolo (Rifondazione Comunista)
Ha rilevato le criticità del progetto che non è così chiaro in tutte le parti, tranne l'ambito strettamente commerciale, con la proliferazione di megastore. Inoltre, ha evidenziato il rischio ambientale poiché il territorio canavesano in quel punto è particolarmente fragile e può essere edificabile solo con strutture pubbliche non costruibili da un'altra parte, come ha evidenziato la Commissione regionale. Infine, ha rilevato che a fronte di un progetto così dispendioso, sono previsti soltanto 148 posti di lavoro a tempo indeterminato.
Gianna De Masi (Verdi per la pace)
Ha ritenuto che il progetto non sia la risposta ai problemi occupazionali e, in caso, si tratterà, comunque, di occupazione di bassa qualifica e di tipo precario. Ha anche sottolineato che la presenza dell'ennesimo centro commerciale non sarà sicuramente una fonte di sviluppo in una zona dove già ve ne sono altri. Inoltre ha sottolineato come la concentrazione di un ipotetico consistente pubblico porterà nella zona solo inquinamento, aumento di spazzatura e di traffico. Ha considerato il progetto un modello di sviluppo estraneo al territorio che non ha nulla a che spartire con la storia del Canavese. Ha chiesto un'ulteriore fase di riflessione.
Mario Corsato (Comunisti italiani)
Il ragionamento del capogruppo del Pdci è partito dalla presunzione di attrarre su Mediapolis almeno 6 milioni di visitatori all'anno e si è domandato: “A chi vengono sottratti?”. Inoltre, ha rilevato che il centro commerciale catalizzerà certamente il pubblico sottraendolo ad altre realtà (i negozi al dettaglio delle cittadine circostanti, ad esempio) che andranno in sofferenza. Infine, ha affermato che il progetto non viene accettato con euforia dal territorio, come da alcuni è stato dichiarato nel Consiglio aperto del mattino ed ha concluso con una battuta: “Noi non crediamo che un parco a tema e un centro commerciale risolvano i problemi occupazionali.”
Le mozioni
Agli atti erano già state depositate due proposte di ordine del giorno: una, a firma di Luigi Sergio Ricca (Sdi) e Vilmo Chiarotto (Ds) nella quale si invitava il Consiglio provinciale a fare proprie le valutazioni della Giunta provinciale in merito al progetto Mediapolis; la seconda, invece, presentata da Alleanza Nazionale avente ome finalità l'accelerazione dei tempi per la realizzazione della struttura.
Entrambe sono state ritirate dai rispettivi presentatori perché, nel frattempo, si faceva strada un'altra proposta, questa volta a firma di Stefano Esposito (Ds), Luigi Sergio Ricca (Sdi), Piergiorgio Bertone (Margherita), Ugo Repetto (Moderati), Roberto Tentoni (An), Franco Maria Botta (Udc), Tommaso Vigna Lobbia (LegaNord Padania Piemont), Arturo Caligaro (Lega Nord Torino), Nadia Loiaconi (Forza Italia) nella quale, in tre punti, si esprimeva l'importanza della realizzazione in tempi certi, anche se subordinata alla positiva verifica di compatibilità ambientale dell'intervento proposto dalla società Mediapolis, intervento di maggior rilievo tra quelli finanziati all'interno del Patto Territoriale del Canavese, per le forti ricadute economiche e occupazionali. La mozione è stata illustrata dal primo firmatario, Stefano Esposito (Ds) il quale ha esordito ricordando come non si può pensare che chi è favorevole all'opera è un distruttore e chi è contrario è un salvatore: “Bisogna avere il coraggio di scommettere sul piano dello sviluppo”, ha concluso l'esponente diessino.
A loro volta, i gruppi di Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi per la pace hanno presentato una proposta di emendamento, in quattro punti, illustrata da Mario Corsato, alla mozione precedente.
A sostegno del progetto presentato da Mediapolis, con tutte le garanzie già illustrate da tutti gli interventi favorevoli e sottolineate con estrema chiarezza nella mozione, è intervenuto il presidente della Provincia Antonio Saitta il quale ha ribadito con convinzione come l'iniziativa sia il frutto di una verifica puntuale e durata alcuni anni da parte di Enti, istituzioni, parti sociali e con il parere favorevole della Soprintendenza, quindi, con tutte le garanzie necessarie. Ha ribadito altresì il ruolo che la Provincia di Torino ha voluto riservarsi facendosi carico di valutazioni di impatto ambientale che consentano il doveroso approfondimento sulle ricadute del progetto. In conclusione, il presidente Saitta ha chiesto alla maggioranza di centrosinistra un'espressione compatta di sostegno all'operato della Giunta provinciale.
Ne è scaturito un dibattito politico che ha visto protagonisti Sergio Vallero (Rc) intervenuto come consigliere, Mario Corsato (Com. it.) e lo stesso Saitta. E' seguita una sospensione per chiarimenti dalla quale è emerso un documento di fiducia, firmato dalla maggioranza, nei confronti delle scelte effettuate dalla Giunta provinciale.
Sono state anche posti in votazione gli emendamenti alla mozione che hanno ottenuto 7 voti a favore e 24 contrari e la mozione che ha avuto 24 voti a favore e 7 contrari.
Il presidente del Consiglio, Sergio Vallero ha concluso la seduta alle 21.55.
Nota: per il progetto Mediapolis Canavese, vedi anche almeno il primo articolo decrittivo comparso qui su Eddyburg, e il recente scambio di opinioni fra Giulia Maria Crespi Mozzoni e il Presidente della Provincia di Torino (f.b.)
I problemi del presente, le soluzioni del futuro. Per la prima volta istituzioni e cittadini si sono confrontate sull’articolato «nodo» aeroporto. L’occasione è stata offerta dall’assemblea pubblica promossa dalla Provincia per discutere dell’iter della Vas, acronimo di «Valutazione ambientale strategica» dell’area che circonda lo scalo di Montichiari. Al «Tartaglia» di Brescia rappresentanti delle associazioni di cittadini e i sindaci dei paesi coinvolti direttamente o indirettamente dal «D’Annunzio» hanno ascoltato le relazioni dei tre assessori provinciali responsabili del progetto: Mauro Parolini si è occupato di Viabilità, Valerio Prignachi di trasporto e Aristide Peli che ha curato il riassetto territoriale.
La Vas coinvolge a vario titolo Montichiari, Ghedi, Castenedolo e Montirone ed ha una dimensione di 49 chilometri quadrati. Programmare uno sviluppo armonico della zona oltre che a tutelare la vivibilità delle aree urbane rappresenta la condizione essenziale per accedere ai fondi dell’Unione Europea. L’efficacia del Via è direttamente proporzionale alla precisione con cui vengono fissati gli obiettivi strategici in materia ambientale. urbanistica, economici e sociali. «Questi indici devono essere compilati con la vostra collaborazione - ha spiegato Peli rivolgendosi alle associazioni ambientaliste ed agli amministratori comunali presenti -: senza il rispetto dei parametri della Vas non si va da nessuna parte». Alcune associazioni presenti hanno fatto sentire la loro voce e gli argomenti sollevati sono piuttosto allarmanti.
L’area sottoposta al Vas riguarda l’aeroporto ma influisce inevitabilmente sullo sviluppo della Fascia d’oro snodo di sviluppo economico provinciale. «Le attuali rotte minano la vivibilità di troppi cittadini - ha ribadito Sergio Perini presidente di Cambiarotta, associazione di Carpenedolo -: e la situazione è destinata a peggiorare da gennaio quando inizieranno i voli notturni per le Poste Italiane. Nessuno ci ha mai contattati e noi siamo contrari ad uno sviluppo insostenibile. Ne abbiamo avuto la prova nel ’99 quando ci passavano sulla testa centinaia di voli al giorno. Non vogliamo più rivivere quella situazione».
Preoccupata anche Legambiente che per bocca di Pietro Garbarino ha proposto di «rinunciare all’Alta capacità. Abbiamo già la linea per Parma che possiamo sviluppare». Il pericolo di contaminazione delle falde è stato invece paventato dagli ambientalisti di Montirone che hanno rimarcato: «Siamo il Comune più massacrato da questo piano incredibile di sviluppo. Non solo ci tolgono terreni, ci inquinano l’aria, ci tolgono il respiro, ci impediscono di costruire e ci assediano con i rumori. Rischiamo anche la distruzione delle nostre falde acquifere che si trovano a bassa profondità, se non erro a 25-30 metri ed anche meno. Che futuro daremo ai nostri figli?».
Sul tavolo sono finiti anche i problemi legati a cave e discariche. Oltretutto nell’area interessata dalla Vas non esiste ancora nessuna centralina per il rilevamento dei dati d’inquinamento.
Sul piede di guerra anche gli agricoltori che per bocca di Alberto Giovanardi della Coldiretti hanno chiesto a gran voce un «immediato programma di rimborso per le potenzialità agricole e di allevamento che ogni giorno vanno perse in un’area tra le più sviluppate, per stalle e raccolto, dell’intera provincia. Non deve accadere la fuga dalle campagne».
Il tempo intanto incalza. I sindaci dell’area si ritroveranno con la Provincia il 16 ottobre, ed entro fine novembre i primi dati della Vas dovranno essere pronti per l’Unione Europea.
Postilla
Apparentemente tutto sembrerebbe filare relativamente liscio e “istituzionale”, pur con le gravi preoccupazioni espresse da molti, in questa prima esperienza di Valutazione Ambientale Strategica. Salvo che strategica non lo è affatto, visto che tanto per cominciare il Piano d’Area è del tutto sottodimensionato rispetto ai problemi effettivamente sollevati da questo HUB. Un complesso aeroportuale che, sotto sotto, da un lato si affianca con poderose dimensioni a Malpensa (e sappiamo quanti e quali effetti ha avuto in pochi lustri lo sviluppo dell’Hub varesino), dall’altro calamita una serie di interessi e spinte molto più ampia: a partire dal sistema dell’alta capacità ferroviaria, che qui il rappresentante di Legambiente sembra mettere in discussione. Ma non per colpa sua il giornalista, e conseguentemente il dibattito e la percezione, continua a volare bassissimo. Perché la stampa nazionale tace? Perché, come osservava Maria Pia Guermandi, sappiamo tutto delle casalinghe della Valsusa contro il tunnel ferroviario, ma questa assemblea bresciana sembra parlare di un progetto di nuovi giardini pubblici, anziché di un enorme magnete di traffico e aspettative? Che la giunta regionale lombarda (e la cultura che la sostiene, non solo a destra) dopo aver avocato a sé i piani d’area, voglia anche farlo per il dibattito relativo? (f.b.)
vedi anche HUB? BURP!(con PDF illustrato scaricabile)
Giulia Maria Mozzoni Crespi, “Caro presidente, su Mediapolis sbagli”, lettera aperta al presidente del consiglio Provinciale di Torino Antonio Saitta, La Stampa, 4 ottobre 2006
Gentile Presidente, ci spiace che si sia creato questo difficile passaggio nella vita dell'Ente da lei presieduto. Tutto ciò avrebbe potuto essere evitato se più per tempo, a cominciare dagli Stati Generali del Canavese, si fosse dato spazio istituzionale ad un nostro intervento e si fossero affrontate le tante obiezioni che con serietà e rispetto abbiamo da anni presentato.
E' vero, come è stato ribadito, che il comportamento della Provincia nello sviluppo dell'iter autorizzativo è sempre stato legittimo e corretto, ma è proprio questa «continuità » che costituisce in qualche modo la causa del contrasto e del dissenso.
Quando il progetto Mediapolis è stato incluso nel Patto Territoriale è prevalsa l'impazienza di presentare delle alternative di sviluppo, la suggestione dei posti di lavoro, la prospettiva di convogliare fondi sul territorio, e in questo scenario tutte le istituzioni e le forze politiche si sono schierate a favore. Gli unici a dissentire da subito siamo stati noi, dapprima con la contestazione del sito soprattutto per incompatibilità idrogeologica, poi con argomenti più articolati e complessi: il saldo occupazionale, il beneficio collettivo degli investimenti pubblici, la trasparenza sui capitali privati, le garanzie economiche, etc.
Intanto, riguardo a Mediapolis aumentava l'incertezza: sui contenuti di progetto, da città della comunicazione a Rockland, da Tivoli a Futuroscope (l’ultima novità); sulla valutazione dell'impegno finanziario pubblico e privato; sull'adeguatezza del capitale; sulle modalità esecutive, compreso il project financing, ecc. Unica costante, la rilevante presenza di uno o più Centri Commerciali con un bacino di utenza sostanzialmente locale.
Non c'è quindi da sorprendersi che qualcuno abbia colto l'insufficienza delle analisi sin qui correttezza formale delle decisioni, abbia considerata opportuna una più approfondita e documentata valutazione sugli interrogativi da noi sollevati che, lo ribadiamo ancora una volta, non è mai stata fornita.
Quanto al citato modello di Futuroscope in Francia, si badi che quella realizzazione del 1985 è stata ripetutamente in perdita, che ha richiesto e richiede costanti e rilevantissimi investimenti pubblici (288 milioni) e che vive grazie ad una società mista a prevalente capitale pubblico, sulla convenienza della quale ci si incomincia a porre domande.
Non ci sembra responsabile, oggi, confermare le decisioni prese con la tautologica affermazione che di decisioni si tratta: ci sembra invece che riconoscere il cambiamento degli scenari e la possibilità di alcuni errori di stima, debba far parte delle prerogative e dei doveri del governare. Ci auguriamo quindi che questa consapevolezza presieda a tutto l'iter della Valutazione di Impatto Ambientale perché, almeno sotto quel profilo, non ci siano né dubbi né rischi ignorati. Noi siamo infatti convinti che proprio l'area di Albiano, tra le altre possibili in Canavese e nella Provincia di Torino, presenti caratteristiche seriamente incompatibili con l'insediamento di Mediapolis e vorremmo almeno evitare che, prevalendo la logica delle decisioni già prese, si comprometta seriamente un equilibrio vitale per un'area così di pregio, il cui valore ambientale e perciò economico è una ricchezza di noi tutti
La Stampa, 5 Ottobre 2006
Antonio Saitta, Gentile signora Crespi,
La ringrazio per aver riconosciuto alla Provincia sul progetto Mediapolis la continuità di un comportamento legittimo e corretto nello sviluppo dell'iter autorizzativo; non ci siamo però limitati a questo.
L'azione dell'ente presieduto prima da Mercedes Bresso e dal 2004 da me è stata fondamentale per modificare come Lei sa il progetto iniziale, riducendone l'impatto ambientale (ricordo a solo titolo di esempio le osservazioni della Provincia alla variante del Piano regolatore del Comune di Albiano).
Il progetto Mediapolis è nato nel 1997, quasi dieci anni fa, ma in questo lungo periodo di approfondimenti e di dibattiti il pressoché unanime consenso da parte di amministrazioni locali, forze politiche bipartisan, forze sociali ed economiche non si è certo esaurito. Così come non si è mai esaurita la serietà delle Istituzioni nel procedere con attenzione e scrupolo: in particolare voglio ricordare al Fai e alle altre associazioni ambientaliste che la Provincia di Torino ha scelto di mantenere in capo ai suoi uffici la delicata e determinante procedura tecnica di VIA, l'impatto ambientale, perché riteniamo indispensabile procedere a queste valutazioni tecniche assumendoci la responsabilità delle verifiche prima, delle scelte poi.
Le confermo che le procedure di impatto ambientale saranno svolte dagli uffici preposti con tutta la doverosa trasparenza, serietà professionale e onestà intellettuale che mi auguro Lei continui a riconoscerci.
Con la stessa serietà e professionalità i nostri tecnici si comporteranno all'interno della Conferenza dei Servizi, che la Regione Piemonte convocherà quale sede idonea per quantificare in modo definitivo le opere infrastrutturali necessarie.
Il Suo appello affinché chi governa sappia poter riconoscere errori di valutazione mi trova assolutamente concorde, ma voglio sottolineare che chi amministra un territorio deve saper fare sintesi in situazioni delicate, con il coraggio di scelte anche impopolari: preferisco comunque percorrere la strada difficile del confronto che attira critiche, piuttosto che essere accusato al termine del mio mandato di essere stato spettatore impassibile della crisi di un territorio importante come il Canavese.
* Presidente della Provincia
Nota: per qualche particolare in più sul discutibile e discusso insediamento nelle basse della Dora ad Albiano di Ivrea (TO) qui anche una breve descrizione del progetto di Mediapolis e altri aggiornamenti sugli sviluppi dell'operazione (f.b.)