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Gentile Professore, oggi Giangiacomo Schiavi ha risposto sul Corriere ad una mia lettera, a proposito di una banale ristrutturazione, nella solita Milano, di un palazzo di uffici di sette piani... che ne farà un grattacielo di venticinque.

Nella risposta mi ha indirizzato a Lodo Meneghetti, nome , mi scuso come medico totalmente ignorante di architettura, a me finora sconosciuto. Ma così mi ha aperto un mondo interessantissimo come il Vostro sito.

Crede potrei contattare Meneghetti? quanto scriveva già mesi fa sul vostro sito era la profezia di quanto sta accadendo. (ho trovato anche un suo numero di telefono su pagine bianche.it) in ogni caso Gli passi i miei complimenti (togliendone prima una buona parte per sè) : credevo avessimo problemi noi della sanità, ma ora che sbircio il vostro mondo...

Scusi il disturbo e ... grazie di esistere

La ringrazio molto, e sono sicuro che anche Lodo Meneghetti (cui invio la sua lettera) sarà contento del suo apprezzamento. Sono certo che le scriverà direttamente.

Per i nostri lettori, inserisco qui la sua lettera e la risposta di Giangiacomo Schiavi

Cari amici, vi auguro buon natale. Ma soprattutto vorrei contribuire ad allietare ulteriormente la vostra giornata con una piccola informazione.

Credo che pochi di voi conoscano la vicenda del Parco Mauriziano di Chivasso. Come sapete, non lo cito quasi mai nelle mie mail. Per pudore evito di parlarne. Ma oggi, vi prometto solo per oggi, faccio uno strappo alla regola. Colgo dunque l’occasione di una giornata di relativo riposo per darvi una piccola notizia.

Il Parco Mauriziano rientra, nel piano regolatore chivassese, nelle Aree per spazi pubblici a parco per il gioco e lo sport “V”. In queste aree, secondo le Norme tecniche di attuazione del piano, è possibile costruire sul 25% della superficie, ed è possibile asfaltare il 60%. Forse stenterete a crederci, ma è così: il 60% dell’area del parco potrebbe venire asfaltata e un quarto, appunto il 25%, potrebbe essere edificata, e senza limiti di altezza (vedi la costruenda casa degli scout) . L’importante è che il verde vero e proprio non scenda al di sotto del 40%. Insomma, in base al piano regolatore vigente il verde del Parco Mauriziano potrebbe ridursi a meno della metà (appunto il 40%) senza che il comune, se comprendo bene, abbia bisogno di fare una variazione di piano.

Potete verificare leggendo sul sito del Comune di Chivasso, le NTA (Norme tecniche di attuazione) del Piano regolatore. Andate all’art. 55, e leggete il comma 10.2: «Il rapporto di copertura (R.C.) sarà uguale al 25% dell'area del lotto, mentre la superficie minima a verde permeabile in nessun caso potrà essere inferiore al 40% dell'area del lotto vincolato a verde». [ Notate la finezza: un lotto "vincolato a verde" che si più asfaltare per il 60%]

foto di f. bottini

Vi riporto il commento di una urbanista, non chivassese, a cui ho sottoposto la questione: «Quello che a me sembra davvero pura follia è il comma che recita [10.2] Il rapporto di copertura (R.C.) sarà uguale al 25% dell'area del lotto, mentre la superficie minima a verde permeabile in nessun caso potrà essere inferiore al 40% dell'area del lotto vincolato a verde. Il 25% dell'area del lotto interessato significa che si può coprire un quarto della superficie del parco. Un quarto è una vera follia. Ed altrettanto lo è mantenere solo il 40% di superficie permeabile. Vuol dire che un'area a parco potrebbe essere asfaltata per il 60% della sua superficie di cui il 25% coperta da un edificio. Se per ipotesi il parco misura 50.000 mq. , 30.000 mq possono essere resi impermeabili e 12.500 mq possono essere edificati! Manca poi del tutto la definizione delle altezze massime, per cui l'edificio non ha limiti di altezza!»

Fin dall’inizio coloro che si opponevano alla costruzione della casa degli scout dentro il Parco sottolineavano che ciò avrebbe creato un pericoloso precedente, e che la casa scout avrebbe potuto essere solo il primo di altri edifici. Evidentemente non si sbagliavamo di molto, anzi non si sbagliavamo per nulla.

Il Piano regolatore chivassese è opera delle due amministrazioni comunali che si sono succedute dal 1997 al 2005, entrambe guidate dal senatore Fluttero. Il progetto preliminare di piano è stato approvato dal Consiglio comunale nel 2001 ed è stato definitivamente approvato dalla Regione nel 2004. Che cosa è accaduto durante questi anni? Si direbbe un perfetto, o quasi, meccanismo a orologeria. Nello stesso 2004 il Comune ha acquistato il Parco dall’Ordine Mauriziano, che vendeva le sue proprietà per coprire l’enorme buco nel bilancio. L’ha comprato a prezzo di saldi, e poi ha provveduto a metterlo politicamente a frutto. Appena comprato il parco, infatti, sempre nel 2004 l’Amministrazione comunale delibera la costruzione della casa scout, regalando di fatto parte di un’area verde pagata con soldi pubblici ad una associazione privata. Due anni prima, nel 2002, era stata stipulata la convenzione tra Comune e Ferrovie (RFI), dove è stabilito che la famosa «strada del Parco Mauriziano» verrà costruita a spese delle Ferrovie (dello stato). Un affare per l’Amministrazione comunale, che in un colpo solo scarica il costo della strada sulle Ferrovie (ma sempre di denaro pubblico si tratta) e favorisce almeno altri tre soggetti privati. Quella bella strada asfaltata infatti andrà a vantaggio: 1) dei proprietari del grande capannone semi abbandonato ai confini del parco, un grande capannone in una posizione ormai quasi centrale, pronto ad essere «valorizzato» (un supermercato?), ma finora penalizzato dal fatto di avere solo un piccolo accesso in terra battuta: 2) i costruttori del complesso edilizio detto “PEC Mauriziano”, anch’esso ai bordi del parco, i cui lavori possono iniziare in qualsiasi momento, ma che è anch’esso ancora privo di una strada di accesso; 3) i proprietari del grande prato tra via Settimo e la rotonda all’ingresso di Chivasso: un’area che il piano regolatore destina curiosamene a zona artigianale, cioè capannoni, dico curiosamente perché a Chivasso ci sono già due grandi aree industriali sottoutilizzate: anche quel prato sarà valorizzato dalla costruzione di una strada che lo attraverserà collegandolo da una parte con la rotonda in uscita da Chivasso, e dall’altra con il centro città (via Berruti). Quale sarà la prossima "opera" dell'amminstrazione dentro il Parco Mauriziano?

Buon natale e felice anno nuovo!

Nota: a meglio illustrare il caso di Chivasso, comune della fascia esterna della conurbazione torinese interessato da trasformazioni territoriali legate più o meno direttamente alle "grandi opere", si allegano di seguito alcuni documenti prodotti nell'ambito dell'attività del Comitato Parco Mauriziano. Altri particolari disponibili sul blog www.centrotelli.blogspot.com (f.b.)

Dopo la pubblicazione dell’articolo di eddyburg.it dedicato al caso di Piazzatorre in Val Brembana, allego il file dell'informatore comunale (novembre 2007) che riporta il punto di vista dell'amministrazione sulla nota vicenda.

Un’amministrazione alla quale, come si capisce anche dalla qualità e dettaglio informativo di quanto pubblicato, nonostante tutto va riconosciuta la buona fede e la dedizione al paese.

Fulminanti gli accenni ai vincoli idrogeologici e alla situazione climatica (niente neve nel 2006-2007 e conseguente chiusura degli impianti). Che sperino nello “stellone”?

La situazione appare, ad essere sinceri, deprimente.

M.C.

Gentile lettore, come tentavo di chiarire già nell’articolo, quello di sfruttare il territorio come unica risorsa a disposizione, e di farlo nel modo più immediatamente traducibile in moneta sonante ovvero con la trasformazione edilizia e irreversibile di una risorsa unica, è un metodo al quale quasi sempre le amministrazioni locali, specie quelle piccole e relativamente “deboli” (come pare nel caso di Piazzatorre) pare siano forzate come per una scelta quasi inevitabile.

Posto che, nello specifico, il percorso convenzione per gli impianti-trasformazione d’uso e fisica di alcune aree, appare la prospettiva più probabile. Invece di sperare anche noi nello “stellone” (che alla vicina San Pellegrino ha poco giovato, cooptata in blocco all’impero del mogul dei centri commerciali Percassi), credo che la cosa più auspicabile sia di ampliare il dibattito e cercare di coinvolgere forze locali e non in una prospettiva di respiro più ampio.

Innanzitutto per verificare se approccio generale alla montagna e nuove trasformazioni possano correggere la rotta in termini di impatto ambientale, e di privatizzazione dei percorsi e accessi agli spazi aperti. In secondo luogo, verificando se e in che misura gli elementi di “forza e debolezza” individuati dall’analisi SWOT del Piano di Sviluppo della Comunità Montana (che per molti versi confermano le critiche espresse dall’articolo di eddyburg) possano rappresentare una base per iniziative volte a evitare che, una volta esaurito il respiro corto del ciclo di sviluppo basato sull’edilizia, si ripetano identici e identicamente inutili scempi simili.

(f.b.)

come sappiamo sulla vicenda della base Dal Molin è calata una cappa di silenzio mediatico: sui giornali e le televisioni nazionali non si fa cenno alla situazione di Vicenza almeno dall'ultima grande manifestazione di febbraio. Sui giornali locali, certo, se n'è continuato a parlare, ma la mancanza di una vera discussione di fondo e il fatto che da Roma si sfiori l'argomento di tanto in tanto solo per ripetere che “la questione è chiusa” e per rassicurare l'amica Condy Rice (D'Alema l'altro ieri è stato ringraziato dalla segretario di Stato Usa: “per aver preso le decisioni che doveva prendere”, testuali parole), sembrano aver ridotto la cosa a una disputa di respiro locale. E così da mesi si parla con il commissario Costa, del “come costruire” la base. Mentre del “come decidere” se costruirla o meno non si accenna nemmeno per sbaglio.

Ma intanto da un piccolo paese limitrofo a Vicenza, Quinto Vicentino, è arrivata la prima, vera vittoria del fronte del No: è stato il consiglio comunale del paese, nella seduta del 28 novembre, a dare il primo Stop istituzionale a un progetto di ampliamento degli Usa. Il tema era stato sollevato eddyburg da Irene Rui e Guido Zentile ( Vicenza, sprawl d'importazione): si trattava, come ben spiegato nel loro articolo, di un villaggio di villette unifamiliari, devastante in termini ambientali, costruito in un'area agricola di pregio, e che per la sua grandezza avrebbe richiesto una deroga al piano regolatore, addirittura convertendo l'area, ora ad utilizzo agricolo, in “zona di pubblico interesse” (su cui, per inciso, gli americani non avrebbero neppure pagato l'Ici). L'escamotage era anche stato preso in considerazione dal sindaco di Quinto, ma alla fine il consiglio, all'unanimità, ha preso atto che i problemi creati dall'insediamento sarebbero stati ben maggiori dei supposti vantaggi. Ecco le motivazioni del No al progetto della ditta Pizzarotti di Parma: “le criticità sulle reti viarie dovute ai carichi veicolari generati dai nuovi insediamenti su strade già oggi ritenute inadeguate”; “la limitata disponibilità di Superficie Agraria Utilizzabile (S.A.U.) che attualmente risulta essere di circa 147.000 mq di superficie territoriale, comunque insufficienti a soddisfare completamente la richiesta di 220.000 mq di superficie territoriale, per cui il futuro insediamento residenziale saturerebbe da solo tutta la capacità edificatoria comunale derivante dal P.A.T., escludendo in pratica ogni ulteriore futura possibilità edificatoria per altre necessità residenziali della cittadinanza”. Dunque, motivazioni in primo luogo urbanistiche e ben poco astratte, forse poco politiche secondo gli schemi correnti, ma che d'altra parte confermare il fatto che gli insediamenti Usa sono sì “questioni urbanistiche”, ma nel senso più nobile del termine: riguardano l'uso del territorio in cui vive una comunità, e a questa comunità spetta in primo luogo di pronunciarsi per dire sì, no, e se sì come. Esattamente quanto non si sta facendo, da quasi due anni, a Vicenza, dove il consiglio comunale non ha ancora approvato nessun provvedimento urbanistico che autorizzi la costruzione di una base ben più grande e impattante del “piccolo” villaggio di Quinto.

Quando le denunce cui eddyburg dà risonanza evidano qualche danno al territorio (e alle generazioni presenti e future) ne siamo lieti. Naturalmente lo siamo anora di più quando congtribuiamo a migliorare, e non solo a "depeggiorare". Purtroppo viviamo in una fase in cui gli interessi più ostili al buongoverno del territorio hanno una frza che in altre fasi della nostra storia non anno avuto. Speriamo che i temopi cambino di uovo, questa volta in meglio. Molto dipende anche da noi.

Beh, che dire…che il Suo sito mi sia parso molto interessante lo si è capito da subito..mi sono subito iscritta alle newsletter, e stamane e’ arrivata la prima.

Mi presento..( è il minimo per ringraziarla della Sua attenzione) Sono e sono responsabile di un neonato progetto…un’Associazione ONLUS chiamata “Ci vuole un albero”. ( www.civuoleunalbero.it). L’obiettivo ambizioso dell’Associazione non è identificabile esclusivamente con il semplice gesto di piantare alberi, bensì quello di portare “cultura”..quella cultura ambientale così effimera per i piu’. Sono consapevole del compito difficile ma per indole non mi fermo davanti a ostacoli o difficoltà.

Tutta questa filippica porta ad una richiesta.. la possibilità di annoverare il Suo sito nel sito dell’Associazione, fra i link preferiti e l’autorizzazione a pubblicare, facendo ovviamente riferimento alla fonte, eventuali articoli di interesse comune.

Mi prendo anche l’ardire di dimostrarle come ci stiamo muovendo allegandole la locandina di un convegno che si terrà il 30 p.v. Non mi dilungo oltre per non rubarle altro tempo.

La ringrazio infinitamente dell’attenzione e Le auguro buon lavoro

Siamo molto grati della sua lettera, e naturalmente siamo lieti che ci inserisca tra i vostri “preferiti” e i link segnalati. Per quanto riguarda l’inserimento nel vostro sito di documenti tratti da eddyburg la nostra politica è di diffondere, senza restrizioni, tutto ciò che ci sembra utile o bello. Se va in fondo alle pagine del sito trova la frase sensibile “copyright e responsabilità” nella quale è scritto, tra l’altro, che “chiunque può usare o riprodurre le informazioni e i materiali originali contenuti nelle pagine di questo sito. Tale uso sarà tuttavia condizionato, ove si tratti di materiali propri di eddyburg , alla citazione dell’autore così come compare nel sito e alla indicazione della fonte originaria in modo visibile e con la seguente dicitura: ‘tratto dal sito web eddyburg.it’. Per i materiali derivanti da altre fonti si suggerisce di rivolgersi ai relativi autori o editori”.

Eddyburg non si occupa prevalentemente di alberi e boschi, ma delle condizioni che rendono possibile adibire il suolo alle diverse utilizzazioni necessarie alla vita dei cittadini, e non alla speculazione fondiaria ed edilizia: quindi quelle condizioni che rendono possibile far crescere alberi e boschi e prati (e altre utilità comuni) laddove la costruzione di nuovi edifici e nuove infrastrutture non p strettamente necessaria.

Queste condizioni si chiamano corretta e democratica pianificazione territoriale e urbanistica, e hanno molto a che fare con ciò che accade nella politica e nella societa. Purtroppo i modi in cui quelle condizioni (e in particolare la pianificazione) si realizzano sono un po’ complessi, e sono resi addirittura complicati da chi preferisce che i cittadini non s’impiccino. Personalmente ho scritto un libretto (“Ma dove vivi?”, Corte del Fòntego, Venezia 2007, 14,90 €), che si propone proprio di “spiegare l’urbanistica al popolo”; lo potete ordinare direttamente all’editrice, inviando una e-mail al seguente indirizzo:
cortedelfontego@libero.it oppure telefonando al 041 5232533; chiedete lo sconto per studenti.

Sono stato sindaco di questa perla unica al mondo dal febbraio 1971 al giugno 1985. Durante questi lunghi anni credo di aver salvato la mia città dall’assalto del cemento, che ha attecchito nel resto dell’intera Costiera Amalfitana. Di tanto mi hanno in tanti dato atto.

Sempre durante questi anni ho collaborato, quale sindaco, con il prof. Pane, col prof. Dal Piaz, col dott. Delgado, con i quattro rappresentanti dei comuni dell’area sorrentino-amalfitana e delle province di Napoli e Salerno, nella redazione di quello che è alla fine diventato il “P.U.T. dell’Area Sorrentino - Amalfitana, approvato con la legge 35/87 della Regione Campania.

A causa di una malattia che mi ha ultimamente colpito e di cui ancora sono vittima, non ho seguito, negli ultimi due mesi il Suo sito.

Ritonatoci, ora, su, ho avuto modo di leggere l’articolo comparso sul Corriere del Mezzogiorno, ed. Napoli, 4 settembre 2007.

Inutile fare i soliti complimenti; voglio solo integrare le notizie che ivi sono esposte.

In particolare, ad un certo punto il Presidente di Italia nostra Donatone dice: “Giace da ottobre 2006 presso la procura della Repubblica salernitana un esposto-denuncia della presidenza nazionale di Italia Nostra contro l'ormai avviata costruzione dell'«Auditorium» di Ravello ... Sollecitiamo pertanto il procuratore della Repubblica di Salerno, Apicella, a dare impulso e concludere senza remore le indagini prima che l'opera venga illegittimamente realizzata” .

Ebbene, voglio informarLa che, siccome quella denuncia conteneva qualche affermazione errata, nonché delle manchevolezze, ho ritenuto di dare completezza di informazioni alla Procura di Salerno. Così, anch’io, il giorno 15 dicembre 2006, ho presentato, personalmente e pro manibus, un esposto/denuncia che qui Le allego in copia. Ovviamente non Le invio i numerosi allegati, anche perché, di essi, un buon numero sono già in Suo possesso.

Grazie, a nome di tantissimi Ravellesi per quanto sta facendo per la salvaguardia della nostra identità

Lei giustamente, sottolinea – come del resto Donatone - la necessità di difendere la legalità a proposito della difesa di un bene comune, come è la bellezza del paesaggio amalfitano: una bellezza già guastata da numerosi obbrobri, cui è inutile aggiungerne altri. Mi fa riflettere su come il termine “legalità” abbia assunto significati diversi: oggi viene usato sia nel senso che gli diamo noi, sia come copertura di volontà sopraffattrici che si appellano alla legalità per reprimere, e possibilmente cancellare ogni “diversità” rispetto ai valori, agfli interessi e alle idee dominanti. Nella babele delle lingue penso che sia sempre utile qualificare le parole che si adoperano: anche questa è una costante premura di eddyburg, che colgo l’occasione della sua lettera per ribadire.

Maria Cristina Gibelli

”Davvero non è urgente la nuova legge urbanistica?

6 settembre 2007

Carissimi, devo dirvi che sono rimasta perplessa leggendo il titolo della intervista a Vezio sulla legge urbanistica. Ma davvero non è urgente? E lo sfascio dalla Campania in giù? E il vero incubo lombardo? Oggi l'assessore all'urbanistica del Comune di Milano alla festa dell'Unità ha raccontato la sua "visione del futuro": risolvere i problemi dello sprawl e del pendolarismo costruendo case per 750.000 nuovi abitanti! Insomma, come aggiungere Bologna a Milano (ovviamente cementificando tutto il Sud Milano e dando al fuoco un po' di campi nomadi). Per favore, ditemi che si è trattato di una svista editoriale!

Vezio De Lucia

”Non illudiamoci. Intanto abbiamo sconfitto il peggio”

7 settembre 2007

Cristina, potrei cavarmela dicendo che il titolo di green report forza poche e frettolose parole alla fine della mia intervista. Colgo invece l’occasione per tentare di chiarire alcune questioni importanti intorno alla nuova legge. In primo luogo, il risultato che non esagero a definire eccezionale sta ne fatto che siamo riusciti (molto del merito è di eddyburg, e tu sei stata una protagonista) a bloccare, credo definitivamente, l’orribile controriforma Lupi, che tutti davano per approvata, anche autorevolissimi esponenti del centro sinistra. La sicurezza di questo risultato è confermata dalla proposta Ds (a firma Raffaella Mariani) che non è più assolutamente apparentabile alla proposta Lupi e tiene conto di alcune nostre posizioni. Ed è questo che fa infuriare il presidente dell’Inu. Ti pare poco? In secondo luogo, non penso che si possa condividere l’atteggiamento di chi è convinto che con una nuova e buona legge urbanistica nazionale sia risolutiva per il governo del territorio nazionale. Non alimentiamo illusioni. L’obbligo di formare i piani regolatori esiste in Italia da 65 anni, eppure centinaia di comuni del Lazio e della Campania ne sono ancora sprovvisti, Gli standard urbanistici sono un obbligo da quasi 40 anni, ma dal Lazio in giù sono spesso un miraggio. L’abusivismo è un reato, ma in gran parte d’Italia l’attività edilizia e urbanistica è nelle mani della malavita organizzata. Aggiungo che in Toscana, da 12 anni, la legge regionale detta norme precise per il contenimento delle espansioni che invece, come sai, continuano a svilupparsi indisturbate. Il problema, allora, non è la legge nazionale, comunque importantissima, ma la cultura politica e amministrativa che in materia è in crisi, drammaticamente in crisi. Concludo proponendo a Salzano di aprire una discussione su questi argomenti.

Maria Cristina Gibelli

”Condivido e rispondo”

7 settembre 2007

Caro Vezio, ho letto la tua tempestiva risposta alla mia un po’ enfatica mail notturna. Come sempre, condivido tutto quello che scrivi e, in particolare, che una buona legge nazionale non sarà certamente l’occasione per una palingenesi nelle politiche e nelle pratiche urbanistiche ed edilizie locali. Ma anche da qui bisogna cominciare. Nessun paese “moderno” può permettersi di non avere una legge di principi aggiornata rispetto alle problematiche e alle sfide emergenti. Il problema che segnalavo alla attenzione tua e di Eddy riguardava principalmente il messaggio veicolato dal titolo, probabilmente redazionale di Green Report, alla tua intervista. Per me, come so per certo anche per te, la legge non solo “serve”, ma è anche “urgente”, perché, se non sarà approvata in questa legislatura, rischiamo: di dimostrare che la sinistra non credeva alla necessità di questa riforma, mancando un’occasione che non esito a definire “storica”, ma anche di dover ricominciare tutto daccapo e di nuovo da soli, senza le convergenze attuali che, come ben sappiamo, non danno nessuna garanzia di coerenza e durata nel tempo perché sono fortemente condizionate dalle alternanze del ciclo politico.

La discussione rimane aperta. È giusto non farsi illusioni sulle capacità taumaturgiche della legge, e perciò lavorare molto sulle coscienze, nella battaglia culturale, per l’allargamento della partecipazione al dibattito e della condivisione di principi giusti. Ma pronti a cogliere ogni occasione per avere strumenti nuovi. Una new entry in Parlamento, l’interessante proposta di legge presentata da Edo Ronchi e altri, molto vicina alla proposta degli Amici di Eddyburg, alimenta la speranza di un risultato entro questa legislatura.

Spett.le Redazione di eddyburg.it. In data 01.07.2007 sul sito www.eddyburg.it., è apparso un articolo dell’architetto Paolo Baldeschi dal titolo “Un villaggio turistico sul Montalbano”.

Vorrei rispondere a tale articolo partendo innanzitutto dal confutare alcuni dati numerici.

Il progetto in questione, detto anche delle Rocchine, non prevede la realizzazione di un villaggio di 55 mila metri cubi, bensi della metà (circa 24.000 mc.). Del 50% vanno ridotte anche le previsioni di ricettività giornaliera ( non 800 come indicato nell’articolo bensi’ intorno a 400 ). Sempre in tema di dati tecnici vorrei aggiungere che l’altezza max degli edifici è di 5,40 metri per le residenze e di m.7,00 per l’edificio polifunzionale (non si tratta dunque di grattacieli, ma di strutture assolutamente compatibili con l’ambiente circostante).

Al di là dei numeri intendo qui esporre, a beneficio anche dei lettori, alcune considerazioni sull’argomento.

Le Rocchine non sono quell’ecomostro che si vuole far apparire, ma un progetto di sviluppo turistico sostenibile che punta a superare i limiti del cosiddetto turismo “mordi e fuggi” e a dare vitalità all’intero tessuto economico. Un progetto che non è sorto all’improvviso , come si tende ad ironizzare nell’articolo suddetto, ma che trova autorevolezza e trasparenza nelle linee d’indirizzo fissate dal piano strutturale e puntuale definizione nel Regolamento urbanistico. Occorre, io credo, da parte di tutti e, a maggior ragione, da parte di chi è titolare di competenzein materia urbanistica ed ambientale, avere più rispetto per gli strumenti urbanistici adottati in quanto, è bene sottolinearlo a beneficio di chi legge, dietro l’approvazione di tali strumenti ci sono mesi e mesi di lavoro, d’ incontri con la gente, di discussioni in commissione e poi in consiglio comunale. Non si possono liquidare pertanto queste lunghe fasi del processo di partecipazione democratica come nulla fosse, senza il doveroso rispetto per il soggetto (Il Comune ) che le ha promosse e i tanti attori in esso via via coinvolti (Regione e Provincia comprese).

Quel che sorprende in negativo non è tanto una posizione diversa sulla fattibilità del progetto, quanto l’insieme di semplificazioni che vengono scomodate sull’argomento, capaci perfino di confutare verità elementari quali quelle rappresentate dai ‘numeri’ .

Continueremo, com’è giusto che sia, come Comune di Serravalle Pistoiese , gli approfondimenti nelle sedi istituzionali e con i cittadini attorno alla questione delle Rocchine, alla luce del piano particolareggiato appena presentato dai progettisti, ma rigettando pregiudiziali di principio ed attivando, invece, una partecipazione nel merito di un progetto che, nei nostri propositi, dovrà tendere a garantire sviluppo e modernità senza alterare storia, tradizioni e ambiente.

Serravalle Pistoiese,lì. 07.08.2007

Alla replica di Paolo Baldeschi premettiamo solo un’osservazione. Ci sembra che la legittimità sia, nel governo del territorio e altrove, una “pregiudiziale di principio” che non si debba mai rigettare, tanto meno da parte un’amministrazione comunale e del suo capo (e.s.)

Il Sindaco di Serravalle Pistoiese, Renzo Mochi, contesta il mio commento sul villaggio turistico previsto nel Montalbano accusandomi di falsificare le cifre. Ho riportato la ricettività da un articolo apparso su Repubblica e non smentito, ma poco importa. Quello che importa è che i 55.000 metri cubi sono previsti nel Regolamento Urbanistico del Comune di Serravalle consultabile on line. Se nel frattempo il Comune ha cambiato idea tanto meglio.Nel mio commento non ho espresso giudizi sul villaggio anche se personalmete ritengo che si tratti di una scelta sbagliata prima di tutto da un punto di vista economico e che il Montabano dovrebbe puntare sul cosiddetto "albergo diffuso" piuttosto che sui villaggi autosufficienti. Nel mio articolo mettevo in risalto che il percorso seguito dal Comune, a mio parere e a parere dei giuristi da me interpellati, nonché di un illustre consulente della Regione Toscana è del tutto illegittimo. Il villaggio doveva essere dimensionato nella UTOE prevista dal Piano Strutturale. Viceversa il Piano Strutturale contiene solo alcune generiche indicazioni e i mc e tutto il resto appaiono soltanto nel Regolamento Urbanistico. Su questo punto attendo una precisa risposta da parte del Sindaco e dai funzionari della Provincia e della Regione interpellati. Rimango dell'opinione che se tutti i Comuni toscani seguissero l'esempio di Serravalle potremmo considerare la LR 1/2005 carta straccia! (Paolo Baldeschi)

Faccio una riflessione a margine di un'iniziativa sul "decoro urbano" promossa dai politici di un municipio di Roma per cancellare alcune scritte xenofobe e razziste che imbrattano i muri della periferia.

In un manifesto firmato Fiamma Tricolore, con cui si sono tappezzati interi quartieri, ho letto con stupore queste affermazioni:

"Contro il lavoro precario,

contro la speculazione edilizia,

contro gli sfratti e il caro affitti".

L'estrema destra a Roma si allarga pericolosamente non già per i soliti slogan razzistici, ma perché sta occupando gli spazi vuoti lasciati dalla sinistra. La sinistra è altrove, indaffarata a governare un'economia locale dal PIL galoppante, sospinto dall'edilizia (del lavoro nero e delle morti bianche), dal settore dei servizi (sostanzialmente call center) e dai grandi eventi (del lavoro stagional-precario). Un'economia che, per la gioia di Veltroni e dei suoi, cresce sostanzialmente grazie ai campi di cotone del terzo millennio.

E' una sinistra ottusamente intenta a progettare, senza giustificazioni demografiche, la costruzione di 35 milioni di metri cubi residenziali, lasciando irrisolta l'emergenza abitativa più grave d'Europa.

Ciò che ne consegue è una città sempre più divisa tra centro divenuto "vetrina" e periferia resa "latrina" dagli avvoltoi del cemento, con i loro scempi ai danni del territorio e della mobilità dei cittadini.

Sul decoro urbano basterebbe poi citare le endemiche agenzie immobiliari, attrici protagoniste di un'economia parassitaria, che insozzano ogni angolo della periferia con migliaia di cartelli pubblicitari abusivi, rimasti tuttora senza sanzione nonostante le denunce di cittadini alle autorità locali (un'ottima pubblicità al municipio in questione l'ha fatta nel maggio 2007 la trasmissione Anno Zero di Michele Santoro). Un ragazzo senza punti di riferimento culturali, costretto a vivere in luoghi brutti, insalubri, invivibili, senza poter fruire di spazi pubblici all'aperto e al coperto, sistematicamente occupati dalla speculazione; vedendo in giro lo stress, l'aggressività, la divisione, l'individualismo e non la distensione, la socialità, la comunità; vedendo vincere mediamente i Mc Donald's sui teatri per 4 a 1 (punteggio parziale, e per non parlare dei mega centri commerciali), il ragazzo in questione dicevo, come può non sentire il richiamo di coloro che in questo momento sembrano offrirgli un'identità, una possibilità di ribellione alle macroscopiche ingiustizie, un riparo contro l'esterno, una legittimazione alla sua aggressività indotta da questo habitat?

Potrebbe altrimenti trovare credibilità nei politici, assessori e consiglieri, i quali una tantum, per lavarsi la coscienza, interrompono le loro pratiche clientelari, di benevolenza verso gli incettatori di spazi sottratti agli usi sociali e collettivi? Il mio timore è che portando costoro, i rappresentanti di questa politica, a cancellare pubblicamente le scritte fasciste, non si provochi nei soggetti interessati l'istigazione al fascismo.

La periferia criminogena genera criminali. E gli squadristi arruolatori dell'estrema destra, nella colpevole indifferenza di tutti i partiti della sinistra seduti al governo, sanno come attirarli a sé.

Caro Salzano, ho visto che su eddyburg.it viene riportata una mia intervista ad un giornale appioppandomi nientedimeno che il ruolo di teorico di una certa nuova destra. La cosa un po’ mi sorprende perché il libro che ho scritto e a cui l’intervista fa riferimento ( La città del liberalismo attivo, 2007) aveva tra l’altro l’intenzione di criticare una certa destra e il modo in cui quest’ultima intende il ruolo del diritto e dello stato. Può darsi che nel libro non sia riuscito sino in fondo nell’intento, ma continuo a pensare che appiattire le posizioni liberali (che cerco di sostenere) su quelle di certa destra fa solo il gioco di quest’ultima: e non mi pare un’ottima mossa. In sintesi: esiste una tradizione liberale (classica, continentale) che non coincide con le posizioni di certa destra (e, nemmeno, con quelle di certa sinistra), tradizione che va ovviamente discussa e criticata severamente, ma senza ridurla a ciò che non è e non può essere. Per fare un esempio (centrale anche per l’ambito urbanistico): l’ideale, fondamentale ed imprescindibile per la tradizione liberale, del ‘rule of law’ è per nulla accolto da certa destra e continuamente violato nelle sue pratiche di governo. Sia chiaro: alcune sovrapposizioni qua e là ci sono tra tutte le posizioni in gioco, ma ci sono anche chiari e profondi elementi di divergenza che portano ad idee molto diverse sul ruolo dei soggetti pubblici e privati. Per finire: dubito che molti di coloro che oggi si definiscono neo-liberali (o vengono classificati come neo-liberali) siano liberali nel senso in cui io intenderei il termine.

P.S. Non so se vorrai riportare queste mie brevi righe sul tuo sito e se sarebbe possibile aprire una discussione in proposito (io la troverei interessante; anzi, indispensabile proprio per le questioni urbanistiche); in ogni modo, conoscendoti da tempo, non ho dubbi che prenderai sul serio il problema e mi criticherai come testardo e inguaribile liberale piuttosto che come improbabile paladino di posizioni che per la gran parte non condivido.

Quando scriverò sul tuo libro ne tratterò certamente con un’ampiezza maggiore di quella che ho dedicato alla tua intervista, e a quella di questa breve risposta alla tua lettera. Nell’intervista rilasciata al giornale della famiglia Berlusconi non ho letto critiche a “una certa destra”: ma sono certo che la cialtrona destra italiana che campeggia attorno a Berlusconi e di cui lui è la migliore espressione non incontra i tuoi gusti, sebbene accetti di illustrarne le pagine.

Quando parlo di neoliberismo parlo di qualche altra cosa, che è nota all’analisi politica internazionale di questi anni e che non ha più niente da fare con quella “tradizione liberale (classica, continentale)” cui accenni. Vi si riferisce ad esempio, tanto per rimanere in eddyburg , il libro di David Harvey, Neoliberalism , recensito su queste pagine da Boniburini, e il breve capitolo di Giorgio Ruffolo che abbiamo riportato di recente. Qualcosa di cui l’attuale destra italiana è politicamente al servizio, ma che è ben più grande e più pericolosa. Un sistema di potere “che respinge nettamente l'interferenza dello Stato nel Mercato e riporta in auge un idolo che sembrava distrutto: la fede inconcussa nella sua capacità di autoregolazione” (Ruffolo). Un “progetto di lotta di classe” che “sembra lotta di classe e agisce come lotta di classe”, e il cui “liberalismo” ““significa piena libertà per coloro che non hanno bisogno di vedere accrescere i propri redditi, il proprio tempo libero e la propria sicurezza, e una vera e propria carenza di libertà per la gente che invano potrebbe cercare di fare uso dei propri diritti democratici per trovare protezione dal potere di quanti detengono le proprietà” (Harvey).

È del tutto omogenea a quel liberismo (neoliberalism ) la tesi che sostieni nella tua intervista, che certamente esprime il tuo recente pensiero con la fedeltà di una interpretazione autentica. Quando per esempio affermi che per la città bisogna stabilire “poche regole, le più astratte e generali possibile, che stabiliscano soprattutto che cosa non si deve fare, affinchè non siano lesi i diritti di alcuno” mentre il resto deve essere “lasciato alla libera iniziativa dei cittadini e alla benefica, provvidenziale azione del mercato”. E aggiungi: “Non il mercato falsato che conosciamo, ma realmente concorrenziale”: come se la proprietà immobiliare nelle città e nei territori potesse configurare un mercato siffatto!

Del resto, da ogni passo della tua intervista emerge che il tuo mondo è popolato esclusivamente da proprietari immobiliari desiderosi di accrescere la propria ricchezza personale, e la tua città è abitata unicamente da individui chiusi nel bozzolo del loro interesse economico. Questo mondo e questa città sono l’antitesi radicale di quelli che a me interessano, e che la buona urbanistica e la buona politica hanno tentato, e tentano ancora, di costruire. Spesso riuscendovi, come non sembri riuscire a vedere. Ma sono certo che ne riparleremo.

Ho letto con piacere l’intervento di De Lucia “ Un primo appunto per la nuova sinistra”. Vorrei fare un breve commento.

De Lucia dice che “ Si sta costruendo un numero spropositato di nuove abitazioni, mentre gli abitanti di Roma continuano a diminuire”. Ora, in un precedente intervento su questo argomento da me sollecitato il 15 novembre scorso (ponevo la questione dell’aumento di abitanti certificati a Roma dall’ISTAT), Berdini rispondeva che effettivamente esistono fonti di nuova domanda abitativa (residenti italiani, stranieri, turismo). Veltroni, sui giornali di ieri, parlava di emergenza abitativa legata all’arrivo, negli ultimi anni, di 150 mila nuovi residenti. Non mi sembra che questo dato sia stato contestato.

Il punto che voglio mettere in evidenza è che questo fatto, secondo me, aggrava ancora più il quadro della situazione così bene illustrata da De Lucia. La città, infatti, dovrebbe essere governata nella sua crescita. Quest’ultima, in generale, è la normalità del fenomeno urbano, non l’eccezione. Il consumo del suolo deve essere minimizzato sempre, non solo nel caso ­ che da quanto diceva Berdini negli interventi che ho ricordato sembra non essere quello di Roma - in cui le esigenze abitative si riducono. Qual è il pericolo di non riconoscere questa situazione di crescita della domanda? E’ di ricadere nel tipico errore italiano: si riconosce in ritardo l’emergenza e si risponde senza andare troppo per il sottile. E, in questa situazione, gli speculatori hanno campo libero per realizzare i loro piani. Il pericolo è di far perdere forza gli argomenti proposti da De Lucia a favore della lotta contro la rendita e la speculazione fondiaria, che è da combattere sempre, a prescindere dall’espansione o contrazione della domanda. La sinistra - io vorrei dire il centro sinistra - ha, quindi, un compito ineludibile e anche più gravoso: governare la crescita urbana, con tutte le particolarità che essa assume oggi (non è più quella degli anni ’50 e ’60) e le difficoltà che questo comporta. D’altra parte, il primo centro sinistra, e qui mi trovo d’accordo con De Lucia, si pose il problema di una Italia che cresceva, ponendo in atto azioni riformatrici che ebbero, pur con i limiti noti, effetti positivi. Vi ringrazio, come al solito, per gli spunti di riflessione che offrite.

Caro Declich, nessuno di noi ha mai sostenuto che a Roma non servono più case, e non solo per l’assenza scandalosa di edilizia pubblica. La questione del fabbisogno abitativo è complicatissima e certamente la riduzione del numero dei residenti non giustifica lo sviluppo zero della produzione edilizia: perciò hai ragione nel rilevare che nel mio intervento me la sono cavata troppo sbrigativamente facendo riferimento agli abitanti che diminuiscono. In effetti, basta considerare che anche se diminuiscono gli abitanti aumenta ovunque, e spesso vertiginosamente, il numero delle famiglie, a causa della contrazione del numero dei componenti. In alcune parti d’Italia la famiglia media è formata da meno di due unità. Detto questo, è fuori discussione che a Roma si verifichi un enorme spreco edilizio e una dissipazione inaudita dello spazio rurale e aperto, ed è stato più volte dimostrato. Per una più approfondita analisi dei dati, impossibile in questa sede, possiamo organizzare, se vuoi, anche con esperti, un incontro ad hoc. Hai ovviamente ragione quando sostieni che comunque la lotta alla rendita e alla speculazione fondiaria va condotta sempre, prescindere dall’espansione o contrazione della domanda (v.d.l.)

Cari amici di Eddyburg, vi invio un piccolo esempio di "dibattito"(?) sulle questioni del controllo della rendita fondiaria maturato nel corso della recente campagna elettorale in un piccolo comune del grande nord.

Una lista civica nata da un raggruppamento di cittadini stanchi dei bizantinismi di bassa cucina politica azzarda una proposta per mettere finalmente sotto controllo il consumo di territorio facendo leva su quello che ne rappresenta l'anello debole: la valorizzazione urbanistica delle aree nei piani decisi dal pubblico e il conseguente beneficio ai "rentier" privati di tutte le taglie (dal piccolo appezzamento alla grande proprietà fondiaria, fatte salve le rispettive proporzioni).

Si scatena un fuoco incrociato in particolare da parte di una lista, anch'essa civica, sostenuta da partiti allergici a qualsiasi controllo sul mercato immobiliare che accusa la proposta di "esproprio proletario"(non male eh!).

Il partito egemone (Lega Nord) non si espone e rimane nel vago.

Il responso conclusivo lo forniscono le urne: la Lega Nord rivince nonostante un forte ridimensionamento (dal 48% al 36%) pagando anche il commissariamento della sua precedente amministrazione causato da faide interne; la lista civica che ha proposto "l'esproprio proletario", costituitasi solo cinque mesi prima, è giunta seconda con il 23% dei consensi; la lista civica che non ama le ingerenze nel mercato immobiliare è giunta terza con il 22% dei voti. Ad altre liste minori il resto.

Come valutare questa esperienza?

Senza dubbio positivo il risultato ottenuto dal gruppo di cittadini che decidono generosamente di uscire dalla palude di una politica senza idee e senza slanci e di occupare uno spazio pubblico ormai lasciato alla deriva.

Vi allego tre documenti significativi della campagna elettorale di quel comune: il documento del gruppo di cittadini, parte di una più articolata proposta programmatica, il volantino della lista che ne ha avversato le proposte ed una replica.

Più ampie notizie sono rinvenibili sul sito della lista "Cittadini per Sumirago": www.cittadinipersumirago.org

Con l'augurio che da piccoli episodi come questo possa nascere la speranza che qualcosa di più profondo si possa muovere nel paese (quello grande) vi saluto cordialmente.

Naturalmente condividiamo la speranza. L’importante è che episodi come questo si moltiplichino. Ciò che conta è che cresca la consapevolezza che il territorio un bene comune, e che da questa consapevolezza nascano conoscenza e azione: conoscenza degli strumenti disponibili, azione per il loro impiego corretto. Prima o poi dovrà nascere una forza politica, e una generazione di amministratori, capaci di costruire nel concreto una politica del territorio alternativa rispetto a qella neoliberistica, che si sta impadronendo oggi negli spazi della nostra vita.

Cari Amici di Eddyburg, vorrei proporre un commento all’articolo scritto da Burgio sul Manifesto e ripubblicato da voi il 1° giugno. E’ una analisi del problema del decisionismo che ritengo non rigorosa, inconcludente e conservatrice.

E’ non rigorosa perché non è vero che i partiti di massa sono stati distrutti dalla stagione di riforme degli anni ’90. Infatti, lo sanno tutti quelli che facevano politica di base all’epoca, che i partiti di massa erano “morti” già da tempo. L’unico che resisteva era il PCI, ma era in profonda crisi organizzativa, di consensi, di militanza e di motivazione. Dire, poi, che l’attuale crisi politico-parlamentare discenda dalle riforme degli anni ’90 e non dalla attuale legge elettorale è una interpretazione così estrema da apparire una forzatura, almeno alla luce delle argomentazioni offerte.

E’ un’analisi inconcludente. Va bene criticare Prodi, ma l’articolo che pone tutte queste questioni manca di indicare qual è l’alternativa praticabile e realistica al presente stato di cose: riandare subito a votare, probabilmente con questa legge elettorale (proporzionale senza preferenze…). Si può pensare quel che si vuole di Prodi, ma Burgio avrebbe dovuto trarre dalla sua critica tutte le conclusioni.

Un ultimo punto, più interessante forse per le tematiche normalmente trattate da Eddyburg, è quello dei costi della politica. Qui mi sembra che Burgio sia anche conservatore. La politica è distrutta anche dal circolo vizioso scatenato dai suoi costi senza controllo, questo è fuori di dubbio. Eviterei, però, le critiche qualunquiste, ricordando che il primo a vincere le elezioni con questi argomenti è stato proprio l’”imprenditore” Berlusconi.

La politica ha bisogno di personale che vi si dedichi e che alla luce di considerazioni ovvie - va pagato. Il problema, è che il personale politico anche i portaborse, perché anche quelli servono - deve essere pagato il giusto e non devono essere permessi i parassitismi. Sono d’accordo, quindi, che un ceto politico finanziato come lo è adesso è inefficace e inaffidabile e finisce per causare il rigetto da parte dell’elettorato. Vorrei dire, però, che Burgio non deve dimenticare che la gente comune si arrabbia non solo per i politici strapagati e inefficienti, ma per tutta l’economia che viene attivata grazie alla politica e che, anch’essa, dà luogo a tanti sprechi. Se ci si arrabbia per i danni prodotti, per esempio al territorio, da politici incapaci, pensiamo anche che le inefficienze sono il prodotto di macchine amministrative che in molti casi non valgono il loro costo: cattiva amministrazione; dirigenti che non controllano; impiegati che non si aggiornano; malasanità e cattiva amministrazione; ecc. Il sottobosco della politica, cioè, non si limita ai vertici degli apparati, ma influisce su tutta la macchina amministrativa. I politici hanno molta responsabilità in tutto questo, se non altro perché continuano a permetterlo. Il punto, però, è che non sono i soli responsabili ed è qui che ci vorrebbe un bel po’ di innovazione.

Insomma, diamo a Cesare quel che è di Cesare. Quindi, critichiamo il neoliberismo laddove va criticato, cioè quando attribuisce al mercato virtù e funzioni che evidentemente non ha e non può avere (alla redazione di eddyburg è caro il tema del governo del territorio, che non può essere lasciato ai privati). Il funzionamento delle istituzioni penso che non sia così semplicemente - come sostiene Burgio - una questione di neo liberismo. Ci sono visioni diverse che possono essere condivise sia a destra che a sinistra, sia da liberali che da non liberali. La legge sui sindaci ha funzionato bene, ma l’Italia non è una città, quindi chi pensa che “il sindaco d’Italia” sia la soluzione, secondo me, sbaglia di grosso. D’altra parte, io non sono un neo-liberista, ma penso che un sistema uninominale sia migliore del sistema proporzionale, specie se legato a partiti che fanno le primarie: i politici finirebbero per essere più legati al loro territorio e alle loro responsabilità, e la loro appartenenza ai partiti sarebbe non garanzia di un successo elettorale immeritato, ma una delle carte che potrebbero giocare nel conquistare il favore dell’elettorato. La discussione sarebbe lunga e non ho titoli e spazio per proporla qui. Ma evitiamo di inventare nemici inesistenti (cioè fare polemica contro il neoliberismo a sproposito), e dire con troppa facilità che si stava meglio prima…

Le opinioni sulle ragioni per cui i partiti di massa sono stati distrutti sono certamente molteplici. Non me la sentirei di dire che quella di Burgio sia meno rigorosa di un’altra. Quella crisi è stato il risultato di un processo lungo, nel quale si sono variamente intrecciate le insufficienze delle varie parti che si dividevano il proscenio nei 60 anni che sono dietro le nostre spalle. Difficile non condividere il giudizio di Burgio sulle “riforme” degli anni 90 e sul ruolo che dirigenti del calibro di D’Alema svolsero allora: fu allora che cominciò l’ubriacatura per le parole d’ordine del neoliberismo (modernizzazione, governabilità e governance, mercato). Si avviò l’uscita dal welfare state, non dai sui difetti, se ne iniziò la distruzione non l’aggiornamento. Si promosse quella mutazione del personale politico che trasformò i militanti in clienti e i professionisti della politica da funzionari di un’dea e un programma in stipendiati a carico del pubblico erario.

Condivido con Declich la considerazione che chi fa politica deve essere pagato: lo stipendio agli eletti è stato gigantesco passo avanti rispetto a quando la politica era riservata a chi aveva redditi professionali o rendite. Ma penso che sia un gravissimo difetto della nostra democrazia il fatto che i politici siano diventati una classe: un gruppo sociale caratterizzato dal particolare ruolo che ha assunto nel ciclo della produzione sociale; il reddito che riceve non corrisponde né alla quantità e qualità della forzalavoro impiegata, e neppure al risultato conseguito, ma semplicemente alla rendita derivante da una posizione di dominio. E penso che il fatto che i membri di questa classe vivano esclusivamente del reddito che proviene loro dalla politica sia la ragione principale (o almeno, una ragione importante) della mancanza di ricambio dei decisori e di corruzione delle istituzioni.

Non credo che un analista abbia gli stessi doveri del politico o dell’amministratore. Al secondo, il cui compito è governare, spetta certamente indicare sempre le alternative possibili alle situazioni criticate. Ma se, per comprendere una situazione o un processo in atto, bisognasse aspettare di avere un’alternativa praticabile, quelli di noi che non hanno gli strumenti o il tempo o la competenza per studiare determinati aspetti della realtà rimarrebbero nell’ignoranza più assoluta di ciò che accade attorno a loro. Io sono grato a chi mi aiuta a comprendere, anche se non mi da’ la ricetta per uscire dalla crisi di cui mi illumina la consistenza e i risvolti.

Infine, credo che sul termine neoliberismo dobbiamo intenderci. Quello che oggi viene definito così non è una versione moderna del liberalismo: è il nuovo sistema di potere che, a partire dalla fine degli anni 70, ha iniziato a impadronirsi del mondo. Come molti studiosi fuori dall’Italia hanno compreso e stanno studiando da tempo, e come ha raccontato in modo molto efficacemente divulgativo Giorgio Ruffolo, nel suo gustoso libretto Lo specchio del diavolo (Einaudi 2006). Ruffolo definisce il neoliberismo “la controffensiva capitalistica”. Inserirò presto in eddyburg questo capitoletto del suo libro, ma rinvio i lettori che abbiano tempo e voglia alla più ampia analisi di David Harvey, Neoliberalism , recentemente tradotta in italiano e recensita su eddyburg . Oltre che agli autori citati da Burgio. (es)

Caro Eddyburg, mi domando se domani esisterà ancora la “Toscana delle colline”, quella che nell’immaginario collettivo rappresenta la nostra regione, quei poggi, da sempre sfondo del nostro quotidiano e prima di noi dei nostri padri che hanno amato la loro terra, lavorandola in un razionale rapporto di equilibrio fra uomo e natura. Un paesaggio che ogni toscano porta con sè, inserito come sfondo nelle più alte opere d’arte, perchè esso stesso opera d’arte.

La nuova politica partecipata di governo del territorio: il caso di Montescudaio in provincia di Pisa, è un esempio dei tanti comuni che oggi in toscana partecipano alla corsa forsennata e affaristica all’ eolico, un grande business per le multinazionali e un danno incalcolabile per l’ambiente. Possiamo chiamare referendum democratico quello che si è svolto a Montescudaio il 25 marzo scorso? Una consultazione nella quale chi ha votato SI sceglieva di assicurarsi un beneficio di €300 l’anno? La campagna informativa, per il nnuovo “parco Eolico” di Montescudaio, è iniziata di fatto solo 15 giorni prima del referendum, ed è consistita in un convegno presso il palazzo Comunale dove i relatori erano tutti favorevoli per il SI. Una simile consultazione è stata un’offesa per la democrazia e per questo riteniamo che l’Eolico industriale danneggi non solo e per sempre i preziosi e ammirati paesaggi italiani, ma in vari modi indebolisca anche il processo democratico, specialmente nelle comunità più deboli. La Toscana non può reggere all’impatto di 1500 torri eoliche che potranno essere installate già dal prossimo anno: stiamo parlando di installazioni che superano in altezza i 90 metri, le più alte oggi arrivano fino a 140 metri, più alte del duomo di Firenze che misura 107 metri o della torre di Pisa che ne misura 55metri. Vani sono stati gli appelli degli scienziati, il Premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia, affermava infatti in una recente intervista “…è inutille insistere con l’ energia eolica perchè di vento ce n’è poco nella Penisola, al contrario dei paesi del Nord Europa o dell’Irlanda.”.

Tutto questo per nulla!!! La ricaduta in termini energetici è bassissima, inferiore all’aumento annuo del fabbisogno energetico. Per questo chiediamo con forza che le istituzioni regionali aprano un tavolo di concertazione: vogliamo ottenere l’immediata sospensione delle autorizzazioni, in attesa di una legge regionale che regolamenti la localizzazione dei nuovi “parchi” eolici. Il territorio non è una fonte rinnovabile. Sia chiaro che altrimenti dovremo assumerci la responsabilità di spiegare ai nostri figli che altre vie non esistevano e la distruzione del paesaggio era inevitabile

L’utilizzazione dell’energia eolica è tra le molte cose che in Italia sono gestite malissimo. Si ha l’impressione che il danno provocato sia maggiore del beneficio. Non c’è un confronto serio tra i diversi costi e benefici delle diverse energie alternative, e che l’eolico sia in così ampia espansione al confronto con altri modi solo per due ragini: perché l’unico danneggiato è ilo territorio, come paesaggio e – in molte zone – come produzione agricola cacciata dalla più lucrosa cessione del terreno ai parchi eolici; pertchè chi si muove per produrre l’energia eolica, chi progetta gli impianti, chi sceglie le aree dove installarle è l’industria. Le regioni, nel migliore dei casi, si limitano a porre qualche esclusione: qui non si può. Il che significa “altrove fate tutto quello che volete”. Vogliamo provare, come suggerisce Alberto Magnaghi, provare a contare quanta energia produrrebbe invece coprire di pannelli solari tutte le coperture delle zone industriali? E vogliamo provare a progettare, magari nell’ambito della pianificazione paesaggistica, i parchi eolici là dove non recano danno né al paesaggio né all’agricoltura (né alla sicurezza degli nuomini né alla vita degli animali)?

Oggi, come la lettera testimonia, il passpartout dell’eolico e la sua forza di convinzione sono affidate unicamente all’interesse venale, dei comuni e dei proprietari del territorio rurale. Non è una buona cosa.

Gentile prof. Salzano,

ieri alla presentazione del libro No Sprawl a Parma non sono riuscito a fare la domanda e mi ha invitato a porgliela via mail. Volevo chiedere questo: lo sprawl è contrastabile, come han mostrato le esperienze di Germania e Gran Bretagna - e sarei ben felice che questo scempio cessasse - però sorge un dubbio: sotto allo sprawl stanno problemi più vasti: voglio dire: le case che vengono costruite non rimangono tutte vuote, ma vengono abitate. I centri commerciali vengono usati. I capannoni che vedo nel mio comune costruiti negli ultimi anni sono quasi tutti utilizzati. E allora, sotto lo sprawl non stanno cause che andrebbero analizzate altrimenti si rischia di contrastare l'effetto e lasciare intatta la causa? Per fare un esempio che mi viene in mente: c'è necessità di maggiore quantità di appartamenti anche se la popolazione rimane la stessa perché i nuclei familiari sono pi piccoli (separazioni, divorzi ecc.). Tra l' altro, mi può segnalare se ci sono ricerche al riguardo? La ringrazio molto.

Non sempre le trasformazioni urbanistiche sono motivate da bisogni reali. Un terreno edificabile vale molto di pi di un terreno non edificabile, anche se non viene effettivamente utilizzato. C'è quella che Luigi Scano chiamava "l'economia del retino": se sul mio immobile ho un retino di PRG che mi dà una prospettiva lucrosa posso ottenere facilmente mutui, posso metterlo "a bilancio" con un valore elevato.

E' comunque certo che ala base dello sprawl c'è anche una spinta oggettiva: molti autori lo mettono in relazione anche con le politiche neoliberiste di smantellamento dello stato sociale, e in particolare l'abbandono dell'edilizia residenziale pubblica. E nei paesi dove la dispersione urbana viene effettivamente contrastata le politiche di tutela del territorio rurale si accompagnano alle politiche di incentivo all'edilizia sociale (vedi le nuove leggi della Francia e della Catalogna) e alle politiche urbanistiche volte a rendere utilizzabili le vaste aree dismesse presenti in moltissime cittè. Se nelle aree abbandonate dalle fabbriche o dagli ospedali o dalle caserme o dalle scuole si prevedono ristrutturazioni urbanistiche, o spesso anche solo edilizie, che rispondano alle domande di nuovi capannnoni, nuovi spazi per il commercio ecc. invece di prevedere "valorizzazioni immobiliari", ecco che si può soddisfare la domanda senza occupare nuovo suolo naturale. Sul libro No Sprawl troverai indicazioni ed esperienze in questa direzione, soprattutto nei saggi di Gibelli e di Frisch.

Caro Professore, l'ho appena incontrata in Eddyburg che è spuntato dal web perchè cercavo "belpaese". In Eddyburg ci si può perdere, ritrovare, abitarci o semplicemente passare una vacanza, io ho fatto una rapida nuotata e ho pensato che le avrei scritto subito perchè forse poteva aiutarmi rispetto ad un problema molto preciso.

- Che fare quando una amministrazione con efficienza e determinazione vuole trasformare un bel paese di 1800 abitanti in un postaccio inquinato e cementificato? - Che fare quando una amministrazione si rifiuta di chiedere la VIA?

Vivo in Umbria in uno splendido piccolo paese in collina sulla Valle del Tevere. Vogliono costruire un cementificio con una torre-betoniera di 30 m e fanno molte altre porcherie comunque su scala più micro e meno rapidamente devastante. Che fare? Io sono una non urbanista, ma mi occupo di programmazione sociale e comunque sono una amante del paesaggio. Assistere impotente alla folle degradazione di un patrimonio straordinario come quello che avremmo qui prima di questa "grande opera", mi dà molto fastidio. Not In My Garden per me riguarda tutta la Valle del Tevere e gli splendidi paesi di pietra. Insomma, penso in grande!

Le sarò grata per qualsiasi suggerimento.

Grazie per Eddyburg!

Ringraziarla (anche per i miei collaboratori) è facile. Più difficile è risponderle. Il primo strumento che abbiamo se un’amministrazione si comporta male è usare lo strumento del voto, e mandarla via. Purtroppo è un’arma imperfetta; per essere efficace richiede almeno due condizioni: che ci sia un’alternativa, e che questa sia maggioritaria. Il lavoro, faticosissimo, che ciascuno di noi può fare è quello di far comprendere le cose giuste al maggior numero possibile di persone: protestare ed educare, o se vuole protestare educando ed educare protestando. In Italia ci sono moltissimi gruppi, comitati, associazioni che si battono per la difesa del paesaggio, della bellezza e della salute, per una migliore qualità della vita. “Mettersi in rete” con gli altri può essere uno strumento utile. Prendere contatto con le associazioni più grandi (Italia Nostra, WWF, Legambiente), cercare i giornalisti più sensibili, documentare e denunciare. Cominciare in pochi ma proporsi di diventare molti.

Un cammino lungo e difficile, ma non credo che ce ne siano altri.

sono un giovane laureato all'Accademia di Belle Arti di Venezia che lavora come volontario del servizio civile presso il Centro Pace del Comune di Venezia. Ho imparato a conoscerla dapprima attraverso gli eddytoriali su Carta e poi navigando sul suo sito.

Ora vivo a Murano ma il paese dove sono nato, dove ho passato infanzia, trascorso la giovinezza e dove a tutt'oggi risiedo è Monteviale, piccolo paese alle porte di Vicenza. Nell'agosto dello scorso anno, per iniziativa di un manipolo di giovani del paese, abbiamo costituito un gruppo, denominato "coordinamento No al distributore", nato con l'intento di tessere reti e trovare nuove sinergie che portassero i nostri riottosi concittadini a mobilitarsi contro la costruzione di un impianto di distribuzione carburanti, ennesimo oltraggio ad un territorio che, nel giro di pochi anni, è stato letteralmente devastato da speculazioni immobiliari, annesi rustici e altre incredibili porcherie. Il distributore sorge (i lavori sono oramai ultimati) in un'area soggetta ad esondazioni, vincolata (per la vicina roggia Dioma), a ridosso di un vincolo monumentale, a poche centinaia di metri da Villa Loschi Zileri (opera del Muttoni con un ciclo d'affreschi di Giambattista Tiepolo).

Non la tedio ora narrandole la triste e raccapricciante storia di come s'è giunti a rilasciare autorizzazioni e permessi; vorrei invece raccontarle brevemente di come da quella mobilitazione si sia costituito un gruppo che, riunendo diverse competenze e sensibilità, sta ora studiando tutta una serie di iniziative e proposte per la promozione, la salvaguardia e lo sviluppo sociale ed economico del territorio. Stiamo inoltre elaborando un documento con il quale vorremmo presentarci alla fase di concertazione del P.A.T.

Con riferimento soprattutto a quest'ultimo punto volevo sapere se c'era da parte sua la disponibilità a darci delle indicazioni, a suggerirci modalità e strategie, a fornirci, detta molto terra terra, qualche utile consiglio. Martedì abbiamo iniziato un ciclo d'incontri di carattere formativo-informativo aperti alla cittadinanza; in questo primo appuntamento abbiamo cercato di spiegare le ragioni, le criticità e le incoerenze che stanno dietro al progetto, previsto dalla Regione, per una grande cassa d'espansione artificiale, collegandola al problema del consumo del suolo. Inoltre abbiamo parlato di paesaggio, degli aspetti identitari, della qualità della vita, di quanto sfugge alla monetizzazione ma non per questo ha meno valore.

In attesa di riscontro la ringrazio per l'attenzione

Non so darle che risposte generiche. Mi sembra che la strada sulla quale vi muovete sia giusta: approfondire l’esame dei problemi, cercare di far condividere le proprie idee sul territorio a un numero sempre più vasto di persone. Per darle davvero una mano in termini più specifici bisognerebbe avere il tempo di studiare con voi la situazione, di individuarne i problemi, e su questa base scoprire le possibilità di azione che ci sono, in quello specifico contesto, per un gruppo di cittadini che voglia opporsi alle scelte sbagliate. Pubblico la sua lettera non solo perché è una bella testimonianza delle mille proteste che salgono da ogni parte d’Italia contro il disordine nell’uso del suolo e delle mille volontà di concorrere a rendere più amichevole il territorio e più comprensibili le decisioni sul suo governo, ma anche perché spero che dare un po’ d’evidenza alla vostra situazione attiri su di voi l’attenzione e l’interesse di qualcuno che possa aiutarvi meglio di me.

Cari amici di Eddyburg,

ho letto l'articolo di Caudo su "Vivere in affitto, in Italia" , del 07.04.2007. Ho un paio di domande.

Visto che gli affitti sono così alti, non sarà forse questa la ragione per cui, alla fine, la gente finisce per comprarsela la casa?

Questo fatto spiegherebbero perché solo quelli veramente poveri stanno in affitto. Per gli altri, la scelta più intelligente, è quella di non buttar via i propri soldi. Un modo come un alto per tenere alta la pressione della domanda (e fare i soldi col mattone)... Negli anni passati, quando i tassi di interesse furono abbassati dal primo governo Prodi, era chiaro che questo convenisse.

Certo, parlo per impressioni, ma forse voi ne sapete di più.

Si parla del 18,7% circa di famiglie che non vivono in case di proprietà. Certo, anche il giovane trentenne che non riesce a vivere da solo vive in una casa di proprietà (della famiglia). Insomma: non pensate che, forse, queste statistiche sugli affitti diano una immagine del paese fuorviante?

Fatemi sapere che ne pensate. Buon lavoro

La rigidità del mercato dell'affitto in Italia, ovvero assenza di affitti a canone sociale, a canone intermedio, e quindi solo offerta di alloggi a libero mercato, ha spinto molte persone a "scegliere" di comprare casa. Una scelta obbligata. Negli ultimi anni molte famiglie hanno comprato casa aiutate dalla relativa facilità con cui le banche concedono mutui. Nell'articolo che segue si dà conto di come le famiglie si siano indebitate di più e per più tempo (i mutui a 30-40 anni sono ormai la norma). Il lettore coglie quindi un dato reale che si nasconde dietro i dati della crescita dei "proprietari" di case: sostenere il mercato immobiliare tenendo alta la domanda ed evitarne una brusca caduta. Ma c'è anche un altro aspetto non sempre evidenziato, il rovescio della medaglia: la compressione della capacità di spesa delle famiglie. Una compressione che destina oggi, e per i prossimi decenni, oltre il 50% del reddito delle famiglie alla rata di mutuo. Non ci sono indagini specifiche ma è evidente che questo rappresenta una zavorra notevole alla crescita economica del Paese. Indirettamente la comparsa sul mercato di prestiti al consumo offerti alle famiglie "proprietarie" di case anche se ancora risultano impegnate a pagare il mutuo, è una conferma di questo disagio. Negli Stati Uniti questo meccanismo del "prestito sul prestito" ha alimentato i consumi interni negli ultimi dieci anni ma oggi i nodi sono venuti al pettine. E' di questi giorni il fallimento di una compagnia di prestiti specializzata nella concessione di mutui per le famiglie che non potevano offrire garanzie.

La finanziarizzazione del mercato immobiliare, si veda l'articolo per eddyburg "Case di carta", è la spiegazione di molte delle questioni che riguardano oggi la nuova questione abitativa. I dati vanno letti quindi per quello che sono e l'immagine "fuorviante" che ne viene fuori è che non si può pensare che tutti saranno proprietari e considerare il mercato dell'affitto come un mercato marginale, destinato solo ai poveri. Ci sono diverse ragioni per questo, e quello di dare una casa a chi non la può comprare è solo una parte del ragionamento: oggi il mercato dell'affitto è centrale per assecondare la dinamicità della società, soprattutto nei primi anni di formazione della famiglia, è centrale per consentire di accogliere il flusso di persone che attraversano il "mondo" delle città, per accogliere le forze più giovani e dinamiche della società. Insomma, in tutti i paesi civili l'affitto è considerato un mercato centrale per contribuire a rafforzare l'economia del paese. Per questo ad esempio la Spagna, la Francia, e l'Inghilterra hanno politiche nazionali per l'affitto a costi accessibili. Da noi questo segmento del mercato non esiste proprio e si fa anche fatica a inserirlo nell'agenda politica. Ma i dati, ormai da anni, dicono solo questo: la necessità di non considerare più il mercato dell'affitto come mercato marginale e la necessità di avviare politiche specifiche per ampliare l'offerta di alloggi in affitto. (g.c.)

Ho letto la segnalazione del Signor Mario Colombo a proposito di un porticciolo turistico che dovrebbe sorgere, recuperando un'area industriale dismessa, tra la foce dell'Arno e il Parco di San Rossore. Penso che la segnalazione ponga alcuni problemi ai quali si potrebbe rispondere in modo un po' diverso dal semplice riporre la questione nella conformità o meno del progetto ai piani vigenti. Non so nulla di quel progetto ma non mi sentirei di affermare che se è conforme ai piani vigenti allora va tutto bene. Molte delle segnalazione che meritoriamente eddyburg pubblica quotidianamente (purtroppo e comprensibilmente non tutte quelle che arrivano) si occupano di previsioni di piani regolarmente approvati dagli organi di governo preposti. Il Signor Colombo solleva poi, sommessamente, un'altra questione: i lavori avranno inizio non appena consegnata la V.I.A., ovvero la riduzione della valutazione d'impatto ambientale a prassi autorizzativa. Lo stupore del Signor Colombo è comprensibile e contiene lo sconcerto di chi pensa che la V.I.A. dovrebbe servire a valutare un progetto non ad autorizzarlo. La V.I.A. dovrebbe inoltre contemplare delle audizioni pubbliche,con le quali si dovrebbe rendere noto il progetto alla popolazione potenzialmente interessata dai suoi effetti. Un elemento "larvale" di partecipazione che viene quasi sempre dimenticato. Prima di affermare che se il progetto è conforme ai piani allora va tutto bene, verificherei almeno come è stata condotta la procedura di V.I.A. Anche il progetto Citylife per la riqualificazione dell'ex Fiera di Milano è un regolare Programma Integrato d'Intervento corredato da V.I.A. ma possiamo per questo affermare che tutto va bene? Con i migliori saluti

P.S. Qualche tempo fa le avevo mandato una mia testimonianza a proposito di cosa succede in un paese della Brianza (decida lei se chiamarlo gaddianamente Bueydos, come avevo fatto io, o se con il suo vero nome: Bovisio Masciago) il quale, grazie alla vigente legge urbanistica lombarda, si è approvato un regolare Piano di Governo del Territorio, con tanto di regolare Valutazione Ambientale Strategica del Documento di Piano. Questa storia ordinaria forse non interesserà nessuno, ma ci racconta di cosa succede (frequentemente) nella regione d'Italia che per prima ha adottato la via della controriforma urbanistica, tentata a livello nazionale con il DDL Lupi. Personalmente sono convinta che un po' più d'interesse vi andrebbe messo, visto che, come lei afferma nel suo editoriale del 14.02.2006, "La legge Lupi è dietro le nostre spalle. Non così la cultura che l’ha prodotta.". Le re-invio le cronache da Bueydos, rivedute e corrette a beneficio di altre persone che hanno vissuto quella vicenda o che se ne sono interessati.

Ci sono piani fatti bene e piani fatti male. Ci sono VIA fatte bene e VIA fatte male. Non considero né l’uno né l’altra procedimenti burocratici: ma metodi e strumenti diversi necessari per valutare alcune cose. Il piano è lo strumento preliminare, perchè deve garantire la coerenza complessiva delle trasformazioni proposte, e perché contiene un minimo di trasparenza dovuta all’obbligatorietà della pubblicazione e sulla facoltà dei cittadini di presentare osservazioni e di ottenere risposte. Nella risposta a Mario Colombo, quando mi riferisco alla pianificazione regionale e a quella comunale, mi riferisco a piani veri, non a quei pasticci, tipo i “programmi complessi”, inventati per derogare dalla ricerca della coerenza e della trasparenza, che è l’essenza della pianificazione. Certo è comunque (e su questo concordo con lei) che il rispetto della pianificazione (seria) è condizione necessaria ma non sufficiente.

Appena ho tempo e spazio leggo Bueydos, e magari lo inserisco. Abbia pazienza. Per superare la cultura dela legge Lupi ce ne vuole molta.

Esimio prof., leggo sempre con estremo interesse, anche se talvolta non condivido, le opinioni sue e di altri che appaiono sul suo sito. Sono reduce da qualche giorno di vacanza in Toscana ed alla Marina di Pisa, di fronte al parco di san Rossore e sulla foce del fiume Arno, il Comune di Pisa ha autorizzato la formazione di un porto turistico da 400 posti ed oltre 200.000 mc di residenza turistica, commerciale, alberghiero, etc con la scusa del recupero di un industriale dismesso da tempo ex FIAT.

Mi hanno raccontato che i lavori dovrebbero iniziare entro questa estate non appena consegnata la V.I.A. (sic) Conoscendo l'attenzione che porta all'ambiente e le sue battaglie non crde che un minimo di interessamento debba essere posto anche a questo insediamento che prevede un'albergo al centro del porto??? Mi scusi dell'intrusione e voglia gradire i miei cordiali saluti.

Non sono contrario in linea di principio alla realizzazione di porti turistici. La domanda è: il porticciolo è revisto dalla programmazione regionale, in quanto compreso in un documento di pianificazione territoriale regionale discusso e approvato con procedure trasparenti? E' conforme ai piani comunali vigenti? Se è così, niente di male. Se non è così, malissimo: come tantissimi altri interventi di cui ci giungono quotidianamente segnalazioni. Colgo l'occasione per dire che non riusciamo a dare notizia di tutte le denunce che ci arrivano: per ragioni di tempo (a questo sito lavorano nei loro ritagli di tempo un paio di persone) e di spazio. Colgo l'occasione per scusarmene.

In margine (ma non tanto) alle discussioni sula caduta del governo Prodi vorrei porre in evidenza una circostanza che è stata totalmente ignorata dalla stampa d’opinione: la mozione di approvazione della relazione del Ministro degli esteri non sarebbe stata approvata dal Senato neppure se Rossi e Turigliatto avessero votato a favore, invece di uscire dall'aula.

Sulla base del vigente regolamento dal Senato ho fatto due facili conti, che vi sottopongo. La proclamazione dell'esito della votazione è stata: presenti 319, votanti 318 (il Presidente Marini, come da consuetudine, non aveva partecipato al voto, pur essendo - ineluttabilmente - presente), favorevoli 158, contrari 136, astenuti 24 (che, secondo il regolamento del Senato, si sommano ai contrari). Dei votanti non facevano parte, non avendo inserito il loro tesserino, né il senatore Rossi né il senatore Turigatto, fossero o meno fisicamente presenti in aula

Tutti ripetono che il quorum che avrebbe consentito l'approvazione della mozione era di 160 (318 diviso 2 più 1). E' un'affermazione esatta, nell'assoluta invarianza di tutti i fattori della votazione intercorsa: infatti, il quorum è stato raggiunto dalla somma dei contrari e degli astenuti (136 più 24 uguale 160), implicando la reiezione della mozione.

Se Rossi e Turigliatto avessero partecipato al voto, ed espresso voto favorevole, la situazione sarebbe stata la seguente: presenti 321, votanti 320, favorevoli 160, contrari 136, astenuti 24. In questo caso il quorum sarebbe stato di 161 voti. La mozione sarebbe stata egualmente respinta. Questo dicono i numeri, interpretati alla luce delle vigenti regole.

Se l'illustrazione di questi semplici, banali fatti, fosse stata premessa a ogni commento, come si sarebbe poi potuto scrivere chilometri di colonne di stampa di editoriali, opinioni, elzeviri, commenti, noterelle, da un lato invocando la resa dei conti definitiva tra "sinistra [centro] riformista" e "sinistra radicale" (con "soluzione finale" per quest'ultima, pare doversi immaginare, anche se non è proprio esplicitato), dall'altro lato incolpando di tutto l'alleanza tra i "poteri forti" (Confindustria, Vaticano, USA).

Mi sembra che il risultato politico dell’episodio non muti. Nei fatti (e i fatti contano) nel valutare quella mozione la maggioranza non c’è. Certo, è un voto di approvazione di una mozione (arrogantemente illustrata), e non è un voto di fiducia, ma il fatto rimane. E rimane il fatto che i due senatori dissidenti hanno fornito pretesti a chi non ha nascosto l'interesse a ridurre ai margini la "sinistra radicale". Ivi compreso il vicepremier D'Alema: si leggano le sue dichiarazioni di oggi, nelle quali parla una sinistra "comitiva di irresponsabili" (due persone formano forse una comitiva?) "che pur di non perdere la sua verginità, preferisce riconsegnare il Paese a Berlusconi".

È però un fatto anche la superficialità, e il disprezzo per i lettori, che i mass media dimostrano nell’informare in modo incompleto, parziale, e perciò stesso fazioso, i lettori. Ma questi sono ormai divenuti “clienti”, non sono più cittadini, utenti di un servizio.

"In ogni epoca qualcuno, guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro."

Italo Calvino - Le città invisibili

Gentile Eddyburg, Nella città di Fedora molti opinionisti scrivono degli errori compiuti nelle città altrui. Aspettano che a Fedora giunga un governo meno amico per usare la stessa accorata partecipazione. Qui i signori del metro cubo non sono mai stati così potenti. Con la destra non sarebbe andata diversamente, anzi. Ma è grazie al "governo amico" che si è approvato un piano regolatore di 70 milioni di metri cubi di cemento, che sta cancellando 15 mila ettari di campagne. Ghetti, villettopoli, centri commerciali stanno chiudendo tutti i panorami. Un disegno in cui le periferie dilagano addosso alla provincia e si moltiplica l'esercito dei pendolari, senza previsioni plausibili di trasporto pubblico su ferro o di mobilità ciclo pedonale. I risultati si vedono su ogni consolare e tangenziale fino all'estrema periferia con livelli illegali di smog, h 24. Del resto Fedora è la città più automunita del Paese con quasi quattro ruote per abitante. Degli spazi pubblici e verdi nelle periferie hanno fatto incetta i grandi e piccoli costruttori, serbatoi di voti e di lauti finanziamenti per il governo amico. Alle borgate, prive di standard urbanistici, sono addossati nuovi quartieri, ma queste operazioni di mera speculazione vengono chiamate raffinatamente "Programmi di Recupero urbano", o "Riqualificazione delle Periferie ex abusive". Vengono intitolati nuovi quartieri ai principi del mattone: il quartiere Caltagirone, il Parco Leonardo (parco edilizio-commerciale intitolato al padre dei Caltagirone). Il mercato immobiliare sale alle stelle con prezzi in aumento del 14% annuo. Sfratti esecutivi per migliaia di famiglie della città storica e della prima cinta periferica, ma nel piano regolatore non un metro cubo di edilizia popolare sovvenzionata. Per sedare le proteste dei comitati di lotta per la casa il governo amico ne concede una quota risibile (neanche il 10 %) in nuovi piani di zona approvati su aree vincolate dal Piano stesso, un'ora dopo la sua approvazione. La piaga dell'emergenza casa si trasforma in un "premio" di cubature per i palazzinari.

Capita però che commentatori e opinionisti si sveglino durante lo scrosciare di applausi per un grande evento ideato dal capo animatore Walter Veltroni.

Leggendo la sua lettera, mi viene in mente la Napoli di Achille Lauro. Ma certamente parliamo d’altro.

Le vicende della "Toscana felix"continuano a occupare le pagine dei giornali, ultima in termini di tempo la corrispondenza tra Mario Pirani di "LA Repubblica" e l'Ass. regionale Conti. E' giusto sia così perchè la "toscana felix" è oggettivamente un patrimonio che non appartiene solo ai toscani, ma forse sarebbe utile, ogni tanto, parlare anche di piccole cose di segno positivo. Mi riferisco a Portoferraio che si è data un nuovo regolamento urbanistico chiudendo una vicenda pluriennale segnata in passato anche da pesanti implicazioni giudiziarie.

La maggioranza di centrosinistra, eletta nella primavera 2004, è riuscita ad approvare uno strumento (era dai primi anni 90 che chi governava Portoferraio ci provava) a forte connotazione ambientalista, che si promette di arginare stabilmente la proliferazione di case per vacanza e l'urbanizzazione confusa dei decenni passati.

Magari con poche raffinatezze tecniche, scontando i limiti imposti da un piano strutturale realizzato trasformando un già predisposto PRG di tipo tradizionale, il regolamento urbanistico si caratterizza per una limitata previsione edificatoria, circa 41mila mq. di superficie utile residenziale, che per il 25% è prodotta da interventi di recupero o trasformazione di edifici esistenti, per il contributo aggiuntivo, in termini di aree o di alloggi da cedere gratuitamente al Comune, imposto ai privati che intervengono nelle aree di trasformazione. Ma è anche obbligatorio installare pannelli solari o fotovolatici in tutte le nuove costruzioni, recuperare le acque piovane e quelle reflue eventualmente trattate per irrigazione o per le acque dei water, potenziare la coibentazione degli edifici, aumentare le quote di verde pubblico e privato, incentivando le realizzazioni con abbattimento degli oneri di urbanizzazione e piccoli incrementi di edificabilità come consentito dalla legge regionale 1/2005.

E' poca cosa tutto questo, sono cose normali, ma non lo erano e non lo sono ancora per l'Elba ed anche per molta parte della Toscana (basta pensare agli oltre 400 alloggi assentiti con accordo di pianificazione a Marina di Donoratico alle spalle delle dune in una della campagne più belle della toscana costiera), ma sono cose importanti se si pensa che per la prima volta, partendo dal basso, 5 comuni dell'Elba, Portoferraio, Rio nell'Elba, Capoliveri, Campo nell'Elba, Marciana, hanno deciso di procedere alla gestione associata dei piani strutturali e quindi dei regolamenti urbanistici per coordinare le previsioni, focalizzare l'attenzione sulla realizzazione delle infrastrutture pubbliche che sono l'indispensabile presupposto di un reale processo di sviluppo sostenibile, ricostruire i rapporti con il Parco Nazionale dell'Arcipelago dopo anni di inutili dispute di potere soprattutto per dare un nuovo futuro agricolo e una caratterizzazione energetica "no -oil" dell'isola.

Il messaggio che viene da Portoferraio è dunque, si può, se si vuole, fare una politica urbanistica di segno diverso da quelle tradizionalmente imperniate sulla contrattazione pubblico - privata, o su "avvisi" non meglio identificati che a contrattazione peraltro sempre somigliano, è poca cosa,ma ogni tanto possiamo anche rallegrarci.

Meglio poco, ma bene.

Caro Direttore, mi chiamo Michele Pellegrini, ho trentuno anni e faccio lo sceneggiatore. Seguo il suo sito quotidianamente con grande interesse da diversi mesi e ho comprato i suoi libri, la ringrazio per l'attenzione e la precisione con cui porta avanti un discorso culturale su un argomento che mi sta personalmente a cuore come la difesa della natura e del paesaggio da quando, studente, mi sono imbattuto negli scritti di Antonio Cederna. Le scrivo per metterla al corrente che su Rai uno in queste settimane va in onda una fiction in parte scritta da me (insieme ad altri amici colleghi con la guida di Stefano Rulli, Gloria Malatesta e Claudia Sbarigia) con Massimo Ghini e Lunetta Savino che si chiama RACCONTAMI. In questa fiction che sta andando piuttosto bene (ad oggi sei milioni di spettatori di media) si racconta l'evoluzione di una tipica (ultratipica secono certi stilemi e necessità editoriali del primo canale nazionale!) famiglia italiana che vive l'euforia e le contraddizioni del BOOM economico degli anni sessanta. Massimo Ghini interpreta Luciano Ferrucci, il capofamiglia, nelle prime puntate è capomastro, poi studia e diventa geometra diplomato e alla fine diverrà imprenditore edile ed è questa la trama portante dell'intera vicenda che si snoda per tredici puntate. Ci tenevo a scriverle perché al di là del risultato estetico ottenuto, (non so se lei guarda le fiction in televisione, forse non sono di suo gradimento e forse proprio Raccontami non le piace) sono convinto di essere riuscito (insieme agli altri scrittori ovviamente) a dare un'idea onesta e pulita del lavoro del costruttore. Il nostro eroe è infatti lontano da tentazioni palazzinare, vuol costruire per fare belle case rispettando le regole. In questa serie soprattutto si parla di Cederna, del piano regolatore di Roma e della legge Sullo. Magari sotto forma di citazioni colte che il novanta per cento degli spettatori non coglieranno a pieno e forse saranno poco più che citazioni, ma mi sembra che in genere il disagio e l'urgenza di un Italia che stava sputtanando il bene del paesaggio mi sembra che venga in qualche modo fuori. In una puntata si parla di un albergone che stanno costruendo su Monte Mario e la figlia di Ghini dice che è uno scempio citando l'urbanista Cederna, in un'altra puntata l'attore Paolo Sassanelli che interpreta un professore tuona contro gli affossatori della legge Sullo, in tutte le altre puntate si fa continui riferimenti alla necessità di costruire bene... insomma, c'è a chi la serie piace molto e chi invece sostiene sia la solita solfa della RAI tutta buoni sentimenti. Secondo me qualche passo avanti è astato fatto a tutti i livelli ma non sono certo il più indicato per sostenerlo... vorrei soltanto segnalarle che nel nostro piccolo, magari sbagliando, senza certo stravolgere i palinsesti di una rete nazional popolare ma forzandoli un po', stiamo cercando di fare anche noi qualcosa di buono per questo paese di villette a schiera e capannoni. Grazie per l'attenzione. Michele Pellegrini.

Non è male che i temi della città come prodotto collettivo e come terreno dello scontro tra interessi contrapposti si affaccino anche sui programmi più popolari. Far vivere in una storia di largo consumo il contrasto tra l’onesto geometra Ferrucci e il suo socio immobiliarista corruttore è cosa che aiuta a far entrare nei modelli culturali più diffusi alcune verità colpevolmente trascurate dai media. Eppure, è proprio da quelle verità e da quei contrasti che nascono le condizioni attuali delle città in cui, più o meno malamente, viviamo tutti.

Sarebbe bello se anche altri programmi riprendessero gli stessi temi. Magari aggiornandoli: non limitandosi a descrivere la speculazione degli anni Sessanta, ma raccontando e documentando i modelli e gli episodi più aggiornati. Che hanno nomi diversi da quelli del passato: nomi come “perequazione” e “compensazione”, adoperati come ideologia idonea a giustificare l’espansione a dismisura dell’edificabilità dei terreni a danno degli spazi pubblici e dei territori rurali, o come “grandi opere”, magari distruttrici dell’ambiente e della storia (come il MOSE a Venezia e il Pontone sullo Stretto) adoperate come strumento per enfatizzare il matrimonio tra la propaganda mediatica dei governanti (“il mio grattacielo è più lungo del tuo”) e le convenienze del mondo degli affari.

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