loader
menu
© 2024 Eddyburg

L’inverno del nostro scontento si fa gloriosa estate sotto questo (palliduccio) sole di Santhià, dove dopo un’attesa di anni e continui rinvii si inaugura, tra le brine e i capannoni della zona industriale Moleto, il Glam Mall progettato da Pierpaolo Maggiora. Come già annunciato lo scorso luglio, il nuovo villaggio della moda cambia nome e ragion d’essere: non più factory outlet, secondo la formula sperimentata in tutta Italia dell’offerta di capi firmati a prezzi ridotti, in un ambiente (interno) molto curato. Il Glam Mall è invece in tutto e per tutto uno spazio virtualmente parallelo a quello downtown, anche dal punto di vista dei negozi e dei prezzi, che saranno pieni. Non si tratta di una differenza di poco conto, e non solo per i nostri o altrui portafogli.

La nuova specie immobiliar-commerciale nasce infatti (come potrebbe essere altrimenti?) da un doppio processo evolutivo e di selezione: da un lato quello interno, della concorrenza fra vari soggetti e proposte di spazi, servizi e prodotti; dall’altro – più importante a parere del sottoscritto – l’evoluzione del contesto sociale e insediativo entro cui questi (tutto sommato piccoli) spazi si inseriscono. Sono soprattutto le modalità di inserimento nel territorio, a costituire il coefficiente di moltiplicazione della loro importanza.


Forse alcuni tra i più assidui frequentatori di Eddyburg rammenteranno il ricorrere della zona industriale Moleto di Santhià, in varie panoramiche sull’evoluzione degli spazi commerciali detti factory outlet village. Qui doveva nascere, più o meno in contemporanea con gli altri tre “Cugini di Campagna”, il quarto polo dell’operazione Fashion District, descritta nel caso di Bagnolo San Vito, a ridosso del casello dell’Autobrennero. Qui si combatteva la battaglia a colpi di carte bollate con le sponde novaresi della Sesia, dove la multinazionale Neinver con un’interpretazione creativa delle norme regionali aveva concordato con l’amministrazione comunale l’ outlet di Vicolungo, che da un anno è meta abituale di folle nei fine settimana, fra le ex risaie all’incrocio di due Corridoi europei.

Ma tante altre cose cambiavano, nel frattempo. Prima fra tutte la velocità con cui quelle che Dolores Hayden chiama le “ growth machines” facevano girare i loro ingranaggi tritatutto. Il sistema TAV-Autostrada, solo per fare l’esempio più vistoso, qui a Moleto ha trasformato un’ex fascia verde tra le ultime frange dell’abitato e i confini della zona collinare verso il biellese, in un compatto mondo di rampe, rotatorie, superfici asfaltate e pareti precompresse. Insomma la versione “esterna” del paesaggio di viadotti infiniti e strisce di fango che appare dall’interno del tracciato autostradale, da Torino a Milano (per adesso). Non si tratta di sole infrastrutture: la famosa antica teoria secondo cui il casello autostradale genera “sviluppo”, da un certo punto di vista è sacrosanta, soprattutto se lo si traduce in development, nel senso di qualsivoglia urbanizzazione. E qui c’è ben più di un casello autostradale.

Come si premura di ricordarci il recentissimo Piano Territoriale della Provincia di Vercelli, siamo nel bel mezzo di un “ ambito di potenziamento e riordino del sistema produttivo e terziario” nel quadro del “ corridoio nazionale est-ovest comprendente l’autostrada Milano-Torino e la linea dell’Alta Capacità ferroviaria con l’interconnessione di quest’ultima con la linea ferroviaria storica nel tratto compreso fra Livorno Ferraris e Santhià”. Da qui l’opportunità di “ sviluppo del ruolo di polo logistico di Santhià” e conseguente “ potenziamento dei collegamenti veicolari con le province limitrofe mediante la formazione del peduncolo autostradale Biella-Autostrada To-Mi nei pressi di Santhià”.


Dal punto di vista dello sviluppo socioeconomico indotto nel “nodo” territoriale storico, uno studio di Andrea Bertolino di qualche anno fa osservava come “ la presenza del factory outlet center ... da una parte tende a monopolizzare la domanda relativa a beni durevoli di alta gamma, dall’altra apre il mercato dell'intrattenimento e dei servizi alla persona a nuove iniziative imprenditoriali” stimolando quindi in generale innovazione nel settore del commercio locale. E sul versante del rapporto fra queste evoluzioni e l’uso dello spazio urbano si osservava come “ con una modificazione della fisionomia commerciale urbana, ... e la necessità di offrire nuovi servizi ai flussi di visitatori, si potrebbe assistere ad una mutazione dell’uso sociale del centro storico”. Ovvero, quanto già verificato anche nello studio dell’Osservatorio Regionale nel caso analogo di Serravalle Scrivia-Novi Ligure, o in altri assimilabili.

La questione non è però di sola rilevanza locale, ma come già detto assume le dimensioni dei bacini di utenza che i promotori propongono ai finanziatori, e che sono sostenute dalla componente infrastrutturale della “ growth machine”: una scala interregionale, che sin dall’inizio si incrocia e scontra con i due livelli della pianificazione territoriale, provinciale e comunale. Travolgendoli. Perché come già raccontato il nodo di Santhià, con tutte le aspettative di crescita attorno agli investimenti infrastrutturali e di concentrazione di attività, si trova a una decina di minuti d’auto dall’altro nodo, pure grondante di aspettative speculari, di Vicolungo. In mezzo, il corso del fiume Sesia segna il confine della pianificazione provinciale, e basta scorrere il corrispondente documento novarese per trovare medesime intenzioni, in parte già concretate, di sviluppo produttivo, commerciale, per il tempo libero, ecc. attorno al proprio casello autostradale di riferimento.


Il medesimo studio di Bertolino, concluso quando il complesso Nassica-Vicolungo progettato da William Taylor era ancora un cantiere abbandonato fra le sterpaglie, tentava un’analisi di tipo SWOT sugli effetti combinati dei due villaggi della moda, secondo tre scenari: la realizzazione del solo polo di Santhià, quella di entrambi i progetti, o del solo complesso di Vicolungo. Visti i risultati finali della “contesa”, pare ovvio col mesto senno di poi tornare sul solo scenario (B). Fra gli elementi positivi un aumento generalizzato dei flussi di visitatori, e le nuove relative possibilità di occupazione nei nuovi esercizi nati rivolgendosi a questo mercato, con un aumento delle sinergie anche non strettamente locali. Fra gli effetti negativi, il sovraccarico del traffico (e aggiungerei io, una nuova domanda di infrastrutture), i contraccolpi sul sistema socioeconomico-spaziale del centro storico. Bertolino collocava qui fra gli elementi di forza anche la “ spinta al marketing territoriale ed alla riqualificazione urbana”, e qui mi sia permesso di dissentire almeno parzialmente.


Come mi ha chiarito lo stesso Autore dello studio, la prospettiva degli scenari SWOT era sostanzialmente santhiatese, e quindi in parte era piuttosto consequenziale il giudizio positivo sull’intensificarsi della spinta al marketing territoriale. Le cose cambiano se però da un lato si considera un bacino territoriale coerente a quello di promotori e investitori (le isocrone dei previsti flussi di popolazione armata di carte di credito), dall’altro e soprattutto si osservano concretamente le forme assunte a Vicolungo dalla promozione del territorio. Qui si verifica, in uno stadio ormai avanzato e tangibile di realizzazione, un processo che si potrebbe definire “ sprawl da manuale”: le grandi linee infrastrutturali alimentano un sistema insediativo in cui le componenti commerciali, per il tempo libero, produttive e infine residenziali diffuse si sommano, saldando l’una all’altra le pur legittime aspettative di sviluppo locale, in un continuum piuttosto inquietante. Continuum che certo non appare sostenibile come modello generalizzato, ma che non trova a quanto pare nella discontinuità delle scelte di piano alcuna risposta adeguata: sul versante delle coerenze e delle dimensioni.

Restano così gli eleganti spazi del Glam Mall, visibili per ora solo dall’esterno lungo la Statale Vercellese all’estremità nord-ovest del “nodo” di Santhià. Non c’è motivo di dubitare che l’interno del grande passeggio del lusso sarà ancora più attraente. Sul versante dell’organizzazione locale degli spazi e degli accessi si nota un’evoluzione piuttosto significativa: il rapporto ombelicale esplicito con Mamma Autostrada. Un tentativo certo intuibile in altri casi di villaggi della moda italiani, ma che qui è riuscito molto meglio, ovvero la realizzazione del sogno anni ’20 dell’avvocato newyorkese Edward Basset (inventore dello zoning moderno). L’ambientalista Benton MacKaye definiva a quel tempo “tugurio stradale” i margini delle highways malamente colonizzati da stazioni di servizio, piazzali di sosta, proto-scatoloni commerciali. La pianificazione urbanistica, si sosteneva, avrebbe dovuto governare questa terra di nessuno, favorendone un’integrazione effettiva col territorio locale. Basset, molto più sensibile alle sirene del mercato, suggerì invece un approccio opposto: il nastro stradale avrebbe avocato anche fisicamente a sé gli spazi dei servizi che generava al suo passaggio. Nasceva così il freeway business center, nelle sue varie declinazioni, tra i cui discendenti figura anche il nostrano autogrill. Ed è evidente a quale opzione si ispirano sia il villaggio commerciale di Vicolungo, sia il più compatto passeggio di Santhià, sia almeno nelle intenzioni tutti gli altri nuovi insediamenti di questa generazione: il cordone ombelicale con l’autostrada, nei fatti mai reciso, qui resta anche come segno e simbolo di un rapporto privilegiato. Con buona pace dello “sviluppo locale”.


Anche dal punto di vista dei rapporti socio-spaziali, il Glam Mall è segno più esplicito e deciso di una tendenza già rilevata, e lo è esattamente nella scelta dell’offerta commerciale, che sembrerebbe tutto sommato solo un espediente per aggirare la concorrenza dell’ outlet di Vicolungo: il prezzo pieno, anziché scontato, che si applica sugli articoli.

A dirla col promotore dell’iniziativa, Massimo Sandretto Locanin, “l’intento è quello di creare un vero e proprio mall del lusso in provincia che, si sa, è un po’ invidiosa delle grandi metropoli”. Ma basta sovrapporre idealmente questa bella frase alle più prosaiche ma verificabili isocrone di potenziale clientela, per vedere come dentro al bacino di pescaggio portafogli a cui attinge il Glamour di Santhià ce ne stiano varie, di “metropoli”, la cui popolazione non avrebbe quindi alcun serio motivo di rodersi dall’invidia e correre a frequentare il prestigioso passeggio. Qui, come direbbe un politico, il problema è un altro, ovvero che si è individuato un corposo segmento di consumatori che uniscono redditi e propensione al consumo di carattere “urbano”, ma che urbani non sono affatto nelle frequentazioni quotidiane e nell’immaginario, né hanno alcuna intenzione di diventarlo. Per loro basta e avanza, come interfaccia fra sé e l’agognato consumo di merci di lusso, la vetrina, e/o al massimo una striscia di marciapiede tirata a lucido da cui inquadrarla a dovere. Non è un caso, se l’aggettivo “urbano” da un po’ di tempo in qua si spreca a descrivere spazi ed esperienze sospese nel nulla di megaplex e corridoi commerciali di aperta campagna, dove le insegne luminose si riflettono su chilometri di campi arati, bruscamente interrotti dalle quattro corsie che evidentemente transustanziano qualunque cosa.


E quindi eccolo qui, il consumatore-tipo: una specie di McFantozzi che ha avuto l’aumento, ma che non ama la complessità urbana, coi suoi chiaroscuri ben percepibili anche se la città la attraversi blindato nel fuoristrada, aprendo il finestrino solo per imprecare contro i lavavetri. Il nuovo Montenapoleone sottovuoto offre a McFantozzi un’ottima occasione per farsi sparare direttamente dal soggiorno della villetta suburbana, via autostrada, in un clone migliore dell’originale. Non ci sono gli svincoli tra i quartieri popolari, i passanti occasionali malvestiti, il problema del parcheggio. C’è invece quello che conta, ovvero allestimenti di gran classe, personale premuroso, qualche scorcio prospettico raffinato. Insomma, una specie di “ Colazione da Tiffany” senza tutte quelle inutili scene di dialogo ...

Sarà davvero così? Non saprei per certo, visto che il Glam Mall mentre scrivo queste note è ancora solo un cantiere attivissimo nell’area industriale Moleto sud, vicino al casello autostradale di Santhià. È ovviamente vuoto, operai al lavoro a parte, ma dovrebbe aprire fra poche ore, e già si indovinano le prime luci accese all’interno. L’inaugurazione, che dovrebbe corrispondere alla riapertura del casello autostradale (chiuso da molte settimane) al traffico, sarà certamente un evento mondano locale. In questi giorni il comune ha conferito la cittadinanza onoraria al presentatore televisivo Massimo Giletti, e una cosa del genere da sola è sintomo di movimento sul versante dell’immagine, della promozione, del marketing locale. Vedremo cosa ci riserverà la società dello spettacolo, nei prossimi giorni.

Qualche minuto di automobile a est di Moleto, al km 67 della Padana Superiore, sul muro di Cascine Stra campeggia cubitale una vecchia, leggibilissima scritta: Il destino dei popoli che si sono inurbati ed hanno abbandonato la terra è storicamente segnato: è la decadenza, che li attende. Mussolini. In un certo senso, aveva pure ragione. Solo in un certo senso.

Poscritto del 4 dicembre 2005: l'inaugurazione annunciata l'1 dicembre non c'è stata, e il cantiere è ancora buio, al momento coperto di neve. Se qualcuno per caso passa di là e vede tracce di vita umana "glamour" (che di solito si distinguono anche a distanza dai comuni mortali), magari mi avvisi via
e-mail
. Grazie


Nota: l’immagine usata per il titolo è quella di Robert De Niro/Al Capone nel film Gli Intoccabili di Brian De Palma, dove pronuncia la celebre frase: “ You’re nothing but a lot of talk and a badge/Non sei niente, solo chiacchiere e distintivo”. Le fonti delle altre immagini sono citate nelle didascalie che si leggono cliccandoci sopra per lo zoom (le foto di Moleto sono tutte mie). I testi citati nell’articolo sono, di seguito:

Provincia di Vercelli, Piano Territoriale di Coordinamento, 2005, Relazione, par. 2.2.4, Assetto insediativo infrastrutturale, p. 28; par. 3.1.5, Gli obiettivi specifici relativi agli ambiti territoriali, p. 36)

Andrea Bertolino, La tipologia commerciale dei factory outlet centres : il caso Fashion district Santhià, Tesi di Laurea, Università degli Studi del Piemonte Orientale, Facoltà di Economia, aprile 2003, Relatore: Cesare Emanuel; Il nuovo scenario commerciale santhiatese, pp. 181-182; Tabella B, Il “duello” non ha vincitori: presenza congiunta del “Fashion District -Santhià” e del Parco Urbano Commerciale “Nassica” di Vicolungo, p. 202)

La dichiarazione del promotore è tratta da: Pier Antonio Gasparri, Glam Mall. Parte il nuovo retail, Moda Online, 18 luglio 2005

Qualche in formazione in più sul caso di Santhià anche nei due precedenti articoli per Eddyburg, “Cugini di Campagna”, “Giocattoli dimenticati in Corridoio” (entrambi nella sezione Territorio del Commercio/Archivio 2004), o in forma più “evoluta” nel capitolo centrale del mio libro Nuovi Territori del Commercio ; here an english version (f.b.)

Kane County (Illinois), 2030 Land Resource Management Plan, 2004 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

IL GOVERNO DEGLI INSEDIAMENTI COMMERCIALI E LA LORO PROGETTAZIONE

Obiettivi

1. provvedere un’adeguata offerta di prodotti commerciali e servizi in tutta la Kane County

2. sostenere le attività connesse all’agricoltura nelle zone rurali

3. incoraggiare un tipo di insediamento commerciale che sia compatibile con gli usi dello spazio circostanti, e che sia funzionale, sicuro, ben progettato

4. sostenere il riuso di centri e strutture commerciali esistenti

5. promuovere i principi generali che contribuiscono a realizzare luoghi di incontro, simboli della comunità, identità dei luoghi

6. eliminare dalla pianificazione di contea tutte le destinazioni commerciali isolate che non siano state ancora utilizzate

7. incoraggiare l’uso dei principi di progettazione e delle tecniche smart growth nella pianificazione comunale e di contea all’interno della Critical Growth Area, come alternativa all’insediamento commerciale convenzionale.

Oggetto del presente Capitolo

L’insediamento commerciale offre posti di lavoro, gettito fiscale, e beni e servizi alla popolazione in crescita della contea. Storicamente, la gran parte del commercio nell’area si è localizzata nei centri urbani lungo il Fox River. Questa collocazione di funzioni commerciali concentrata nelle municipalità era adeguata, perché era lì che si trovavano la popolazione e le strutture di trasporto a sostegno del commercio. In tempi più recenti, le tendenze di crescita e localizzative, in particolare per i servizi e il commercio al dettaglio, hanno spostato gli investimenti verso ovest, verso il corridoio di Randall Road. Questo spostamento dell’insediamento commerciale crea crescenti problemi alle municipalità, di rafforzamento delle zone commerciali tradizionali. Un esame dell’evoluzione nelle preferenze e stili di vita degli abitanti e di chi lavora nella zona servita dal commercio, può rivitalizzare le zone di insediamento tradizionale. È possibile usare tecniche di progetto per realizzare una identità inconfondibile, e che assicuri anche compatibilità con le zone circostanti.

È essenziale anche sostenere la zona Agricola e dei Villaggi Rurali. A questo scopo sono state predisposte apposite categorie e localizzazioni commerciali, per lo agribusiness e gli insediamenti ai nodi stradali.

Questo capitolo prenderà in esame:

● L’insediamento commerciale

● La progettazione degli spazi commerciali

L’INSEDIAMENTO COMMERCIALE

Più dell’80% degli spazi commerciali della Kane County si trova nell’area della Fox Valley, principalmente entro le circoscrizioni comunali. Essi si presentano in varie forme: centri città tradizionali, mall regionali, centri commerciali di dimensione inferiore, fasce stradali commerciali e piccoli complessi di quartiere. Nella contea ci sono due mall regionali che coprono complessivamente una superficie di circa 100.000 metri quadrati: lo Spring Hill Mall a West Dundee e Carpentersville, e il Charlestowne Mall a St. Charles. Le cittadine sono una localizzazione adeguata per le funzioni commerciali intensive, a causa della presenza di popolazione e infrastrutture. Le amministrazioni favoriscono questo uso dello spazio anche perché genera gettito fiscale, e senza un parallelo incremento della popolazione scolastica. La contea continuerà a orientare gli usi commerciali intensivi verso queste aree. La Randall Road, che taglia l’intero territorio di contea da nord a sud, è uno dei corridoi commerciali principali e in crescita più rapida della regione.

Nel territorio non incorporato in nessuna municipalità e amministrato direttamente dalla Kane County, il totale delle funzioni commerciali è solo del 5% pari a circa 500 ettari di superficie nel 2001, localizzato in modo predominante nei villaggi della zona centrale. Questa quantità relativamente piccola di commercio si deve al fatto che l’amministrazione di contea abitualmente indirizza lo sviluppo commercial verso città e centri minori, là dove appare più appropriato. In più, nelle zone non incluse nelle circoscrizioni municipali dove la destinazione ad usi commerciali è inadeguata o superata, la contea ha intrapreso azioni per revocare ed eliminare questo tipo di azzonamento puntuale. Da non confondersi con la destinazione agribusiness nei centri e villaggi centro-occidentali, che serve la comunità delle aree agricole.

La Kane County individua sette tipologie di uso commerciale, che svolgono varie funzioni:

1) Centri urbani

2) Arterie urbane commerciali

3) Aree commerciali in ambito rurale

4) Centri di quartiere

5) Aree commerciali nei nodi di viabilità

6) Agricultural Business

7) Aree per uffici, attività di ricerca e industria

1 - Centri urbani

I nuclei centrali tradizionali delle città e villaggi della Kane County sono indispensabili all’economia e vitalità, dei singoli comuni come dell’intero territorio. Questi spazi downtown contengono molti bei vecchi edifici con significato storico, validi dal punto di vista architettonico. Molti di questi spazi sono collegati al Fox River da percorsi pedonali e greenways. La Kane County continuerà a sostenerne la rivitalizzazione attraverso programmi di tipo main street o di altro genere conservativo, orientati a edificare secondo la struttura esistente e costruire una forte identità spaziale.

2 -Arterie urbane commerciali

Le arterie urbane commerciali rappresentano un elemento importante nella Fox Valley. Il commercio sulle fasce offre una grande varietà di prodotti e servizi, ospitando la maggioranza dei nuovi insediamenti collocati entro le circoscrizioni comunali della Kane County. Questo tipo di localizzazione si deve alla vicinanza alle reti idriche e fognarie, a nuclei di popolazione residente, a strade di grande percorrenza e traffico. Esempi di questo tipo di insediamento sono: il Meadowdale Shopping Center di Carpentersville; il Charlestowne Centre di St. Charles; il Windmill Place a Batavia e il Geneva Commons. Le funzioni commerciali in zone urbane si concentrano in particolare su fasce della Randall Road e Orchard Road. La pressione per nuovi insediamenti in queste zone è destinata a continuare nel futuro.

La Kane County continuerà invece a scoraggiare gli insediamenti nei tratti delle medesime strade non inclusi in circoscrizioni comunali. Le sole funzioni commerciali prese in considerazione saranno quelle in località dove già esiste accesso ai servizi comunali, oltre ad una coerenza con gli strumenti urbanistici municipali. Questi nuovi eventuali interventi dovranno coordinarsi con le linee generali di contea per quanto riguarda gli accessi stradali. Per l’approvazione dei progetti verranno considerati elementi chiave sia la compatibilità ed estetica generale degli edifici e arredi a verde, sia l’organizzazione del traffico. Verranno fortemente scoraggiate fasce commerciali mal progettate.

La Kane County insieme alle amministrazioni municipali limiterà l’espansione degli insediamenti commerciali verso ovest e la Critical Growth Area. Le funzioni commerciali entro la Critical Growth Area verranno utilizzate a servizio dello sviluppo dei quartieri. I nuovi complessi verranno orientati invece verso il Corridoio Urbano o i nuclei centrali. Le opportunità di insediamento nel Corridoio Urbano sosterranno la modernizzazione dei complessi esistenti, e insieme la rinascita del commercio nelle zone centrali.

3 – Aree commerciali in ambito rurale

Con la crescita della popolazione, aumenterà anche la pressione verso uno sviluppo commerciale sparso, nella parte centrale e occidentale della Kane County. La contea continuerà a incoraggiare e orientare le funzioni commerciali verso zone con tale destinazione localizzate nei villaggi, dove si collocano storicamente e dove esistono o sono previste le necessarie infrastrutture. I villaggi di questa area comprendono: Big Rock, Burlington, Elburn, Hampshire, Kaneville, La Fox, Lily Lake, Maple Park, Pingree Grove, Plato Center, Udina, Virgil, Wasco.

Lo Historic Preservation Plan della Kane County afferma che le nuove attività debbano utilizzare ovunque possibile le strutture già esistenti, e che i nuovi edifici devono adeguarsi al carattere storico di ciascun centro rurale. La contea intende evitare gli effetti di degrado degli insediamenti commerciali non compatibili, pur sostenendo i villaggi rurali nel mantenimento e sviluppo delle funzioni commerciali.

4 – Centri di quartiere

Sono centri commerciali di quartiere quelli di dimensione contenuta, localizzati principalmente entro le zone residenziali della Critical Growth Area. Lo sviluppo residenziale della zona aumenterà il bisogno di beni e servizi. A tale necessità è possibile rispondere anche senza le abituali fasce commerciali o concentrazioni agli incroci stradali. Centri di quartiere come quello per il villaggio di Mill Creek, sono un modo di offrire merci e servizi compatibilmente a dimensioni e caratteristiche tipiche della zona. Questi centri sono un’alternativa al solito sprawl suburbano, e svolgono molteplici funzioni: acquisti, servizi, luoghi di incontro, e inoltre contribuiscono a conferire una identità spaziale ai luoghi. Devono essere progettati come parte integrante dell’insediamento residenziale. Le caratteristiche generali devono essere quelle di insediamento compatto, buona organizzazione degli accessi e del traffico, parcheggi ben concepiti, elementi pedestrian friendly. I centri di quartiere rappresentano un avanzamento anche in termini ambientali, riducendo al dipendenza dall’automobile.

5 – Aree commerciali nei nodi di viabilità

Le funzioni commerciali crossroad sono previste negli incroci strategici, ad offrire un servizio a chi si sposta in automobile, e coerentemente a localizzazione, modi e volumi di traffico, accessibilità, usi attuali dello spazio. Eesempi di questo tipo comprendono l’incrocio della Illinois Route 47 con la Jericho Road, o ancora Illinois Routes 47 e Plank Road. La funzione generale di questi insediamenti è di offrire strutture automobile-oriented, come stazioni di servizio o mini-maket, secondo modalità efficienti, sicure, esteticamente piacevoli. Le costruzioni dovranno essere di dimensioni limitate, e le funzioni contenute.

Si scoraggiano servizi organizzati sulle fasce laterali, ad evitare la concorrenza con quelli delle vicine città o villaggi, oltre che la tendenza allo sprawl. Per ottenere spazi legati all’uso dell’auto che siano funzionali e attraenti, vanno predisposte adeguate corsie di accesso e uscita, arretramenti, segnaletica e arredo a verde. È altamente raccomandato un controllo sui progetti, perché tendano a realizzare un carattere rurale e ad adeguarsi all’ambiente circostante.

6 - Agricultural Business

Scopo di questa categoria di funzione commerciale è quello di offrire spazi alla localizzazione e sviluppo di attività legate alla zona agricola. Si tratta di funzioni che svolgono un ruolo vitale nel sostenere l’economia della Kane County, e offrono occasione di stabilità e crescita ai villaggi occidentali. Queste attività comprendono servizi, commercio, produzione, ricerche, magazzini, mercati e usi correlati, tutti dipendenti o strettamente legati alle attività agricole. Le zone agricultural business sono in genere localizzate nelle fasce centrali e occidentali, e si incoraggia per queste funzioni il riuso degli edifici esistenti, o il collocarsi come estensione dei villaggi. L’agricoltura anche nel futuro offrirà grandi vantaggi economici alla Kane County. Incoraggiare la crescita e lo sviluppo delle zone agribusiness entro spazi adeguati contribuirà alla vitalità economica dei nuclei centrali e occidentali.

7 - Aree per uffici, attività di ricerca e industria

Nella Kane County si sono iniziati ai sviluppare grossi complessi per uffici ed attività di ricerca, nei corridoi delle autostrade a pedaggio, Aurora e Elgin: la East-West Tollway (I-88) e Northwest Tollway (I-90). Alcuni di questi esempi sono la Matsushita Electronics e First Card a Elgin, o la Toyota e Farmers Insurance a Aurora. Questo tipo di complessi nell’area di Aurora rappresenta il proseguimento di quanto già accaduto nella DuPage County, fra Oak Brook e Naperville, a partire dagli anni ‘60. Nello stesso modo, gli insediamenti per uffici e ricerca lungo la Northwest Tollway nell’area di Elgin, proseguono l’analoga crescita di quelli simili nella Cook County, fra l’aeroporto O’Hare, Schaumburg, e Hoffman Estates.

Esistono poi spazi industriali nella maggior parte delle municipalità della Kane County, destinati alle varie attività produttive. I principali complessi sono a Aurora, Elgin, Montgomery, e St. Charles. L’indagine svolta dalla contea nel 2001 sull’uso del suolo ha rilevato circa 300 ettari destinati a funzioni industriali. Questa quantità relativamente bassa di superfici dimostra come la maggior parte degli impianti sia collocata nei pressi dei centri, dove sono disponibili reti idriche, fognarie, elettriche. Sugar Grove e Hampshire prevedono ora per funzioni industriali e a uffici aree di dimensioni significative.

LA PROGETTAZIONE DEGLI SPAZI COMMERCIALI

I modi della progettazione commerciale contribuiscono a comunicare un’immagine, e a rendere desiderabili gli spazi. I criteri di approvazione dei progetti sono il modo più efficace per le municipalità e la contea, per orientare l’edificazione a comunicare un’idea di vivibilità e vivacità economica. La progettazione deve superare la sola osservanza delle tradizionali regole di zoning e orientarsi ai dettagli, che costruiscono luoghi di incontro, spazi simbolici, identità locale.

Nel suo libro City Comforts, David Sucher fornisce alcuni esempi di “… piccole cose che rendono piacevole la vita urbana: luoghi dove le persone possano incontrarsi, metodi per contenere l’invadenza delle automobili e fare degli edifici dei buoni vicini. Molti di questi piccoli dettagli sono talmente ovvi da risultare invisibili”. Dettagli che possono migliorare le zone commerciali e al tempo stesso attirare il la clientela per acquisti e sosta in un’atmosfera piacevole. Questi dettagli comprendono:

● spazi pubblici dotati di posti per sedersi

● spazi da gioco interni a quelli commerciali

● svolgere una funzione di “portale” per i quartieri

● attutire l’effetto dell’edificato attraverso l’uso del verde

● personalizzare gli spazi con l’uso di opere d’arte

● attirare il traffico pedonale con fronti commerciali interessanti

● realizzare spazi destinati alla musica

● incoraggiare i rapporti sociali con strutture come i tavoli per giocare a scacchi

● utilizzare la vegetazione locale

● consentire la presenza di negozi “d’angolo” locali

● offrire rastrelliere per le biciclette

● avvicinare gli edifici alla linea del marciapiede

● rendere visibili gli spazi di lavoro

● uso di vari strumenti (come i giochi d’acqua) per consentire la conversazione

Sempre di più, nei centri commerciali di grande e piccola dimensione si trovano caratteristici ristoranti fast-food, stazioni di servizio, supermercati, mini-malls, motel, lavaggio auto, e altre funzioni immediatamente riconoscibili si trovano nelle fasce stradali o nei centri dei quartieri. È la strategia di mercato delle grandi compagnie, per essere facilmente identificate e offrire al cliente un senso di familiarità attraverso la ripetizione delle immagini standardizzate del marchio. L’uso di edifici e segnaletica standardizzata ha evidentemente un impatto sulle città dotate di una propria identità storica, e può danneggiare il lavoro delle comunità per ottenere un caratteristico ambiente locale. La predisposizione e attuazione di linee guida per il progetto, e relative norme, può aiutare le amministrazioni a adattare i dettagli progettuali ai propri caratteristici orientamenti. Kenneth Hall e Gerald Porterfield, nel loro Community by Design dimostrano l’importanza dei percorsi pedonali, dei margini, distretti, nodi, punti focali, nelle linee guida per il progetto.

Una certa cura per gli arredi a verde, l’illuminazione, stili architettonici, particolari, materiali, rappresenta una distinzione in positivo, nell’adeguamento ai caratteri locali. Gli edifici delle grandi catene che riflettano anche caratteri locali contribuiscono a creare una certa identità del quartiere e un senso di appartenenza, aiutano anche a definire spazi commerciali distinguibili, aumentando i clienti e i profitti delle imprese, oltre ad offrire possibilità di adattamento futuro degli edifici a usi diversi.

Politiche

1. Collaborare coi gruppi locali e regionali, e con le Camere di Commercio per sostenere uno sviluppo pianificato delle attività commerciali che vada incontro ai bisogni delle città.

2. Incoraggiare e promuovere le varie attività legate all’agricoltura nelle zone rurali della Kane County, come la produzione, vendita e ricerca relativa a beni e servizi per queste zone.

3. Sostenere alti livelli di progettazione, in particolare per quanto riguarda glia ccessi stradali, gli arredi a verde, la segnaletica, l’estetica, per le zone commerciali sia all’interno dei confini municipali, sia nelle zone amministrate dalla sola contea.

4. Richiedere che gli insediamenti commerciali mantengano e migliorino caratteristiche naturali come la vegetazione, la fauna, i corsi d’acqua, le zone umide, pendenze e vedute.

5. Impedire una localizzazione sparsa delle funzioni commerciali non legate all’agricoltura nelle aree rurali esterne ai municipi.

6. Sostenere le cittadine e i villaggi nella conservazione e rivitalizzazione dei propri centri, riutilizzando ovunque possibile le parti storiche.

7. Coordinare l’insediamento commerciale con eventi locali, informazioni ai visitatori, possibilità di sviluppo turistico.

8. Incoraggiare linee guida per la progettazione di centri di quartiere integrati nei piani per le zone residenziali.

9. Sostenere linee guida progettuali per le aree commerciali negli incroci stradali a ciò destinati, in particolare per quanto riguarda parcheggi, accessi, illuminazione e segnaletica.

La rinascita del Corridoio Urbano: riuso delle fasce commerciali stradali

L’aggiornamento [retrofit] dei centri commerciali sulle fasce stradali attraverso una riprogettazione attuata per fasi successive, può trasformare gradualmente queste zone in aree a funzioni miste. Il successo di una operazione può fungere da spinta per l’azione in altri corridoi. Quelli che seguono sono alcuni strumenti di intervento sulle fasce commerciali:

1. Mantenere lo sviluppo longitudinale dei distretti commerciali esistenti al di sotto degli ottocento metri;

2. Realizzare davanti ai grandi piazzali a parcheggio un fronte commerciale compatto o continuo, che definisca la strada, coi parcheggi collocati sul retro;

3. Collocare lungo i fronti edifici con architetture attraenti, insegne e organizzazione dei marciapiedi, invece di parcheggi e segnaletica su pali;

4. Unificare gli ingressi dalla strada entro poche corsie comuni, con strade di servizio interne organizzate in base agli isolati, che colleghino le varie attività;

5. Contribuire a rendere unico l’ambiente stradale e migliorare l’aspetto dei percorsi pubblici con alberature stradali laterali e centrali, alta qualità degli arredi a verde, pavimentazioni decorative, arredi stradali (panchine, cestini dei rifiuti), illuminazione.

6. Realizzare marciapiedi e percorsi di attraversamento in tutta l’area per creare connessioni coi parcheggi comuni, i trasporti pubblici, i collegamenti fra i vari negozi e con le zone residenziali;

7. Incoraggiare una mescolanza di abitazioni e altre funzioni con quelle commerciali, come primo passo verso quartieri percorribili a piedi, anziché ambienti strettamente commerciali e orientati all’auto.

(Fonti: “Tools for Improving Strip Commercial Corridors”, Georgia Department of Community Affairs; “Commercial Strip Redevelopment”, Dutchess County Planning and Development, New York, 2003).

La valutazione dei progetti di nuove costruzioni, o di trasformazione dei complessi esistenti, deve tenere in conto:

Localizzazione: quanto è adeguato, il sito prescelto, alla città nel suo insieme? Si tratta di un progetto fattibile, dal punto di vista funzionale e localizzativo? Si aggiunge coerentemente alle strutture commerciali esistenti? Contiene elementi progettuali che completano e arricchiscono l’area circostante?

Tempi: questo progetto commerciale, si inserisce coerentemente nelle attività diurne e notturne dell’area circostante, e nelle eventuali variazioni stagionali? Offre un senso di continuità all’interno della zona?

Movimento: si tratta di uno spazio accessibili agli utenti del trasporto pubblico, ai pedoni, agli automobilisti?

Compatibilità: si valuti il progetto, usando linee guida che considerino: inclinazione dei tetti, distanze fra gli edifici, altezza e sviluppo degli edifici, altezza delle finestre, fronte strada, caratteri architettonici, massa, materiali. L’illuminazione è coordinata con le insegne, gli impianti tecnici, le alberature stradali, la collocazione dei parcheggi e corsie di accesso?

(Fonte: “Building a foundation to assess the broader social, economic and environmental issues of development”, Kinnelon Commons, New Jersey, 2001).

“Progettare in modo adatto ad un particolare ambiente locale è semplicemente un buon affare. È interesse dei commercianti conformarsi agli standard cittadini così come sono stati fissati. L’idea di commercio per le esigenze quotidiane, o per le stazioni di servizio, è fondamentalmente una questione locale; la maggior parte della clientela viene da un raggio di cinque chilometri. È vitale tener conto dei desideri della comunità. La media delle persone reagisce positivamente a una buona progettazione. In 35 anni di commercio, non ricordo di aver subito alcun svantaggio di rilievo nell’aver rispettato le norme cittadine”. (Robert Rosenburg, ex presidente e CEO della Dunkin Donuts, da: Saving Face, APA Planning Advisory Service, Ronald Lee Fleming, 2002).

[...]

Nota: qui il sito della Kane County, Department of Development, con tutta la documentazione dei piani di contea; per un quadro più generale, qui su Eddyburg, il Piano 2040per la regione di Chicago; di seguito il PDF scaricabile di questa traduzione, con la land use map del piano per la Kane County (f.b.)

Titolo originale: The Incredible Shrinking Box: Retailers shape stores to fit urban settings – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Negli ultimissimi anni si è verificata una vera e propria fuga di americani verso città e vecchi suburbi interni, alla ricerca di tempi di pendolarismo più brevi e di cose più piacevoli da fare. Ma poi finiscono sempre per passare i sabati proprio nel posto che avevano tentato di lasciarsi alle spalle: i nuovi sobborghi.

Perché comprare le provviste di una settimana a prezzi bassi significa andare là fuori, dove i giganti della distribuzione piantano le proprie classiche, gigantesche superfici. E lo stesso vale per i casalinghi, materiali per l’edilizia, articoli di drogheria: i cittadini devono mettersi in coda sugli svincoli delle superstrade in periferia, per comprare quello di cui hanno bisogno. Questo perché, per anni, le condizioni demografiche proprio non ideali e i vincoli fisici dei quartieri più centrali delle città hanno tenuto lontani i commercianti. Anche nei vecchi sobborghi si sono visti i punti vendita delle strade commerciali impallidire poco a poco mentre le grandi catene risucchiavano risorse verso i pascoli più esterni.

Ora, con le aree interne che attirano nuovi abitanti, sta emergendo una nuova generazione di complessi commerciali mixed-use di alta qualità. A partire da Atlanta, dove uno dei più importanti progetti di riuso nella storia della città, porterà in centro l’IKEA e una serie di altri negozi; a Chicago, col primo punto vendita Home Depot multipiano; a Washington, D.C. col suo rinascimento commerciale, dove i grandi operatori stanno scoprendo in modo massiccio vecchi e nuovi quartieri.

A spingere in questa direzione sono saggi amministratori locali che hanno capito come nei quartieri urbani e sobborghi più interni attirare grandi operatori commerciali e mescolarli adeguatamente insediamenti residenziali possa rivitalizzare le città. E alcuni stanno rispondendo, entrando con le proprie attività in questi quartieri, e non solo vicino alle rampe della superstrada.

Questo nuovo tipo di flessibilità ha effetti sulle città del Michigan che tentano di rivitalizzare o tutelare i propri centri. Per offrire una vera percorribilità pedonale, tanto agognata dai residenti, città diversissime come Detroit, Grand Rapids, Ann Arbor, Troy, Flint, o Traverse City hanno bisogno di accessibili negozi alimentari, di ferramenta e casalinghi, di abbigliamento.

Ma il crescente interesse delle grandi catene per le zone centrali può anche avere effetti sulla pure crescente resistenza alla realizzazione di big-box nelle aree rurali. Per esempio, dopo una recente sentenza favorevole del tribunale, un gruppo di residenti e consiglieri di Acme Township, poco a est di Traverse City, sta lavorando per convincere la Meijer, Inc. a mettere da parte il progetto di un altro scatolone da oltre 20.000 metri quadrati in mezzo a un campo, e costruire invece un punto vendita su due piani, con parcheggio incorporato, nel mezzo di un complesso urbano di tipo new urbanist da tempo previsto nel piano regolatore della città in una zona appena oltre la strada. Questo nuovo centro comprenderebbe centinaia di abitazioni singole, condomini, vari negozi, uffici e un parco.

Segnali sorprendenti

Uno dei segnali più decisi di quanto fondamentale si possa rivelare questa evoluzione della dottrina commerciale “solo big-box” viene dallo International Council of Shopping Centers lo scorso dicembre. Robert Stoker, responsabile immobiliare della Wal-Mart Stores, Inc., ha dichiarato: “Abbiamo raggiunto uno stadio in cui possiamo essere flessibili. Non siamo più obbligati a costruire scatoloni ammiraglie grigio-blu”.

Stoker ha citato parecchi esempi nel mondo di grandi complessi commerciali che hanno adattato la formula di progetto, un tempo rigida, per adeguarla ai quartieri esistenti, ai nuovi insediamenti mixed use, e anche a strutture sviluppate in altezza. Per il mondo dell’edilizia commerciale, è un po’ come se il Papa avesse cambiato il testo del Padre Nostro.

Wal-Mart non è sola nella volontà di adattarsi ad ambienti più urbani, dopo aver rifiutato a lungo di allontanarsi da una formula mantenuta sin dagli anni ‘60: un edificio a un solo piano su una grande strada di comunicazione, circondato da asfalto.

“Nel 1960, con ventimila metri quadrati di superficie commerciale, si occupavano complessivamente circa 5.000 mq in un edificio multipiano” dice Ed McMahon, membro anziano dello Urban Land Institute autore di numerosi articoli sulle tendenze della progettazione commerciale. “Sino a tempi molto recenti, quegli stessi ventimila metri quadrati sarebbero stati su un solo livello, più altri otto ettari per i parcheggi”.

Un altro grosso operatore commerciale, la Target Corporation, è stato fra i primi a utilizzare un modello più compatto. Il negozio immagine della compagnia a Minneapolis è su quattro livelli, e ce ne sono altri a due piani con parcheggi incorporati a Atlanta, Gaithersburg nel Maryland, e altri luoghi. La Home Depot di recente ha aperto un negozio su tre piani in centro a Chicago. La Wal-Mart ha un punto vendita su due piani in un complesso mixed-use a Long Beach in California, e sta per entrare in altri due piani in un altro mixed-use sviluppato in altezza a Rego, New York.

I complessi urbani a funzioni miste spuntano un po’ dappertutto, racconta Cindy Stewart, direttrice per i rapporti con le amministrazioni locali allo International Council for Shopping Centers. “Si vedono ancora realizzati i tipi del lifestyle e power centers, ma gli operatori stanno entrando nel mercato urbano, in progetti che contengono anche residenze, dato che c’è un forte bisogno di entrambi”.

Perchè funziona

Anche se costruire all’interno dei quartieri richiede un ripensamento delle architetture, dell’occupazione di superfici, di come organizzare i punti di carico scarico o schermare i parcheggi, McMahon sostiene che ne vale la pena: i punti vendita in città spesso funzionano meglio dei loro corrispondenti suburbani. Sempre più operatori riconoscono quello che viene definito il dividendo della qualità spaziale: “La gente sta più a lungo e spende di più, nei posti che si sanno guadagnare affetto. Le fasce commerciali sono il tipo del secolo scorso, mentre il mixed use è l’ambiente adatto a questo secolo”.

La signora Stewart elenca due ragioni per cui i big box si stanno riplasmando in formati da centro città.

“I suburbi sono saturi” dice, “i costruttori e commercianti sono alle ricerca di nuovi mercati, e questi sono i vecchi spazi che hanno bisogno di una rinascita. Nel caso di aree nuove ci sono molte norme da osservare, che rendono quei progetti piuttosto difficili da realizzare”.

Aggiunge, che i settori in crescita più rapida fra i membri della sua associazione commerciale sono le collaborazioni con governi locali e gruppi di cittadini per il ripristino di strutture commerciali. Alcune grandi città e suburbi di antica formazione stanno ristrutturando corridoi commerciali non solo in quanto spazi per negozi, ma ambienti urbani veri e propri: mixed use, spazi pedonali che danno la sensazione di una vecchia via principale. Esattamente quello che chiede ad esempio il piano regolatore della nostra piccola cittadina di Acme.

Gli abitanti delle aree centrali delle città del Michigan, dei suburbi interni o di quelli più remoti, hanno molto da imparare dalle più recenti collaborazioni fra città e operatori commerciali per la progettazione di ambienti di successo.

Rinascita a Washington

Una di queste collaborazioni è stata a Washington, D.C., dove sindaco e associazioni economich elocali hanno istituito il Washington, DC Marketing Center per attirare i commercianti più scettici verso i quartieri in ripresa.

“Abbiamo raccolto tutte le offerte commerciali in un unico documento” racconta Michael Stevens, direttore generale del Centro “e l’abbiamo diffuso tramite il nostro sito web. Abbiamo tutte le informazioni demografiche e sul traffico”.

Un’ampia ricerca ha rivelato che i quartieri possiedono un enorme potere d’acquisto, molto ma molto più di quanto calcolato dal censimento, e reddito superiore a quanto chiunque potesse immaginare. Ma dall’area uscivano annualmente 424 milioni di dollari (un terzo del potere d’acquisto) verso negozi collocati altrove. Così l’amministrazione ha steso un accordo per realizzare Tivoli Square, progetto che contiene un negozio Giant Foods – cosa rara in città, su 5.000 metri quadrati – il restaurato teatro Tivoli, 2.000 mq di negozi e 3.000 di uffici nei piani superiori.

Tivoli Square ha innescato il più grosso programma commerciale della zona, chiamato D.C. USA, che combina operatori regionali e nazionali con ristoranti e una grossa palestra.

Transit Village a Oakland

Un progetto per Oakland, California, sta rimediando ai danni provocati alla zona Fruitvale da anni di espansione suburbana.

“Fruitvale era diventato un quartiere assai poco attraente, e piuttosto sporco” dice Arabella Martinez, ex responsabile dell’associazione ispanica Unity Council, ente senza scopo di lucro che offre opportunità ai latino-americani nell’area della Baia.

Il viale era degradato; la vicina stazione della linea BART, circondata da ettari di parcheggi, era priva di collegamenti alla zona commerciale. L’associazione faceva pressioni sull’amministrazione per realizzare su propria iniziativa un “ transit village” nel parcheggio della BART. Si pensava che negozi e ristoranti a servizio sia del quartiere che dei pendolari avrebbero collegato stazione e zona commerciale, offrendo anche un luogo di incontro. Poi si sono aggiunte case e uffici, per aumentare l’offerta di posti di lavoro. Oggi, a realizzazione quasi completata, l’area ha cambiato aspetto.

“Si vede un incredibile numero di persone che fanno shopping, e non ci sono più le sbarre di ferro per sicurezza davanti alle vetrine” dice la signora Martinez. “Il quartiere è passato da un tasso di superfici non occupate del 40% circa nel 1990 all’1% di oggi. Tutto dimostra che la strategia di concentrarsi sul commercio ha funzionato. Sto vivendo nel mio sogno”.

Nuova vita a St. Louis Park

Se i progetti per Oakland e Washington indicano la strada per iniziative del genere a Detroit o Grand Rapids, una buona realizzazione in Minnesota potrebbe essere d’esempio a posti come Troy, o anche la piccola Acme. Entrambi mancano di un centro, e sono minacciati dallo sviluppo a sprawl.

Nei primi anni ‘90, la principale striscia commerciale di St. Louis Park era decaduta sino a diventare una fila di banchi dei pegni, negozi a credito e altre botteghe stentate. Il consiglio comunale decise che era tempo di pensare a un vero centro città.

“La gente desiderava davvero avere un luogo dove si potesse andare semplicemente per starci: un vero centro” dice Richard McLaughlin, l’architetto e urbanista che ha condotto i laboratori partecipati per il distretto commerciale con residenze e verde. La città ha ingaggiato la TOLD Development Company, che con particolare attenzione all’atmosfera commerciale ha iniziato i lavori nel 2001 per 10.000 metri quadrati di negozi e 660 unità residenziali. Il principale dell’impresa, Bob Cunningham, dice che il progetto ha ripagato.

“Quello che davvero attira le persone lì è la miscela di offerta commerciale, perché migliora la vita” dice Cunningham, e aggiunge che l’occupazione degli spazi residenziali non è mai scesa sotto il 94%.

Il mix comprende un centro daycare, Pier One Imports, ristoranti, Panera Bread, Starbucks Corporation, e boutiques locali, insieme a uno spazio farmers market e iniziative pubbliche che hanno fatto di questo spazio a verde lungo 200 metri connesso ai 12 ettari di Wolfe Park un punto focale di incontro.

La città ha sostenuto l’iniziativa realizzando piccole strutture a parcheggio condiviso, oltre a rivedere il proprio sistema di tassazione locale per sfruttare i valori immobiliari in crescita e ripagarsi gli investimenti negli spazi verdi e arredi stradali. Cunningham dice che il finanziamento è stato la parte più difficile: “Chi concede prestiti lavora su appartamenti, condomini, o commercio. La maggior parte non tratta il mixed use. Ma ora è arrivato il tempo anche per questo tipo di prodotto”.

Nota: il testo originale al sito Michigan Land Use Institute ; qui su Eddyburg, tra l'altro, esperienze analoghe descritte nel "Manuale per i centri commerciali dismessi" o nella mia nota sul piano di recupero dell'area di Greater Southdalea Edina, nella fascia metropolitana di Minneapolis (f.b.)

Kenneth M. Chilton, Greyfields: The New Horizon for Infill and Higher Density Regeneration, Southeast Regional Environmental Finance Center, EPA Region 4, University of Louisville, 2005 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Introduzione

I greyfields sono vecchie aree commerciali e terziarie obsolete e abbandonate, in particolare centri commerciali [ mall]. Basta percorrere in auto qualunque arteria principale di qualunque città, per vedere centri commerciali un tempo attivi e ora sottoutilizzati. Molte di queste ex strutture base urbane ora subiscono un processo di disinvestimento. Gli inquilini si sono spostati verso il suburbio e i nuovi corridoi commerciali dotati della “giusta” demografia di mercato, del complesso di attività insediate e forme architettoniche.

Si lasciano dietro migliaia di metri quadrati di spazio commerciale, circondato da un mare di asfalto grigio. Comunemente note come greyfields, queste brutture sono i simboli di una radicata modalità di sviluppo casuale.

Questi greyfields pongono una particolare sfida immobiliare e di sviluppo urbano. Sono difficili da definire. Alcuni ricercatori chiamano greyfield solo i centri commerciali chiusi ad aria condizionata contenenti un minimo di 40.000 metri quadri di superficie commerciale. Altri prendono in considerazione anche le fasce commerciali aperte, i power center (complessi dominati da pochi grossi anchor come Kmart o Wal-Mart), o anche complessi di quartiere a servizio di piccole zone, abitualmente basati su un negozio alimentare. L’entità del problema varia a seconda del tipo di definizione utilizzato.

Per la comunità circostante un complesso commerciale abbandonato, fa poca differenza il tipo di definizione usato: quello spazio abbassa i valori immobiliari, scoraggia nuovi investimenti e non produce sufficiente gettito fiscale e posti di lavoro. Molte fasce commerciali aperte abbandonate risalenti agli anni ’50, ’60, ’70, non vengono qualificate come greyfields se si considerano solo i “centri commerciali” chiusi. Ma queste aree che un tempo ospitavano supermarkets, altra grande distribuzione e ristoranti, sono piuttosto comuni nei suburbi delle fasce più interne, colpite dallo sviluppo suburbano più esterno. Indipendentemente dalle dimensioni di questi complessi, ciascuna area rappresenta una possibilità di rafforzare la comunità se solo si trovano investitori sufficientemente capaci di comprendere i bisogni del mercato.

Una obsolescenza non pianificata

Il declino dei vecchi malls si può attribuire ad una varietà di fattori. I movimenti di popolazione e il nuovo insediamento suburbano hanno modificato l’ambiente commerciale in modi che ricordano il declino delle aree centrali urbane. Le città hanno perso molta della propria attività commerciale con la “centrocommercializzazione” degli anni ’60. Ora, con le tendenze ad un insediamento sempre più esterno al centro, si ripete un processo simile di dismissione. Gli analisti del settore indicano come motivo primario di declino del mall i gusti dei consumatori in rapida evoluzione che alimentano la domanda per nuove esperienze di shopping. Il mall è considerato “artificiale” e il consumatore sceglie invece nuovi formati più interessanti e vari. Con sempre più tempo dedicato agli spostamenti pendolari, il consumatore cerca possibilità commerciali più comode. A seconda di come si guarda la questione, il problema cambia. In alcuni casi, sono gli stessi centri commerciali a non essersi organizzati al meglio per la concorrenza. Devono dare parte della colpa della propria crisi ai mancati investimenti per restare sulla cresta dell’onda.

Individuazione del problema

I dati attuali

Al momento esiste un’informazione limitata sull’entità del problema greyfield. Non se ne conosce il numero esatto. Secondo il Congress for New Urbanism (CNU), circa il 7% dei centri commerciali regionali è da considerarsi in situazione greyfield, con un altro 12% avviato a diventarlo. In generale il CNU stima che il numero dei complessi commerciali in queste condizioni sia di oltre 2.000. Lo International Council of Shopping Centers, utilizzando una definizione più ristretta, stima la quantità di greyfields in 1.200 unità. Secondo un articolo recente, i centri commerciali “morti” o morenti rappresentano circa il 19% del totale nazionale. Il centro studi privato RetailForward, calcola che per ogni supercenter della Wal-Mart inaugurato in futuro, chiuderanno due punti vendita alimentari nelle vicinanze. Da quando Wal-Mart ha saturato il mercato dell’area, a Oklahoma City ha chiuso un totale di 30 grocery stores. Il Mall of Memphis, Tennessee, ha chiuso la vigilia di Natale del 2003 dopo 21 anni di esistenza. La crescita dei mega-negozi e il continuo sprawl suburbano indicano che quello dei complessi commerciali dismessi sarà un problema di lungo periodo.

In media un greyfield occupa 18 ettari, una superficie sufficiente a realizzare varie possibilità, come residenza, commercio e altre funzioni di servizio. Diciotto ettari ad esempio potrebbero servire a 400 alloggi su una densità di oltre venti abitazioni ettaro. Quindi i greyfields rappresentano una possibilità di ridimensionare l’ondata di insediamento diffuso. I vantaggi di queste zone sono parecchi, essendo di solito dotate di:

• buona localizzazione lungo arterie di traffico

• superfici notevoli in zone a insediamento consolidato

• infrastrutture disponibili

• assenza di contaminazioni, visto l’uso precedente

• una certa densità di popolazione circostante

La localizzazione

L’investimento originale che ha creato il complesso commerciale si basava su analisi di fattibilità tradizionali. L’area aveva propri valori localizzativi che la rendevano matura per l’edificazione. Purtroppo, mentre le città continuavano a svilupparsi verso l’esterno, i costruttori hanno continuato a cercare spazi ben posizionati da edificare, ovvero terreni su strade di grande traffico, incroci o svincoli autostradali. Il fatto che crescano nuovi insediamenti non rende i vecchi malls obsoleti. Al contrario, essi e le strisce commerciali sono ottimamente collocati. Molti sono vicini a fermate del trasporto pubblico, con grande movimento connesso di traffico automobilistico. Nel corso degli anni i quartieri sono cambiati, ma si tratta di localizzazioni vitali per le città che ospitano i greyfields.

Le dimensioni

Uno degli argomenti più diffusi fra i costruttori che esitano a intervenire nei vecchi quartieri, è la mancanza di spazio. La superficie di molti complessi commerciali dismessi è un’enorme opportunità, per un investitore attento. A ben vedere, alcuni greyfields sono nei pressi di quartieri in corso di rinascita, con gli abitanti in cerca di possibilità per case a prezzi accessibili vicine al centro città. Gli ex spazi commerciali potrebbero essere una risorsa di spazi per case del genere e catalizzare investimenti più ampi e diffusi. In questi quartieri il potenziale di intervento sui greyfields è molto alto. La sfida è di progettare complessi che siano adeguati a gusti dei nuovi residenti, anziché offrirsi al ribasso ad una nicchia di mercato non più sostenibile nell’area.

Le infrastrutture

I siti già urbanizzati possono essere meno dispendiosi per l’intervento, dato che non necessitano di grandi spese di infrastrutturazione. Esistono giù i collegamenti alle reti idriche, elettriche, di comunicazione e fogne. Spesso esiste anche quello al servizio di autobus. Comunque, nei casi di interventi che richiedono sostanziali modifiche all’assetto esistente, i costi infrastrutturali possono essere elevati. Ad esempio, la trasformazione di uno spazio a funzioni mixed use richiede molti interventi in termini di strade, marciapiedi, verde, edifici.

Contaminazione

Alcuni investitori preferiscono evitare i quartieri esistenti e spazi urbanizzati a causa dei pericoli di contaminazione. Nel caso degli spazi dismessi commerciali, questo non è un problema. I greyfields non hanno una vicenda di usi industriali, e a meno che il mall non ospitasse un garage per i trasporti o una lavanderia secco, non c’è alcun bisogno di occuparsi di contaminazione. Un problema in più può essere l’amianto. Questi problemi possono essere facilmente ridimensionati verificando prima dell’intervento sia la documentazione sugli usi precedenti, sia tramite sopraluogo sul sito.

La densità di popolazione

I greyfields tendono a collocarsi in aree densamente popolate. Spesso il declino del complesso commerciale è in parte connesso ai mutamenti demografici. La popolazione resta stabile, ma il potere d’acquisto o i gusti dei consumatori sono cambiati. L’incapacità del mall di produrre reddito è spesso connessa a quella della proprietà degli immobili di rispondere ai mutamenti del mercato.

Se i complessi commerciali dismessi hanno tutti questi vantaggi, perché mai restano vuoti o sottoutilizzati? È un paradosso a cui si trovano di fronte sia la proprietà che i residenti del quartiere. È difficile credere che questi centri commerciali un tempo fossero luoghi all’ultimo grido. La chiave per capire questo paradosso è ricordarsi sempre che mercati e città sono cambiati. Le caratteristiche che facevano di un mall un buon investimento possono essere ancora valide, ma in condizioni diverse. Così come il quartiere che la ospita, anche il sistema funzionale della superficie ora greyfield deve cambiare, per rispondere alla domanda di oggi. Uno dei maggiori ostacoli al riuso è quello di insistere nell’usare il sito per lo scopo originario: il commercio.

Gli operatori tendono ad irrigidirsi sull’uso commerciale di uno spazio a mall. Di conseguenza, vengono spesi milioni di dollari per restaurare facciate o aggiungere nuovi punti vendita. Purtroppo, si tratta di una pratica inutile, perché a pochi chilometri di strada è possibile trovare ambienti commerciali più nuovi, più grandi, con proposte migliori. Il vecchio mall di solito non può competere con le strutture più nuove. Eppure spesso i complessi più vecchi tentano proprio di rispondere all’obsolescenza attraverso la competizione, anziché tentare di ridefinire il proprio ruolo urbano.

Tendenze dei centri commerciali

Un tempo considerati l’esperienza di shopping più avanzata, i centri commerciali soffrono da un decennio. Le nuove tendenze prediligono gli spazi aperti, dove i clienti non devono camminare attraverso l’intero complesso per raggiungere i negozi che desiderano. I complessi Lifestyle centers e quelli che uniscono commercio e attività per il tempo libero sono sorti come risposta a una nuova domanda, così come i malls “all’aria aperta”, attorno a un padiglione o ad altro elemento. Secondo lo International Council of Shopping Centers (ICSC): “Si prevede vengano realizzati 13 centri regionali/sovraregionali per un totale di 1,4 milioni di metri quadrati di superficie commerciale lorda [ gross leasable area] (GLA), dal 2003 al 2005”. In più, lo ICSC stima che nello stesso periodo si inaugureranno altri tre centri ibridi (a pianta chiusa combinata con un formato all’aria aperta) e tre value-oriented (gestori commerciali con temi per il tempo libero). Complessivamente, ciò significa oltre 2 milioni di metri quadrati di GLA, circa 100.000 metri quadrati per centro. Nel 2000-2002, hanno aperto 12 centri regionali/sovraregionali, 11 ibridi, e cinque value-oriented. Questi 28 grossi complessi coprono oltre 3 milioni di metri quadrati, vale a dire in media oltre 100.000 metri quadri a centro.

Lo scopo di queste cifre, è di mostrare le tendenze nella costruzione di nuovi centri commerciali. I malls più vecchi e in declino hanno diversi svantaggi competitivi paragonati al numero crescente dei lifestyle centers. Di conseguenza, gli operatori di greyfields devono analizzare le potenzialità dei siti nel contesto di queste tendenze del mercato. La scelta è fra il proseguire nella concorrenza per il capitale mobile – il denaro dei consumatori – o il ripensare al proprio ruolo urbano secondo modi diversi.

Sfide e incentivi

Il ruolo della pianificazione

L’amministrazione municipale di Charlotte ha intrapreso un’approfondita analisi dei propri problemi riguardo ai greyfields. Deborah Currier, esperta immobiliare che ha condotto stime riguardo al commercio big box, calcola che Charlotte – città con circa a 550.000 abitanti – possieda oltre 200.000 metri quadri di superfici big-box vuote. La Currier individua i seguenti ostacoli al riuso dei greyfields:

• trasformazione della demografia commerciale

• l’alterazione di una vecchia struttura potrebbe innescare processi costosi

• trasformazione del sistema stradale e del traffico

• superfici troppo ristrette

• incapacità del mercato di sostenere così tanti tipi dello stesso negozio

• commercianti che richiedono solo il proprio prototipo, e nessun altro

• siti lasciati vuoti volontariamente, per proteggere un bacino di mercato

Molti di questi problemi possono essere risolti attraverso una pianificazione creativa. Ciò richiede un coordinamento fra il settore pubblico e quello privato in termini di pianificazione dei trasporti, zoning, interventi mirati e nuove regole per promuovere lo infill development.

Gli incentivi necessari a sostenere il riuso dei siti commerciali dismessi devono controbilanciare le forze del mercato attraverso la pianificazione urbanistica. Per esempio, le municipalità potrebbero approvare regole di riuso che non sovraccarichino i costruttori di interventi costosi. Detto semplicemente, le amministrazioni locali devono rendere facile a chi interviene il riuso attraverso le cosiddette clausole grandfather. Una norma grandfather è una regola di zoning che esenta dall’adeguamento alle norme attuali: nel caso dei greyfields, ciò significa continuare a basarsi sull’uso precedente degli spazi. Ciò consente di intervenire senza rispettare i requisiti dell’azzonamento corrente per quanto riguarda arretramenti, spazi aperti e altri vincoli che potrebbero rendere quel sito meno competitivo sul mercato di oggi. Le città potrebbero istituire un ufficio di “facilitazione” col compito di rimuovere gli ostacoli burocratici che si incontrano nel corso di un progetto edilizio di riuso. In questo modo, la realizzazione potrebbe attraversare tutto l’iter urbanistico senza rinvii.

Gli urbanisti devono essere creativi, e capire che molte ordinanze di zoning riescono a impedire il riuso dei vecchi complessi. I greyfields potrebbero trarre beneficio da standards di parcheggi ridotti. Nello stesso modo l’esenzione dalle norme su arretramenti e alberature consentirebbe ai costruttori di aumentare al massimo la superficie edificata. Si potrebbero concedere premi di densità per i costruttori interessati al riuso dei greyfields a scopi residenziali. In più, si potrebbero usare incentivi finanziari come riduzioni fiscali o beautification grants per promuovere gli investimenti sui siti commerciali in disuso. Come chiarisce l’esempio di Charlotte, gli incentivi da soli sono solo un parte dell’equazione. Un’attenta pianificazione della crescita futura può diminuire le conseguenze negative dello sviluppo suburbano, a utilizzare le risorse interne alle aree urbanizzate.

È necessaria un’attenzione maggiore alla pianificazione generale verso lo sviluppo sostenibile. Gli esperti di trasporti devono collaborare coi funzionari dello sviluppo economico, i comitati cittadini, le agenzie ambientali e gli operatori immobiliari. Altrimenti, l’attuale problema dei greyfields potrebbe perpetuarsi e diffondersi sempre più lontano dal centro della città.

Molte città di tutto il paese stanno limitando le dimensioni dei big box – grandi edifici commerciali isolati come Home Depot o Wal-Mart – usando norme di tipo smart growth. In più alcune amministrazioni richiedono un versamento cauzionale per la demolizione nel momento dell’edificazione di un grosso complesso commerciale. Se in futuro gli edifici dovessero rendersi vacanti queste somme sarebbero utilizzate per demolirli. Un’altra tattica è quella di introdurre standard edilizi minimi. Si richiede ai costruttori di complessi commerciali l’uso di mattoni, o di particolari stili architettonici, ad esempio, nella realizzazione di nuovi centri.

Le amministrazioni proseguono con la lotta sui due fronti, della crescita in nuove aree e del declino di quelle di più antica urbanizzazione, e si realizzano nuove collaborazioni fra gruppi abitualmente ignorati dal r processo edilizio. Le scuole stanno diventando attori sempre più importanti, e potenziali beneficiari degli spazi greyfield riutilizzati. I distretti scolastici del Maine e Wisconsin stanno spendendo milioni di dollari in nuove costruzioni scolastiche, mentre sperimentano una contemporanea bassa crescita demografica. Sia le scuole che i governi potrebbero rivolgersi ai siti commerciali in disuso, prima di iniziare i lavori su nuove aree.

Sono necessari nuovi approcci, per consentire il riuso de greyfields su larga scala. Ciò richiede nuove collaborazioni, un nuovo modo di pensare, e incentivi strategici progettati per integrare forze di mercato e tecniche di pianificazione.

Commercio, o Mixed Use ?

I greyfields sono un elemento di interesse per gli analisti di problemi urbani, perché si adattano bene ad altre tendenze di riuso. Sono collocati in modo ideale per promuovere sia lo infill development che un’edificazione sostenibile. Infill development significa letteralmente riempire le aree urbane non utilizzate o abbandonate in fasi successive. Il processo di riempimento reinserisce la città nei nuovi mercati e crea occasioni per la comunità. L’edificazione sostenibile è un tentativo di crescita in modo ambientalmente consapevole, che promuove un riuso del suolo in alternativa all’edificazione di nuovi terreni suburbani, boschi, aree agricole. Le tendenze attuali verso enormi centri commerciali regionali, localizzati nei punti chiave degli svincoli autostradali, incoraggiano uno sviluppo meno sostenibile, auto-dipendente nelle fasce più esterne. Il riuso dei greyfields è un valido strumento nello sforzo di arginare lo sprawl urbano.

Uno dei tipi più interessanti di riuso è la riconversione di vecchi malls in complessi mixed-use. L’elemento centrale di questo genere di progetti è la trasformazione del complesso commerciale in un sistema orientato al trasporto pubblico contenente una miscela di funzioni commerciali, di servizio e residenziali. Mixed use è un termine noto fra gli urbanisti, ma non è diffusamente accettato dal mondo dell’impresa immobiliare: specialmente quando si tratta di ristrutturare un mall chiuso o in crisi. Ad ogni modo, il fatto che un centro commerciale sia in decadenza può essere un’indicazione che gli scopi che l’hanno fatto nascere non sono più validi. La soluzione del problema richiede di riorganizzare il complesso orientandolo ai bisogni della comunità, degli affari e dell’amministrazione. Ovvero, ricostruire l’area in un modo che generi profitto per gli operatori, realizzi obiettivi comunitari e contribuisca al gettito fiscale locale.

Da spazi commerciali in disuso a piazze urbane?

Qualche volta un centro commerciale fallisce perché ha perso la propria ragion d’essere economica. Ma ogni città ha bisogno di qualcosa. Smettiamola di pensare a questi spazi come shopping centers decaduti, e iniziamo a considerarli potenziali complessi mixed-use. [Victor Dover, Architetto].

Come è possibile riutilizzare i centri commerciali per promuovere città migliori? Uno dei maggiori ostacoli all’edificazione mixed use sono le attuali norme di zoning. Lo zoning corrente tende a separare gli usi dello spazio anziché mescolarli. La maggior parte dei costruttori e dei modelli di pianificazione urbanistica lavorano secondo questi principi tradizionali. Ne consegue che si creano involontariamente vaste zone dipendenti dall’automobile, dove le funzioni residenziali sono separate da commercio e servizi. Gli urbanisti in città come Nashville stanno tentando di sviluppare un nuovo tipo di aree omogenee, che rendano più facile ai costruttori realizzare quartieri di tipo tradizionale. Come sottolinea il responsabile per l’urbanistica di Nashville, Rick Bernhardt, “Si pensa di solito che ciascuna comunità abbia un nucleo centrale, con le zone funzionali collocate attorno”. Molti insediamenti suburbani mancano di un nucleo centrale, e i greyfields sono grandi a sufficienza per svolgere questa funzione, se configurati opportunamente.

I complessi commerciali in disuso sono un’enorme occasione per le città, perché si ridefiniscano attorno a un nucleo centrale. Possono essere progettati sistemi di strade che colleghino il mall ai quartieri circostanti. È possibile incorporare le fermate del trasporto pubblico, a offrire un’occasione di spostamento da e per i posti di lavoro. Spazi pubblici come biblioteche, uffici pubblici, strutture scolastiche o agenzie di servizio possono contribuire a rendere più attrattivo il complesso. Come già detto, le dimensioni della maggior parte dei greyfields li rendono adatti anche all’insediamento residenziale. Una certa varietà di usi dello spazio li rinforza l’uno con l’altro, in modo da sostenere la vitalità del luogo a tutte le ore, tutti i giorni della settimana.

Non tutti questi spazi commerciali dismessi sono buoni candidati a un riuso multifunzionale. I costruttori desiderano un ragionevole ritorno economico ai propri investimenti, ed esitano di fronte a progetti rischiosi. Ma anche il settore pubblico può giocare un ruolo centrale in questi processi di riuso. Dimensioni e localizzazione dei greyfields li rendono spazi adatti per scuole, campus di istituti superiori, parchi, uffici governativi e di associazioni. Trovare le funzioni più adatte per uno spazio del genere richiede una capacità di visione che vada oltre il “riconfezionare un ambiente commerciale”. Il resto di questo manuale, è dedicato alle raccomandazioni per il riuso di un greyfield. Particolare attenzione è posta al comprendere le dinamiche urbane, di quartiere, e i bisogni del mercato.

Alcuni esempi

Si chiama demalling il riuso di un ex centro commerciale a nuove funzioni. Come già accennato nei paragrafi precedenti, le possibilità comprendono funzioni miste, usi civici, o altro commercio. Anche se il riuso dei greyfields appare perfettamente logico in teoria, la realtà pratica è molto più complessa. I progetti coinvolgono numerosi soggetti interessati, milioni di dollari, complesse collaborazioni, e il consenso della comunità. Gli elementi esposti di seguito, secondo un ordine casuale, sono essenziali a facilitare il passaggio di un progetto greyfield dalla teoria alla pratica.

La comunità e la partecipazione pubblica

Per questa guida, sono stati intervistati diversi professionisti del campo immobiliare, architetti e funzionari pubblici, al fine di compilare un elenco dei passi necessari al riuso dei malls obsoleti. Una delle affermazioni ricorrenti fra chi è interessato ai greyfields è che sia essenziale conoscere la relazione fra centro commerciale e città. Che ruolo ha giocato nello sviluppo locale? Quanto è profondo il radicamento di questa struttura? Come può, un piano di riuso, equilibrare bisogni comunitari e interessi economici? per rispondere a queste domande, è necessario coinvolgere nel piano i residenti.

La maggior parte delle persone conoscono il termine NIMBY (Not In My BackYard). Per molte comunità, un ex centro commerciale è meglio di un intervento sconosciuto. Gli abitanti spesso temono i cambiamenti, e istintivamente oppongono resistenza a progetti che possano modificare l’ambiente locale. Quindi, la partecipazione pubblica è un punto irrinunciabile nel riuso dei greyfields.

Senza il coinvolgimento della comunità, gli sforzi per il recupero di questi spazi probabilmente saranno vani. Il Continuum Group di Denver è stato il protagonista del positivo piano di riuso per il complesso Villa Italia di Lakewood, Colorado. Il centro aveva funzionato come polo commerciale dagli anni ’60, soffrendo però di mancati investimenti nel corso degli anni. Seguendo alcuni principi New Urbanism, il piano di riuso ha trasformato i circa 50 ettari del sito da solo commercio a struttura mixed-use con 1.300 case, 80.000 metri quadrati di superficie commerciale, un albergo con 250 stanze, 1,5 ettari di giardini, piazze e altri spazi verdi, un grosso negozio alimentare e 9.000 posti auto. Il progetto è stato eletto a modello per il riuso dei greyfields, ma non è stato per niente facile realizzarlo. Ha richiesto una grande quantità di partecipazione del pubblico.

Come spiega uno degli architetti responsabili del progetto:

Quello spazio aveva una storia di idee e proposte, tutte respinte dalla comunità locale. Per superare questa sfiducia, abbiamo dovuto costruirci approvazione e sostegno. Non siamo arrivati lì con piani e progetti. Abbiamo lavorato con la città per capire i fatti, il potenziale del mall, le caratteristiche desiderate del luogo, le funzioni future più adeguate ... e abbiamo passato molto tempo con le persone in modo che capissero cosa stavamo facendo e cosa volevamo ottenere”.

Questo tipo di approccio ha costruito comprensione, credibilità e fiducia. L’amministrazione locale ha anche coinvolto i cittadini organizzando un comitato consultivo che rappresentava uno spaccato sociale della comunità. Grazie a questo percorso, il pino di riuso ha evitato le potenziali trappole delle paure dei cittadini.

Il governo degli interessi immobiliari

Come molte operazioni immobiliari, anche il riuso può essere reso complesso dagli obiettivi contrastanti di vari proprietari. In molti casi, affittuari, proprietari del mall, proprietari degli immobili adiacenti, possono sabotare i piani di recupero. Alcuni occupanti, per esempio, hanno potere di veto sui progetti che riguardano il complesso. A meno che un unico ente non riesca ad avere in qualche modo un efficace controllo sulla proprietà, un piano può restare paralizzato. I contratti di affitto contengono clausole che proprietari e occupanti usano come merce di scambio. La contrattazione rappresenta la chiave per superare questo ostacolo, ma può essere necessaria la minaccia di esproprio da parte dell’ente pubblico, per i rappresentanti più ostinati di alcuni interessi. Tom Dujan, architetto del progetto Villa Italia, spiega che “la volontà e una buona idea non bastano, perché alcuni sotto-interessi riescono ad impedire che le cose succedano. Nel nostro caso l’amministrazione locale era disponibile a usare il potere di esproprio, per assicurare unità di intenti”. Ciò richiede una considerevole spesa, di tempo e denaro.

Anche nel caso del Bayshore Mall vicino a Milwaukee, Wisconsin, l’amministrazione locale era disponibile a utilizzare il potere di esproprio. Il vecchio mall era troppo piccolo per interessare il mercato, e doveva espandersi da circa 50.000 a 100.000 metri quadrati. Sinora, il progetto ha realizzato 35.000 metri quadrati di commercio, 10.000 di uffici, e 20-40 edifici residenziali del tipo town house in un ambiente pedonale. Una volta completato, comprenderà ristoranti, palestra, strutture sanitarie, un teatro, un negozio alimentare di categoria superiore.

Un impegno pubblico/privato

Come già accennato, i progetti mixed use per i complessi commerciali in disuso possono essere dispendiosi. Aumentare la densità e promuovere i collegamenti richiede investimenti sostanziosi in infrastrutture. L’organizzazione e realizzazione di strade, verde, piazze, marciapiedi è costosa. In più, la maggior parte di questi spazi non possono essere sottoposti a tariffa, vista la collocazione suburbana della maggior parte dei centri commerciali. Per finanziare questi interventi tanto radicali, ci deve essere la volontà del settore pubblico di investire nel progetto. Costruttore, comunità locale e amministrazione cittadina devono collaborare alla creazione di una struttura pubblica di finanziamento finalizzata alla realizzazione di uno spazio pedonale. I sostenitori del progetto devono convincere i potenziali associati del vantaggio economico dell’investimento. Dunque è necessario un alto livello di complessità per coordinare i meccanismi di finanziamento e gli interessi di lungo termine di tutti gli associati al programma.

Conoscenza

La maggior parte degli intervistati è stata cristallina riguardo al bisogno di cominciare il processo da zero, evitando qualunque approccio rudimentale a questi spazi. In primo luogo, i costruttori devono sapere se prodotti e servizi si collocheranno bene in quel luogo. Ciò dipende dalle condizioni del mercato locale e dai modi di intervento. La forma fisica ideale dell’ambiente può variare a seconda delle dimensioni della proprietà, degli stili architettonici circostanti, delle caratteristiche accettabili dalla comunità.

Esiste il pericolo di un approccio per formule rigide al riuso dei greyfields. Per esempio, la definizione di un piano generale corretto richiede una conoscenza approfondita degli spazi pubblici, delle sezioni stradali adeguate e dimensioni dei marciapiedi, che non sono uguali per qualunque intervento.

I costruttori devono sapere cosa funziona, e cosa no, in termini di architetture e spazi pubblici. Saranno centinaia di scelte sulle dimensioni, il rapporto fra edifici strade, l’animazione dei marciapiedi, la facilitazione dei collegamenti fra punti diversi, a determinare il funzionamento o meno del complesso. In alcuni contesti, ciò significa che non bisogna risparmiare su edifici, arredi, arte pubblica. E naturalmente tutte queste cose hanno impatti sui costi del progetto.

Ciascun caso deve essere trattato come unico, con una propria logica interna. Si tratti di un progetto mixed use o di riconversione commerciale, la mancanza di conoscenze su progetto, tendenze locali del mercato o bisogni della comunità può condannare al fallimento. Il modo migliore di evitarlo, è di avvicinarsi al problema tenendo conto del contesto, e partire da zero.

Miscela di funzioni

Una delle sfide principali è quella di ottenere la giusta miscela di occupanti dei nuovi spazi. L’ambiente fisico deve essere strutturato in modo attraente per i potenziali inquilini (il progetto non deve essere un “ripensamento”). Per un complesso a funzioni miste, il problema è di attirare una base commerciale insieme ad altre attività economiche, con persone che abitano all’interno, non semplicemente nelle vicinanze. Quella miscela di occupanti, è quella giusta? Molto spesso, è necessario un equilibrio fra catene nazionali e operatori locali. Le attività locali possono contribuire a dare carattere inconfondibile e unità al progetto, ma i vari ristoranti, boutiques, gallerie, devono essere economicamente validi. Nello stesso modo, un eccessivo sbilanciamento verso le grandi catene produce un ambiente commerciale facile da ritrovare in altri complessi concorrenti della regione.

La residenza aggiunge vitalità ed energia a un progetto. Gli abitanti rendono gli spazi vivi ventiquattro ore al giorno. Si tratta di residenti che ricercano un ambiente unico, il che significa che gli affitti possono essere elevati. La sfida e di costruire un ambiente vivo, non facile da riprodurre nel suburbio tradizionale. A sua volta, questo vuol dire che alcune fasce di reddito possono non essere in grado di sostenere gli affitti delle case. Per una vera riuscita, occorre comunque verificare costantemente l’atteggiamento della comunità per i nuovi arrivati.

Gestione

Molte delle idee esposte sinora possono sembrare ottime, ma qualunque progetto si decida, deve avere alla base un solido e funzionante modello economico. Si devono creare valori immobiliari, e ottenere affitti dagli occupanti. I progetti mixed-use sono per propria natura ambienti che necessitano di molta gestione. Un’attività distribuita su tutte le 24 ore richiede più sicurezza, manutenzione e sorveglianza. Dall’acquisizione originaria ai contratti d’affitto, deve essere sostenibile l’impianto finanziario. Per questo obiettivo, va creata una forte struttura di gestione.

Il ruolo del management è egualmente importante anche per i progetti diversi dal mixed-use. La costruzione di alleanze di quartiere, collaborazioni pubblico-private, attrazione di capitali, richiede fiducia in un modello di intervento e gestione. Senza una forte leadership, la maggior parte dei progetti troveranno difficile andare oltre la fase di studio.

Traffico

Quelli che ora sono greyfields a suo tempo sono stati progettati per gestire grossi volumi di traffico. Una delle considerazioni che può promuovere flussi più tranquilli è quella relativa a un’organizzazione funzionale tale da evitare picchi di utenza. Un cinema, ad esempio, attira flussi serali. I momenti di punta del commercio sono di solito i fine settimana. Il momento massimo del traffico residenziale sono l’ora di punta del mattino e quella serale. Con una sana mescolanza di occupanti degli spazi, l’insediamento può limitare i propri impatti sul sistema di mobilità interno ed esterno.

Realismo

Costruttori e operatori devono essere flessibili. Non tutti gli spazi si prestano a diventare ambienti mixed-use tali da attirare inquilini di fascia superiore. Acquisizione, demolizioni e ricostruzioni sono costose. Di fatto, molti greyfields dovranno adattarsi a qualcosa in meno dell’ideale. I complessi commerciali in disuso rappresentano la possibilità di riutilizzare una struttura urbana in modo corrispondente ai bisogni degli abitanti. Dopo una valutazione realistica delle possibilità di intervento, è possibile che il riuso debba orientarsi esclusivamente a residenza, giardini pubblici, strutture scolastiche, uffici amministrativi o altre funzioni.

L’utilizzo finale è in gran parte determinato dagli obiettivi del progetto. Se sono di generare profitti da vendite e relativo gettito fiscale, allora la funzione da preferire è quella commerciale. Se si tratta di offrire servizi alla città, allora sarà preferibile l’opzione per qualche tipo di struttura civica. La lezione, è che i greyfields possono essere anche qualcosa di diverso da semplici grandi magazzini.

Le possibilità del commercio

Non tutti i malls in difficoltà devono abbandonare il commercio a favore del concetto di mixed use. Wal-Mart, Target, Kohls e altre grandi catene stanno cominciando a considerare i centri commerciali in disuso come localizzazioni interessanti. Negli ultimi tre anni, Wal-Mart ha aperto vari negozi urbani a San Diego, Los Angeles, Dallas, Houston, Milwaukee, e a 30 chilometri da New York City. Sempre la Wal-Mart di recente ha inaugurato un punto vendita in un ex Macy’s che fa parte di un centro commerciale da 80.000 metri quadrati a Baldwin Hills Crenshaw (notizia dal National Real Estate Investor, 25 giugno 2003). Uno dei fattori chiave della decisione di aprire il negozio è stata la densità di popolazione: oltre 360.000 residenti in un raggio di cinque chilometri dal centro. Con l’opposizione suburbana ai big box in crescita, gli operatori potrebbero rivolgere lo sguardo ai greyfields nei centri città o nelle fasce suburbane più interne. Uno studio di consulenza commerciale ha calcolato che le catene discount occuperanno 300 spazi come anchor entro centri commerciali entro il prossimo decennio (Business Week, 14 agosto 2003).

Un’altra possibilità commerciale nelle città in corso di trasformazione demografica, è quella del mall etnico. La maggior parte dei complessi commerciali degli anni ’60 e ’70 erano progettati per una clientela bianca di ceto medio. In alcuni casi, l’immigrazione di afroamericani, americani di origine asiatica e latini ha cambiato la composizione sociale degli spazi urbani attorno ai greyfields. Alcuni operatori commerciali, senza capire nel nuove nicchie di mercato, si sono semplicemente allontanati nel corso degli anni. Eppure, in molti quartieri, i centri commerciali si sono evoluti in complessi a orientamento etnico per servire i bisogni degli abitanti secondo modi che costruiscono fedeltà e forte domanda. A chi non conosce le culture locali, alcuni di questi centro possono apparire poco attraenti o degradati. Ma agli abitanti del posto questi complessi offrono un insieme di prodotti e servizi che mancano al centro commerciale classico.

Anche la pubblica amministrazione può intervenire, affittando spazi per servizi sociali di cui c’è il bisogno, e rivolgersi ai nuovi membri della comunità.

Possibilità di re-investimeno sociale urbano

Un eccellente esempio di realizzazione di un autentico elemento urbano è rappresentato dal Jackson Medical Mall di Jackson, Mississippi. Nel contesto di un accelerato sviluppo di tipo suburbano a Jackson, il centro commerciale aveva iniziato la propria crisi nel 1987 rimanendo in gran parte vuoto per dieci anni. Il mall (80.000 metri quadrati) è circondato da una popolazione afroamericana a basso reddito, che dipende per gli spostamenti in gran parte dal trasporto pubblico. Oggi, la struttura è un ottimo esempio del potenziale rappresentato dai greyfields anche per l’investimento pubblico.

Il Medical Mall offre servizi sanitari, molto richiesti, da una popolazione altrimenti sottoservita. Oltre a questo, la miscela funzionale comprende negozi di alimentari, sedi di organizzazioni comunitarie, ristoranti, parrucchieri, negozi di calzature, uffici dei servizi sociali, un’agenzia di credito e scuole private. Anche la Jackson State University, la University of Mississippi (tramite la scuola di medicina) e il Tougaloo College hanno spazi per la ricerca e la didattica al Medical Mall. L’Ufficio Sanitario della Hinds County, alcuni uffici locali e vari servizi sociali operano all’interno del centro.

Il caso del Medical Mall è un esempio di come il riuso dei complessi commerciali dismessi possa avere successo anche in ambienti a basso reddito. L’intero passaggio da uno shopping mall regionale obsolescente, ad una struttura di servizio urbana ha richiesto oltre dieci anni. Il successo dell’operazione si può attribuire ad una forte capacità di visione, alla valutazione realistica dei bisogni sociali, e alla capacità di costituire un gruppo di persone orientate al reinvestimento comunitario. La miscela di servizi sanitari, università, organizzazioni locali, commercio, uffici pubblici cittadini e statali, è stata tenuta insieme dall’obiettivo di servire la città.

Cosa limita le possibilità dei greyfields

I progetti come Villa Italia mostrano che i complessi commerciali in disuso possono essere convenienti per gli investitori. Ma, per ogni Villa Italia, c’è un Cloverleaf Mall di Richmond, Virginia. Il Cloverleaf occupa uno spazio di circa 90 ettari con un valore calcolato a 65 milioni di dollari nel 1995, caduti a 12 milioni nel 2003. Le tasse immobiliari generate dal mall sono cadute da 700.000 a 130.000 dollari nello stesso periodo. Negli anni, gli abitanti più agiato hanno abbandonato il quartiere, i negozi anchor se ne sono andati, e la zona è considerata pericolosa. Questo spazio certo potrebbe non produrre ritorni economici tali da attirare il commercio trendy, ma potrebbe essere più utile alla comunità dal punto di vista dell’istruzione, dei servizi sociali, dei bisogni residenziali degli abitanti.

Conclusioni

Gli esempi esposti in questo manuale rappresentano un punto di partenza. Sono desunti da casi studio in ambienti diversi. Probabilmente, dimostrano come è possibile sfruttare la “miniera” rappresentata dai complessi commerciali in disuso in modi che contribuiscano alla qualità della vita locale. A seconda delle condizioni specifiche di mercato, il riuso dei greyfields deve essere flessibile e rispondere ai bisogni del quartiere. La Atlanta Regional Commission (ARC) si è impegnata attivamente per coinvolgere rappresentanti della comunità nell’ambito del riuso dei greyfields. La ARC si è concentrata sul ruolo del settore pubblico nello stimolare il riuso, e si rivolge soprattutto alle agenzie pubbliche che intendono sviluppare piani per greyfields. La ARC ha individuato alcune variabili fondamentali per il successo di questi progetti, come:

• Identificare i siti greyfield maturi per l’intervento

• Coinvolgere i soggetti interessati

• Costruire collaborazioni pubblico-privato

• Organizzare gruppi di lavoro interdisciplinari

• Impegnare risorse economiche per l’attuazione

Molte città hanno fatto esperienze valide seguendo questo percorso per il recupero di zone industriali dismesse [brownfields]. Molti aspetti sono applicabili anche ai greyfields. Costruire un elenco di disponibilità, ad esempio, è indispensabile per individuare i siti che necessitano di sostegno finanziario pubblico. La costruzione della società pubblico-privata con partecipazione della cittadinanza e l’attivazione dei gruppi multidisciplinari sono pure essenziali, e molte città possiedono programmi modello che possono essere utilizzati a stimolare il recupero.

Le informazioni di questo rapporto offrono una cornice generale. Iniziando da nuove prospettive, le comunità e il mondo economico possono iniziare nello stimolante lavoro di convertire i greyfields a elementi di valore urbano.

Nota: il testo originale, integrato a tutti gli altri capitoli della manualistica, al sito della University of Louisville; qui su Eddyburg, due studi del Congress for the New Urbanism sulle "zone grigie" commerciali, uno analitico, e uno di proposta; di seguito, links ad alcuni casi citati nel testo, e il file PDF scaricabile di questa traduzione. Per la (scarsa) bibliografia faccio riferimento al testo originale (f.b.)



Villa Italia Lakewood, Colorado

Jackson Medical Mall, Jackson, Mississippi

Manuale_greyfields

Titolo originale: Park wins out over Wal-Mart – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

La Gainesville City Commission ha tolto Northside Park dal mercato lunedì, votando contro il proseguimento di qualunque discussione sullo scambio con la Wal-Mart per la costruzione di un supercenter.

Dopo più di tre ore di dibattito e interventi degli abitanti, i commissari hanno votato 4 contro 3 per interrompere l’esame della proposta che avrebbe consentito di scambiare Northside Park, una superficie di 13 ettari all’incrocio della 34° Street con la statale 441, con un’altro appezzamento acquistato dalla Wal-Mart all’incrocio della statale con la 53° Avenue, di 37 ettari.

In più, Wal-Mart avrebbe versato 1 milione di dollari per lavori di allestimento delle strutture per il tempo libero sull’area.

Il sindaco Pegeen Hanrahan, considerato l’ago della bilancia per il voto della commissione prima dell’incontro, ha dichiarato che la decisione è stata determinata dal collegamento della proposta di Northside Park con un supercenter, dalla complessità delle operazioni per lo scambio funzionale tra i due terreni, e infine dalla credibilità dell’amministrazione nel gestire il proprio verde.

”C’è una certa sacralità per quanto riguarda un parco, e una carta credibilità per un governo locale, su come gestisce le destinazioni d’uso” ha detto la signora Hanrahan.

Rinunciando a quel parco, la città potrebbe perdere la fiducia di altri orientati a donare superfici in futuro, o di chi potrebbe scegliere un’abitazione in base alla vicinanza a spazi per il tempo libero, ha aggiunto.

Dopo la delibera, il portavoce di Wal-Mart Eric Brewer ha affermato che la compagnia comincerà a cercare un’altra collocazione. Wal-Mart è decisa a costruire supercenters sia a nord che a est di Gainesville, ha detto Brewer.

”È sconcertante” ha commentato Brewer a proposito della decisione. “Specialmente vista la difficoltà dell’amministrazione di trovare risorse per il verde, di recente”.

la delibera di lunedì è il terzo caso dal 2003 in cui i commissari cittadini di Gainesville hanno respinto proposte della Wal-Mart. Lo scambio dell’area di Northside Park era stato suggerito alla compagnia dall’ex City Manager Wayne Bowers, affermano i consiglieri, dopo il secondo fallimento di costruire un supercenter sulla 53° Avenue nord-ovest lo scorso luglio.

Circa 140 people, compresi consiglieri - in carica ed ex – della città e della contea, hanno partecipato alla riunione, interrompendo a volte il dibattito con applausi o commenti.

Quando la signora Hanrahan all’inizio ha chiesto di verificare la posizione del pubblico presente sul tema, quasi tutti hanno manifestato opposizione.

”Apprezzerei una fiducia della commissione nel fatto che i cittadini siano in grado di esprimere cosa vogliono e di cosa hanno bisogno” ha dichiarato nel corso del dibattito Carol McCoy, abitante del nord-ovest di Gainesville che si era opposta negli anni ’80 ai tentativi di vendere Northside Park.

I commissari avevano anche ascoltato il costruttore Phil Emmer, che offriva un altro milione di dollari per la creazione del nuovo parco sulla 53° Avenue nord-ovest.

Il commissario Warren Nielsen ha comunque incoraggiato Emmer a sostenere gli spazi per il tempo libero, lì o altrove in città.

”Mantieni quella visione, stringila con pugno di ferro” ha detto Nielsen.

”Non so cosa succederà stasera o nel futuro, ma non lasciamo che la decisione di oggi possa modificare il sogno” ha aggiunto.

Prima che la commissione iniziasse i lavori di fronte al municipio circa cento persone hanno partecipato alla manifestazione organizzata da “ Save Our Parks”, gruppo che si oppone allo scambio di superfici. Alcuni leaders del gruppo hanno parlato dall’ingresso del municipio, mentre i dimostranti agitavano cartelli, battevano sui tamburi e cantavano, contro l’ipotesi di edificazione su Northside Park.

”Deve restare quello che è stato per gli ultimi trent’anni: un giardino di quartiere” annuncia attraverso un megafono il militante di Save Our Parks Rob Brinkman alla folla.

Nel corso della discussione il commissario Chuck Chestnut ha espresso il dubbio che il dibattito si svolgesse in una atmosfera di contrasti razziali. L’osservazione si riferisce al fatto che c’erano oppositori bianchi allo scambio del nord-ovest Gainesville contro alcuni neri favorevoli dell’est, perché lo scambio significherebbe la realizzazione del supercenter lì.

Chestnut ha chiesto che lo Equal Opportunity Office cittadino esaminasse i programmi per migliorare le relazioni razziali.

Ma il sindaco Hanrahan ha sostenuto che le opinioni divergenti non si basavano – come invece sostento da Chestnut – sull’idea che Wal-Mart non fosse adatto alle zone più ricche della città. Si tratta invece, ha sostenuto la signora, di bisogni diversi per zone diverse della città, con diversi desideri di sviluppo.

”Questa è una città molto diversificata, ed è dura per una persona tentare di rappresentare tutti gli interessi e bisogni della comunità di Gainesville," ha concluso la signora Hanrahan.

Le contrapposizioni di commissari e residenti sul problema si basano in gran parte sull’impatto del progetto per le zone di tempo libero a Gainesville. I sostenitori della proposta sottolineano l’aumento delle superfici a verde e attrezzature realizzabili sulla 53° Avenue nord-ovest, invece dell’attuale destinazione ad area edificabile.

”Credo che tutti in questa commissione abbiamo dimostrato ripetutamente di voler salvare i nostri parchi” ha detto il commissario Rick Bryant, sostenitore dello scambio. “Molti vogliono tutelare e migliorare i parchi, ma è difficile farlo in un’epoca in cui è difficile trovare risorse”.

Gli oppositori della proposta hanno sottolineato l’importanza del Northside Park per i quartieri lungo la statale 441 e sollevato preoccupazioni ambientali sui danni che causerebbe l’edificazione del sito di Northside Park, e il tipo di attività di Wal-Mart.

Hanno giocato un ruolo importante anche considerazioni economiche. Contemporaneamente alla proposta di scambio su Northside Park, la Wal-Mart ha ipotizzato un supercenter sulla Waldo Road da realizzarsi contemporaneamente a quello a Gainesville nord-ovest.

”So che porterà altro commercio, ristoranti e opportunità di impiego in quella zona di Gainesville” ha dichiarato Chestnut.

Ma molti interventi hanno definito questa doppia proposta un ricatto.

”Non hanno alcun impedimento all’edificazione lì, salvo tentare un’estorsione” ha detto la cittadina Sarah Poll.

Nota: il testo originale al sito del Gainesville Sun ; in questo articolo di Francesco Piccioni dal manifesto, le nuove strategie sindacali internazionali contro Wal-Mart (f.b.)

È sempre stata considerata , una preda ambitissima da investitori italiani e stranieri. Tanto che in molti, in passato, avevano provato a darle la caccia ma senza successo. Lo scorso 22 aprile, però, dopo due anni di faticose trattative, l’affare è stato finalmente concluso. Infatti, Aletti Merchant, merchant bank del gruppo Banco Popolare di Verona e Novara, e Investindustrial, la finanziaria di partecipazioni che fa capo alla famiglia Bonomi, hanno annunciato l’acquisizione del 90% del capitale di Gardaland, il maggiore parco divertimenti italiano e uno tra i primi nel mondo. Il valore dell’operazione è di circa 300 milioni di euro e per l’acquisizione è stata utilizzata la società veicolo Cornel, controllata pariteticamente, con il 45% a testa, da Aletti Merchant e Investindustrial. Della la cordata fa parte anche Italian Lifestyle Partners II, società di partecipazioni riconducibile a Gaetano Marzotto e Marco De Benedetti, che detiene il 10% di Cornel. Il rimanente 10% del capitale del parco divertimenti di Castelnuovo del Garda è rimasto nelle mani di alcune tra le famiglie fondatrici della società. A presiedere il nuovo consiglio d’amministrazione di Gardaland, dove entreranno, tra gli altri, Gaetano Marzotto e Ettore Riello, è stato chiamato l’imprenditore dolciario Alberto Bauli (che è stato appena nominato anche vice-presidente della Banca Popolare di Verona). Mentre Sergio Feder, da 7 anni amministratore delegato del Parco, è stato confermato nel suo ruolo. Sulle ragioni dell’appetibilità di Gardaland i numeri parlano da soli: un fatturato di 100 milioni di euro con un margine operativo lordo di 41 milioni; 1700 dipendenti; 3 milioni di visitatori all’anno; oltre un milione di metri quadri di superficie totale, di cui 500 mila adibiti al solo Parco; 130 artisti a contratto provenienti da tutto il mondo.

Oggi, il Parco può contare su più di 40 attrazioni per soddisfare le esigenze dei suoi visitatori, propone 40 show giornalieri, è dotato di 18 negozi e di 20 punti di ristoro, tra cui 5 ristoranti a tema. Inoltre, lo scorso anno, la società ha avviato un progetto di diversificazione estendendo le proprie attività anche al comparto alberghiero dando vita al Gardaland Hotel Resort.

Invece, i motivi del fallimento dei precedenti tentativi di scalata e la laboriosità dell’acquisizione appena conclusa vanno ricercati nell’estrema frammentazione dell’azionariato e in una norma dello statuto che fissava la soglia di controllo all’81% del capitale della società. Gardaland era una specie di public company all’italiana con ben 250 soci, di cui i primi 4 controllavano il 51% dell’azienda. Una situazione che ha comportato momenti difficili di governance, liti giudiziarie, frequenti passaggi di quote e la formazione di fazioni in guerra tra loro che hanno bloccato diversi tentativi di takeover.

Ci avevano provato gli inglesi del Tussauds Group (quelli del famoso museo delle Cere di Londra) prima da soli e, poi, insieme a Investindustrial. Senza contare che, negli anni 90, la svizzera Ubs Capital era entrata con il 20% del capitale ma, in seguito, aveva dovuto rinunciare. “È stata una faticaccia - racconta Andrea Bonomi, presidente di Investindusdtrial - ce l’abbiamo fatta al terzo tentativo grazie all’intervento della Popolare di Verona che è riuscita ad avvicinare e convincere molti piccoli azionisti locali, che per noi erano irraggiungibili, a vendere le proprie quote. Adesso, però, siamo soddisfatti perché quello dei parchi di divertimento è un bellissimo business. E Gardaland vanta indici di redditività e un posizionamento competitivo sul mercato veramente unici”.

E un grande compiacimento per il closing dell’operazione è riscontrabile anche tra il management di Aletti Merchant: “In questa acquisizione - spiega Luca Modonesi, il direttore generale - si riflette la strategia del nostro gruppo bancario di essere sempre più presente nella realtà delle imprese dei territori in cui siamo radicati, un elemento che abbiamo voluto ulteriormente sottolineare con la nomina, a nuovo presidente di Gardaland, di Alberto Bauli”.

Per quanto riguarda gli sviluppi futuri i nuovi azionisti ci tengono a mettere in evidenza che il loro investimento non è di breve termine ma ha un orizzonte di almeno 3-5 anni con un obiettivo finale che potrebbe essere la quotazione in Borsa della società. Per adesso, però, punteranno a un consolidamento dei risultati ottenuti dal Parco con una strategia che prevede maggiori investimenti promozionali, l’espansione del pubblico di riferimento (passare dalla fascia di 4-14 anni a quella di 4-18), l’allungamento della fruibilità dei divertimenti (con più posti letto), l’ampliamento dell’offerta di attrazioni e il prolungamento della stagione (ospitando nuovi eventi). Insomma, Aletti Merchant e Investindustrial sono arrivati per restare e, dopo il grande sforzo fatto per avere partita vinta, vogliono veder fruttare il proprio investimento.

Titolo originale: One Happy Big-Box Wasteland – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Volete sentirvi come se foste a Tucson oppure Boise o Modesto o Wichita o Muncie e non conta maledettamente niente, perché come nazione abbiamo perso qualunque senso comunitario e dei luoghi? E perché mai: andate un po’ più avanti, fino al prossimo svincolo. Proprio qui, esattamente questo.

Ah, eccolo, un altro gigantesco big-box mega-strip mall, enorme vessillo di gloriosa decadenza urbana, possente punto esclamativo del consumismo impazzito. Questa è l’America. Ci siete arrivati. Siete a casa. Mangiatelo e sorridete.

C’è Target. C’è Wal-Mart e ci sono Home Depot, e Kmart, Borders, Staples, e il Sam’s Club e Office Depot, e Costco, e Toys “R” Us, e naturalmente l’obbligatorio Container Store dove potete comprare altri enormi vasconi di plastica dove buttare tutte le vostre nuove porcherie prodotte in nero.

Di cos’altro avete bisogno? Ah, si: cibo. O qualcosa che ci si avvicini. C’è Wendy, e Burger King, e l’ibridoTaco Bell/KFC, e il Mickey D’s, e Subway e Starbucks e dozzine di altri mostri del cibo spazzatura allineati sulla strada come pedine del Domino velenose, appostati in attesa di bistrattarvi le arterie, avvelenarvi il cuore, e farvi pensare all’ospedale.

E qui arriva la parte migliore: l’immagine è la stessa di dieci chilometri fa, i denti a quella fra dieci chilometri, lo stesso esatto cumulo di insidiosi edifici che troverete più o meno in altre diecimila noncittà in tutto il paese, ciascuno e tutti a farvi sentire legati alla città dove state e al corpo che abitate, così come si sente un pesce su Saturno. Al buio. In un buco. Morti.

Questa pestilenza l’avete vista voi, l’ho vista io. Chiunque ha più di trent’anni l’ha vista evolversi da un piccolo focolaio alla fine degli anni ’80 alla fase acuta dell’epidemia, con l’inferno commerciale dei big-box. Di recente ero nel nord dell’Idaho, dove la mia famiglia possiede da quarant’anni una magnifica casa su un lago in un piccolo paese vicino al confine col Canada, e per andare nella zona si deve attraversare la crescita esplosiva del centro turistico di Coeur d’Alene, dove l’epidemia ha colpito forse peggio che ovunque entro un raggio di cento chilometri.

Sono anagraficamente vecchio abbastanza per ricordare quando attraversare Coeur d’Alene voleva dire fermarsi esattamente a un – uno – semaforo sulla Highway 95 verso nord, circondati più o meno da un milione di pini, da panorami montani mozzafiato e da vasti, tranquilli spazi aperti, campi e fattorie, segherie e curiosi negozi lungo la strada, bellissimi laghi, per chilometri.

Ora ci sono più o meno venti semafori, aggiunti in altrettanti anni, sparpagliati su quindici chilometri di strada, e ciascuno di essi segna l’ingresso a massicci e orrendamente progettati bassi complessi commerciali, mal costruiti, senz’anima ed evidentemente senza che si usasse alcun criterio urbanistico per questi mega-negozi, salvo distanziarli in modo così esagerato che si deve risalire dentro la maledetta automobile per fare il chilometro dal Target, al Best Buy, al Wal-Mart, al Super Foods, e tornare ad una scossa sanità mentale.

Volete saperlo, cosa deprime lo spirito americano? Volete saperlo, perchè sembra che la tirannia della mediocrità si sia stesa sul nostro mondo? Volete sapere cosa instilla più pensieri suicidi e produce una rabbia sorda e disperata, la cui fonte non riusciamo a identificare, ma sappiamo che sta proprio sotto il nostro naso, e per attenuarla prendiamo vagonate di Prozac e Xanax e Paxil?

Ho la risposta. Eccola. Guardate. È questa orribile diffusione di big-box strip malls, casette suburbane come cancro, metainsediamenti asfaltati sopra il paesaggio americano, tutti a costruire una bizzarra sensazione di grande perdita, eccesso di vuoto, saturazione senz’anima, e che ci obbliga a formulare una volta ancora la Grande Domanda Americana: come è possibile avere dannatamente tanto, e sentirsi come se non avessimo quasi niente?

Ah, tra l’altro, a Coeur d’Alene c’è una parte centrale della cittadina, ben lontana dalla strada avvelenata. È calma, piena di alberi, graziosamente vuota e stipata di ristoranti, e gallerie d’arte. E di agenzie immobiliari. Per gli yuppies. Perché, ovviamente, non è rimasto nessun negozio locale. Nessuna bottega a gestione familiare, e pochissime piccole attività in genere. Nessun fascino. Nessuna vera comunità locale. Solo cibo ben confezionato e arte mediocre, che nessun vero residente locale può permettersi, e qualche business park dove un tempo stava il centro.

Non ho idee chiare su cosa vedranno, invecchiando, i bambini che crescono dentro a questa specie di bizzarra distopia megaconsumistica, che razza di prospettiva distorta e senso dei luoghi, della comunità, della casa, decimato. Ma se pensate che la dipendenza da metadone e le gravidanze minorili, e la perversa omogeneità religiosa, o la spaventosa dipendenza dalla violenza dei videogiochi non siano una reazione a tutto questo, probabilmente non ci avete prestato abbastanza attenzione.

Questa è la nuova America. Il nostro senso di possesso impazzito, il nostro quasi rabbioso desiderio di portar via montagne di paccottiglia a poco prezzo ha portato all’ascesa dei negozi scatolone senz’anima, che poi hanno portato a quella sensazione di mortale di identità prefabbricata, uguale ovunque andiamo. E qui arriva il botto: crediamo che sia un bene. Crediamo che aiuti, produca posti di lavoro, gettito fiscale, prodotti a buon mercato. Lo chiamiamo progresso. La chiamiamo possibilità di scelta. È esattamente il contrario.

Risultato n. 1: le città hanno perso personalità, individualità, anima. La comunità arranca. L’ambiente soffre. Il nostro paesaggio un tempo diversificato e capriccioso e idiosincratico diventa piatto, brutto, vacuo, banale.

Risultato n. 2: c’è un falso senso di sicurezza, comodità, fatto di vuoto sempre uguale. Vogliamo che tutti i prodotti siano asettici, disinfettati, lucidi e illuminati. In una nazione che ha perso il senso dell’orientamento, l’orgoglio, il cui dollaro è uno scherzo globale, la cui economia sta andando in fumo, i cui prodotto sono tutti fabbricati oltremare, e il cui incompetente guerrafondaio leader è la macchietta mondiale, questo velenoso sempre identico risulta, paradossalmente, rassicurante.

Risultato n. 3: ci siamo abituati, ancora una volta, alla paura del diverso, l’Altro, la Chi non si Adegua. Impariamo a non gradire il particolare, lo straniero, gli stranieri. Perdiamo il senso del rapporto personale con quello che creiamo o compriamo, e non mi importa quanto poco costi quel tappeto di juta dell’Ikea: se sono prodotti in serie 100.000 alla volta in una fabbrica in Malesia, non sono niente di speciale.

L’Identico è tra noi. L’Identico è la nuova oscurità. Non è diverso dalle vacanze preconfezionate a Disney World o dalla religione organizzata o dalle crociere o dai ristoranti a tema, dove tutti gli angoli sono arrotondati e ogni esperienza predigerita e sterilizzata a vostra protezione, perché Dio proibisce l’esperienza autentica o l’osservazione da una vera prospettiva individuale, o l’osare discutere la semplice norma, oppure i Poteri ti guarderanno come una seria minaccia.

Ho visto la pestilenza, e l’avete vista anche voi. Anzi, probabilmente ci state dentro, a far compere. Dopotutto, che scelta avete?

Nota: il testo originale al sito SFGate (f.b.)

Philadelphia City Planning Commission, Neighborhood Design Guidelines for all of Philadelphia Neighborhoods – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Linee guida per le parti commerciali

L’insediamento commerciale è componente necessaria di una città vitale. Le seguenti definizioni e raccomandazioni vengono esposte in tre parti.

La prima descrive i tipi di funzioni commerciali presenti nei vari quartieri della città.

La seconda sezione offre linee di progettazione applicabili ai nuovi insediamenti commerciali infill nei quartieri residenziali esistenti, e a quei complessi commerciali che abbiano necessità di restauro e ristrutturazione.

L’ultima parte espone le raccomandazioni progettuali da applicarsi ai grandi insediamenti commerciali esterni ai quartieri residenziali.

A. Tipi di insediamento commerciale:

Il commercio del centro città

Il cuore commerciale è diverso da qualunque altro quartiere della città. Caratterizzato da alte densità e attività, il core contiene una miscela di funzioni come commercio, residenza, spazi aperti. Un fenomeno tipico di questa area è la collocazione di spazi commerciali al pianterreno di edifici residenziali o a uffici.

I negozi di strada a gestione familiare

Il negozio d’angolo è una forma commerciale tradizionalmente pedestrian friendly dove le attività si collocano al pianterreno di un edificio posto a un incrocio in un quartiere residenziale.

Il commercio a orientamento stradale / Corridoi commerciali

In molti quartieri di Filadelfia l’organizzazione commerciale tradizionale è lungo corridoi di mobilità, caratterizzata da pianterreno commerciale, e residenza, attività produttive o uffici a quelli superiori. Questo tipo di insediamento mixed-use è quello consigliato nel caso di ristrutturazione delle fasce commerciali esistenti, o di nuova realizzazione lungo i principali “corridoi di trasporto pubblico.”

Il Big Box

Il commercio di tipo Big Box richiede grandi superfici e parcheggi, e può occupare sia spazi entro un centro commerciale a orientamento stradale, sia spazi autonomi. Il commercio Big Box ha poche o nessuna correlazione con il contesto, privo com’è di aperture, con scarsi o nulli dettagli architettonici.

Centri e fasce commerciali

I malls sono insiemi di grandi negozi e punti vendita di catene nazionali su ampie superfici, con grande disponibilità di parcheggi. Centri e fasce commerciali sono caratterizzati da magazzini che fungono da anchor a ciascuna estremità, inframmezzati da negozi più piccoli. I malls tendono ad avere collegamenti al coperto fra i vari negozi, mentre le strisce commerciali li hanno all’esterno.

B. Linee di progettazione per l’insediamento commerciale all’interno dei quartieri residenziali:

Le raccomandazioni che seguono valgono sia per gli interventi su complessi esistenti, sia per le nuove edificazioni interstiziali.

1. Dimensioni e organizzazione

Deve essere definita una dimensione pedonale, con dettagli gradevoli, e facciate aperte e invitanti.

2. Progettazione coordinata e rapporto con la strada

• Il fronte commerciale deve mantenere l’arretramento esistente. Questa “ street line” è molto efficiente per chi fa acquisti, e crea una piacevole composizione di edifici. I progetti che modificano l’allineamento di un particolare fronte rispetto a quelli vicini sulla strada devono avere motivi di qualche significato progettuale o funzionale per farlo.

• Si consiglia che i nuovi edifici commerciali, o le nuove facciate degli edifici esistenti, vengano progettati contemporaneamente, mantenendo la posizione tradizionale relativamente alla linea stradale.

3. Ingressi e percorsi

• Devono essere realizzati per tutti i negozi punti ben identificati di accesso e uscita, per pedoni e veicoli.

• Deve essere considerato che ingressi trasparenti con invitanti legami rispetto all’ambiente pubblico fanno parte integrante di ogni negozio ben riuscito.

4 . Parcheggi

• I negozi hanno bisogno di stare molto vicini a comodi parcheggi.

• I parcheggi devono essere non vistosi, meglio se non collocati davanti ai negozi a lato strada.

5. Illuminazione e vetrine

• Le zone commerciali devono contribuire e promuovere l’attività delle strade nelle ore diurne e serali. Ciò si realizza anche attraverso illuminazione e ampie vetrine che consentano la visuale all’interno dei negozi, aumentando in tal modo la sicurezza.

• I negozi non devono avere pareti cieche prive di aperture lungo pubbliche vie, in particolare lungo quelle principali.

• Parcheggi, percorsi pedonali, zone di servizio, devono essere ben illuminati per tutta la notte. L’illuminazione deve essere sufficiente ad assicurare la sicurezza di pedoni e veicoli, ma non deve invadere le zone residenziali adiacenti, che non richiedono eccessiva luminosità. In più, si deve evitare l’inquinamento luminoso, un problema generale in diffusione. Ciò può essere ottenuto attraverso una progettazione attenta che sappia controllare quantità, qualità e direzioni dell’illuminazione notturna.

• Le saracinesche di sicurezza, se sono necessarie, devono essere trasparenti. Non serrande metalliche compatte.

6. Insegne e tende parasole

• Le insegne dei singoli negozi devono essere chiare, e comunicare l’identità del punto vendita che rappresentano. Insegne progettate in modo inventivo possono anche riflettere identità o “personalità” del quartiere.

• I tendaggi parasole devono essere progettati e realizzati secondo le modalità previste per la via. Conferiscono individualità alla strada.

7. Aree per servizi e rimozione dei rifiuti

• Le gestione dei rifiuti deve avvenire in uno spazio di servizio condiviso da più esercizi commerciali quando possibile, ed efficacemente schermato.

• Questa area schermata deve essere comoda per i negozi, e chiusa.

• Le attività di servizio e consegna devono essere tenute lontane dai percorsi pedonali e dalle zone residenziali adiacenti.

C. Raccomandazioni progettuali per insediamenti commerciali di grande scala:

1. Raccomandazioni per i nuovi centri di quartiere:

a. Posizionare i nuovi insediamenti commerciali nei pressi dei servizi di trasporto collettivo:

• I nuovi insediamenti commerciali devono concentrarsi attorno a nodi di trasporto esistenti o in progetto. I negozi devono essere accessibili con vari mezzi: automobile, autobus, tram, metropolitana, e sempre dai pedoni. [...]

• Inserire spazi aperti: localizzare le aree commerciali presso piccoli e contenuti spazi aperti pubblici dove normalmente la gente possa raccogliersi, far colazione o altre attività tra cui anche lo shopping. Questi spazi possono comprendere verde, acqua, sculture o strutture provvisorie di vendita espansione di quelle esistenti.

b. Architetture “verdi” e arredo a verde

È fortemente consigliato l’uso di architetture “verdi” energeticamente efficienti, e di un arredo a verde con attenzione all’ambiente.[...]

c. Dimensioni e organizzazione generale

• I nuovi insediamenti commerciali devono riflettere scale e organizzazione del sistema stradale esistente. Non devono essere chiuse vie per realizzare sistemi a superblocchi, ma cercato un adattamento al sistema del quartiere circostante.

• I nuovi edifici commerciali si devono comporre o raggruppare secondo i modi degli isolati esistenti nel quartiere. Ciò non significa isolati rigidamente allineati o delle medesime dimensioni di quelli adiacenti.

• Si deve costruire un sistema a scala di pedone, con facciate gradevoli aperte e ricche di dettagli.

2. Raccomandazioni per complessi di grandi dimensioni, come big box e centri commerciali.

a.Ingressi e percorsi

• In tutto l’ambiente commerciale, percorsi pedonali sicuri ed efficienti devono essere connessi l’uno all’altro.

• Gli ingressi ai negozi devono corrispondere ad altre facciate esistenti nel quartiere. I nuovi complessi commerciali non devono avere entrate prospicienti al solo spazio interno, e che lasciano una parete cieca sulla pubblica via.

b.Parcheggi

• Nei nuovi complessi commerciali di grandi dimensioni, quando è economicamente possibile di consiglia che i parcheggi siano collocati a livelli inferiori, o in apposite strutture con gli usi commerciali posti al pianterreno.

• Quando si prevede un parcheggio di superficie, vanno realizzati arredo stradale e a verde così come richiesti nell’ordinanza di zoning [...].

• Nelle progettazione dei garages a parcheggio questi devono essere integrati nel complesso commerciale. Sopraelevazioni degli edifici, e adeguato trattamento generale, possono schermare una struttura a parcheggio anche nel caso in cui la sua massa sia superiore rispetto a quella degli edifici che la circondano.

• Il pianterreno del garage, verso la strada, deve essere ad uso commerciale.

• Le interruzioni nel margine stradale per consentire ingressi e uscite, devono essere ridotte al minimo, o collocate sulle strade secondarie.

Nota: altri documenti (e questo in versione integrale) al sito della Philadelphia Planning Commission ; su Eddyburg della stessa Commissione anche un articolo sulla suburbanizzazione a Philadelphia; di seguito il file PDF scaricabile di questo articolo tradotto (f.b.)

Titolo originale: Disneyland has given us unreal reality – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Non puoi andare a Disneyland, perché sei già lì.

Il parco a tema paradigmatico, che ha raggiunto il cinquantesimo anniversario questo mese, ha avuto una potente influenza sulla cultura americana, e in particolare sulla cultura dei luoghi.

Prima di Disneyland, con qualche eccezione di rilievo, un luogo era quello che era: prodotto della propria storia, geografia, clima, base economica, equilibri sociali e sviluppo tecnologico.

Dopo Disneyland, gli spazi americani sono diventati sempre di più finzioni narrative idealizzate del luogo: non spazi reali, ma meta-luoghi.

Disneyland non era privo di precedenti, in quanto metaluogo.

Più di un secolo fa, venivano progettati grossi sobborghi lungo le linee ferroviarie per pendolari, con pittoreschi centri in stile Olde English, facendo dei loto abitanti personaggi di storie dell’aristocrazia in tweed.

Alcune atmosfere delle sale cinematografiche degli anni ‘20 (come qui a San Antonio il Majestic o l’ Aztec) anticipano Disneyland nelle loro fantasie romantiche di terre esotiche.

I grandi magazzini dei primi tempi, non erano solo luoghi dove si vendevano beni di consumo. Le vetrine, l’organizzazione e programmazione degli stessi negozi, costruivano un racconto del consumo. Le esposizioni mondiali intrecciavano storie sull’idea di progresso e gli ideali degli scambi internazionali.

Ma Disneyland è andata oltre questi precedenti, in molti importanti modi. Non era solo un edificio o un insieme di edifici, ma una città virtuale progettata come insieme narrativo, in cui ogni dettaglio visibile contribuiva alla trama del racconto. A differenza delle esposizioni mondiali, Disneyland era un’installazione permanente, e disseminava il suo racconto su milioni di famiglie ogni settimana, attraverso il proprio spettacolo televisivo.

Al centro della storia, Main Street USA, idealizzazione rosea della via principale nella città natale di Walt Disney, Marceline, Missouri.

Main Street USA ha concretamente modificato le aspettative degli americani rispetto allo spazio urbano in generale, e per le zone storiche in particolare.

Le strade reali avevano tratti utilitari, zone di carico-scarico, uffici prestiti. I veri centri città avevano edifici realizzati in molte epoche, a riflettere il flusso della storia. I veri marciapiedi erano percorsi occasionalmente da qualche ubriaco, scocciatore, o personaggio stravagante. Le vere città avevano depositi merci, e vicoli sul retro.

Nella Main Street di Disney non c’era niente di tutto questo. Era solo facciate, maschera, copione e ordine omogeneo.

Era un ordine paternalistico, involontariamente simbolizzato dalla grandiosa struttura in cui culminava: non un edificio civico a significare valori democratici, ma dal barocco palazzo reale di Cenerentola e del Principe Azzurro.

Gli americani volevano che la vita imitasse l’arte. I distretti storici iniziarono ad essere governati da criteri progettuali a-storici, che richiedevano segnaletica leziosamente di gusto, e architetture “compatibili”. Nacquero nuovi quartieri con le proprie elaborate garanzie di uniformità nel progetto, nel verde, e nelle condizioni economiche.

Il successo commerciale andò agli spazi irreggimentati e privatizzati: il centro commerciale, il quartiere recintato.

I ristoranti che offrivano buon cibo furono eclissati da artefatte e preconfezionate imitazioni di taverne da strada del Texas, baracche di pescatori della Louisiana, fattorie messicane.

Più o meno lo stesso fato si è abbattuto sulla vita politica e intellettuale, dove l’ideologia liofilizzata si è imposta come denaro contraffatto, svalutando il vero pensiero.

Disneyland è cominciata innocuo diversivo, ma ci lascia in eredità una cultura che disprezza e teme l’esperienza autentica.

Nota: qui il testo originale al sito dello Express News ; da confrontare, almeno qui su Eddyburg, al più elegiaco buon compleanno Disneyland diYoshino-McKibben(f.b.)

Non esiste un monopolio della faziosità, ma la lotta è all’ultimo sangue. Come nelle polemiche sulle “periferie”, i cui guai sono stati ascritti dai vari soloni al solito comunismo, alla poca sensibilità dei progettisti (magari pure comunisti) ipnotizzati dal feticcio della modernità, a un’urbanistica rigida e burocratica sostanziata negli standards, o nello zoning monofunzionale.

A girare la boa del mezzo secolo, però, e a mostrare rughe profonde, non sono solo i complessi di residenza popolare del dopoguerra, ma anche quell’ambiente suburbano middle-class che ne ha sempre rappresentato l’immagine speculare: bassa densità, solidi valori familiari, ubique auto private e falciatrici ronzanti nei week-end. Soprattutto, al centro fisico e immaginario di questo ex sogno, il grande centro commerciale suburbano, tempio del consumo e della socialità programmata sui ritmi della grande impresa moderna.

Qui, il socialismo sembra proprio innocente: privatissime le “macchine della crescita” [1] alla base dello sviluppo residenziale per grandi lottizzazioni unifamiliari e reti superstradali, privatissimo (benché garantito dell’ente pubblico) il sistema di rigida separazione dello zoning monouso, che garantiva certezze di investimento, semplicità progettuale, e in fondo una certa aderenza ai modi e tempi della vita nella società industriale. Attorno il mare di casette, sparpagliate qui e là negli svincoli superstradali le grandi piastre dei malls, con ciambella di automobili a contorno.

Paradigma replicato all’infinito (sino a diventare anonimo), il Southdale Mall di Edina, nell’area metropolitana di Minneapolis, aperto nel 1956 su progetto di Victor Gruen, secondo uno schema allora rivoluzionario: una scatola piuttosto anonima, molto arretrata rispetto alla strada e completamente circondata da piazzali a parcheggio, a contenere in un ambiente chiuso e climatizzato tutta l’articolazione commerciale e di servizi. Un successo incredibile, come chiunque può testimoniare semplicemente uscendo di casa e girando l’angolo.

Come gli speculari complessi residenziali di iniziativa pubblica di tutto il mondo, ma (molto spiegabilmente) senza i medesimi clamori sul rapporto fra qualità del territorio e socialismo più o meno strisciante (che, per inciso, non è ancora reato), anche il Southdale Mall alla fine cade a pezzi. Non le strutture edilizie, sottoposte negli anni da proprietà e operatori commerciali a successivi refurbishments, e nemmeno il sistema urbanistico che lo accoglie e sostiene, e che anzi si è arricchito localmente nel tempo di altri complessi simili, lungo la striscia nord-sud fra l’autostrada urbana 62 e la Interstate Highway 494, come i nuovi scatoloni del commercio big-box. Pochi chilometri a est, nel territorio comunale di Bennington a sud della 494, c’è il nipote affetto da orchite: Mall of America, che replica il medesimo modello con la bellezza (?) di oltre mezzo milione di metri quadrati di superficie commerciale.

E anche il Mall of America, come il trisavolo di Southdale, a suo modo cade a pezzi: nell’immagine, nel rapporto con la città, nel suo faticare a mantenere tutte le mirabolanti promesse.

Per farla breve, la municipalità di Edina e gli operatori commerciali hanno preso la loro decisione: dopo i cinquant’anni, qui ci vuole un lifting serio (magari affiancato da psicoterapia). E proprio dai metodi scelti per lo spianamento delle rughe del Southdale Mall, lifting urbanistico e sociale deciso secondo un processo che sembra abbastanza partecipato, è possibile tentare di immaginare una tendenza.

Non è un caso da questo punto di vista che Victor Gruen, famoso soprattutto per i suoi progetti commerciali, abbia collaborato con alcune firme prestigiose (Oskar Stonorov e Louis Kahn, per fare due nomi) anche negli studi di “famigerati” complessi residenziali modernisti ad alta densità. Non è un caso, dicevo, perché forse la crisi di un modello socio-spaziale è identica a quella del suo doppio, e coincide con un mutamento di paradigma più generale.

Quello ad esempio che nella vulgata del nuovo urbanesimo colloca il centro commerciale tra le

Cinque componenti dello Sprawl: “Le lottizzazioni residenziali, dette anche baccelli ... gli Shopping Centers ... posti dove è piuttosto improbabile camminare ... gli Office Parks ... derivati dalla visione architettonica modernista dell’edificio che emerge da un parco ... fatti di solito da scatole e parcheggi ... gli Edifici pubblici .. grossi e rari, di solito spogli per mancanza di fondi, circondati da parcheggi e collocati a caso ... Strade ... chilometri di asfalto necessari a collegare le altre quattro dissociate componenti” [2].

E come osservano gli stessi critici più feroci di questo modello insediativo, non è detto che le sue parti siano di bassa qualità formale o funzionale, anzi. Quello che non funziona, e sempre più rivela debolezze sociali, ambientali, “insostenibilità”, è l’appartenere di questo modello a un immaginario passato, dove si poteva anche prospettare come desiderabile, in assenza di esperienze concrete, un ambiente di vita del genere: lunghi tempi di pendolarismo in auto; luoghi specializzatissmi per fare pochissime cose alla volta; una socialità ben dosata e segregata tra gli ambienti della famiglia, del lavoro, di tempi liberi standardizzati e incomunicanti. A ben vedere, contraddizioni parallele e simili (almeno nel metodo) a quelle dei grandi quartieri modernisti, con le loro relazioni spazio-società studiate a tavolino, per una società più auspicata che reale, e che l’evoluzione concreta di due generazioni ha ridotto a poco più di una caricatura degna al massimo dei serial televisivi o degli spot pubblicitari. Ma anche lo shopping mall, dal punto di vista dell’obsolescenza strisciante del modello generale, non scherza.

Nasce anche da questi presupposti, l’idea del piano Greater Southdale, promosso congiuntamente dall’amministrazione municipale di Edina e dagli operatori commerciali e immobiliari interessati, per la ristrutturazione urbanistica di un’ampia fascia di territorio, e ritentare di costruire mezzo secolo dopo

“aree pedonali di aspetto attraente, con ombra e verde, e sì, anche opere d’arte, perché queste cose attirano più clienti, aumentando gli affari dei negozi ... un buon progetto significa buoni affari” [3].

Un obiettivo dichiarato 50 anni fa, fa ma evidentemente fallito nella segregazione funzionale dello sprawl suburbano, dove il centro commerciale coi suoi originari 64 negozi e due grandi magazzini anchor, le catene Dayton e Donaldson ha attraversato due generazioni di evoluzione sociale e anche insediativa. Il primo tentativo di riorganizzazione risale al 1972, quando si aggiunsero un terzo grande magazzino della catena JCPenney, e nuovi 43 negozi. Poi nel 1990 ci fu un’altra grossa espansione, con un nuovo magazzino Dayton da 35.000 metri quadrati e 50 negozi, che portarono la superficie commerciale complessiva del Southdale Mall a circa 120.000 metri quadrati, esclusi i parcheggi, parte scoperti e parte su tre livelli serviti da rampe. Poi dai primi anni Novanta la concorrenza, a pochi minuti di macchina a est sulla Interstate Highway 494, del Mall of America, con le sue molte centinaia di migliaia di metri quadri di attrazioni varie, e un relativo declino[4].

Ora, la concorrenza col Mall of America la si intende in modo innovativo: non più (solo) aumento di superfici commerciali, ma ripensamento radicale del ruolo dell’area, che non a caso si dilata a una grossa striscia nord-sud assumendo il nome un po’ altisonante di Greater Southdale. Il fatto innovativo è da un lato un recuperato rapporto col resto dell’insediamento,a superare la segregazione funzionale suburbana in una logica di maggior permeabilità e intreccio con le aree residenziali e non circostanti, dall’altro un ribaltamento dell’organizzazione interna. Del resto si tratta di un’idea coerente ai programmi della pianificazione di coordinamento, così come fissati nelle politiche territoriali del Metropolitan Council per l’area regionale delle sette contee di Minneapolis, approvate nel 2004, che per le fasce di alta urbanizzazione ( Developed Communities,con più dell’85% del territorio urbanizzato) a cui appartiene la circoscrizione di Edina, propone un deciso salto verso uno schema insediativo non più suburbano.

Densità maggiori innanzitutto, perseguite attraverso incentivi e incoraggiamento delle iniziative miste pubblico-privato, finalizzate al riuso, rivitalizzazione, edificazione di riempimento, coordinamento nell’uso e modernizzazione delle strutture. Questo dovrà avvenire, definito nei dettagli dalla pianificazione locale, attraverso l’insediamento in queste zone entro il 2030, del 30% delle nuove famiglie e del 50% dei nuovi posti di lavoro. La parola d’ordine, già a livello regionale, sembra essere così mixed-use, ovvero compresenza (da definirsi poi nelle forme concrete in piani e progetti locali) di varie attività entro i medesimi sistemi, utilizzando la medesima gamma di infrastrutture e servizi, seguendo anche una tendenza già manifestata da alcune grandi imprese che

“riconoscono i benefici di legare posti di lavoro e residenze entro la stessa area, attraverso opzioni di trasporto ad alta accessibilità”, e dalle amministrazioni pubbliche che “vedono i vantaggi economici delle ... aree a mixed-use nei propri piani regolatori, adattando le ordinanze locali ... a questi tipi di uso dello spazio” [5].

Un tipo più compatto di insediamento che mira tra l’altro, oltre ad un minor consumo di suolo a scala regionale, ad un più razionale uso delle infrastrutture esistenti e a un rilancio del trasporto pubblico.

E l’amministrazione municipale di Edina, inizia nell’autunno 2004 il processo di costruzione (abbastanza partecipata) del progetto per l’area di Southdale, sotto gli auspici tra l’altro dello Urban Land Institute, approfittando anche di un cambio di proprietà degli immobili del mall. L’idea, pur ancora (e come potrebbe essere diverso?) fortemente centrata su funzioni commerciali, è quella di costruire un sistema altamente pedonalizzato:

I visitatori che vengono da più lontano sarebbero incoraggiati a lasciare l’auto negli spazi multipiano posti ai margini dell’area, e spostarsi verso i negozi a piedi o con qualche tipo di trasporto collettivo. Gradualmente l’intera zone si evolverebbe da un sistema di negozi posto oltre grandi parcheggi, a un sistema di fronti commerciali con marciapiede, percorsi pedonali trasversali, verde” [6].

Ma c’è di più, della sola razionalizzazione commerciale. Si tratta infatti di una vasta zona, che si intende riorganizzare internamente e fisicamente ricucire al resto della città e della rete metropolitana, ma anche arricchire di funzioni: trasporto pubblico e nodi di interscambio, attività economiche, residenza a varie densità, ruolo di vero e proprio “centro” su cui basare l’intero piano urbanistico cittadino [7].

Salta all’occhio, anche solo ad una osservazione rapida del piano di massima - Greater Southdale Study Concept - attualmente in corso di discussione pubblica, il tentativo di articolare quanto più possibile gli spazi già a grande scala: viali alberati, e un sistema gerarchico di strade che integra il sistema sia all’ex suburbio residenziale, sia alla rete di grandi arterie e autostrade; due stazioni del sistema di trasporto pubblico (impensabili, sino a una decina d’anni fa), a fungere anche da possibili nodi di scambio intermodale; una compresenza e intreccio di funzioni e densità che comprendono la residenza, le attività terziarie con notevoli blocchi per uffici, fronti commerciali ad orientamento pedonale, gruppi di funzioni pubbliche; soprattutto, predominante, la scelta del mixed-use[8]. E si potrebbe sospettare, anche, un uso “ideologico” del termine, se non fosse che anche l’ordinanza di zoning della municipalità di Edina prevede ben quattro gradazioni di aree omogenee così denominate, delle quali tre non includono il commercio ( retail) ma comprendono la residenza mista, e fra gli usi condizionali viene introdotta (fatto nuovo, anche se in diffusione nei regolamenti municipali americani) la possibilità di compresenza di negozi e residenze entro il medesimo edificio [9]. Di particolare rilevanza, infine, il fatto che sia proprio la zona del Southdale Mall di Victor Gruen, a costituire il cuore del sistema mixed-use, definito su un lato da un fronte commerciale a negozi tradizionali, e delimitato a nord da una delle stazioni del trasporto pubblico.

Naturalmente è impossibile, in presenza di un semplice studio di massima per un’area di parecchi ettari e notevole complessità e articolazione, esprimere giudizi sulle potenzialità dei risultati spaziali, sia in termini di rapporti funzionali (ad esempio la pedonalità, o la distribuzione nel tempo delle varie fruizioni), sia in termini di equilibrio fra ambiti effettivamente pubblici, e la sottile privatizzazione che sempre per un verso o l’altro si insinua negli ambienti progettati con un ruolo centrale delle grandi catene e imprese. In mancanza di una articolata serie di linee guida progettuali della municipalità (che auspico comunque in corso di redazione)[10], aiutano a dare meglio un’idea generale le “tipologie”: piccole serie di immagini fotografiche, ciascuna a corredo di una specifica zona omogenea così come segnata nella planimetria. E in effetti, anche solo per restare al mixed-use, gli esempi illustrano né più né meno quanto regolamentato con linguaggio più burocratico alla voce “B. MDD-6. Commercial uses in residential buildings” della citata ordinanza municipale di zoning: spazi da città europea, con arretramenti degli edifici ridotti al minimo, parcheggi anche a lato strada, marciapiedi, e appunto i piani terreni destinati al commercio, e quelli superiori a residenza e uffici[11].

La discussione pubblica del piano è ancora in corso in questi mesi estivi del 2005, e ci si può ragionevolmente aspettare che anche dal punto di vista dei particolari di organizzazione spaziale questo radicale lifting urbanistico dell’ex mall suburbano e dintorni si precisi prima del compleanno ufficiale del 2006. Appare però già chiaro un orientamento: non solo riorganizzazione, per quanto radicale e su vasta scala, di uno spazio commerciale e di servizio immerso nell’ambiente suburbano, ma vera e propria riconversione a spazi decisamente urbani. Sembra, anche e a prima vista, aumentato il ruolo generale dell’ente pubblico, dall’articolata presenza fisica di uffici e servizi nell’ex tempio del consumo familiare, al ruolo di arbitro delle decisioni (ad esempio per il sistema intermodale di trasporti), alla forzatura pianificata del sistema dei tre ambiti: strada, parcheggio, interni. Quella che si prospetta, è una città molto più simile al sistema complesso che sinora la storia ci ha lasciato in eredità, anche se non dovessero necessariamente spuntare i manierismi architettonici neo-tradizionalisti, o se qualche rigidità regolamentare (o interesse commerciale) impedisse l’abolizione dei sistemi auto-oriented e la conseguente piena integrazione fra area suburbana e nuovo centro multifunzionale.

Resta il fatto che, in modo per niente diverso da quanto accaduto ai grandi complessi residenziali modernisti, anche la santa trinità dello sprawl (autostrada, villetta, servizi segregati) sembra entrata definitivamente in crisi anche nella sua icona storica. Il problema è che rischiamo di doverci comunque subire i colpi di coda delle “macchine della crescita”, pronte a spostarsi da un contesto all’altro – come accade ora nel caso della Cina – a riproporre una “modernità” schematica, rozza e stupidotta. Una modernità che certo appariva a tutti un futuro auspicabile a metà Novecento, con la prospettiva di grande mobilità, consumi, specializzazione, socialità taylorizzata. Ma che ora in prospettiva pare attuale come certi capi di abbigliamento scomodissimi indossati in una foto in bianco e nero, o quelle automobili da due tonnellate che consumavano un litro ogni due chilometri. Purtroppo qualcuno continua a ragionare in questi termini.

Nota: i links esterni sono inclusi nelle note bibliografiche di seguito. Per quelli interni, mi limito al solo articolo autocritico di Victor Gruen del 1978. Gli allegati sono: questo testo con note in formato PDF; una foto aerea del Soutdale Mall degli anni Cinquanta; il piano di azzonamento del giugno 2005 ; per inquadrare meglio l'area, qui un link all'immagine dal satellite Google - la fascia di Southdale è visibile al centro (f.b.)

[1] Il termine “growth machine”, complesso di intrecci fra impresa e scelte politico-legislative, nient’affatto orientato da semplici scelte del consumo di massa, è stato ben argomentato da Dolores Hayden, Building Suburbia: Green Fields and Urban Growth, 1820-2000, Pantheon Books, New York 2003, in particolare per il rapporto sprawl/mall pp. 162-172; della stessa Autrice, una definizione più concisa e definitiva, nel glossario illustrato A Field Guide to Sprawl– With aerial photographs by Jim Wark, Norton & Co., New York-London 2004, p. 48.

[2] Andres Duany, Elizabeth Plater-Zyberk, Jeff Speck, Suburban Nation: the rise of Sprawl and the decline of the American Dream, North Point Press, New York 2000, pp. 5-7.

[3] Dichiarazione di Victor Gruen del 1956 a proposito di Southdale, riportata da M. Jeffrey Hardwich, Mall Maker: Victor Gruen architect of the American Dream, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 2004, p. 118.

[4]Cfr. Beth Mattson, “The Grand Dame of Twin Cities Retail”,Retail Traffic Magazine, 1 maggio 1999 http://retailtrafficmag.com/mag/retail_grand_dame_twin/

[5] Twin Cities Metropolitan Council, Regional Development Framework 2030, gennaio 2004, Policy Directions and Strategies, p. 13 http://www.metrocouncil.org

[6] David Peterson, Edina’s Southdale area seeks 21st-century look, Star Tribune, 10 febbraio 2005 http://www.startribune.com/stories/462/5232411.html

[7] Cfr. The public is invited to participate in the second public workshop on the future of the Greater Southdale area, comunicato stampa dell’amministrazione municipale di Edina, 28 gennaio 2005 http://www.ci.edina.mn.us/

[8] Cfr. Hoisington Koegler Group Inc., Greater Southdale Area Land Use & Transportation Study, Land Use Concept, City of Edina/Hennepin County, giugno 2005.

[9] Cfr. City of Edina, Zoning Code, 850.14 - Mixed Development District (MDD).

[10] Ad esempio sulla base di quelle di derivazione new urbanism redatte dallo studio Clarion di Denver una decina di anni fa per il caso specifico dei big-box di Fort Collins, Colorado, e poi utilizzate come base da molte città per proprie varianti. Cfr. Chris Duerksen, Robert Blanchard, Belling The Box: Planning For Large-Scale Retail Stores, National Planning Conference, Atti, 1998 http://www.asu.edu/caed/proceedings98/Duerk/duerk.html [trad. it. di Fabrizio Bottini su http://eddyburg.it ]

[11]Cfr. Hoisington Koegler Group Inc., Greater Southdale Area Land Use & Transportation Study, Futures Study – Conceptual Plan – Land Use Typology, gennaio 2005.

City of Lynchburg, Virginia, Comprehensive Plan 2002-2020, CAPITOLO 9, Aree Commerciali e produttive – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Introduzione

Le zone commerciali e produttive della città sono i suoi motori economici. Offrono posti di lavoro per i cittadini, aumentano il valore degli immobili, offrono una base fiscale locale. La città è da lungo tempo il fulcro economico della regione, un ruolo che intende mantenere a lungo per il futuro. Ma lo spazio inedificato disponibile per nuovi insediamenti economici si sta rapidamente esaurendo, e alcune delle zone commerciali esistenti subiscono un declino. Per continuare ad essere il centro principale della regione e uno dei principali dello stato, per continuare ad offrire beni, servizi e posti di lavoro ai cittadini, la città deve mantenere un’economia vivace.

Contesto e raccomandazioni

Le zone commerciali della città comprendono negozi, servizi alla persona, ristoranti, alberghi, piccoli uffici. Quelle a carattere produttivo comprendono attività industriali, di ricerca e sviluppo, distribuzione, magazzini, grandi complessi ad uffici. Le zone commerciali rispondono ai bisogni dei cittadini in termini di acquisti, ristorazione, ospitalità e servizi personali, oltre a fornire posti di lavoro. Le zone produttive principalmente offrono posti di lavoro. Entrambi i tipi di zone contribuiscono alla base fiscale locale. Le caratteristiche fisiche insediative delle zone commerciali e produttive sono diverse, e quindi vengono trattate separatamente.

Le zone commerciali

Le zone commerciali della città coprono circa 540 ettari, o il 4,2% della superficie totale della città. I quartieri commerciali più vasti sono il centro, l’area Plaza, River Ridge Mall, e la zona di Wards Road. Ci sono anche numerosi shopping centers e fasce commerciali lungo i corridoi di mobilità, come a Timberlake Road, Candlers Mountain Road, Fort Avenue, Lakeside Drive, Old Forest Road, o sparpagliati lungo parti di Boonsboro Road, Campbell Avenue, Fifth Street, e Twelfth Street. La carta dello stato di fatto del Piano indica queste aree, sia come fasce studio che come zone di rivitalizzazione. La tavola di azzonamento le classifica come zone commerciali di quartiere, urbane, o regionali, in base alle dimensioni delle superfici commerciali. La tavola mostra anche le funzioni minori ad uffici (ad esempio studi medici, legali, assicurativi, di consulenza immobiliare) contenute nelle zone commerciali.

Anche se la città offre una significativa quantità di spazi commerciali (circa 300.000 metri quadrati), una certa quantità di essi risulta non occupata (approssimativamente 30.000 mq al marzo 2001). Il centro [ downtown] e alcune delle zone di più antica costituzione lungo Fifth Street, Twelfth Street, e Campbell Avenue, insieme a parti degli shopping centers più vecchi, come The Plaza, soffrono di sottoutilizzazione. Questi vuoti si devono a vari fattori, come la crescita della popolazione suburbana, e il conseguente spostamento della domanda verso i margini del territorio comunale e le contee circostanti, o trasformazioni nelle abitudini di acquisto. Prima della seconda guerra mondiale, la maggior parte del commercio cittadino era situata in centro, o in piccoli negozi d’angolo nei quartieri. Dopo la guerra, con la diffusione delle automobili come mezzo preferito per gli spostamenti, il commercio si è ampliato verso l’esterno, prima in centri commerciali come The Plaza, poi lungo fasce e centri più piccoli lungo i corridoi di mobilità. Negli anni ’70 si è affermato il mall chiuso, e gli anni ’90 hanno portato il big-box, seguito poi nel 2001 da un power center a Wards Crossing. Lo spostamento dei clienti verso il commercio “ big box” ha reso obsoleti alcuni degli shopping centers più piccoli e i negozi del centro per gli acquisti correnti, producendo così degli spazi non utilizzati. I gusti dei consumatori cambiano, ad ogni modo, ed esistono segni crescenti in tutto il paese di una ripresa delle zone centrali tradizionali o di nuovi formati “ town center” simili a quello progettato per Wyndhurst.

[...] Lynchburg rimane il fulcro commerciale della regione, col 93% del totale di superfici commerciali. Un’analisi di mercato svolta nel 2001 per questo Comprehensive Plan indica che nei prossimi 20 anni all’interno della regione si genererà una domanda da 60.000 a 70.000 metri quadrati di nuove superfici commerciali. La città potrà acquisire una quota significativa di queste superfici se sarà in grado di offrire almeno due località con 10.000-30.000 mq ciascuna. Sono state individuate possibili aree libere nella carta di azzonamento, alla McConville nell’incrocio fra la Old Forest Road e Lakeside Drive, e nel complesso mixed-use di Cheese Creek a ovest della Expressway e a sud di Boonsboro Road. Anche l’area di rivitalizzazione di centro, Plaza e midtown, offre possibilità di recupero e riuso di spazi esistenti per rispondere a questa potenziale domanda.

Anche le strutture alberghiere ricadono nella categoria degli spazi commerciali. Servono viaggiatori e clienti delle imprese locali, oltre ad altri vari visitatori. Le analisi della domanda indicano un bisogno approssimativo di ulteriori 250 stanze nei prossimi venti anni. Nelle localizzazioni più adeguate, presso le principali grandi arterie di comunicazione o entro le zone commerciali, saranno offerti spazi per uno o più alberghi.

Le questioni da affrontare riguardo alle zone commerciali della città sono:

• adeguati incentivi al settore privato perché vengano riempiti gli spazi commerciali vuoti, e ripristinati e riutilizzati quelli obsoleti;

• mantenimento di una certa quota commerciale entro i quartieri più interni della città, per rispondere ai bisogni quotidiani;

• offerta di opportunità di espansione per commercio e alberghi, per rispondere alla domanda futura di scala regionale;

• ampliare la base commerciale della città, limitandone al contempo gli impatti ambientali e sociali di insediamento;

• migliorare la qualità progettuale dei nuovi quartieri e delle aree di recupero [...].

Le zone produttive

Le zone produttive contengono spazi industriali e grandi complessi ad uffici. La superficie utilizzata attualmente per questi usi è circa il 5% della città, ovvero 640 ettari. Le zone produttive principali sono quella in centro, poi il parco industriale First Lynchburg, l’area tecnologico-terziaria di Graves Mill, e quella del Lynchpin Center. Queste aree sono evidenziate nella carta dello stato di fatto. La tavola di azzonamento divide le funzioni produttive in tre categorie: Downtown (funzioni miste tradizionali e uffici), Employment 1 (grandi complessi a uffici, ricerca e sviluppo, industria leggera, spazi “flessibili”), Employment 2 (industria pesante, industria leggera, ricerca e sviluppo, grandi complessi a uffici).

Le analisi della domanda indicano che la crescita di questi tipi di funzioni nella regione sarà notevole nei prossimi vent’anni. La città può sperare di ospitare circa 140.000 metri quadrati di nuova industria, 18.000 di ricerca e sviluppo, 70.000 di uffici in questo arco di tempo. Un problema significativo è quello di trovare spazio sufficiente per contenere queste funzioni. Se si parla di terreni liberi non urbanizzati, industria e ricerca e sviluppo avrebbero bisogno di circa 80 ettari, gli uffici di circa 15 ettari. Ma sarebbe difficile reperire spazi liberi sufficienti per queste zone produttive, a causa delle caratteristiche fisiche del territorio: forti pendenze e aree di esondazione rappresentano gli impedimenti principali all’edificazione. Sarà necessaria una rivitalizzazione di aree già urbanizzate, come quelle del centro, per contenere alcune delle funzioni tecnologiche e ad uffici. Anche il riuso degli spazi vuoti degli shopping centers può essere promettente per queste funzioni, lasciando una quantità maggiore di spazi liberi per gli usi industriali maggiori.

Le questioni da affrontare riguardo alle zone produttive della città, sono:

• offerta di spazi liberi in quantità sufficiente per le funzioni produttive;

• incentivi adeguati al settore privato per operazioni di ripristino e riuso degli spazi centrali a uffici ed attività tecnologiche;

• valutare le possibilità di conversione di spazi commerciali inutilizzati ad attività produttive;

• uso efficiente del suolo nelle zone industriali della città;

• espandere la base produttiva della città contenendo al tempo stesso gli impatti ambientali e sociali della crescita industriale e terziaria;

• le norme per le zone industriali sono obsolete, e non rispondono alle attuali tendenze dell’edilizia industriale [...]

• migliorare la qualità progettuale degli insediamenti nuovi e riusi in zone produttive [...].

Si sottolinea che la municipalità riconosce come la crescita futura delle attività commerciali e produttive dipenderà in una certa misura dalla rivitalizzazione e ripristino delle aree di insediamento tradizionale di questi settori. A tale scopo la municipalità ha istituito le Enterprise Zones e le Technology Zones per offrire riduzioni fiscali e altri incentivi alla localizzazione di attività al loro interno. La Downtown Enterprise/Technology Zone comprende le aree centrali terziarie, il Lower Basin, il corridoio di Fifth Street, i quartieri circostanti, e le aree a destinazione industriale fra le Carroll e Campbell Avenues. Un’altra Enterprise/Technology Zone riguarda il parco industriale First Lynchpin, e mette a disposizione aree libere per nuove attività e a contenuto tecnologico.

Finalità, Obiettivi e Strategie

Finalità 1. Promuovere la razionalizzazione e rivitalizzazione di corridoi e distretti commerciali. [...]

Obiettivo 1.A. Funzioni commerciali a livello di quartiere. Sostenere la rivitalizzazione delle strutture esistenti e lo sviluppo di nuovi poli di quartiere di tipo mixed use localizzati in modo da stabilizzare e migliorare l’ambiente residenziale.

1) Studiare la possibilità di creare un Traditional Neighborhood Commercial Overlay District lungo le vie tradizionali a funzioni miste della città, nei casi in cui non sarebbe adeguato un tipo di insediamento suburbano, e dove la municipalità intende favorire la compresenza di residenza e piccole attività commerciali. [Questo tipo di zona omogenea è applicabile lungo Campbell Avenue, Fifth Street e Twelfth Street, e parti di Lower Rivermont e Fort Avenue, a incoraggiare il rinnovamento delle parti residenziali e commerciali esistenti e la realizzazione di nuove a dimensione adeguata, anziché lo sviluppo di attività commerciali rivolte alla mobilità automobilistica].

2) Effettuare uno studio di mercato per individuare i quartieri sottoserviti da funzioni commerciali come mercato locale, agenzia di banca, lavanderia, caffetteria.

3) Dove esiste una domanda di mercato, collaborare con gli abitanti per individuare potenziali localizzazioni a funzioni di quartiere.

4) Individuare le condizioni adeguate per insediamenti mixed use di quartiere che siano compatibili con l’ambiente circostante.

5) Utilizzare lo strumento della Downtown Enterprise Zone per incoraggiare lo sviluppo di adeguate strutture commerciali di quartiere.

Obiettivo 1.B. Commercio di grandi dimensioni. Individuare metodi per aumentare al massimo i benefici, e ridurre al minimo gli impatti negativi, del grande insediamento commerciale di tipo “ big box”.

1) Individuare località adeguate per i grandi elementi commerciali “ big box” e predisporre linee guida alla progettazione che assicurino sicurezza, accessibilità e compatibilità con le funzioni circostanti, riducendo al minimo gli impatti visivi e ambientali.

2) Per ridurre al minimo gli impatti visivi delle pareti cieche, favorire la presenza sulle fasce esterne dei “ big box” di altre funzioni commerciali e di servizio.

3) Esaminare le possibili strategie atte a favorire un uso coordinato dei lotti, scoraggiando gli edifici isolati, là dove sono invece possibili adeguati insediamenti di grande commercio e mixed use.

4) Prendere in considerazione la possibilità di confinare le funzioni che non promuovono un uso attivo dello spazio, come ad esempio quelle di magazzino, alle aree esterne ai nodi o centri commerciali.

5) Promuovere alternative al commercio “ big box”, come i cosiddetti “ town center” a orientamento pedonale e organizzati come una via commerciale, in particolare nei complessi progettati come mixed use [...].

Obiettivo 1.C. Insediamento nei nodi di traffico. Assicurare che gli insediamenti commerciali per le grandi arterie di comunicazione siano accessibili, esteticamente piacevoli, e con impatti minimi sulle zone commerciali e residenziali circostanti.

1) Promunovere adeguate localizzazioni per il commercio highway-oriented lungo le statali 460, 29, e 501, così come indicato sulla carta di azzonamento [allegata, n.d.T.] e predisporre norme e linee guida per una progettazione adatta.

Obiettivo 1.D. Iniziative partecipate. Appoggiare le iniziative della comunità per migliorare le condizioni nelle zone commerciali.

1) Sostenere la creazione di organizzazioni di operatori su base locale, di quartiere o fascia stradale.

2) Offrire assistenza agli operatori per la progettazione di facciate commerciali, spazi a parcheggio, segnaletica, sistemi di accesso.

3) Incoraggiare la promozione coordinata dei complessi commerciali attraverso azioni congiunte di comunicazione e pubblicità, eventi speciali, promozioni, gare, e altro.

Obiettivo 1.E. Sicurezza. Estendere il coordinamento delle azioni per la sicurezza collettiva pubblica con quelle degli operatori commerciali privati.

1) Richiedere fra le verifiche dei progetti quelle relative ai tempi di intervento in casi di emergenza.

2) Sostenere una progettazione degli spazi commerciali in linea con il CPTED, Crime Prevention Through Environmental Design [...].

3) Proseguire il programma municipale di partecipazione della comunità alle azioni di polizia, per mantenere sicuri quartieri e zone commerciali.

4) Aumentare il sostegno ai programmi di videosorveglianza per zone commerciali.

Finalità 2. Sostenere un tipo di insediamento produttivo che utilizzi al massimo la risorsa limitata suolo, che sia attento ai caratteri naturali e culturali, e alle funzioni circostanti.

Obiettivo 2.A. Uso attento delle aree edificabili. Individuare zone inedificate della città e nelle contee circostanti adatte per l’insediamento industriale su larga scala, e stabilire modi e tempi di tutela di tali aree da un inadeguato insediamento di attività minori.

1) Riesaminare e aggiornare l’elenco delle funzioni consentite ai sensi dell’ordinanza di zoning municipale, per adeguarsi alle trasformazioni emergenti nel campo industriale riguardo a tipi dimensioni, usi.

2) Esaminare l’opportunità di costituire entità miste con le amministrazioni circostanti per l’urbanizzazione di località destinate ad attività produttive e terziarie.

3) Considerare la possibilità di aumentare le dimensioni minime degli interventi, ad incoraggiare il massimo uso dello spazio, e scoraggiare la sottoutilizzazione degli spazi disponibili.

4) Definire nuovi tipi di zone omogenee che riconoscano e contengano le caratteristiche di industria “pulita” e imprese ad alta tecnologia generatrici di impatti minimi.

5) Nelle zone destinate all’insediamento industriale, limitare le funzioni commerciali a quelle che offrono beni e servizi alle imprese e ai loro dipendenti.

Obiettivo 2.B. Riuso. Individuare aree della città dotate del potenziale per sostenere, tramite riedificazione, ampliamento e nuova offerta industriale e per uffici.

1) La Industrial Development Authority e la Redevelopment and Housing Authority della città devono verificare la fattibilità di conversione degli attuali edifici multipiano industriale e commerciali inutilizzati a funzioni sia terziarie che mixed use.

2) Individuare zone commerciali e residenziali della città in situazione di rapido declino, e prendere in considerazione la possibilità di sostenervi uno sviluppo terziario e produttivo, sempre che esso sia compatibile con le funzioni circostanti, ambientalmente adeguato, e sostenuto dalle necessarie infrastrutture.

3) Utilizzare il Downtown & Riverfront Master Plan 2000 per promuovere la rivitalizzazione di uffici e altri usi in centro.

Obiettivo 2.C. Riutilizzazione di strutture esistenti. Costruire e tenere aggiornato un elenco delle strutture commerciali e per uffici. Incoraggiare il riuso di tali strutture in modo preferenziale rispetto a nuova edificazione.

Obiettivo 2.D. Incentivi e uso intensivo. Le politiche e norme cittadine devono incoraggiare la realizzazione di spazi adeguati per industrie e uffici.

1) Individuare quelle regole progettuali per spazi e edifici che possano limitare il massimo utilizzo potenziale dei siti industriali, e verificare se modifiche delle norme possano incoraggiare una maggiore utilizzazione senza effetti negativi sugli elementi naturali e culturali e le funzioni circostanti.

2) Per aumentare al massimo l’utilizzo delle limitate superfici di terreno disponibili, verificare la possibilità di ridurre gli spazi di interposizione tra funzioni simili.

Obiettivo 2.E. Coordinamento e riduzione al minimo degli impatti. Coordinare le azioni di piano con lo sviluppo economico, in modo da ridurre al minimo i potenziali conflitti.

1) Affrontare i problemi del traffico pesante, rumore, cattivi odori, circolazione, mercato edilizio, impatti ambientali e altri effetti.

2) Considerare la possibilità di redigere una “guida per l’abitante” che descriva gli aspetti fondamentali dello sviluppo industriale futuro per alcune aree (ad esempio i rumori dell’aeroporto).

Obiettivo 2.F. Edificazione “infill” e massima utilizzazione. Determinare l’efficacia potenziale di offrire incentivi in alcune aree ritenute adatte per edificazione di riempimento [ infill] o riedificazione.

1) Proseguire nella promozione delle Enterprise Zones urbane, e sviluppare una campagna di informazione sulle nuove Technology Zones.

2) Individuare aree o quartieri della città dove possano essere utili incentivi a infill o riedificazione, e verificare le forme di tali incentivi, riduzione fiscale, concessioni alle densità, regole edilizie speciali.

Nota: Tutti i materiali, compresa la versione integrale e originale di questa relazione di piano, al sito Community Planning and Development di Lynchburg. Per maggior chiarezza, si allegano sia una mappa stradale di Lynchburg (circa 65.000 abitanti) con i principali centri di servizio, sia la tavola di azzonamento del piano. Nella carta di azzonamento, sono diverse le zone omogenee direttamente interessate dalle indicazioni del testo riportato sopra: Downtown, Office, Employment 1, Employment 2, Neighborhood Commercial, Community Commercial, Regional Commercial, Mixed-Use (f.b.)

Titolo originale: The privatisation of public space, and the democratic alternative – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

La capacità di qualunque nazione di mantenere una sfera pubblica viva, indipendente ed autonoma dipende, almeno in parte, dalla piena disponibilità di spazio pubblico, aperto alla libera fruizione da parte dei vari gruppi e interessi che compongono la società civile allargata. Ad esempio la Agorà dei greci è uno spazio pubblico di questo genere, e nello stesso modo lo è la piazza pubblica tradizionale. Tradizionalmente, questi spazi pubblici si trovavano nel cuore dei centri cittadini di vita civile, e consentivano ai vari gruppi per organizzare ed esprimere le proprie entro un foro all’aperto.

Ma oggi, nei nostri insediamenti suburbani, con l’ascesa dello shopping mall, lo spazio “pubblico” dei nostri “centri civici” suburbani è stato privatizzato, e le possibilità di espressione sono limitate a chi ha le tasche abbastanza piene (MOLTO piene, di solito) per pagarsi il privilegio. Oggi la “sfera civica” si riduce semplicemente alla sfera dei consumi, senza alcuno spazio per una libera e autonoma organizzazione civile. Gli shopping malls moderni, così, sono inondati da grandi magazzini, ristoranti, supermercati e negozi di lusso. In mancanza di qualunque altra forma di espressione sociale o di dibattito, a migliaia sciamano verso questi diffusi malls con ritmi quasi quotidiani, partecipando al consumo come unità atomizzate e ipnotizzate. Ironicamente, con la carenza di spazi offerti per le organizzazioni politiche, sportive, civiche, questo spettacolo è la cosa più vicina che molte comunità hanno a disposizione per radunarsi in qualche tipo di attività collettiva. Diventa così tangibile l’impoverimento della società civile.

Tra le nostre istituzioni, anche molte università e istituti di studi superiori mancano di spazi adeguati dove gli studenti possano organizzare eventi sportivi, culturali, sociali, e adottare le cause che sono care al loro cuore.

”Società Civile” è diventato un modo di dire comune negli anni recenti. Di solito viene utilizzato in opposizione all’idea di “Stato”, e si riferisce all’ambito dei singoli cittadini e movimenti civili. Naturalmente, il discrimine fra Società Civile ( buona) e Stati ( cattivo), è il tipo di semplificazione riduttiva a proposito della quale chiunque si consideri di sinistra dovrebbe essere scettico. Dopo tutto, la “Società Civile” è anche l’ambito del capitale monopolistico, il cui potere è a sua volta garantito dallo Stato.

Ad ogni modo, l’ideale di una Sfera Civica autonoma, costituita da organizzazioni di cittadini – consumatori, organizzazioni culturali, sportive, solidaristiche, religiose, partiti politici, sindacati, movimenti sociali – sta al centro del sistema di principi liberali e socialisti democratici. Per chi tra noi desidera una vivace e autonoma sfera pubblica, che agisca come contraltare alla prevalenza di flussi informativi unidirezionali, la privatizzazione dello spazio pubblico è un aspetto chiave.

Tentare di regolare l’edilizia e l’urbanistica per fare in modo che esistano spazi centrali e ben visibili che costituiscano centri di organizzazione civica, dibattito, senza dubbio suscita le ire del massiccio complesso produttivo che è cresciuto attorno alla costruzione dei centri commerciali. Ma questo non ci deve certo impedire di sostenere questa posizione di principio, e mettere in pratica concretamente parte della retorica che in questi ultimi anni si è sviluppata attorpno al termine “società civile”.

È dunque prioritaria, per i partiti politici australiani, la necessità di attuare una legislazione urbanistica tesa ad acquisire obbligatoriamente spazi pubblici di grande visibilità e centralità, per scopi di libera espressione civile, mobilitazione e organizzazione. Agli esperti del settore dovrebbe essere richiesta consulenza nella stesura di queste leggi, allo scopo di offrire, attraverso le norme edilizie e urbanistiche, fondamenti legali alla creazione di spazio civile, e di conseguenza di una rinvigorita e partecipante società civile.

Infine, attraverso tutto lo spettro delle posizioni politiche, militanti e dirigenti devono riconsiderare il ruolo dell’intervento pubblico, in particolare per quanto riguarda l’offerta di spazi collettivi sociali. Se i nuovi insediamenti fossero realizzati e posseduti dalle amministrazioni locali, con beneficio delle casse statali e federali, sarebbe di gran lunga più facile, nell’interesse pubblico, contestare la logica di impresa che produce la marginalizzazione di ogni attività collettiva diversa dal consumo.

Ad alcuni di noi questa può apparire una questioni di secondaria importanza, se paragonata agli assalti in corso, contro il sistema sanitario pubblico, o quello dell’istruzione. Ma il problema dello spazio pubblico, è al centro del modo in cui siamo, di come viviamo e ci organizziamo, di come ci rapportiamo gli uni agli altri quotidianamente. Qualunque rilancio della cittadinanza attiva, in Australia e altrove, dipende almeno in parte dall’offerta delle concrete infrastrutture pubbliche necessarie per la sua realizzazione.

Nota: qui il testo originale (un estratto da un lavoro più ampio) sul sito della Australian Fabian Society (f.b.)

Premessa

La cittadina di Huntersville si trova nella fascia esterna settentrionale dell’area metropolitana di Charlotte-Meckleburg, North Carolina, ed ha avuto un (a dir poco) massiccio sviluppo in anni recentissimi, passando da circa 3.000 a oltre 30.000 abitanti dai primi anni ’90 ad oggi. Il principale motivo di interesse dei brevi estratti dall’ordinanza di zoning che si riportano sotto riguarda però un aspetto particolare di questa crescita, ovvero l’insediamento del Villaggio di Birkdale, su 20 ettari a nord dell’arteria urbana che connette lo svincolo 25 della Interstate 77 alla zona paesistica del lago Norman, circa 20 km a nord-ovest di Charlotte. Birkdale è uno dei vari e pubblicizzati tentativi USA (new urbanism o meno) di coniugare entro un medesimo complesso insediativo più funzioni, residenziali, commerciali, produttive, e di organizzarsi spazialmente oltre che funzionalmente in modo alternativo alla sola mobilità automobilistica privata, e all’insieme degli stili di uso dello spazio suburbani. Senza ovviamente entrare nel merito dei vari aspetti positivi e negativi del progetto – che comprendono ad esempio la difficoltà generale di farsi finanziare un mixed-use , o le critiche ambientali per un uso del suolo che replica in un certo senso le impermeabilizzazioni da shopping mall – può essere interessante anche solo confrontare le specifiche norme di azzonamento per quest’area con altre. Ad esempio con quelle di altre zone omogenee di Huntersville, ma anche con altra documentazione simile già proposta in questa cartella sul “Territorio del Commercio”. Il Villaggio di Birkdale, per inciso, corrisponde all’articolo 3.2.7 dell’ordinanza municipale (punto 4b), relativo alle fasce commerciali “highway oriented ”. L'ho comunque ben evidenziato (f.b.)

Town of Huntersville, North Carolina, Zoning Ordinance, 2004 – Article 3: Zoning Districts. 3.2.5. Neighborhood Center District (NC); 3.2.6. Town Center District (TC); 3.2.7. Highway Commercial District (HC) – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

3.2.5 Zona commerciale di quartiere / Neighborhood Center District (NC)

Scopi: le zone commerciali di quartiere sono destinate a contenere negozi, servizi, piccole attività, edifici residenziali e civici, al centro di un quartiere o gruppo di quartieri e a distanza percorribile a piedi dalle residenze. Il neighborhood center deve essere organizzato su un sistema di strade interconnesse, con un raggio limitato a circa 500 metri. Le varie funzioni contenute in questi centri hanno come zona di mercato primaria un’area di circa 1,5 km, e gli edifici devono essere compatibili con quelli residenziali circostanti. Se il centro di quartiere ospita anche una fermata del trasporto pubblico, deve essere progettato per servire sia la base residenziale che l’utenza del trasporto pubblico. Lo Huntersville Land Development Plan contiene la localizzazione di massima dei nuovi centri di quartiere.

a) Funzioni consentite

Funzioni comunque consentite

pensioni bed and breakfast

affittacamere e assimilati, sino a sei ospiti

strutture civiche, associative, comunitarie, circoli

funzioni commerciali

luoghi di residenza collettiva progettati come tipi edilizi “civici”

spazi per il tempo libero al coperto

abitazioni multifamiliari

abitazioni monofamiliari

Funzioni consentite condizionatamente

cimiteri

enti religiosi

ormeggio commerciale

centri servizi day care

servizi essenziali dei tipi 1 e 2

edifici pubblici sino a 600 mq di superficie al pianterreno

stazioni di servizio di quartiere con esclusione delle grandi funzioni di manutenzione e riparazione di veicoli

spazi a funzione di solo parcheggio

parchi

scuole

vendite temporanee all’aperto di prodotti agricoli freschi e simili (esempi: farmers’ market, vendita di alberi di Natale o zucche ornamentali)

spazi a parcheggio per veicoli di trasporto collettivo

ricoveri per veicoli di trasporto collettivo

b) Tipi di edifici e spazi consentiti

edifici ad appartamenti

case in linea

edifici civici

case isolate

edifici a funzioni miste sino a 600 mq di superficie del pianterreno

uso commerciale sino a 600 mq di superficie del pianterreno

attività varie sino a 600 mq di superficie del pianterreno

c) Funzioni accessorie consentite

alloggi accessori

sedi di funzioni day care (piccole)

sportelli drive through, con esclusione di quelli di ristorazione

funzioni accessorie della residenza

ormeggio accessorio della residenza

chioschi per la vendita all’aperto sul fronte stradale (l’occupazione del marciapiede può essere consentita tramite contratto con la municipalità); è proibito il deposito esterno.

● funzioni accessorie consentite in tutte le aree

d) Requisiti generali

1) Lungo le strade esistenti, i nuovi edifici devono rispettare distanze, masse e dimensioni esistenti, oltre alla relazione degli altri edifici col fronte stradale.

I nuovi edifici che si adeguano a dimensioni, volumi, distanze e arretramenti di quelli esistenti lungo le strade devono dimostrare compatibilità.

I nuovi edifici che superano i volumi e dimensioni di quelli esistenti possono dimostrare compatibilità variando l’organizzazione delle masse per ridurne la percezione di scala e volume. [...]

2) Lungo le nuove strade, saranno edifici e tipi di lotto disponibili a definire il tipo di insediamento.

3) Nei complessi insediativi principali, il numero complessivo degli alloggi contenuti nelle abitazioni in linea, edifici ad appartamenti e a funzioni miste non deve superare il 30% degli alloggi totali.

4) Indipendentemente dalle limitazioni di cui al punto 3), in qualunque parte di un insediamento localizzata ad una distanza entro i 500 metri da una prevista stazione del trasporto pubblico, la percentuale degli alloggi contenuti in case in linea, ad appartamenti e a funzioni miste non è soggetta a limiti. Si incoraggia una generale alta densità, entro un raggio di 500 metri dalle stazioni ferroviarie. Tali stazioni sono localizzate nei punti previsti dalla delibera adottata dal Board of Commissioners della città di Huntersville.

Inoltre, la percentuale degli alloggi contenuti in case in linea, ad appartamenti e edifici a funzioni miste non è soggetta a limiti quando gli alloggi facciano parte di un complesso mixed-use (uffici e/o commercio + residenza) sempre che non sia destinato alla residenza più del 45% della superficie.

5) Nelle nuove costruzioni è preferibile commercio al pianterreno, residenza o uffici a quello superiore.

6) Il raggio massimo di una Zona Commerciale di Quartiere è di 500 metri.

7) La crescita di queste zone dovrà avvenire gradualmente per singoli progetti secondo le indicazioni di un piano urbanistico approvato.

8) Ciascun lotto edificato dovrà avere un fronte su una pubblica strada o piazza.

3.2.6 Zona commerciale di scala urbana / Town Center District (TC)

Scopi: Il Town Center District è destinato alla rivitalizzazione, riuso, edificazione di riempimento [ infill] del nucleo tradizionale di Huntersville. Si prevede una vasta gamma di funzioni entro uno schema che integra negozi, ristoranti, servizi, attività, strutture civiche, religiose, per l’istruzione, residenza ad alta densità entro un ambiente compatto a orientamento pedonale. La zona commerciale urbana è il fulcro dei quartieri residenziali circostanti, e serve anche la comunità nel suo insieme. Il quartiere è regolamentato in modo da poter contenere l’alta densità edilizia generale necessaria a sostenere una stazione del trasporto pubblico su rotaia. Si prevede che il Town Center District possa espandersi nel tempo sino ad un raggio di circa 2 km, per rispondere alla domanda di strutture e servizi centrali.

a) Funzioni consentite

Funzioni comunque consentite

pensioni bed and breakfast

affittacamere e assimilati, sino a sei ospiti

strutture civiche, associative, comunitarie, circoli

funzioni commerciali

luoghi di residenza collettiva progettati come tipi edilizi “civici”

edifici pubblici

alberghi

spazi per il tempo libero al coperto

case multifamiliari

night club, locali di musica, bar, e strutture per il tempo libero simili

case unifamiliari

Funzioni consentite condizionatamente

vendita di automobili e/o motociclette, servizi all’auto e riparazioni, sino a un ettaro, con un edificio principale di almeno 800 mq, e tutti i veicoli danneggiati e parti di ricambio schermati da superficie opaca.

cimiteri

istituzioni religiose

servizi essenziali dei tipi 1 e 2

stazioni di servizio con esclusione delle grandi funzioni di manutenzione e riparazione

spazi a funzione di solo parcheggio

parchi

scuole

vendite temporanee all’aperto di prodotti agricoli freschi e simili (esempi: farmers’ market, vendita di alberi di Natale o zucche ornamentali)

spazi a parcheggio per veicoli di trasporto collettivo

ricoveri per veicoli di trasporto collettivo

b) Tipi di edifici e spazi consentiti

case ad apparamenti

case in linea

edifici pubblici

case singole

mixed use sino a 1.500 mq del pianterreno

negozi sino a 1.500 mq del pianterreno

attività varie 1.500 mq del pianterreno

c) Funzioni accessorie consentite

alloggi accessori

sedi di funzioni day care (piccole)

sportelli drive through, con esclusione di quelli di ristorazione

funzioni accessorie della residenza

chioschi o altre strutture simili per la vendita all’aperto

vendita di prodotti sul fronte stradale (l’occupazione del marciapiede può essere consentita tramite contratto con la municipalità); è proibito il deposito esterno; altri usi accessori consentiti in tutte le zone

d) Requisiti generali

1) Lungo le strade esistenti, i nuovi edifici devono rispettare distanze, masse e dimensioni esistenti, oltre alla relazione degli altri edifici col fronte stradale.

I nuovi edifici che si adeguano a dimensioni, volumi, distanze e arretramenti di quelli esistenti lungo le strade devono dimostrare compatibilità.

I nuovi edifici che superano i volumi e dimensioni di quelli esistenti possono dimostrare compatibilità variando l’organizzazione delle masse per ridurne la percezione di scala e volume. [...]

2) Lungo le nuove strade, saranno edifici e tipi di lotto disponibili a definire il tipo di insediamento.

3) Nei complessi insediativi principali, il numero complessivo degli alloggi contenuti nelle abitazioni in linea, edifici ad appartamenti e a funzioni miste non deve superare il 30% degli alloggi totali.

4) Indipendentemente dalle limitazioni di cui al punto 3), in qualunque parte di un insediamento localizzata ad una distanza entro i 500 metri da una prevista stazione del trasporto pubblico, la percentuale degli alloggi contenuti in case in linea, ad appartamenti e a funzioni miste non è soggetta a limiti. Si incoraggia una generale alta densità, entro un raggio di 500 metri dalle stazioni ferroviarie. Tali stazioni sono localizzate nei punti previsti dalla delibera adottata dal Board of Commissioners della città di Huntersville.

5) Nelle nuove costruzioni deve essere favorito commercio al pianterreno, abitazioni e uffici a quelli superiori.

6) Ciascun lotto edificato de avere un affaccio su una via o piazza pubblica.

3.2.7 Zona commerciale per le grandi arterie di comunicazione / Highway Commercial District (HC)

Scopi: lo Highway Commercial District è finalizzato ad offrire funzioni dipendenti dall’uso dell’automobile in aree non gestibili tramite un facile accesso pedonale e un comodo ambiente per gli spostamenti a piedi. Si prevede che questo distretto non serva solo la città di Huntersville, ma anche i viaggiatori sulla Interstate. Le funzioni di questa categoria, a causa delle dimensioni e necessità di accesso, spesso non possono venir collocate in modo compatibile e integrato entro il Town Center o un Neighborhood Center. L’edificazione ai margini di questa zona deve fornire una fascia di transizione compatibile verso le funzioni poste all’esterno del distretto; i confini delle proprietà lungo le corsie stradali e autostradali devono essere attrezzate con una fascia di interposizione a verde di 15 metri; gli affacci sulle strade principali e secondarie devono essere muniti di filari di alberature.

a) Funzioni consentite

Funzioni comunque consentite

strutture per il tempo libero: qualunque funzione al chiuso

strutture per incontri e formazione di organizzazioni militari

vendita all’asta

affittacamere o simili sino a sei pensionanti

enti religiosi

strutture civiche, associative, comunitarie, circoli

funzioni commerciali

uffici di imprese di fornitura e spazi di deposito accessori, con l’esclusione di materiali edilizi e veicoli

edifici pubblici

spazi ricreativi al chiuso e all’aperto

case multifamiliari

locali notturni, clubs musicali, bar e strutture per il tempo libero simili

banchi dei pegni e negozi di seconda mano

case unifamiliari

scuole tecniche e professionali

commercio all’ingrosso e relativi uffici, depositi e magazzini interamente contenuti all’interno di edifici; sono vietati i terminal di autocarri

Funzioni consentite condizionatamente

intrattenimento per soli adulti

strutture per il tempo libero all’aperto, campi da golf e sistemi di accesso e circolazione, campi per il tiro con l’arco

lavaggio auto

approdi commerciali

centri di day care

servizi essenziali del tipo 1 e 2

stazioni di servizio, comprese attività di manutenzione e riparazione veicoli

alberghi

parchi

vendite temporanee all’aperto di prodotti agricoli freschi e simili (esempi: farmers’ market, vendita di alberi di Natale o zucche ornamentali)

vendita temporanea di alimenti da strutture mobili

● spazi destinati esclusivamente al parcheggio di veicoli connessi al trasporto pubblico

● ricoveri di veicoli lagati al trasporto pubblico

servizi per veicoli e imbarcazioni: noleggio, pulizia, riparazioni meccaniche e carrozzeria

b) Tipi di edifici consentiti

case ad appartamenti

case in linea

edifici civici

case singole

commercio da grande arteria di comunicazione; sino a 6.500 mq del pianterreno sulle strade più grandi; sino a 1.500 mq del pianterreno sulle vie minori

mixed usesino a 6.500 mq del pianterreno sulle strade più grandi; sino a 1.500 mq del pianterreno sulle vie minori

negozi, sino a 6.500 mq del pianterreno sulle strade più grandi; sino a 1.500 mq del pianterreno sulle vie minori; al piano superiore si incoraggiano appartamenti o uffici

attività varie; sino a 6.500 mq del pianterreno sulle strade più grandi; sino a 1.500 mq del pianterreno sulle vie minori; al piano superiore si incoraggiano appartamenti o uffici.

c) Funzioni accessorie consentite

canili a scopo commerciale all’aperto

sportelli drive through per qualunque uso

spazio atterraggio elicotteri

deposito all’aperto, esclusi i macchinari per l’edilizia

● chioschi o altre strutture di esposizione merci per la vendita di prodotti all’aperto lungo la strada; il deposito deve collocarsi sul retro degli edifici ed essere schermato alla vista dagli spazi pubblici

magazzini accessori agli showroom, entro gli edifici

funzioni accessorie consentite in tutte le zone

d) Requisiti generali

1) Lungo le strade esistenti, i nuovi edifici devono rispettare distanze, masse e dimensioni esistenti, oltre alla relazione degli altri edifici col fronte stradale.

I nuovi edifici che si adeguano a dimensioni, volumi, distanze e arretramenti di quelli esistenti lungo le strade devono dimostrare compatibilità.

I nuovi edifici che superano i volumi e dimensioni di quelli esistenti possono dimostrare compatibilità variando l’organizzazione delle masse per ridurne la percezione di scala e volume. [...]

2) Lungo le nuove strade, saranno edifici e tipi di lotto disponibili a definire il tipo di insediamento.

3) Nei complessi insediativi principali, il numero complessivo degli alloggi contenuti nelle abitazioni in linea, edifici ad appartamenti e a funzioni miste non deve superare il 30% degli alloggi totali.

4) Indipendentemente dalle limitazioni del precedente punto 3)

(a) In qualunque area di uno dei principali insediamenti localizzata entro 500 metri da una prevista stazione ferroviaria, la percentuale di alloggi nelle case in linea, ad appartamenti e edifici mixed use non è sottoposta a limiti. Si consiglia una elevata densità generale, entro i 500 metri dalle stazioni ferroviarie. La localizzazione di tali fermate è quella stabilita dalla delibera adottata dal Board of Commissioners della città di Huntersville.

(b) All’interno di un complesso a orientamento pedonale organizzato attorno a un sistema di strade e isolati, basato [anchored] su funzioni commerciali, ristorazione, per il tempo libero, anche il 100% degli alloggi nelle varie tipologie edilizie può essere contenuto all’interno dell’isolato delle funzioni commerciali. Per ricadere entro questa categoria, almeno un posto a parcheggio per ciascun alloggio deve essere ricollocato entro uno dei livelli a parcheggio posti all’interno dell’isolato, e almeno il 20% della superficie abitabile del pianterreno deve essere destinata a funzioni commerciali. Per superficie abitabile del pianterreno si intende l’area utilizzata per attività umane al coperto (compresi magazzini per i negozi, dispense e cucine per i ristoranti, e usi simili). La superficie abitabile non include il primo livello a parcheggio, né le aree all’aperto utilizzate per i posti a sedere dei ristoranti o l’esposizione di merci. Alberghi, attività artigianali e spazi per il montaggio, laboratori e strutture di ricerca, sono consentiti all’interno del complesso, ma non possono essere utilizzati per calcolare la quota minima del 20% di spazio commerciale al pianterreno. Le più alte densità residenziali consentite in questo caso offrono una popolazione stabile tale da animare le vie, sostenere le attività su base quotidiana, favorire un accesso a beni e servizi non basato sul solo uso dei veicoli privati.

[...]

Nota: il documento completo dell’ordinanza di zoning, insieme agli altri di settore (come la locale "planning philosophy"), al sito del settore Planning della cittadina di Huntersville. Di seguito, il file PDF scaricabile del site plan di Birkdale Village. Su Eddyburg, un articolo descrive brevemente il Villaggio e il suo ruolo (f.b.)

Titolo originale: Mixed-Use Debut – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Il complesso a funzioni miste di Birkdale, a Huntersville, circa 25 chilometri a nord del centro di Charlotte, è la prima realizzazione mixed-use della Crosland. Anche se la compagnia aveva già realizzato quelli che si definiscono insediamenti multiuso – progetti con più funzioni al proprio interno – questo è il primo in cui usi diversi condividono lo stesso edificio. Il villaggio di Birkdale, da 110 milioni di dollari, ha aperto in settembre con 320 appartamenti da affittare sopra a 28.000 metri quadrati di commercio.

Anche per un’impresa dotata di esperienza, che ha affrontato ogni tipo di realizzazione immobiliare – commercio, residenza, uffici, industria – impegnarsi nel mixed-use, hanno sperimentato i dirigenti Crosland, non è tutto rose e fiori.

“Non è stata una cosa rapida” racconta il presidente M. Dmyterko, spiegando che la compagnia ha affrontato diverse sfide riguardo al finanziamento, progettazione, manutenzione e anche reperimento degli inquilini. Il Birkdale Village ha richiesto tre anni di progetto e realizzazione, dice.

Prima di tutto, la Crosland ha dovuto convincere l’amministrazione che si trattava del tipo giusto di progetto per quella zona, ricorda Charlie Dulin, vice presidente del settore vendite alla Commercial Carolina, agenzia di servizi immobiliari del gruppo Cushman & Wakefield.

“Molti a Charlotte ritenevano che fosse un progetto troppo all’avanguardia per la zona” dice Dulin. “Ne sottovalutavano il valore, pensando: nessun commerciante vorrà andarci”. Dopo tutto in città c’era già coi suoi 9.000 metri quadrati Phillips Place, un grosso compesso mixed-use realizzato a metà anni ’90 dallo Harris Group di Charlotte. Ma la Crosland insisteva, c’era bisogno di commercio nell’area suburbana a nord. E inoltre, sottolinea Dulin, il Birkdale Village è molto più grande e conveniente di Phillips Place.

“È di sicuro il primo villaggio commerciale in quella zona. [Crosland] ha capito in anticipo il mercato”.

Poi la compagnia ha dovuto convincere le banche. Il mercato commerciale in alcune aree può anche tirare, mentre quello residenziale resta debole, o viceversa, dice il Chief Execuve Officer della Crosland, Todd Mansfield. L’operare su diversi segmenti di mercato – a volte mutevoli – può portare a difficoltà nel finanziamento.

“Ciascuna componente deve operare in modo autonomo. I costi sono senza dubbio superiori”.

Una volta approvato il progetto e trovati i finanziamenti, è iniziata la sfida di rendere il complesso adatto sia agli operatori commerciali che ai residenti. I commercianti richiedono tutte le possibili forme e dimensioni, e gli architetti hanno dovuto pensare gli appartamenti tagliati su misura per collocarsi al di sopra. In tutto, la compagnia ha dovuto realizzare gli alloggi secondo 47 piante diverse.

E gli operatori sollevavano altri problemi. Alla Crosland abbiamo scoperto che i residenti commercianti vogliono arrivare al sabato, parcheggiare macchine e camion direttamente davanti al negozio nel giorno più affollato della settimana. Anche la raccolta della spazzatura si è dimostrata un problema. Dato che a Birkdale tutti gli spazi attorno agli edifici avevano qualche funzione, non si potevano realizzare spazi per i rifiuti sul retro. Invece, ci sono punti di raccolta oltre le aree a parcheggio dei ristoranti e in uno spazio chiuso. Coi rifiuti c’è anche un problema di tempi, dice Mansfield. I ristoranti devono evitare di muoverli di notte, quando i residenti tentano di dormire, ad esempio.

In generale, esistono moltissimi potenziali problemi quando ci si rivolge a gruppi di inquilini diversi, dice Peter B. Pappas, vicepresidente alla Crosland per il commercio: “Richiede una serie frenetica di decisioni”.


Birkdale Village: qualche cifra
Commercio: 28.000 mq Uffici: 9.000 mq
320 Appartament Un teatro da 5.500 mq

Un osservatore che guardasse la strada principale di Birkdale, comunque, potrebbe non capire che tutti i particolari del progetto sono stati pensati e realizzati contemporaneamente. Gli edifici sui due lati sembrano quelli di una cittadina del New England, cresciuta nei secoli, con una miscela di stile coloniale, vittoriano e moderno, vari colori e linee dei tetti. La stessa strada è un ampio viale con al centro una striscia verde abbondantemente piantumata. I comodi parcheggi fuori dai negozi completano l’immagine di un attivo, piccolo centro urbano.

I punti commerciali sono una miscela di catene nazionali e operatori locali. (Crosland dice di aver mantenuto un equilibrio di 80% nazionale e 20% locale). Comprendono Barnes & Noble, Pier 1 Imports o Williams-Sonoma, e marchi locali come Belle Ville, una boutique; una pizzeria Brixx; uno wine bar chiamato Barone’s Wine Room.

“Uno dei modi per rendere ogni spazio inconfondibile è aggiungere caratteristiche locali” dice Pappas. “Se si vuole avere una certa varietà di fronte, basta integrare gli operatori locali”.

Eric Horsley, socio della Brixx, che offre pizza cotta in forno a legna in tre negozi a Charlotte e uno a Chapel Hill, N.C., dice che voleva essere presente con un punto vendita a Birkdale perché le catene nazionali presenti sono quelle che si trovano nei centri commerciali regionali.

“La Crosland ha fatto un enorme lavoro di marketing per questo centro” dice Horsley. Anche se il commercio di Birkdale probabilmente attira clienti da un raggio di 25 chilometri, secondo gli osservatori del settore locali, può pure contare sui residenti degli appartamenti, e ai quartieri in crescita attorno al villaggio.

Fra i progetti multifunzione realizzati dalla Crosland nel corso degli anni ci sono CrownPoint, in insediamento di 100 ettari che comprende commercio, uffici e magazzini, e NorthCross a Huntersville, un business park con centro commerciale.

La compagnia è stata fondata da John Crosland Sr., che iniziò costruendo abitazioni, ma già nel 1938 realizzava il suo primo progetto commerciale con un grocery-store a Charlotte. Nel 1965 John Crosland Jr. – ora ritirato, ma ancora presidente della compagnia – assunse la carica di Chief Executive Officer. La Crosland iniziò a cotruire appartamenti nel 1968, entrando poi nel settore degli insediamenti industriali e di uffici nel 1977. Nel 1987 fu ceduta la branca delle realizzazioni residenziali, salvo poi rientrare nel settore case nel 2000, con la affiliata Lillian Floyd Homes (dal nome della madre di John Crosland Jr.).[...]

Birkdale può essere il primo insediamento mixed-use della Crosland, ma non sarà l’ultimo. La compagnia sta realizzando su 12.000 mq quello di Poyner Place, Raleigh, N.C., e ne prevede altri in futuro.

“Stiamo vedendo che le città richiedono prodotti mixed-use molto più di quanto non avvenisse in passato” dice Mansfield. “Il mixed-use è uno dei pilastri della nostra strategia di impresa”.

Michelle L. Buckley, specialista per il commercio dell’immobiliare Grubb & Ellis Bissell Patrick, dice che questo primo tentativo è stato un grande successo.

“Quello che hanno creato è una città del commercio” dice. “Si tratta di uno spazio per lo shopping assolutamente favoloso”.

E Birkdale Village deve per forza essere un buon spazio, aggiunge Buckley, visto che la Taubman Centers progetta di aprire un mall regionale a mezza strada fra Birkdale e il centro di Charlotte nell’autunno del 2005.

Nota: qui il testo originale al sito International Council for Shopping Centers. A sottolineare l’approccio tutto interno alla logica suburbana del mall (che già si poteva intuire dall’articolo) di Birkdale, anche se con l’uso innovativo di varie funzioni, si veda lo studio su alcuni impatti ambientali allegato di seguito in PDF, che nota come il sistema dei parcheggi e in generale la progettazione spaziale siano ben lontani anche dai criteri del new urbanism. Su Eddyburg anche le Norme di Zoning della municipalità di Huntersville per il villaggio di Birkdale (f.b.)

Nora Lee, The Mom Factor: what really drives us where we shop, eat, and play, Urban Land Institute, 2005 (152 pp., 19,95 $)

Ci sono cose che succedono dentro a una mamma quando diventa tale. Ce ne sono altre che succedono fuori dalla mamma, e per così dire “trasformano il territorio”, in modo del tutto peculiare. Quali, come, e quanto?

Prova a raccontarcelo Nora Lee, studiosa e divulgatrice dei problemi legati all’uso degli spazi e tempi del consumo moderno, che un giorno scopre di aspettare un bambino. Non se l’aspettava proprio, di aspettare, alla sua età (allora intorno ai ’40, oggi ai ’50) e dopo le ripetute sconsolanti diagnosi di vari dottori. Alla faccia dei dottori, il bambino arriva, e inizia il suo indiretto quanto irresistibile processo di trasformazione del territorio.

Non lo fa, come si potrebbe immaginare a prima vista, (solo) sgattonando o magari obbligando la famiglia a cercare (se può permettersela) una casa più grande, ma in modo sottile condizionando i modi d’uso di spazi e tempi enormemente dilatati. Un condizionamento che si estende dal bambino, attraverso il nodo-chiave della Mamma, su e giù per le generazioni e gli spazi, fino ai nonni e allo spazio metropolitano e regionale. Del resto, basta pensare per un attimo ai famigerati ingorghi di fuoristrada all’ora di apertura e chiusura di asili e scuole elementari, per iniziare a intuire questi aspetti estensivi della maternità. Ma la nostra Nora Lee, da buona studiosa ed esperta, pur senza perdere per un istante di vista la propria preziosa soggettività di Mamma, va molto oltre la semplice sensazione e nota di costume: non a caso le pur leggere e leggibilissime 150 pagine del suo libro, sono corredate da statistiche, indicazioni bibliografiche senza esagerare, e pubblicate dal seriosissimo e specializzato Urban Land Institute di Washington, D.C.

Perché quello che accade “fuori” a una ragazza di qualunque età, quando le succede di diventare anche Mamma, è di scoprire nuovi territori. È il processo spesso raccontato e studiato, che coinvolge ad esempio chi porta o si trova a portare qualche tipo di condizionamento, alla mobilità o all’uso dei sensi. Ma con la Mamma esiste un coefficiente di moltiplicazione che deve far suonare un campanello d’allarme, soprattutto a chi controlla il territorio a fini di profitto: è lei a tenere i cordoni della borsa, a controllare dove e come organizzare i consumi familiari, a condizionare direttamente e indirettamente anche i comportamenti di altri soggetti. E lo fa a maggior ragione, man mano anche come donna e cittadina aumenta il proprio prestigio e produce autonomamente (oltre ad amministrarle) quote rilevanti del bilancio. È insomma la Mamma, a guidare la carica verso i nuovi territori del commercio, dei servizi, del tempo libero.

E come già detto, lo fa in modo molto più selettivo, analitico ed esigente di quando era “solo” una donna. Ora, alla sin ovvia esigenza di proteggere i cuccioli dalle insidie dell’ambiente esterno si somma il suo ampliato ruolo, la nuova articolazione dei tempi, una sensibilità affilata che si applica a tutto campo. Mamma Nora ci guida così su e giù dalle scale mobili di infiniti spazi commerciali, al chiuso o all’aperto, con un occhio attento alle nuove misure del suo corpo: che non finisce più alle unghie o ai tacchi delle scarpe, ma si è esteso alle propaggini dei bambini, dei passeggini, al raggio d’azione autonoma degli uni e degli altri. E anche il tempo è cambiato, nei valori e nella sostanza: tempo degli spostamenti, tempo del consumo, dello sfinimento e del riposo. Siamo insomma a qualche anno luce dall’immagine standardizzata del consumatore-tipo, da cartellone o spot, che a tutte le età e condizioni la comunicazione globalizzata invariabilmente ci ripete e propone a ogni latitudine.

Gli esempi e le gags sono infiniti: dall’esodo biblico con pupi e spesa nel deserto arroventato o alluvionato dei piazzali a parcheggio, a un approccio self-service che da un certo punto di vista si traduce “arrangiatevi: sono fatti vostri!”. Scenario, variabile, ma in fondo sempre molto simile, i nuovi territori del commercio dell’America suburbana, in cui anche noi europei e italiani cominciamo a riconoscerci molto da vicino. Il grande shopping mall, le zone centrali pedonalizzate e ri-attrezzate a nuovi usi, gli spazi di incontro e servizi di quartiere, il parco a tema, il cinema multisala, e trasversalmente tutti gli ibridi vecchi e nuovi del retailtainment, dissezionati dallo sguardo acuto della terribile, ipercritica Mamma. La trasversalità interessa anche i soggetti e il tempo. Ci sono nonni, fratelli, nipoti, tutti coinvolti in questo uso complesso del territorio commerciale, su e giù dall’auto, ascensore, dentro e fuori dal fast-food o dalla svendita di articoli sportivi che si rivela in qualche modo una patacca. E ci sono anche i tempi della storia: per quanto “storia” si possa definire (almeno da un punto di vista europeo) il semplice dipanarsi del vissuto individuale intrecciato all’evoluzione sociale e spaziale.

Ma l’io narrante di Mamma Nora va ben oltre le nostalgie e i rimpianti, pur senza trascurare nulla. Scorrono così, ad esempio, le immagini dei primi centri commerciali anni ’50 e dei relativi comportamenti, delle vecchie vie di villaggio con le botteghe emporio a gestione familiare, o dei cinema di terza visione. Anche di tutto questo si tenta un’analisi comparata di qualità dei servizi, degli spazi, del rapporto con l’entità famiglia allargata. Una delle parti più interessanti, da questo punto di vista, è il racconto di come venga percepito (secondo i ricordi personali, e secondo un piccolo questionario nazionale) lo spazio del parco a tema per eccellenza: Disneyland. Spazio della intuizione e filtrata memoria personale di Zio Walt, che attraverso le esperienze delle generazioni di utenti finisce per diventare, da “città dei sogni” che era, attraverso la fase intermedia di “città ideale”, una sorta di virtuale “centro storico” americano, deposito di memorie condivise e spunti per il futuro. In qualche modo inquietante, ma anche stimolante per chi non vuole ridurre la propria interazione con la modernità al solo conflitto istintivo.

E' forse proprio questo rapporto, critico ma al tempo stesso estremamente positivo e propositivo, di Nora Lee con gli spazi della modernità, a lasciare lievemente perplessi. Mi riferisco, qui, all’orizzonte suburbano middle-class che nel libro, dopo un breve esordio fianco a fianco con altri contesti, finisce per sostituirsi tout-court al mondo. Certo, Supermamma ce lo spiega bene, nei paragrafi introduttivi, che esistono vari chiari profili di consumatrice-manager familiare, e che lei per scelta ed esperienza personale esplorerà solo i territori della donna con un certo livello di istruzione, autonomia economica e reddito familiare (100.000 dollari l’anno), nondimeno questo influenza non poco l’effettivo valore sociale del pur acuto e documentato resoconto. In definitiva spariscono come d’incanto, temi di enormi dimensioni come la segregazione spaziale di chi non ha (o ha in modo limitato) un’automobile, o esigenze correnti di socialità più spicciola (il quartiere, o la semplice prossimità fra abitazione e servizi, qui quasi scompaiono, in una contraddittoria a-spazialità da grandi catene, interrotta da qualche gag di bottega o poco altro). Insomma, il lettore che non tenesse sempre a mente quell’appunto iniziale, finirebbe per scivolare in una pur avvincente, ma fuorviante, lettura tipo Paperino e Qui-Quo-Qua al Supermarket.

Decisamente positiva, invece, la capacità di questo libro di rivolgersi contemporaneamente all’operatore commerciale (da qui, probabilmente, la pubblicazione per il tipi dello ULI), allo studioso, e anche al pubblico delle Mamme, per renderle più consapevoli della propria forza d’urto economica, e della possibilità di usarla per ottenere “diritti”, stavolta non dal settore pubblico, ma dal commercio privato. Perché – almeno a parere del sottoscritto – salvo qualche eccezione ha poco senso avere un atteggiamento di rifiuto pregiudiziale nei confronti dell’innovazione, salvo, come questo dilatato “pomeriggio di shopping” ci insegna, andare puntigliosamente a cercare il pelo nell’uovo. Un uovo che, va da sé, non finisce al guscio delle pareti del negozio, del ristorante, ma si allarga al quartiere, alla città, al territorio all’ambiente. E qui, nei territori vasti e selvaggi dell’impresa globalizzata, non basterà certo a salvarci la nursery a palline colorate dell’Ikea. Però un pochino aiuta: basta non accontentarsi.

Eddyburg Bottini Mom Factor

La conformazione delle città inglesi, immerse in un paesaggio topografico a volte idilliaco a volte brutalmente monotono, è oggi plasmata da regole invisibili quanto incisive. Difficilmente se ne accorge il turista che passeggi per Exeter, magari sulla high street, parente non troppo lontana del "corso" italiano, guardando il sereno e ordinato agglomerato di banche, wine-bar alla moda e caffè Starbucks, gli immancabili Gap o Benetton, le agenzie di viaggio Thomas Cook. Non ne sono consapevoli molti dei residenti degli estesi quartieri suburbani di Stafford o Cheltenham, con i loro piccoli alimentari Seven-Eleven, le agenzie di scommesse William Hill e le farmacie di quartiere Boots. Né risulta evidente a chi attraversi in automobile le anonime periferie dove svincoli autostradali collegano alle arterie nazionali di città come Middlesbrough e Winchester, contesto prediletto dai megalitici capannoni dei Tesco, Toys'R'Us, B&Q e Halfords. Ma è un fenomeno con cui hanno dovuto fare i conti, negli ultimi decenni, i nuclei urbani di tutta la Gran Bretagna, in particolare quelle di medie dimensioni.

Lo scorso anno la Nef (New Economics Foundation) ha pubblicato il rapporto Clone Town Britain che, avvalendosi di statistiche provenienti da rilievi sul campo, dimostrava come gran parte delle città britanniche fossero diventati dei cloni, quasi totalmente privi di una propria identità [ vedi link interno a Eddyburg a pié di pagina]. Attribuivano la responsabilità di questo fenomeno per lo più alla straordinaria capacità di penetrazione delle catene commerciali, ormai dominanti in ogni settore di mercato: dai ristoranti (Caffe Uno, ad esempio) alle panetterie (Greggs), dallo sviluppo e stampa delle fotografie (Snappy Snaps) ai parrucchieri (Headmasters). Per non parlare, ovviamente, del settore alimentare, dell'elettronica, del bricolage e degli arredamenti. Negli ultimi tre decenni si sono combattute guerre feroci fra catene rivali in ogni ambito, ma a farne le spese sono stati innanzitutto i commercianti indipendenti. Secondo il rapporto della Nef (di cui è imminente la pubblicazione di un aggiornamento) oggi in Gran Bretagna rimangono 26.800 piccole attività autonome, in proporzione meno che negli Stati Uniti. I ricercatori della Nef hanno inoltre rilevato che a Exeter, considerata la città più "omologata" d'Inghilterra, quasi il 90% di tutti gli esercizi fa parte di una catena. La guerra sembrerebbe essere vicina alla sua conclusione.

Fra le ragioni che hanno determinato una così capillare omologazione c'è senz'altro la politica nazionale, che dalla seconda Guerra mondiale in poi ha gradualmente fuso il concetto di cittadino con quello di consumatore (per dirlo con le parole di Margaret Thatcher: «la società non esiste»), prediligendo così la scelta e la convenienza su ogni altro fattore. O la stessa geografia del Paese, che favorisce sistemi di distribuzione razionalizzati e centralizzati.

Ma ce n'è uno tanto inaspettato quanto influente: è il sistema dei postcode, o codici d'avviamento postale. Da una ventina d'anni aziende di gestione dati, quali la Experian, (un colosso con un fatturato di 1,8 miliardi di euro) acquistano e accumulano dati sui singoli consumatori, dati che a loro volta vengono abbinati ai relativi Cap. Le informazioni in mano a queste agenzie fanno impallidire qualsiasi archivio governativo: reddito, preferenze nei consumi di ogni tipo, sottoscrizione di mutui, carte di credito e altri servizi bancari, affidabilità finanziaria, luogo di residenza presente e passato, numero e tipo di automobili possedute ecc. Se si considera che i Cap sono 1,9 milioni e che in media ogni cifra determina soltanto 10 abitazioni e quindi circa 25 persone, si può avere un'idea del grado di dettaglio della mappa dei consumi che ne viene fuori. Ogni frammento di città viene etichettata in base ad una tabella di circa cinquanta categorie dai titoli a volte cinicamente espliciti: da Hard-Pressed High-rise ("Condomini Messi Male" ad Affluent Greys ("Grigi Abbienti").

Sono proprio queste mappe di "geografie invisibili" che rendono possibile ai generali di questa guerra, gli strateghi del marketing, dispiegare con precisione militare le loro unità. Sanno con esattezza chi abita intorno ai loro supermercati e quante persone con debiti possono raggiungere le loro agenzie di scommesse. Sanno quante persone li visiteranno nel loro primo anno di apertura, quanti concorrenti hanno in un raggio di un chilometro, quale grafica e quale pubblicità sarà meglio recepita dai loro clienti, quanti bambini abitano entro un raggio di mezz'ora di macchina. Oggi, la città inglese è una città che non corre rischi. Neanche il rischio di avere un'identità.

Nota: Eddyburg ha pubblicato tempo fa la traduzione di un estratto del citato rapporto Clone Town Britain (l.t.)

City of Vancouver, Land Use, Development Policies and Guidelines, Highway Oriented Retail (HOR); Rezoning Policies and Guidelines: Marine Drive Industrial Area; Adopted by City Council May 10, 2001. Amended July 30, 2002 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

1 – Criteri per la trasformazione dell’area

Le domande di trasformazione per le zone classificate CD-1 ( Comprehensive Development) destinate a funzioni commerciali a orientamento stradale di grande traffico, verranno valutate secondo i seguenti criteri.

1.1 – Usi commerciali e impatti sui centri di quartiere

Il tipo di attività adeguate per l’area HOR normalmente non si trovano, e non sono adatte, a un centro di quartiere. Questi centri, che nascono da zone commerciali esistenti, sono il “cuore” di un vicinato. È qui che gli abitanti possono trovare negozi, luoghi di lavoro, servizi di quartiere, spazi pubblici sicuri e invitanti, un luogo per incontrare i concittadini e partecipare alla vita collettiva. I tipi di commercio che invece si adattano meglio all’area HOR sono:

• quelli che richiedono ampi spazi per la natura dei prodotti commercializzati (ad esempio se sono necessari ampie aree per l’esposizione, se si tratta di merci ingombranti come l’arredamento, o gli accessori per l’edilizia);

• quelli che in genere richiedono l’uso dell’automobile;

• quelli che si rivolgono a un ampio bacino di utenza;

• quelle che non offrono merci disponibili, o comodamente disponibili, nei centri di quartiere e in altri tipi di spazi commerciali.

Le funzioni proposte non devono indebolire il ruolo dei vicini centri di quartiere sottraendo clienti al commercio locale. Alimentari e abbigliamento formano spesso la base delle aree commerciali di tipo locale, ed è probabile che il commercio su larga scala che offrisse questo tipo di prodotti si troverebbe in contrasto con le politiche municipali. Di conseguenza, il commercio alimentare non è considerato fra le funzioni potenziali, e anche quello di abbigliamento potrebbe non essere accettato.

Tutti questi tipi di funzioni commerciali, eccetto la vendita di alimentari (ad esempio un grocery store), saranno presi in considerazione. Comunque, le funzioni commerciali che comprendano alimentari e abbigliamento necessiteranno di una valutazione di impatto a cura del richiedente. Gli uffici stabiliranno il tipo di obiettivi, incaricando un consulente indipendente. L’ampiezza del bacino di riferimento da prendere in esame dipenderà dalle funzioni proposte. Lo studio deve evidenziare i modi in cui l’insediamento proposto influirà sul commercio concorrente entro una determinate zona. Sono preferibili i progetti che con maggior probabilità portino a un incremento nel numero e varietà degli esercizi concorrenti in zona. Le domande che tendenzialmente riducano al concorrenza o possano condurre a chiusure entro il bacino di utenza devono essere scoraggiate.

1.2 – Indice di fabbricabilità

Il Floor Space Ratio / FSR per funzioni commerciali non deve superare lo 0,6, con superficie commerciale minima di 929 m² per singolo esercizio. Per gli edifici a funzioni miste, è consentito un FSR di 3,0 (p. es. spazi commerciali sino 0,6 FSR e funzioni aggiunte consentite per le zone I-2 sino a 2,4 FSR).

1.3 – Altezze

L’altezza massima è di 12,2 m, aumentabile a 18,3 m per gli insediamenti a funzioni miste (p. es. commercio al pianterreno e funzioni consentite in zona I-2 a quelli superiori). I criteri riguardo alle masse da rispettarsi nei nuovi insediamenti sono esposti nelle linee guida per la progettazione.

1.4 Fronti sulla arteria di Marine Drive

I complessi nella zona HOR devono affacciarsi verso la Marine Drive. L’organizzazione in senso perpendicolare è in generale sconsigliata.

1.5 Arretramenti e spazi laterali

Attualmente per le zone siglate I-2 prospicienti Marine Drive, comprese fra le vie Cambie Crompton, esiste un arretramento organizzato a verde di 12,1 m. Per la zona HOR verrà mantenuto lo stesso tipo di arretramento, al netto dello spazio necessario a miglioramenti stradali. L’arretramento dovrà essere libero da parcheggi, zone di manovra, segnaletica ed esposizione di prodotti. Sarà consentito accesso a veicoli e pedoni.

Per fornire interesse pedonale e orientamento lungo la Marine Drive, gli edifici dovranno essere collocati lungo la linea di arretramento per un minimo del 50% della dimensione del lotto sull’affaccio verso Marine Drive. Si dovrà osservare uno spazio libero laterale arretrato di 1 metro rispetto a tutte le strade perimetrali.

1.6 – Impatti sulla 69° Avenue

Le attività e funzioni classificate HOR verso la 69° Avenue devono essere complementari agli adiacenti usi industriali (es. carico, deposito, magazzino).

1.7 - Traffico, parcheggi, accessi

Marine Drive è un importante corridoio di mobilità per persone e merci. Per mantenere queste funzioni e aumentare la sicurezza, è necessaria un’analisi di traffico e parcheggi (i cui costi saranno sostenuti dal richiedente), che evidenzi i probabili impatti sul traffico del progetto proposto. Lo studio dovrà esaminare gli effetti sul sistema delle strade circostanti e identificare le misure di gestione da adottarsi.

La comunicazione diretta con Marine Drive dovrà essere ridotta al minimo ovunque possibile, attraverso l’utilizzo di passaggi condivisi e ampi sistemi di circolazione interna, oltre all’accessibilità dalle vie laterali. La Città potrà richiedere a chi presenta progetti di realizzare miglioramenti alla sicurezza del traffico quali guide per la svolta a sinistra o segnaletica, o sistemi di circolazione pedonale e ciclabile, oltre alla creazione di collegamenti sicuri fra le zone residenziali a nord e i percorsi per il tempo libero sul fronte acqua.

La quantità di parcheggi dovrà essere adeguata a quanto previsto nei regolamenti relativi alla categoria Grocery Stores. Quando la funzione è commercio di mobili, o simili, l’ufficio municipale responsabile può fissare standards inferiori.

1.8 – Arredo a verde

Il sistema di arredo a verde degli spazi di arretramento degli edifici deve inserirsi in un progetto generale, allegato alla domanda.

1.9 – Linee guida per la progettazione

Gli insediamenti proposti devono migliorare e alzare il livello qualitativo dell’ambiente pubblico, attraverso espressioni architettoniche di alta qualità, un’attenta organizzazione degli spazi esterni, del verde pubblico e privato, un adeguato sistema di circolazione veicolare e pedonale.

Le domande di trasformazione devono dimostrare che, sulla base delle linee guida di progetto, gli interventi proposti migliorano l’ambiente fisico, secondo le intenzioni generali espresse nei paragrafi seguenti.

2 – Considerationi generali sul sito

2.1 – Adattamenti di livello

Qualunque significativo adattamento dei livelli esistenti deve essere finalizzato a un comodo accesso pedonale alle strutture, riflettere le pendenze naturali del terreno, ed essere visivamente complementare all’integrazione della massa dell’edificio nell’ambiente circostante.

3 – Accesso veicolare, parcheggi, zone di carico-scarico (con riferimento ai Regolamenti per i Parcheggi)

3.1 – Strutture a parcheggio

(a) Non è consentito il parcheggio o la manovra nelle aree di arretramento a verde.

(b) I parcheggi di superficie devono essere collocati ai lati o sul retro degli edifici.

3.2 – Accessi condivisi per ridurre le discontinuità del bordo stradale e del livello delle superfici

Devono essere realizzati ovunque possibile accessi condivisi alle proprietà confinanti per il massimo di sicurezza e orientamento, per ridurre al minimo le interruzioni nel bordo stradale, e aumentare le fasce verdi di interposizione.

3.3 – Arredo a verde e schermatura di parcheggi e zone carico-scarico

(a) Deve essere predisposto un sistema a strati di verde per schermare parcheggi e zone di carico, ed evidenziare visivamente segnaletica ingressi e percorsi di accessibilità.

(b) Orientamento e sicurezza rappresentano fattori importanti nell’organizzazione planimetrica, dimensioni e caratteristiche delle essenze arboree e movimenti terra che sottolineano la visibilità del e nel complesso.

(c) Le recinzioni di sicurezza devono essere limitate a un sistema di rete metallica accompagnato da adeguate siepi o altra vegetazione che ne riduca al minimo l’impatto visivo, tenendo conto dei principi fissati nel Crime Prevention Through Environmental Design (CPTED).

3.4 – Aree di carico-scarico

(a) Le aree di carico-scarico non devono essere visibili da Marine Drive.

(b) L’accesso alle aree di carico-scarico deve essere dalle strade laterali, da quelle confinanti con il lato sud dei lotti nel caso di quelli di maggior profondità, o da corsie riservate per quanto possibile.

4 – Ambito pubblico e ambiente stradale

4.1 – Criteri generali

(a) Devono essere realizzati marciapiedi continui lungo tutti i fronti stradali, per incoraggiare gli spostamenti pedonali.

(b) L’illuminazione stradale deve essere realizzata secondo le caratteristiche previste dalle norme dell’ufficio municipale responsabile.

(c) Devono essere incoraggiati spazi per opere d’arte in spazi pubblici, e riferimenti storici.

(d) Devono essere seguiti i principi del Crime Prevention Through Environmental Design (CPTED).

(e) La progettazione del verde deve offrire vedute sia degli edifici che di altri caratteri particolari.

(f) Devono essere offerti elementi di interesse per i pedoni lungo i fronti dei lotti.

(g) La progettazione degli spazi verdi deve prevedere possibilità di sedersi, vedute, passeggiate o altre forme di ricreazione attiva.

(h) Si devono realizzare adeguate forme di illuminazione secondaria, diretta e indiretta entro gli spazi verdi, senza che essa invada le proprietà adiacenti o generi aloni.

4.2 – Ambito pubblico e ambiente stradale su Marine Drive

(a) Per questa grande arteria di comunicazione, si considera adeguata la forma a viale con arredo a verde, marciapiede, doppio filare di alberi.

(b) Una delle file di alberi sarà collocata entro l’arteria stradale, e la seconda oltre il marciapiede.

(c) Il migliore intervallo tra gli alberi è tra gli 8 e i 10 metri, considerando entrate degli edifici e corsie di accesso veicolare.

(d) Se ciò è reso necessario da limitazioni di spazio, la seconda fila di alberi può trovar posto nell’area verde di interposizione.

(e) L’arredo a verde degli spazi d’angolo deve contribuire al benessere dei pedoni offrendo posti a sedere e ove possibile opere d’arte.

4.3 - Ambito pubblico e ambiente stradale sugli assi nord-sud

Le strade disposte lungo l’asse nord-sud (Yukon, Manitoba, Ontario, Main e Prince Edward) presentano una certa varietà di situazioni entro la zona Highway Oriented Retail. Alcune sono dotate di marciapiede, altre no. Alcune proprietà hanno alberi stradali, ma non tutte alla medesima distanza rispetto al margine. Coerentemente, le linee guida per la progettazione dovrebbero essere applicate in modo tale sia da favorire una continuità di aspetto, sia conservando le alberature esistenti. Anche la realizzazione di un sistema di marciapiedi continuo dovrà tener conto delle alberature esistenti, con adeguate pavimentazioni a livello alla base degli alberi.

(a) Si suggerisce una fascia a verde minima di 1 metro, e una spaziatura degli alberi da 8 a 10 metri.

(b) La larghezza standard del marciapiede in cemento sarà di 1,5 m.

(c) Si suggerisce un secondo filare di alberi, secondo uno schema sfalsato rispetto a quelli stradali, e spaziature identiche.

(d) Nella fascia di arretramento a verde si dovrà piantare vegetazione bassa.

(e) I parcheggi di superficie dovranno essere arretrati al minimo di 1,2 m. dal confine della proprietà, e schermati da una siepe o basso muro, al massimo di 1 metro. [...]

9 - Considerazioni di carattere ambientale

9.1 – Alberi e altra vegetazione: mantenimento, spostamenti e sostituzioni

(a) Le alberature e altra vegetazione esistenti devono ovunque possibile essere mantenute e inserite nel sistema a verde progettato.

(b) Devono essere mantenuti gruppi di alberi, a tutela contro i rischi di isolamento di esemplari singoli, e per conservare le associazioni vegetali minori, interferendo al minimo con la situazione esistente.

(c) Quando sia impossibile conservare gli alberi dove si trovano, come prima alternativa essi dovrebbero essere spostati in altre parti del sito.

(d) Come seconda alternativa, si deve sostituire la vegetazione con specie adeguate, collocate in spazi adeguati rispetto all’organizzazione del sito.

(e) Devono essere utilizzate varie specie locali, per ridurre al minimo le necessità di manutenzione, l’uso di acqua per l’irrigazione, e integrare il più possibile gli interventi a verde col paesaggio tradizionale.

(f) Devono essere realizzati e rafforzati ovunque possibile raccordi fra il verde esistente e quelli delle proprietà adiacenti.

9.2 - Acque: tutela di quelle superficiali e sotterranee

(a) Si devono aumentare al massimo le superfici permeabili a ridurre il deflusso delle acque piovane, e per ricaricare il sistema sotterraneo, secondo il seguente ordine di priorità: primo copertura erbosa, secondo ghiaia su sabbia, terzo, copertura in pietra su sabbia.

(b) Prendere in considerazione l’immagazzinamento in loco delle acque piovane, realizzando vasche o strutture ornamentali e per il tempo libero, a svolgere una duplice funzione.

(c) Si devono installare sistemi di raccolta degli oli e/o altri impianti di trattamento, per gestire (filtrare e ridurre) il deflusso delle acque dai piazzali a parcheggio.

(d) Le acque grigie di scarico devono essere riciclate in loco, quando possibile, a scopo di irrigazione, per ridurre i consumi, gli sprechi, il deflusso.

9.3 - Terreni: mantenimento, rimozione e sostituzione

(a) Il terreno di coltura superficiale spostato nel corso della costruzione dovrebbe essere mantenuto, ove possibile, a costituire una ricca base per le piantumazioni e l’arredo a verde.

(b) La qualità dei terreni dovrebbe essere migliorata dove necessario con trasferimenti interni o dall’esterno, secondo l’opportunità.

(c) I suoli contaminati dovrebbero essere sottoposti a bonifica o sostituiti con altri di buona qualità, a migliorare la crescita delle piante e il ciclo delle acque.

(d) I progetti di costruzione devono essere coerenti alle norme provinciali nel caso di terreni inquinati o altre contaminazioni.

9.4 – Qualità dell’aria e trasporti: distanze e funzioni

(a) Devono essere incoraggiati gli spostamenti a piedi e in bicicletta, collegando gli interventi alle vicine piste ciclabili, greenways e altri percorsi.

(b) Devono essere realizzati collegamenti sicuri e accessibili di carattere pedonale e ciclabile ai principali percorsi degli autobus.

9.5 - Energia: conservazione e efficienza

(a) Gli edifici devono essere orientati in modo tale da sfruttare al massimo il sole, sia dal punto di vista dei fabbricati che del verde.

(b) I materiali da costruzione, i metodi e sistemi, devono essere orientati alla conservazione energetica e alla riduzione dei costi di gestione sul lungo termine.

9.6 – Rifiuti solidi: riuso e riciclaggio

Si suggerisce di definire un piano generale di gestione dei rifiuti condiviso fra i vari proprietari dell’area, che possa offrire possibilità di riuso e riciclaggio alle varie attività commerciali e produttive.

Nota: su Eddyburg, anche la cronaca di come il progetto Wal-Mart, concordato secondo queste linee guida, sia stato comunque respinto. Dal Vancouver Sun 29 giugno 2005 (f.b.)

Gli investitori internazionali hanno bisogno soprattutto di dati, per orientarsi sul mercato. L'ultima fotografa sul retail italiano è firmata Jones Lang LaSalle con lo studio sul "Mercato dei centri commerciali". Già il 2003 era stato da record con 715mila mq di nuovi sviluppi per 30 aperture e cinque ampliamenti. Il 2004 ha confermato la tendenza, chiudendo con una superficie totale di 8,5 milioni di mq sviluppati su 547 centri. Le previsioni danno un ulteriore 45% di aumento tra il 2005 e il 2007, per nuovi 3,8 milioni di mq.

In tanto dinamismo, il rapporto mq/abitanti rimane sotto la media europea: ogni mille abitanti, 146 mq contro 180. Il dato medio nazionale, però, nasconde pesanti differenze tra aree: il Nord è allineato all'Europa, il Centro cresce velocemente e chiude il 2004 con una densità di 126 mq, il Sud non supera i 61 mq.

Un po' in ritardo, l'Italia, ma orientata verso le ultime mode: sorgono centri molto estesi - tra i 20 e i 40mila mq - che esaltano il matrimonio tra attività commerciali e del tempo libero, ad esempio con multiplex cinematografici (si pensi al centro di viale Sarca a Milano).

Nessuna struttura oltre i 40mila mq è stata inaugurata negli ultimi due anni: allo stato ne esistono 17 per il 10% della superficie totale (Gla). La classifica dei mq è guidata da Le Gru a Torino con 70mila mq, I Gigli a Firenze con 68mila, Orio al Serio a Bergamo con 60mila e Villorba a Treviso con 55mila. Mantengono le promesse di crescita i factory outlet che rappresentano solo il 2% dello stock totale, ma crescono a buon ritmo. Anche se, secondo Jll, aperture e ampliamenti nuovi porteranno ad aggiungere 340mila mq di Gla agli attuali 160mila, con ciò coprendo il mercato. Convinzione condivisa dagli investitori stessi. Jacopo Mazzei, a.d. di Fingen Re (partner del big europeo McArthurGlen, pioniere in Italia con Serravalle Scrivia) pensa che dopo l'effetto novità .

Intanto, a ottobre è prevista l'apertura di Barberino di Mugello (72 milioni investiti) da parte proprio di McArthurGlen, che sta già lavorando anche per un'apertura a Napoli (80 milioni); Fashiondistrict parte a giugno col raddoppio di Bagnolo San Vito e lavora sui nuovi appuntamenti di Molfetta (Ba, 340mila mq per 135 milioni, con multiplex) e Santhià (Vc, 130mila mq totali, 35 milioni d'investimento per lo sviluppo dei primi 14.500 mq); la spagnola Neinver è impegnata a Vicolungo (No) su un progetto da 75 milioni. Nel prossimo futuro dell'Italia si intravedono anche nuovi parchi commerciali. . Entro la fine del 2007 è previsto il raddoppio degli attuali 180mila mq. Non attecchisce invece la formula dei centri leisure dedicati al tempo libero. Esistono solo tre progetti, per circa 130mila mq. .

Lo sguardo degli investitori si volge verso le regioni del Centro Sud, che nel 2004 hanno attratto il 48% degli investimenti. Tra le operazioni più rilevanti ricordiamo l'acquisizione da parte di Ing del centro Megalò a Chieti e i centri di Pomezia e Aprilia. Molto attivi nello shopping dell'anno scorso sono stati i fondi aperti tedeschi, con il 41% degli investimenti contro un timido 6% rappresentato dai fondi chiusi italiani.

Qui il sito immobiliare Grimaldi (f.b.)

Titolo originale: Retail shifts toward livability, says mixed-use expert – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Nessuno si è guadagnato più consensi di Richard Heapes nel campo della progettazione di centri mixed-use negli scorsi anni. I suoi progetti comprendono Mizner Park, Bethesda Row, Santana Row, e Blue Back Square. Heapes ha dimostrato intuizione nel creare insiemi di negozi, ristoranti, residenze, uffici: luoghi dove le persone tornano volentieri.

Architetto di formazione, Heapes è socio fondatore della Street-Works LLC, con sede a White Plains, New York. Quando è stato invitato di recente a tenere un discorso alla riunione annuale del Town Green Special Services District di New Haven, il direttore di New Urban News Philip Langdon ha colto l’occasione per intervistarlo sulle tendenze del New Urbanism negli ambienti commerciali.

NUN: È finita, l’epoca dei centri commerciali tradizionali?

RH: negli ultimi dieci anni c’è stato un vero assalto, al modello dello shopping mall. Si sono visti i “ power centers”, i “ category killers”, i villaggi outlet, i complessi urbani per il tempo libero. E adesso ci sono i lifestyle centers, anche se non c’è molta vita, lì, e molto poco stile. Ci sono oltre 2.000 centri commerciali in America, ma solo due nuovi in costruzione. Il tempo che la gente trascorre lì dentro diminuisce ogni anno, e ora è sceso sotto un’ora. Nel frattempo, negli scorsi cinque anni, i commercianti, la grande distribuzione, i proprietari di centri commerciali sono stati molto occupati nelle razionalizzazioni proprietarie, nel comprarsi l’uno con l’altro, senza prestare molta attenzione ai propri clienti.

NUN: I rapporti della PricewaterhouseCoopers ripetono da anni che l’aspetto esteriore di molti centri commerciali – quelli che non stanno in cima alla propria categoria – lascia a desiderare.

RH: Quello che è cambiato è che, ora, i proprietari di centri commerciali si sono accorti di essere vulnerabili. Capiscono che c’è stata una trasformazione nei desideri dei consumatori. Alcuni hanno cominciato ad aggiungere nuove componenti al modello originario: la Cheesecake Factory, o il cinema, ecc. Alcuni hanno inserito un magazzino Target come anchor, offrire un commercio di servizio, per lo shopping “quotidiano”, così che ci si vada due volte la settimana. Ma essenzialmente i centri commerciali sono ancora ambienti dedicati solo agli acquisti.

Alcuni hanno fatto causa alla concorrenza, come ci è successo a West Hartford, dove la Taubman Companies ha cercato di fermarci nella realizzazione del Blue Back Square (un complesso a funzioni miste inserito in un centro città lineare tradizionale). Questo perché riorganizzare un centro commerciale costa 10-15 milioni di dollari, mentre per fare una serie di cause legali anche lunghe basta un milione.

NUN: Quante delle tendenze negli spazi commerciali sono determinate dai pressi di beni e servizi?

RH: personalmente vedo il commercio come organizzato attorno a quattro fattori: prezzi e convenienza, o varietà e comunità. Negli anni recenti, il 90% di tutta l’edilizia commerciale si è concentrato su un solo ambito: super-convenienza e super-prezzi. Ad ogni modo, la gente dei big-box sta arrivando a una svolta. I grandi operatori vengono verso i centri urbani. Tentano di entrare nelle downtowns dove esiste un ambiente di varietà, comunità, autenticità, “realtà”. Il consumatore di oggi vuole una Main Street, un ambiente urbano, e i commercianti stanno tentando di capire come possono offrirglielo.

NUN: Il commercio big-box vuole davvero realizzare negozi genuinamente urbani: complessi multipiano affacciati sul marciapiede?

RH: Con una concorrenza così forte, e margini di profitto tanto sottili, la maggioranza degli operatori vuole spendere il meno possibile per i propri edifici. L’edilizia è vista come spesa, non come investimento. E ovviamente la cosa salta agli occhi. Normalmente, un punto vendita Target può costare 15-20 milioni di dollari. In centro a Stamford, Connecticut, c’è un nuovo Target, di cui siamo stati progettisti e costruttori, e che è costato parecchie volte tanto. Ha l’aspetto di un grande magazzino, con piccoli negozi a livello marciapiede, parcheggio su quattro livelli al di sopra. Il commercio big-box ha bisogno di espandersi nei mercati urbani, e inizia a “pagare per entrare”, in termini di progettazione urbana, complessi edilizi più creativi, e altri costi.

NUN: Qual’è la chiave del successo dei vostri progetti?

RH: Siamo orientati a varietà di esperienze, secondo un formato non rigido. Crediamo in spazi mixed-use e quartieri con gente che ci viva, che si inseriscano senza soluzione di continuità nel contesto urbano generale. Durante l’ iter di approvazione per Blue Back Square, ho invitato The Hartford Courant a visitare Bethesda Row e a indovinare dove iniziava e dove finiva il nostro intervento. Sono stati lì tre giorni, e non ci sono riusciti.

Oltre alla gente che ci vive, anche la disponibilità di cibo non è mai troppa. C’è qualcosa di genuino, nell’esperienza alimentare. I negozi alimentari sono un fatto davvero emergente. Nello stesso modo in cui gli alberi convincono le persone che si tratta di uno spazio per camminare, il cibo le convince che è un posto in cui vivere. Alberi per le strade e residenze sono molto importanti, ed è possibile risolvere molti problemi di costruzione di spazi sostenibili, nelle città americane, usando queste componenti.

NUN: È un tipo di intervento realizzabile in città di qualunque dimensione?

RH: Città e cittadine attraversano dei cicli, o diverse fasi di un ciclo. Alcune sono in un ciclo di “ viability”. Stanno cercando solo di sopravvivere e crearsi una base economica sostenibile. Molti di questi problemi hanno una scala regionale. Le questioni sono una base economica sostenibile, buone infrastrutture, servizi regionali. Altre città si trovano entro un ciclo di “vivibilità” o di “memorabilità”. Le questioni di vivibilità tendono a ruotare attorno al come rendere una città un buon posto per vivere: case, scuole, giardini, spazi aperti. La memorabilità tende ad organizzarsi attorno al come le città possono fare le cose in modo caratteristico e idiosincratico rispetto a persone e influenze di quello specifico spazio e tempo.

Molti tentativi falliti di progettazione in America si devono all’uso di strategie non allineate alla specifica fase e problemi di una città, combattendo una battaglia sbagliata o che la gente non vuole. Le strategie del commercio urbano in genere hanno maggior probabilità di successo durante la transizione di una città dalla vivibilità alla memorabilità. C’è un mercato, c’è gente che ci vive, e questo forma la base per sostenere il commercio.

Giuliani è stato eletto quando New York aveva seri problemi di vivibilità. Ha lavorato su pulizia e sicurezza, e questo ha aiutato la città a evolversi verso la vivibilità. Gli interventi a Times Square sono nati durante l’epoca di vivibilità: come salvare Broadway e il quartiere dei teatri. Sono stati conclusi mentre New York si stava confrontando con questioni di vivibilità, e criticati come troppo netti, troppo omogenei. Non per gente di New York. Poi la città si è mossa attraverso il ciclo di vivibilità e rinascita, e ora è di fronte a questioni che attengono la memorabilità, come quelle in gioco al sito del World Trade Center. Gli abitanti capiscono che devono ricostruire in modo memorabile. Non si tratta di un processo lineare. Credo, piuttosto, ciclico. San Francisco, per esempio, ha trascorso la maggior parte degli ultimi dieci anni confrontandosi con problemi di vivibilità come un nuovo stadio da baseball, la demolizione dell’Embarcadero, la rivitalizzazione del Ferry Terminal, o le case popolari.

NUN: È possibile costruire uno spazio memorabile, con le grandi catene commerciali?

RH: Ci sono sempre meno inquilini fra cui scegliere, ogni anno che passa (anche se i cicli commerciali sono molto brevi). Parecchi grandi magazzini non esistono più. Anche quando si realizzano buone vie, gli operatori disponibili sono sempre gli stessi. L’ambito dive si ottiene varietà è la residenza, se ci sono abitanti. Ci aggiungiamo vere attività di servizio, come i parrucchieri, alimentari, acquisti superflui, ristoranti, negozi di vini, gallerie d’arte, e cosa più importante di tutte elementi di attrazione a scala regionale, come librerie e teatri inseriti in grandi spazi pubblici. Sono questi gli strumenti per costruire spazi memorabili. Il ruolo del commercio è semplicemente quello di attirare qui le persone, non di rappresentare la funzione o esperienza principale.

NUN: Quali sono i vostri principi progettuali per il commercio?

RH: Il nostro codice recita: “non si possono fare le cose come quelle della porta accanto”. Vogliamo varietà e contrasti. Sono contrario alle formule. Mi è sempre piaciuto il modo di dire di Robert Venturi,“vitalità disordinata”.

Credo che non si possa avere un sistema stradale altamente organizzato e insieme produrre vitalità commerciale di strada. È questa la mia differenza rispetto ai new urbanists. Il New Urbanism è in gran parte orientato dalle forme. Regole e vocabolari fisici, sono antitetici alla natura organica del commercio, dei luoghi commerciali di alta qualità.

Formule come quella dei cinque minuti a piedi come strumento progettuale serio per ambienti di shopping, sono irrilevanti, se non anche sbagliate. Le dimensioni del mercato necessario a sostenere distretti commerciali di certe dimensioni, comprese cose semplici come un negozio alimentare, sono urbane, e saranno determinate principalmente da gente che arriva lì con qualche mezzo di trasporto, principalmente l’automobile.

Là dove i new urbanists sembrano fissati con la prevedibilità fisica (la maggior parte sono fanatici dei regolamenti), noi tentiamo di creare un’immagine di mercato organica, dove il progetto non risulta davvero completo finché gente e negozianti non entrano in gioco e fanno un po’ di disordine. Cerchiamo di gestire il processo per ottenere il meglio dagli istinti economici. Ho sempre pensato che il modello di Christopher Alexander e del suo A Pattern Language, di legare l’esperienza alle forme fisiche fosse un modo più adeguato (e preciso) di descrivere e organizzare l’ambiente commerciale.

NUN: Ma non ci sono progetti di insediamento commerciale new urban che offrono il tipo di contrasti e sorprese di cui parli? E non è bene cercare un ordine generale, all’interno del quale esista varietà?

RH: Non mi fraintendere, è ovvio che ci sia bisogno di una buona struttura urbana e di pianificazione per organizzare regioni, settori e quartieri. E riconosco ai new urbanists il fatto di aver dato forma a un nuovo paradigma, che ha spianato la strada a nuovi tipi di insediamento, compresi i mixed-use. Ma se questo modello appare brillante quando applicato a spazi e quartieri ad orientamento soprattutto residenziale, credo che la centralità assunta dalle forme fisiche sia completamente inadatta per organizzare luoghi commerciali vivaci e organici orientati al mercato. Non è un loro errore; spesso mi chiedo se davvero non sia possibile, viste le soglie economiche di oggi per i rischi e profitti.

NUN: Come riassumeresti la situazione, oggi?

RH: In America non c’è bisogno di costruire nuovo commercio. Vorrei che ci fosse una moratoria nazionale. Le nostre attività si stanno lentamente concentrando dentro i “ supercenters”. Il risultato è che dobbiamo costruire nuove trappole da topi per lo shopping: con luoghi veri, quelli autentici dove la gente vuole andare a far spesa e a pranzare, con case e uffici, scuole, biblioteche ecc., e cosa più importante stare semplicemente assieme. Posti a cui la gente non fa caso, a partire da chi li progetta e costruisce. Penso che stiamo migliorando nel fare queste cose, ma sono sempre meravigliato nel vedere come il nostro settore delle costruzioni riesca sempre a portare tutto quanto verso il minimo comune denominatore. Tuttavia, credo che stiamo migliorando. Per il futuro, dovremo proprio farlo.

Il testo originale (disponibile anche “in chiaro”) al sito di New Urban News (f.b.)

Charter Keck Cramer, Hansen Partnership, Retail/Commercial Development Strategy, Draft Report for Discussion Prepared for City of Kingston, June 2005 - Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

6.1 Merci ingombranti – Una domanda commerciale in via di trasformazione

I prodotti offerti nell’ambito commerciale delle merci ingombranti sono abitualmente beni di consumo durevole che si acquistano di rado, in genere di alto valore. Il fattore distintivo fra i beni durevoli commercializzati nell’ambito merci ingombranti e quelli attraverso negozi e centri commerciali, è la dimensione e massa degli articoli. I più comuni in questo settore sono mobili, accessori, casalinghi, arredo bagno e apparecchi, ferramenta, prodotti da giardino, accessori per l’auto, che richiedono notevoli superfici per l’esposizione e l’immagazzinaggio. Va comunque notato che anche prodotti poco ingombranti, come i casalinghi, sono sempre più spesso commercializzati tramite negozi orientati agli articoli più ingombranti, con crescente preoccupazione da parte dei commercianti tradizionali e agli investitori in immobili commerciali.

I grandi spazi necessari per questo tipo di commercio (e in modo connesso le strutture a più alto affitto degli shopping centres) significano che i centri commerciali restano fuori dalle possibilità localizzative della maggior parte di questi punti vendita. La dimensione dei negozi, che caratteristicamente oscilla dai 1.000 ai 4.000 metri quadrati per singolo esercizio, sino ai 20.000-30.000 metri quadrati nel caso dei centri per l’edilizia, oltre alle necessità di grandi parcheggi, in un primo tempo ha significato che le zone miglior per l’insediamento si siano rivelate quelle a destinazione industriale affacciate su una grande arteria di comunicazione. Ma il successo di questo formato commerciale, ora giustifica il costo aggiuntivo di una localizzazione più associata alle funzioni distributive più che agli usi industriali, perché ciascuno dei punti vendita possa risultare competitivo. Anche le politiche urbanistiche tendenti a consolidare le funzioni commerciali attorno ad alcuni poli di attività, prevenendo un insediamento extraurbano, hanno contribuito a questa strategia localizzativa.

6.1.1 I Superstores isolati

I grandi punti vendita isolati [ free-standing] occupano in genere superfici commerciali di 10.000–15.000 metri quadrati con un solo affittuario. La forma dei fabbricati è caratteristicamente quella di un grosso magazzino lungo una via principale, ed essi offrono ampi parcheggi per molte auto. Viste le dimensioni e il livello di attrazione di visitatori, gli operatori di questi superstores possono permettersi una localizzazione isolata, spesso entro ambienti non-commerciali, e pure risultare competitivi dato che fanno riferimento ad un bacino di utenza molto vasto.

Questi operatori possono essere descritti come “ category killers” per la loro capacità di offrire grandi quantità entro una gamma ristretta a prezzi molto concorrenziali, insieme alla possibilità di uno one-stop shopping. Esempi caratteristici di questa categoria sono le catene: Bunnings, Toys R Us, Ikea, Officeworks, Freedom Furniture, MegaMart, Clive Peeters, o Harvey Norman. Il successo finanziario di questi negozi è stato vario, come dimostra il fallimento di World 4 Kids di Coles Myer, o al contrario la forte crescita di Bunnings o Freedom Furniture. I category killers di solito si collocano in edifici superstore isolati, ma si possono trovare anche nei centri commerciali regionali o negli homemaker centres.

I grandi negozi isolati talvolta si organizzano entro uno homemaker centre o sono raggruppati insieme ad altro commercio di dimensioni minori, ma pure orientato ai beni ingombranti. I punti vendita isolati, principalmente grandi catene nazionali, hanno un ruolo di “destinazione” [ attirano da soli clientela n.d.T.] che consente loro di esercitare in solitudine, purché collocati strategicamente rispetto alle grandi arterie di comunicazione.

6.1.2 Homemaker Centres

Gli homemaker centres sono insediamenti integrati che riprendono alcuni principi del moderno centro commerciale. Offrono una scelta di attività complementari e compatibili, entro un ambiente di carattere familiare che talvolta comprende servizi come caffetteria, ristorazione fast food, spazi gioco per i bambini.

Nella fase iniziale di questo sviluppo, nel primi anni ’90, gli homemaker centres si realizzavano spesso in aree a destinazione secondaria, entro o ai margini di zone ad industria leggera, che però offrivano un affaccio su strade o superstrade. A partire dalla seconda metà dei ’90, il tipo di localizzazione necessaria per gli homemaker centres integrati è cambiato, con la loro entrata nel filone principale del settore commerciale, e il bisogno di collocarsi nei pressi di shopping centres o grandi negozi isolati.

Gli homemaker centres consistono di una serie di esercizi del genere category killer o altro commercio di articoli ingombranti, e godono il mutuo beneficio della vicinanza reciproca, attirando consumatori da una più vasta area. I punti vendita caratteristici di questi centri sono quelli di prodotti elettrici, arredamento, biancheria da letto, casalinghi, ferramenta, articoli per l’edilizia (pavimenti, tegole, piastrelle, cucina-bagno) ma c’è stata di recente un’espansione di generi e operatori, e ora sono presenti anche accessori auto, giocattoli e articoli sportivi, e per le attività all’aperto. Si tratta di strutture commerciali per cui la clientela è disponibile a spostarsi su lunghe distanze vista l’offerta di notevole varietà a prezzi concorrenziali rispetto al negozio tradizionale, grande magazzino o specializzato.

[...] Il successo di questi centri in termini di attrazione di clientela e turnover di operatori è ben riflesso dal fatto che la categoria immobiliare sia diventata un tipo a sé. Investimenti e attività costruttiva si sono spostati dal dominio dei piccoli operatori indipendenti a entità più grosse, associazioni e conglomerati. Ciò suggerisce un riassestamento verso il basso da parte del mercato dell’indice di rischio associato a questa forma commerciale.

6.1.3 Commercio lungo le fasce stradali / Quartieri di esposizioni

I piccoli saloni (abitualmente da 300 a 800 metri quadrati) affacciati su una via principale o superstrada sono in declino, rappresentativi di una forma di commercio superata. Le showrooms in genere sono piccole strutture, isolate o a piccoli gruppi, senza alcun tipo di sinergia fra i tipi di prodotti proposti.

[...] In genere i quartieri di esposizioni lungo le fasce stradali sono simili ad altre forme di striscia commerciale, dato che dipendono da:

● Una massa critica di commercianti che offrono prodotti simili o complementari;

● La presenza di anchor( s) per attirare visitatori;

● Meccanismi di pianificazione urbanistica e strategie commerciali a orientare l’insediamento, anziché una logica di gestione da centro commerciale.

6.1.4 Gerarchie dei poli di attrazione nel commercio di beni ingombranti

Con la maturazione di questo segmento, è emersa una gerarchia delle varie destinazioni, a seconda delle differenze di attrattività dei vari centri o quartieri. La capacità di attrazione si basa su elementi quali:

● Massa critica di superfici commerciali;

● Miscela di operatori;

● Compatibilità e sinergie fra negozi adiacenti;

● Prossimità ad altre strutture commerciali o cittadine;

● Età del complesso e tipo di negozi;

● Comodità di accesso e parcheggio.

I complessi che comprendono sia homemaker centre( s) entro un importante centro commerciale (di scala regionale o superiore) e/o superstore isolati si collocano al vertice della gerarchia, mentre i quartieri tradizionali di vecchio tipo lungo le fasce stradali si riclassificano ad un livello più basso.

da molti punti di vista, questa evoluzione è simile a quella di adattamento gerarchico degli shopping centres nella zone di Melbourne quando essi nella forma isolata il tipo commerciale dominante a spese delle tradizionali fasce commerciali di via. L’adattamento naturale di queste ultime a comprendere un più ampio raggio di funzioni – come caffè e ristoranti – e/o un rafforzamento di tipo tematico per rivolgersi ad un mercato locale più ampio, è indicativo della natura dinamica del settore commerciale.

[...] 6.3 Merci ingombranti: un mercato che si avvicina alla fase matura

Il mercato dei prodotti ingombranti sta cominciando ad entrare in una fase matura di sviluppo, come risultato di una forte crescita nelle attività e alla costruzione degli homemaker centres e dei quartieri specializzati nello scorso decennio. In questo periodo è cresciuto il numero degli insediamenti, e insieme la gamma dell’offerta e le quantità di operatori all’interno di essi. Una risposta naturale a ciò, è un restringimento dei bacini di utenza naturali serviti dai vari centri e quartieri, e un’erosione della rendita economica colta dai primi operatori che vi si sono insediati. Questo effetto è stato in parte nascosto dalla forte crescita dei consumi delle famiglie, in particolare dalla fine degli anni ’90, come conseguenza del rafforzamento del dollaro australiano e di solido mercato interno.

6.4 Conclusioni

Le conclusioni principali che possiamo trarre da questa analisi del settore commerciale delle merci ingombranti sono che:

● Questo tipo di commercio rappresenta un nuovo formato, emerso come risposta ad una aumentata domanda di beni particolari e per la casa, sino al punto in cui è diventato conveniente specializzarsi in categorie singole;

● La recente forte crescita della domanda probabilmente non continuerà in futuro, per l’aumento dei prezzi nominali dei prodotti importati e l’indebolimento dell’attività interna;

● Il risultati commerciali dei grandi magazzini, nell’ambito delle merci ingombranti, probabilmente inizieranno a stabilizzarsi dopo un declino durato un decennio.

Nota: l’intero rapporto in originale è scaricabile al sito Strategic Planning dell’amministrazione municipale di Kingston, città di 135.000 abitanti nel'area metropolitana di Melbourne (f.b.)

Titolo originale: What’s in a Name? Plenty – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Cosa c’è in un nome? Quando classifichiamo un insediamento e i suoi contenuti commerciali e associati, c’è molto in gioco. Il successo del lifestyle center, in tutte le sue forme, mette in luce il dilemma della denominazione.

Le radici dell’organizzazione moderna, e dell’attuale confusione, risalgono agli anni ’90, quando drastici cambiamenti negli assetti del commercio hanno comportato un consolidamento degli operatori esistenti, la ridefinizione del concetto di “ anchor”, una proliferazione di formati a prezzi scontati, la nascita del commercio online. I consumatori hanno avuto un ruolo importante, coi rappresentanti della generazione Baby Boom ad esprimere una preferenza per ambienti commerciali gradevoli e prodotti più sensibili alle esigenze della clientela.

Nello stesso tempo le donne, continuando a prendere la maggior parte delle decisioni d’acquisto, si sono pienamente integrate nel mondo del lavoro, mentre sono cresciute in modo costante le famiglie di un solo genitore. Questi fattori, insieme, hanno creato un tipo di consumatore con nuovi desideri e necessità: e più pressioni. Per questo consumatore sempre a corto di tempo e costantemente alla ricerca di stimoli, sono diventate essenziali le possibilità multiple di integrare le esperienze (acquisti, e ristorazione, e divertimenti, per esempio), e una maggiore assistenza e comodità.

Il nostro settore ha risposto con vari stimolanti ambienti e modalità commerciali. Abbiamo assistito alla costruzione di alternative allo sprawl suburbano, attraverso una migliore progettazione edilizia e urbanistica, insieme ad una maggiore accessibilità (e interesse) delle merci messe a disposizione dall’economia globale.

Poi, nello sforzo di proporre e comprendere questi nuovi formati, si è arrivati al “gioco del nome”. Conosciamo tutti le varianti del lifestyle center: fashion center, leisure time center, specialty retail center, urban entertainment center, town center o urban village. L’elenco potrebbe continuare.

Purtroppo, anche le tabelle dello International Council for Shopping Centers mancano della necessaria precisione, specie nel campo dei più innovativi lifestyle center: troppo numerosi da citare qui, e anche difficili da comprendere. Gli elenchi di lifestyle centers dello ICSC comprendono circa 100 centri così classificati, a rappresentare diversi aspetti di filosofia insediativa, dimensioni, planimetrie, miscele funzionali.

Questa difficoltà di denominazione si applica in particolare ai complessi mixed-use che la Steiner & Associates chiama “ New Town Centers”. Riteniamo che il fatto di buttare semplicemente e indiscriminatamente questo formato particolarissimo di nuovi complessi centrali nella categoria del lifestyle center non faccia un buon servizio a costruttori, affittuari, investitori, funzionari urbanistici e consumatori.

The Lifestyle Center

Rivediamo le caratteristiche contraddittorie della stessa classificazione lifestyle center. La definizione originale e più limitativa è quella che descrive un insediamento lineare senza anchor, di circa 20.000-30.000 metri quadrati, in genere entro un intervento di densificazione urbana [ infill], proposto con punti vendita specializzati di alto profilo. Credo che il termine sia stato introdotto da Poag & McEwen nel 1987, quando inaugurarono il loro Shops of Saddle Creek a Germantown, (Memphis) Tennessee.

Una definizione più ampia è quella adottata dallo ICSC, estesa a comprendere centri sia con che senza anchor, da 10.000 a 80.000 metri quadrati, ma ancora all’aperto. La descrizione più vasta è quella utilizzata dalle entità finanziarie, che classificano essenzialmente il lifestyle center come insediamento non convenzionale almeno in parte all’aria aperta, diverso da un centro commerciale, da un power center o da un complesso di quartiere.

Un lifestyle center è un ambiente commerciale che risponde ai valori, bisogni e stili di vita del proprio utente. Il problema con questo tipo di approccio “a grandi pennellate” è che l’ambiente commerciale che ne risulta diventa un bersaglio mobile. Potrei sostenere che negli anni ‘50 e ‘60 il centro commerciale regionale era il vero lifestyle center, così come lo erano i power centers negli ’80 e ‘90.

Crediamo che le definizioni di ambiente commerciale debbano essere basate su alcune obiettive caratteristiche del complesso. È questo, il modo in cui vorremmo introdurre il “ New Town Center”.

I new town centers sono progettati e mantenuti utilizzando gli stessi principi fondamentali di urbanistica che hanno costruito e conservato centri urbani vitali per decenni. Dato che sono pensati a scala umana, offrono abbondanza di parcheggi sia su strada che in spazi appositi, hanno a fungere da anchor luoghi di incontro pubblico, i new town centers sono “pre-disposti” per un riuso adattivo, con altri e diversi occupanti degli spazi, dato che società e valori e bisogni si evolvono.

Gli esempi comprendono il Crocker Park a Cleveland della Stark Enterprises, The Grove al Farmers Market a Los Angeles della Caruso Affiliate, CityPlace a West Palm Beach, Florida della Related, Bowie Town Center, a Bowie, Maryland della Simon, e poi Zona Rosa a Kansas City, Missouri, e Easton Town Center a Columbus, Ohio.

Si noterà comunque che tutti questi centri sono works in progress verso il modello perfetto. Titti hanno imperfezioni. Ma quello che, chiaramente, hanno tutti in comune, è l’uso degli spazi pubblici come anchors, e il fatto di usare in una forma o nell’altra modi ispirati alla progettazione spaziale tradizionale.

Adattare e raffinare ulteriormente questa categoria, farà progredire in molti modi la cultura della progettazione di spazi commerciali. Avremo una cornice analitica entro cui poter valutare adeguatamente parametri quali le proporzioni di commercio, uffici, residenze, accoglienza e spazi civici; il relativo impatto finanziario di ciascuno di questi usi; i criteri progettuali per gli ambienti e le sezioni stradali; analisi delle modalità di circolazione pedonale e veicolare; i contributi alla sostenibilità economica e ambientale. Saremo in grado di farlo senza interferire con le attuali analisi di carattere commerciale, come i profili del consumatore, la demografia dei bacini commerciali, o le necessità dell’affittuario di spazi.

Come i lifestyle centers, anche i new town centers sono complessi vivi, che si evolvono e maturano col tempo. Con l’aiuto di una solida definizione, possiamo evitare l’attuale dilemma attorno ai lifestyle, e presentarci meglio al settore commerciale, alla comunità degli investitori, e infine al pubblico: le persone per cui lavoriamo e che serviamo con tanta passione.

Il gioco del nome

Nonostante le numerose affermazioni in questo senso, di norma i lifestyle centers non adottano i principi neo-tradizionali o new urban di progettazione e costruzione. Sono una versione migliorata dell’abituale modello di insediamento commerciale lineare. Al contrario, l’impegno a realizzare un ambiente a funzioni miste, basato su principi urbanistici neo-tradizionali, produce insediamenti completamente diversi da un lifestyle center.

Alcune delle caratteristiche distintive dei new town centers sono:

Una massa critica, di oltre 40.000 metri quadrati di commercio, inseriti entro un complesso a funzioni miste di almeno 80.000 metri quadrati in totale, indispensabili per diventare davvero un punto di riferimento, un luogo per la comunità circostante.

Funzioni integrate, con uffici e residenze, servizi e accoglienza, progettati per integrarsi verticalmente, o comunque adiacenti agli spazi commerciali.

Scala adeguata e percorribilità, di edifici, organizzazione e dimensioni stradali, secondo la progettazione tradizionale, ad offrire spazi e condizioni orientati alla pedonalità, tutto il giorno e tutti i giorni.

Una significativa componente orientata al tempo libero, di almeno 5.000 metri quadrati, integrata alle funzioni tradizionali commerciali, a rendere il quartiere fulcro di socialità per la zona e i suoi abitanti, e a mantenere “vivo” il centro.

Basarsi in primo luogo e sopra a tutto su autentici spazi pubblici, consistenti in strade e marciapiedi, slarghi e piazze, parchi e fontane: tutti spazi disponibili sia per il godimento del pubblico che per funzioni civiche.

Nota: il testo originale al sito di Retail Traffic ; in questa stessa sezione di Eddyburg, "Territorio del Commercio", anche altri testi sul modello Lifestyle Center (f.b.)

Hong Kong Civil Engineering Department, Profilo del progetto Disneyland Hong Kong, novembre 1999 – Estratti e traduzione per Eddyburg a cura di Fabrizio Bottini

Titolo del progetto

Costruzione di un parco tematico internazionale a Penny’s Bay nel nord dell’isola di Lantau, e infrastrutture essenziali connesse

Scopi e natura del progetto

Si propone di realizzare un grande parco tematico internazionale e insediamenti correlati su terreni imboniti a Penny’s Bay, nel North Lantau. Il progettato parco diventerà un’attrazione turistica di primo piano per la zona del nord-est Lantau, già orientata a turismo e insediamenti per il tempo libero.

A servizio del proposto parco a tema, devono essere realizzate e completate in tempo debito alcune essenziali infrastrutture connesse, che comprendono gli insediamenti correlati, opere stradali, reti idriche, fognature bianche e nere, linea ferroviaria, un centro per le attività legate all’acqua con un lago multiuso, e altri servizi.

[...] Localizzazione e dimensioni

La localizzazione proposta per il progetto è entro e nei pressi di Penny’s Bay nel nord di Lantau. A nord dell’area c’è Yam O Wan. Attraverso la parte settentrionale del sito passa la North Lantau Highway [ da Hong Kong verso l’aeroporto al centro dell’isola di Lantau n.d.T.]. A sud, di fronte alla baia, l’isola di Peng Chau, con un insediamento sparso. A ovest la zona abitata di Discovery Bay. Sia Peng Chau che Discovery Bay distano due chilometri dall’area del progetto. L’aeroporto di Chek Lap Kok è circa 11 chilometri a ovest. La zona centrale di Hong Kong è approssimativamente a 15 chilometri a est.

Di seguito, i particolari del proposto parco tematico ed essenziali infrastrutture connesse:

(a) imbonimento di circa 290 ha di terreni utilizzando come materiali sabbia marina e terreni di riporto, e costruzione di circa 3,5 km di barriere verticali e oblique di contenimento dei materiali di riempimento;

(b) parco tematico e insediamenti connessi su un’area di circa 180 ha compresi alberghi sino a 7.000 stanze complessive, commercio, ristorazione e attività per tempo libero, depositi materiali pericolosi;

(c) due moli;

(d) opere stradali comprendenti:

(i) un tratto della Chok Ko Wan Link Road (formato superstrada veloce) dallo svincolo esistente di Yam O alla valle nei pressi della centrale energetica della China Light & Power. Questo tratto stradale di 1,5 km sarà a tre corsie per ogni senso di marcia, con rotatoria nel pressi della centrale CLP;

(ii) strada P2 (arteria di distribuzione principale) e strada di accesso a Yam O per collegare la prevista stazione ferroviaria di Yam O al parco tematico. La proposta arteria P2 avrà tre corsia per ogni senso di marcia, uno sviluppo di 4 km e due rotatorie. Per ospitare parte delle opere stradali è necessario un imbonimento della dimensione di circa 10 ha a Yam O;

(iii) strada turistica di 3,5 km (strada di distribuzione locale) attorno al proposto parco a tema;

(iv) percorso pedonale al centro del parco, con una lunghezza di circa 800 m.

(e) un centro per le attività acquatiche con lago di circa 23 ha da utilizzarsi sia per irrigazione che per sport e altre attività ludiche, comprese strutture di pompaggio e filtri;

(f) un sistema di drenaggio acque piovane consistente in un canale scoperto largo circa 50 m e lungo 1,2 km, scavalchi e condutture di varie sezioni;

(g) un sistema fognario per convogliare i liquami verso l’esistente sistema di depurazione di Siu Ho Wan. Le opere comprendono stazioni di pompaggio, vasche e pozzi, insieme ad altre strutture;

(h) servizi essenziali per l’operatività del parco tematico:

(i) due zone a parcheggio a Penny’s Bay;

(ii) una stazione di interscambio presso la progettata stazione ferroviaria di Penny’s Bay e un punto temporaneo presso la stazione di Yam O;

(iii) reti idriche per acque potabili, dolci per irrigazione e salate, con relative strutture.

(i) una nuova linea su binari dalla Tung Chung a Yam O sino a Penny’s Bay, con stazioni a Yam O e al parco tematico, e 3,5 km di binari, in parte in galleria (la compagnia ferroviaria fornirà i relativi studi di impatto ambientale per queste opere);

(j) fasce di interposizione stradale, terrapieni e arredi a verde;

(k) opere di stabilizzazione dei pendii.

[...] La località

L’area proposta per il progetto e l’ambiente circostante sono inedificati, con pochissime o nessuna zona abitata entro il raggio di un chilometro. Comunque la zona è stata sottoposta a numerosi studi urbanistici e di ingegneria [...].

Sulla base dei risultati di tali studi parte dell’area era stata destinata a contenere strutture di terminal e funzioni correlate. La destinazione d’uso è stata poi modificata a parco tematico e insediamenti turistici connessi, secondo lo Outline Zoning Plan for Northeast Lantau pubblicatu ufficialmente nell’agosto 1999 .

Nella zona interna del sito di Penny’s Bay alcuni spazi sono occupati da un cantiere navale. Le attività principali del cantiere sono costruzione e riparazione di yachts e altre imbarcazioni in materia plastica, o in acciaio. Il cantiere occupa complessivamente una superficie di circa 19 ha di terreno. Per avviare la dismissione dei cantieri sarà eseguito a tempo debito uno Studio di Impatto Ambientale .

Accanto al sito c’è un’impianto a turbine di gas della China Light & Power, che costituisce parte del sistema di rete energetica .

Esistono due noti siti archeologici entro i confini dell’area del progetto: quello denominato Ta Shui Wan – Wan Tuk, e il Chok Ko Wan. Il primo è stato sostanzialmente modificato dalla realizzazione dei cantieri navali Cheoy Lee e dai lavori per la Chok Ko Wan Link Road, costruita contemporaneamente alla North Lantau Highway.Il secondo è stato modificato dopo l’impianto della centrale CPL. Vale la pena notare che esiste anche un sito archeologico a Pa Tau Kwu, che comunque non sarà direttamente interessato dal progetto.

[...] I momenti chiave per l’attuazione del progetto sono i seguenti:

(a) Progetto preliminare, marzo 1999 – metà 2000

(b) Progetto dettagliato per l’imbonimento di Penny’s Bay, ottobre 1999 – dicembre 1999 [...]

(f) Progetto dettagliato di tutte le altre opere, 2000 – fine 2002

(g) Realizzazione di tutte le altre opere per fasi, fine 2001 – metà 2005

(h) Attivazione del parco a tema, metà 2005

Possibili impatti sull’ambiente

I vari impatti ambientali relativa a costruzione e attività del progetto saranno affrontati in dettaglio nello Studio di Impatto Ambientale. Le valutazioni preliminari sono quelle che seguono:

[...](d) Habitat naturale / ecologia ed elementi storici

All’interno dell’area di progetto non esistono né sono previste zone destinate a Parco naturale, siti di particolare interesse scientifico o zone speciali. Nondimeno la VIA analizzerà i potenziali impatti sull’ambiente naturale, raccomandando le eventuali opportune misure di mitigazione. Lo stesso avverrà per gli aspetti storico-culturali.

[...](h) Qualità visiva, interferenze luminose, paesaggio

L’illuminazione esterna e delle varie attrazioni possono riflettersi sulle aree vicine. I laser show possono avere effetti sull’ambiente circostante. Dato che la zona del progetto è piuttosto appartata non si prevedono impatti isgnificativi. La VIA analizzerà tutti i potenziali impatti, suggerendo se necessarie le adeguate misure di mitigazione.

Una componente chiave dell’esperienza di un parco tematico, è l’eliminazione delle interferenze visive esterne. Un terrapieno alto 9 metri attorno al parco eliminerà la maggior parte delle interferenze.

La rete dei terrapieni ridurrà al minimo anche gli impatti potenziali di luci e riflessi sulla zona circostante dell’isola di Lantau. Comunque, dato che non tutto il parco a tema sarà isolato da terrapieni, alcuni edifici all’interno potrebbero avere impatti visivi sull’ambiente circostante. Quindi anche in questo caso saranno analizzati dalla VIA i potenziali impatti delle attività su ricettori sensibili. Tali ricettori sensibili comprendono la fauna del nord Lantau, piloti di aerei, piloti di imbarcazioni e zone residenziali nei pressi del parco .

Un degli elementi più significativi del parco a tema sarà un paesaggio di alta qualità e attrattività. Anche se i terrapieni servono come elemento per eliminare le intrusioni visive, essi offrono anche un’opportunità per l’arredo a verde. Altre sono rappresentate da zone interne al parco a tema e nei pressi di alberghi e rete stradale. La VIA analizzerà qualunque impatto del programma di arredo a verde sulla qualità visiva generale della zona del progetto. [..]

Nota: il documento in forma originale e integrale, insieme ad altri, al sito ufficiale dedicato alla Fase 2 del progetto Disneyland Hong Kong ; di seguito è scaricabile una planimetria di Penny's Bay con i vari elementi componenti il piano ; altre informazioni sulla pianificazione territoriale nell'isola di Lantau, e sulla contestualizzazione generale di Disneyland, al sito della Development Task Force governativa, da cui è possibile scaricare il "Concept Plan" (f.b.)

(versione breve di un discorso pronunciato alla III Conferenza annuale dello International Council for Shopping Centers, 26 febbraio-1 marzo 1978); Titolo originale: The sad story of Shopping Centres – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Fu nel 1943, solo 35 brevi anni fa, che Architectural Forum chiese a circa una dozzina di noti architetti di immaginare il futuro, e anticipare nuovi tipi di edifici che potessero affermarsi una volta finita la seconda guerra mondiale. Il mio contributo fu un articolo illustrato da schizzi, dal titolo “Shopping Centres” che mostrava quello che ora chiameremmo un centro di quartiere di medie dimensioni. Scrivevo

“Non si potrebbe pensare di rendere lo shopping più invitante. I negozi sono raggruppati in un edificio posto attorno a un’area a verde. Eccetto l’entrata principale, l’esterno ha caratteristiche modeste. Non ci sono pubblicità a disturbare l’aspetto delle vie residenziali. A ciascuna estremità dell’isolato c’è uno spazio a parcheggio, e carico e scarico sono nascosti da pareti schermo. Per i frequentatori c’è un percorso pedonale coperto che collega tutti i negozi con la zona a verde, che offre un’atmosfera riposante e protegge dal traffico automobilistico; si possono trovare tutti i servizi per le necessità della vita quotidiana: ufficio postale, libreria circolante, ambulatorio medico e dentistico, sale per attività sociali, oltre alle abituali strutture di tipo commerciale. Secondo gli stessi principi si possono realizzare centri più grandi, entro zone urbane estese per più isolati. Attorno a questi centri il traffico automobilistico può essere deviato ai lati, o se necessario al di sotto di essi”.

Dovevano passare dieci anni, prima che potessi tradurre questo piccolo sogno in un’enorme realtà, nel primo pionieristico centro commerciale regionale: Northland, a Detroit. Questo progetto, su più di 100.000 metri quadrati di superficie commerciale e con 10.000 posti auto nei parcheggi, stava nel mezzo di un’enorme zona residenziale, e serviva adeguatamente sia chi già ci abitava, sia chi si prevedeva sarebbe andato a vivere lì entro tre anni dall’apertura. Dava a migliaia di cittadini residenti in una zona senza buone strutture commerciali un posto per incontrarsi, passeggiare e riposare in un ambiente verde de fuori da traffico automobilistico. Offriva, oltre a botteghe e negozi, zone spaziose per attività culturali e feste, un centro comunitario dotato di auditorium, un ufficio postale, ambulatori medici e anche un teatro.

Due anni dopo aprì Southdale, vicino a Minneapolis, su mio progetto, il primo shopping centre con una zona pedonale coperta e ad aria condizionata. Le strutture sono raggruppate attorno a un enorme cortile a giardino alto tre piani, che divenne non solo il punto focale e luogo di incontro per gli abitanti della città satellite che era cresciuta nei dintorni, ma anche il posto dove avevano luogo alcuni dei più importanti eventi pubblici di Minneapolis. La sera si tenevano concerti sinfonici, feste, balli. Oltre ad auditorium, ufficio postale e altri servizi urbani c’è un asilo nido e un piccolo zoo.

Oggi è difficile credere che, quando fu progettato Southdale, l’idea di un centro commerciale coperto era rivoluzionaria. Passarono in effetti molti anni, prima che qualcun altro osasse ripetere l’esperimento dello enclosed shopping centre che oggi è diventato quasi lo standard, anche quando il clima mite renderebbe preferibile un cosiddetto open shopping centre.

Ma cos’è successo al centro commerciale, nei venti anni e più da quando hanno aperto i centri pionieri? C’è stato un enorme incremento nel numero, e il concetto si è diffuso in tutto il mondo, ma allo stesso tempo si è verificato un tragico abbassamento del livello qualitativo, per molti motivi. Le idee ambientali e umanistiche che stavano alla base dei centri originali, pur non perfettamente espresse, non solo non sono state sviluppate: sono state completamente dimenticate. Sono state copiate solo le caratteristiche che si sono rivelate fonte di profitto.

Un nuovo tipo di costruttori

Con poche eccezioni, sono cambiate le motivazioni dei costruttori. Chi pensava gli shopping centres non era più un proprietario di grande magazzino ansioso di migliorare la reputazione dell’impero economico di famiglia, seriamente responsabile nei confronti delle generazioni future, ma un anonimo imprenditore immobiliare che nei casi migliori era un professionista responsabile, e nei peggiori un promotore o speculatore che voleva il dollaro veloce. L’idea di servire i bisogni di un certo quartiere fu soppiantata da quella che fosse possibile solo realizzare una macchina commerciale grossa e potente a sufficienza da poterla collocare ovunque, sui terreni più a basso prezzo possibili, perché a sola causa della scala gigantesca la gente sarebbe accorsa anche se l’avessero obbligata a spostarsi per decine di chilometri. Divenne una pratica corrente quella di dare il colpo di grazia ai centri città già in crisi, attirando all’esterno le ultime attività rimaste.

Come ho descritto nel mio libro The Heart of Our Cities, questa politica fu rovinosa per le città americane. La distruzione fu grande, ma non catastrofica perché le città americane, con la loro storia relativamente breve e le poche tradizioni, avevano per poco tempo offerto alla gente non molto più degli ingorghi di traffico. Ma per l’Europa il copiare senza pensarci il centro commerciale americano è stato davvero catastrofico. Lo stupro economico delle aree centrali è stato un crimine più grave per l’Europa, dove le città erano cresciute in modo organico, spesso per migliaia di anni, ed erano importanti espressioni di forma urbana che offriva opportunità di comunicazione fra gli uomini, cultura, arti e virtù civili.

Quando si costruì un gigantesco centro commerciale mezzo chilometro a sud dei confini meridionali della vecchia Vienna l’effetto fu di indebolire seriamente non solo il nucleo centrale, ma molti dei sub-centri storici in quasi tutti i ventitre distretti. L’effetto ulteriore fu che migliaia di piccoli negozi furono obbligati a chiudere, e la tradizione della spesa all’angolo sotto casa, tanto importante per gli anziani e chi non ha l’auto, diventò impossibile.

Ghetti monofunzionali

Lo shopping centre, così come si è diffuso sia in Nord America che in Europa negli ultimi venti anni, è solo una delle molte disastrose espressioni della mono-funzionalità. Il suo iniziale successo economico ha incoraggiato le imitazioni, e molti altri tipi di ghetti enormi, specializzati, sono stati costruiti seguendo la diffusione delle idee di Le Corbusier così come espresse nella Carta d’Atene, provocando un grave malessere in molte conurbazioni. Il centro commerciale è un esempio, estremo ma non certo l’unico, di sostituzione della complessa miscela della forma urbana sviluppata naturalmente, con forme artificiali e dunque sterili. Così oggi vediamo centri civici che sono enormi conglomerati di strutture governative dove burocrati incontrano solo altri burocrati, estranei a coloro che dovrebbero capire e servire. Ci sono centri finanziari dove il nastro della macchina da scrivere dialoga col computer, e viceversa. Ci sono anche centri culturali, concentrazioni di teatri, musei, gallerie e sale mostre in splendido isolamento rispetto a coloro che dovrebbero essere persuasi a partecipare alla cultura. Ci sono centri per l’istruzione, scuole superiori o campus universitari, a costituire ghetti per giovani. Istituzionalizzano la torre d’avorio, estraniando le giovani generazioni dalle vecchie, chi studia da chi lavora.

Negli ultimi cinque anni il pubblico si è svegliato rispetto ai pericoli che portano con sé tutte le enormi concentrazioni monofunzionali, specialmente gli shopping centres. Fra le ragioni di questa crescente preoccupazione ci sono l’inquinamento atmosferico, il degrado del paesaggio, la chiusura dei piccoli negozi locali: e i costi crescenti di possedere un’auto. Anche il numero dei centri commerciali progettati, ma non costruiti, o costruiti ma che si rivelano fallimenti economici, sta crescendo con ritmi allarmanti. È mia personale opinione, che il centro commerciale nell’accezione corrente non abbia alcun futuro. Avverto gli inequivocabili segnali della sua caduta, già riconoscibili, e che si evidenzieranno sempre più ad ogni anno che passa.

Nota: per qualche nota biografica e storica in più su Gruen e il suo successo professionale, si veda su Eddyburg almeno l'articolo di Malcolm Gladwell (f.b.)

Andrew Simms, Petra Kjell, Ruth Potts, Clone Town Britain. The survey result on the bland state of the Nation, New Economics Forum, Londra 2005; Estratti e traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

[...] La morte della diversità

L’entusiasmo palpabile dei consumatori che aveva salutato la prima ondata delle grandi catene americane come Gap, Starbucks e di quelle britanniche, è stato sostituito da un vago malessere che assomiglia molto alla noia. Perchè?

Sembravano esotici all’inizi, e promettevano varietà, ma ci hanno dato invece una costante uniformità caffelatte. E con la crescente concentrazione della proprietà sui mercati, hanno reso difficile prendere piede a soggetti più piccoli e diversi. La banalità ha messo radici, come un parente dall’estero invitato a restare perché la sua estraneità sembrava interessante, prima di scoprire che è noioso e non se ne vuole andare.

Ma l’ identikit della cultura commerciale ha anche un lato oscuro. La morte della diversità mina le basi della democrazia, attacca il nostro senso dei luoghi e appartenenza, e conseguente benessere. Consegna il potere a una inaffidabile élite di imprese; e infine, fa a pezzi il ricco intreccio di sistemi naturali sui quali dipende la nostra sopravvivenza ed economia.

“La diversità dei fenomeni in natura è tanto grande” scriveva l’astronomo, matematico e astrologo tedesco Giovanni Keplero nel sedicesimo secolo “e i tesori nascosti nei cieli tanto ricchi, proprio perché alla mente umana non manchi mai nuovo nutrimento”.

Ora questo scivolare dentro l’uniformità di impresa, lubrificata dalla domanda logistica della globalizzazione economica, sta togliendo nutrimento alla mente umana, esattamente come le catene di pollo e hamburger l’hanno tolto al nostro cibo.

Per secoli gli scienziati e poeti e filosofi hanno compreso l’importanza della diversità nel mantenere ecosistemi sani e stabili. Un habitat diversificato produce equilibrio. Cosa più importante, consente alle specie di essere adattabili al cambiamento. Come afferma la scrittrice e biologa Barbara Kingsolver, “Alla radice di tutto, sostiene Darwin, c’è la meraviglia delle meraviglie, la diversità genetica. Non sei come tua sorella, una scatola di cuccioli è una piccola Rainbow Coalition, e ogni chicco di grano in un campo contiene nel suo germe un destino lievemente separato ... la diversità genetica, nelle popolazioni civili come in quelle selvagge, è l’unica polizza assicurativa naturale”.

Ma c’è anche un forte parallelismo fra la diversità genetica del mondo naturale e quella del mondo commerciale nelle nostre vie. Là dove la perdita di diversità genetica minaccia la sopravvivenza delle specie e rende gli ecosistemi naturali vulnerabili al collasso, le città-clone mettono in pericolo la sopravvivenza locale, diminuendo la resilienza delle strade commerciali ai cicli economici negativi, e restringendo la scelta del consumatore.

I paralleli fra sistemi ecologici ed economici sono stati esplorati dall’eminenza grigia degli attivisti comunitari americani, Jane Jacobs. In The Nature of Economies sostiene che è il grado di diversità a determinare il tipo di benefici che rimangono. Si tratti del dopo soleggiamento o pioggia nel caso degli ecosistemi, o di quando viene speso denaro nelle economie locali, “La connessione pratica fra sviluppo economico ed espansione economica è la diversità economica”. Ma la diversità è, esattamente, ciò che si va perdendo sia negli Stati Uniti, sia attraverso l’esportazione dei loro modelli commerciali nel Regno Unito.

Facciamo un esempio. Circa quarant’anni fa Wal-Mart era un emporio gestito da una sola persona, ora è un vasto marchio globale con oltre 100 milioni di clienti la settimana, 4.000 negozi in tutto il mondo e un nuovo punto vendita Wal-Mart che si apre da qualche parte ogni tre giorni. Oltre a Messico, Brasile, Argentina, Canada, Puerto Rico, Cina e Indonesia, ora è saldamente radicato in Europa, specialmente in Germania e nel Regno Unito, dove ha acquisito la catena di supermercati Asda nel 1999.

La politica di Wal-Mart degli insediamenti extraurbani, e del commercio “ ammucchialo alto e vendilo a buon mercato” è l’equivalente economico di un bombardamento a tappeto dell’economia locale. Secondo uno studio USA, “Nei dieci anni dopo che Wal-Mart è entrato nello Iowa, lo stato ha perso oltre 555 grocery stores, 298 ferramenta, 293 negozi di materiali edili, 161 negozi a prezzi scontati, 158 di abbigliamento femminile, 153 di calzature, 116 drug stores e 111 negozi di abbigliamento per bambini. In totale sono fallite 7.326 attività”.

In Gran Bretagna, supermarket come Tesco si prendono una quota sempre crescente del carrello della spesa nazionale, con quasi 2.000 negozi e, alla fine del 2004, quasi il 30% del settore supermercati. Secondo un rapporto scritto nel febbraio 2005 per la Association of Convenience Stores da Alan Hallsworth dell’Università del Surrey,”Al momento Tesco apre un Express store ogni giorno lavorativo”. Mentre loro si espandono, i piccoli negozi di generi alimentari chiudono al ritmo di uno al giorno, e quelli specializzati, come macellai, panettieri e pescherie, presi nell’insieme hanno chiuso i battenti al ritmo di 50 alla settimana fra il 1997 e il 2002.

Tendenze come queste non sono comunque solo un attacco alle piccole attività, minacciano anche le possibilità di scelta e la diversità. Tesco sta documentatamente seguendo il percorso di Wal-Mart per quanto riguarda l’influenza sulla carta stampata. Negli USA, Wal-Mart censura attivamente le pubblicazioni. Nel Regno Unito, The Observer ha riferito recentemente i timori dell’editore, riguardo alla distribuzione dei periodici (norme in vigore dal 1 maggio 2005) che si tradurrà nello “inevitabile” controllo dei contenuti editoriali. Già ora attori importanti nella vendita dei giornali, i supermercati hanno messo un occhio sul settore della distribuzione indipendente attraverso i propri formati “ Local”, “ Metro”, e “ Express”. Là dove i distributori locali indipendenti normalmente offrono una massiccia gamma di titoli, i grossi operatori si concentrano massicciamente solo sui primi 100 titoli di maggior circolazione per aumentare al massimo i profitti. Lo stesso si può dire per la vendita di CD e DVD. Dunque, non solo si riduce la varietà di negozi presente in queste zone, si riduce anche la scelta di merci disponibili.

Ian Locks, direttore della Periodical Publishers Association, ritiene che le nuove norme per la distribuzione dei periodici in favore dei supermercati possano mettere fuori mercato 12.000 piccoli operatori.

La Tesco è già stata criticata in Scozia perchè “centralizza la cultura, evitando di offrire le testate popolari scozzesi nei punti vendita più piccoli delle città”, secondo il giornale scozzese Sunday Herald. Nonostante la distribuzione abbia una “lista regionale” che comprende 33 titoli, “solo una manciata” sono stati effettivamente trovati sugli scaffali.

La perdita di diversità si costruisce anche nel tessuto edilizio. Il giornalista di architettura Jonathan Glancey ha recentemente lamentato che “I punti vendita Tesco si stanno moltiplicando come conigli incellophanati. Una volta c’era una chiesa in ogni villaggio, cittadina o città, adesso abbiamo Tesco coi suoi Extra, Metro e Express”.Ma le chiese offrono considerevole varietà architettonica, e lo English Heritage è rimasto costernato dall’impatto sull’edilizia delle vie commerciali, man mano i supermercati impongono le forme standardizzate adatte ai loro rigidi modelli di impresa. Si strappano via finestre e pareti per far posto a scaffalature e cartelli.

L’omogeneizzazione di high-street è solo un delle manifestazioni della marcia verso l’uniformità culturale. Un’intera generazione è cresciuta negli anni ’70 e ’80 con lo spettro delle minacciose economie a pianificazione statale centralizzata est-europee. Ora quella stessa generazione si sveglia scoprendo che esse sono state sostituite da egualmente minacciose e centralizzate corporations.

L’ansia riguardo alla omogeneizzazione sociale non è nuova, e può sembrare spiacevolmente elitaria. T.S. Eliot e Ezra Pound lamentavano che la cultura di massa corrompeva le spinte dell’Illuminismo. La minaccia del totalitarismo trionfante su una popolazione dai sensi ottusi, permea gli scritti di Wells, Huxley, e Orwell.

Dunque, quali sono le differenze rispetto alle paure contemporanee? È una questione di dimensioni, e di portata. Viviamo in un momento della storia in cui il potere, concentrazione, diffusione internazionale delle grandi imprese rende la resistenza ai sistemi di mercato dominanti tanto ardua, che farebbe disperare anche il più cinico dei critici del secolo scorso. Nel 2001, la British Booksellers’ Association ha riportato che di fronte al potere delle grandi catene, più di una su dieci delle librerie indipendenti della Gran Bretagna aveva chiuso nei cinque anni precedenti. Negli Stati Uniti, la American Booksellers’ Association si è tanto allarmata per il potere delle grandi catene da intentare nel 1998 una causa legale contro Barnes & Noble e Borders. Uno dei denuncianti, Clark Kepler, proprietario della Kepler’s Books & Magazines, ha dichiarato: “Questa lotta riguarda ciò che l’America può leggere. Una rete di sane librerie indipendenti stimola gli editori a produrre letteratura diversificata e ad assumersi rischi con gli autori che sono di minor attrattiva commerciale ma di maggior spessore critico”.

Queste tensioni arrivano sino ai media globali. Da quando è stata approvata una discussa fusione nel luglio 2004, circa l’80% del mercato musicale globale è di proprietà di sole quattro compagnie: Universal, EMI, Warner Music e il nuovo agglomerato Sony BMG. La Universal e Sony BMG ora sono le maggior imprese del settore musicale al mondo, con una quota di circa il 25% del mercato ciascuna. Ma anche questo non da l’idea del loro potere di strozzamento culturale: Sony BMG è di proprietà del gigante dei media Bertelsmann, la Universal dell’altro mastodonte Vivendi.

[...]

E poi c’è la diversità di opinioni che scorre nell’etere. Cinque corporations controllano il 90% delle notizie negli Stati Uniti. Mark Cooper, direttore di ricerca della Consumer Federation of America dice, “Il settori informazione vengono ridotti, e i programmi culturalmente diversi e di servizio pubblico messi sotto pressione. La programmazione meno seguita scompare e i giornalisti sono valutati nella logica del profitto di impresa di queste enormi organizzazioni”. Un documento dell’agenzia pubblicitaria della Coca-Cola mostra quanto l’influenza può essere diretta:“La Coca-Cola Company richiede che tutte le inserzioni vengano collocate vicino a editoriali connessi alle strategie dei marchi di impresa ... Consideriamo inadeguati i seguenti soggetti: notizie forti, sesso, dieta, problemi politici, questioni ambientali … Se non è disponibile un collocamento adeguato, ci riserviamo il diritto di ritirare la nostra inserzione da quel numero”.

C’è anche una crescente proprietà incrociata a livello internazionale. La News International Corporation di Rupert Murdoch, per esempio, pubblica 175 giornali i sei paesi, e possiede circa 800 compagnie nel mondo che comprendono canali televisivi terrestri e digitali, reti di informazione, quotidiani, riviste, grandi editori di libri come HarperCollins, compagnie cinematografiche, squadre sportive, editori musicali. Nell’Italia di Silvio Berlusconi, il Primo Ministro è proprietario di una delle imprese di comunicazione più grandi d’Europa, Mediaset, e controlla il 90% delle televisione. Un italiano medio può passare un sabato a far la spesa al suo supermercato locale, rilassandosi a casa, leggendo un giornale, girando per i canali televisivi a guardare una partita del Milan Calcio, ed è la stessa enorme impresa ad aver offerto tutti questi beni e servizi.

Le caratteristiche distintive dei media globalizzati non sono quelle di servire come finestra aperta sulla diversità, piuttosto di fungere da condotto di comunicazione per programmi a formula fissa clonati come Pop Idol, Big Brother o The Weakest Link, che vengono pompati verso i tinelli di tutto il mondo, senza alcun riguardo per l’impatto culturale o la decenza.

Ciascun linguaggio esprime un’intera cultura, e da’ corpo a un modo unico di vedere e capire il mondo che gli sta attorno. Uno degli effetti collaterali della concentrazione dei media, e specialmente il dominio globale di quelli di lingua inglese, è l’estinzione delle lingue vive, e della loro capacità unica di interpretazione. Quasi la metà delle 6.000 lingue del mondo potrebbero scomparire nei prossimi 100 anni secondo l’UNESCO. E delle 3.000 che si prevede sopravvivano sino ad allora, quasi la metà non reggerà ancora molto. Non è una coincidenza, il fatto che i luoghi con la maggior diversità culturale siano anche quelli con la più alta biodiversità. Nello stesso modo in ci la foresta amazzonica brasiliana contiene i segreti per la cura delle malattie umane, essa è casa delle culture che ne possiedono la chiave. Dal 1900, ogni anno in Brasile scompare una tribù indigena.

La diversità è sottoposta ad attacco anche quando ci guardiamo nello specchio. Una delle forme più diffuse di operazione di chirurgia plastica per le donne, in Giappone, è di farsi “allargare” gli occhi, a sembrare “più Ocidentali”. In alcune zone dell’Asia orientale fra i prodotti più popolari ci sono creme per la pelle schiarenti, che consentono anche alle asiatiche dall’incarnato più scuro di apparire “più Occidentali”. Nelle Filippine, la televisione pubblicizza anche spille da naso che possono essere inserite in una narice per conferire al naso una forma più europea.

Il motivo per cui tante cose simili non vengono notate è che i “ corpocrati” globali che decidono dove possiamo far spesa, cosa dobbiamo comprare, leggere, ascoltare, sono anch’essi intrappolati dentro quegli orribili stili di vita. Si incontrano dentro a stanze identiche dalle pareti di vetro nei quartieri generali delle imprese, e viaggiano in prima o business class sui voli internazionali. Leggono gli stessi giornali internazionali, guardano la stessa televisione globalizzata e stanno dentro a identiche suites di albergo. Perché l’impresa globale possa essere gestita, il management deve vivere la globalizzazione: creare per il tecnocrate di gestione una realtà virtuale clonata, staccata dalle esistenze locali e diverse.

G.K. Chesterton lamentava che “Non abbiamo niente davanti a noi, se non il piatto deserto della standardizzazione, che sia del Bolscevismo o di Big Business”. Ora questo si è avverato. Solo senza il Bolscevismo.

Il solo tedio del mondo così creato sta portando a un contraccolpo di reazione. La cittadina di Homer in Alaska ha proibito quelli che chiama negozi “ big-box”. In Francia e Polonia le amministrazioni locali possono ora porre il veto su alcuni supermarket e centri commerciali. Nel caso francese, per proteggere “la coesione del tessuto economico e sociale”. La Malesia ha posto un divieto quinquennale sulla realizzazione di ipermercati nella valle del Klang, che comprende Kuala Lumpur. A Cuernavaca, 80 chilometri a sud di Città del Messico, gli abitanti hanno lottato contro i progetti del gigante americano Costco di costruire un nuovo negozio in un siti di interesse storico. E in Gran Bretagna, il regno di Tesco come principale negozio nazionale sembra avvicinarsi alla fine, mentre sempre più iniziative locali e gruppi di coltivatori si organizzano contro di esso.

Quando ci si sente impotenti contro il “piatto deserto della standardizzazione”, si può fare un’enorme quantità di cose.

Nota: la versione originale e integrale del Rapporto è scaricabile gratuitamente al sito del New Economics Forum (f.b.)

© 2024 Eddyburg