il manifesto, 20 novembre 2013
La roulette del territorio fai-da-te
di Sandro Roggio
Cosa è successo in Sardegna? Se lo chiedono in tanti e forse pure i turisti «continentali» che neppure sanno immaginarsele le coste sarde d'inverno. Sull'onda dell'emozione le risposte rischiano di essere precipitose. In realtà, il ripetersi di eventi catastrofici ci obbliga a prendere sul serio le prime reazioni, ormai arricchite da considerazioni già svolte in circostanze simili. Sembra una ripetizione oziosa parlare di malgoverno del territorio, ma tutti sappiamo con quale ostinazione si continua a urbanizzare aree inadatte. E quindi: piove ed è colpa del governo, da battuta popolare diventa espressione di meditata saggezza; non perché piove, certo, ma perché una pioggia straordinaria (spesso è così ) è solo una fra le cause di tragedie come questa.
Il governo del territorio in Sardegna: e viene in mente la confusione nei dibattiti intitolati «Tutela ambientale e sviluppo del territorio». Ma oggi il tema è un altro, la gravità del momento porta un elenco di domande per quando smetterà di piovere. I ponti devono sempre crollare? Le case devono stare nelle depressioni e negli alvei dei fiumi? Le tremila ville nell'agro di Arzachena sono una quantità gestibile? I condoni edilizi compensano la mancanza di case popolari a Olbia?
Insomma sarebbe facile la risposta: tutta colpa degli uomini cattivi che hanno maltrattato il territorio dell'isola. Vero in generale, ma dire che c'è un nesso di causalità diretto tra il disastro di queste ore e le trasformazioni avvenute in questi decenni è almeno precipitoso.
E d'altra parte servirà un po' di tempo per consentire agli studiosi più competenti - penso agli idrogeologi - di guardare caso per caso nel merito delle circostanze puntuali. Ma i dubbi non mancano. L'intensità dei fenomeni è stata notevole, ma è inesatto dire che non era prevedibile. La statistica osserva i fenomeni atmosferici e ne definisce la probabilità che possano ri-accadere. E si considerano i tempi «di ritorno» per intervalli in genere tra i 50 e i 500 anni. Ma il fatto che eventi si ripetano dopo centinaia di anni non mette al sicuro. La roulette spiega che lo zero ha 1/37 possibilità di uscire ma può succedere anche tre volte di seguito. Per cui: chi ha costruito male in un area a rischio può sentirsi al sicuro da eventi «probabili» a distanza di centinaia di anni?
La coscienza assente e il gioco di specchi
di Marcello Madau
Colpisce in queste ore drammatiche lo schizofrenico alternarsi di ordinario e straordinario, di normale ed eccezionale. Gioco di specchi che disorienta e ferisce. La solidarietà è eccezionale perché dovrebbe essere normale, ma ordinariamente non lo è rispetto ai valori ufficiali. I media, assieme ai corpi, alle case, alle terre violate, mettono la bontà - reale - in prima pagina. Sarebbe da prima pagina - normalmente - anche l'eccezionale fatto che a portare solidarietà alle popolazioni sia un governatore ex-presidente della società che ha avvelenato di cianuro il territorio di Furtei. Si invoca l'evento imprevedibile, millenario.
E questo ciclone sardo - perché chiamarlo Cleopatra e non Antonio? - è certamente il segno di un rapporto drammaticamente mutato fra terra, aria e mare nel nostro mediterraneo. Una eloquente risposta ai negazionisti del mutamento climatico globale. Ma è assente la coscienza normale che proprio per ciò bisognerebbe aumentare e non diminuire le tutele, non autorizzare urbanizzazioni dissennate, proteggere gli argini dei fiumi. Non cancellare, come è stato fatto pochi mesi fa, i fondi per gli studi idrogeologici.
Non mi convincono le accuse di assenza ad uno Stato e una Regione che invece sono molto presenti: nel nuovo Piano paesaggistico regionale - Ppr (S) - la tutela delle aree fluviali è indebolita, le cubature ammesse, il regime delle acque terrestri modificato. Anche con quei campi da golf che Ugo Cappellacci ha magnificato a Bosa, dove Condotte ne progetta uno su una delle più belle coste dell'isola.
Delicatissima e fragile la traccia ampia dell'antica Ichnoussa, delle biodiversità e dei ventimila monumenti archeologici. Se la Direzione Regionale del MiBac ha detto no al Ppr (S) di Cappellacci, oggi impressiona l'irrituale appello del Soprintendente Archeologo. Egli chiede in modo encomiabile che si segnali qualsiasi notizia di danneggiamento al patrimonio archeologico: è la coscienza, nella stessa chiamata d'aiuto, di un sistema inadeguato. Il nostro pianeta attraversa una profonda crisi ambientale. La Sardegna vi partecipa con un habitat climatico mediterraneo modificato e un territorio avvelenato da troppi decenni di saccheggio. L'eccezionale ciclone è il tracciante di questa situazione, la metafora di una crisi drammatica. Della necessità di forme nuove basate sull'autogoverno territoriale dei beni comuni, di cultura, tutela, democrazia e identità. Sulla maniera di gestire il territorio si decide il futuro della Sardegna, a partire dalle prossime elezioni regionali.
Considerazioni di un addetto ai lavori sull'imminente riforma degli enti locali, orientate a un moderato ottimismo. Corriere della Sera Milano, 17 novembre 2013, postilla (f.b.)
A 23 anni dalla loro istituzione per legge e a 12 dal loro inserimento nella Costituzione, sembra che adesso le Città metropolitane stiano davvero per nascere cogliendo, salvo pochi addetti ai lavori, un po’ tutti di sorpresa. Carlo Tognoli, intervenendo nei giorni scorsi su questo tema, ha affermato che «se non c’è condivisione e rapidità nelle decisioni … tutto rischia di rimanere com’è adesso».
Come mai, dopo anni di attese e rinvii, oggi è possibile, oltre che urgente, procedere in questa fondamentale opera di riforma istituzionale? Perché con il decreto legge sulla spending review del governo Monti, quello che abolisce le Province, la questione di cosa mettere al loro posto è tornata di stringente attualità. Con una novità, però, che spiega perché sia forse questo il momento buono. Mentre in precedenza le città metropolitane erano calate dall’alto ed erano praticamente fatte «con lo stampino», ossia tutte uguali fra di loro, ora debbono nascere dal basso e possono essere fatte «su misura» dai diretti interessati. Quindi si può procedere. È evidente che si tratta di una sfida importantissima per la politica locale. Dal 1 gennaio 2014 il Sindaco di Milano subentrerà infatti al Presidente della Provincia e verrà chiamato a presiedere la Conferenza dei sindaci cui spetta di scrivere lo Statuto della Città metropolitana, ossia di dire «che cosa» sia, quali obiettivi si proponga e «come» dovrà funzionare per raggiungerli. Un compito da padri costituenti.
A cosa deve servire, infatti, la città metropolitana? Innanzi tutto a «reinventarsi» il ruolo dei Comuni nell’era della contrazione della spesa pubblica, a rinnovare il rapporto tra cittadini e istituzioni, a fornire servizi più efficienti a costi più contenuti , ad estendere ed intensificare quella qualità urbana che è uno dei fattori fondamentali per lo sviluppo dell’economia contemporanea ed infine, ma non per ultimo evidentemente, a ritrovare l’anima profonda della città. Milano non è una megalopoli né vuole diventarlo adesso, trasformandosi in una specie di super Comune. Essa è piuttosto il «cuore» e anche il «cervello» di un arcipelago funzionalmente integrato e densamente popolato, punteggiato di città e comuni che ne costituiscono, per così dire, le «isole». «Isole» dotate di ampia autonomia e di radicati e profondi sentimenti di appartenenza locale. Solo tenendo conto di questi sentimenti Milano può costruire qualcosa di solido e duraturo.
Come diceva Carlo Cattaneo, le città si sono storicamente evolute seguendo due vie: la via etrusca, «federativa e molteplice», «vivaio di città generatrici di città», e la via romana, tendente ad ingigantire un’unica città «che il suo stesso incremento doveva snaturare». Accingendosi ad imboccare una nuova strada, Milano farebbe bene a ricordarsi di questo suo illustre cittadino.
postilla
Anche al netto dalla vaga sensazione che queste considerazioni come spesso accade siano rivolte più che altro a qualche “suocera” che deve intendere, più che a noi “nuore” lettrici, conforta in qualche modo notare come il puro approccio contabile alla riforma degli enti locali e istituzione delle Città Metropolitane non occupi tutto lo spettro del dibattito politico, ma serva prevalentemente come strumento di azione e consenso. Per quali fini possiamo solo supporre, come implicitamente provavano a ipotizzare in vario modo anche gli interventi alla Scuola Estiva di Eddyburg di quest'anno, dedicata all'argomento (f.b.)
Il Fatto Quotidiano, 16 nov. 2013
Giovedì scorso Salvatore Settis ha indirizzato, dalla prima di Repubblica una eloquente lettera in cui ha elencato al cardinale Angelo Scola tutte le ragioni per cui sarebbe grave installare nel Duomo di Milano un ascensore che porti fino a una terrazza-bar da realizzare tra le guglie: un pio ritorno alla Milano da bere che circola almeno da luglio, e che ha trovato un pericoloso sponsor nel ministro Maurizio Lupi. Così conclude Settis: “Dobbiamo forse immaginare che ogni campanile, ogni cattedrale, ogni palazzo pubblico debba essere svilito aggiungendovi ascensori e terrazze-bar e noleggiandolo a ditte private che non vi vedono altro se non un’occasione di profitto? Dobbiamo forse suggellare per sempre, perfino nelle chiese, l’idea che il denaro è l’unico valore corrente? Una sola parola viene in mente per definire l’idea-base che una chiesa debba servire di supporto ad attività di intrattenimento commerciale. Questa parola è: simonia”. Sacrosanto: purtroppo non si tratta solo di immaginazione.
A Venezia l’associazione Chorus-Chiese vende un pass per entrare in ben 16 chiese, tra le quali i Frari. A Ravenna ci vuole il biglietto per varcare la soglia di Sant’Apollinare Nuovo, di San Vitale e di molti altri templi. Una selva di balzelli: un’altra barriera che impedisce l’accesso al patrimonio artistico da parte dei cittadini italiani che lo mantengono con le loro tasse. E di fronte a questo dilagare del culto del denaro non è solo uno storico dell’arte laico come Settis a parlare di “simonia”, cioè di mercimonio del sacro.
Un’iniziativa da seguire con interesse, e da monitorare con attenzione soprattutto per gli aspetti sociali e a quelli economici: chi ci guadagna e chi chi rimette, oggi e domani? La Repubblica, 15 novembre 2015
SOTTO forma di un condominio formato da quattro edifici di nove piani, per un totale di 123 appartamenti, sorto in soli 18 mesi nel quartiere San Siro di Milano, non lontano dallo stadio. Domani, con l’ingresso degli ultimi inquilini, ci sarà una sorta di cerimonia ufficiale per l’ultimo atto di un progetto in cui pochi credevano quattro anni fa, quando partì l’iter burocratico.
Perché l’obiettivo era ambizioso: dare in affitto a prezzi calmierati abitazioni in edilizia convenzionata abbattendo i costi di edificazione e allo stesso tempo ottenendo un prodotto di qualità in classe energetica A. Un progetto, firmato dallo studio Rossi Prodi di Firenze, molto particolare: una struttura portante in legname sovrapposto (abeti e larici provenienti da foreste sostenibili austriache), ricoperto da uno strato di cartongesso ad elevate prestazioni, tenuta insieme da viti lunghe 40 centimetri. Tanto che nell’ambiente già si scherza definendolo come “il modello Ikea delle costruzioni”. Tutto questo, a canoni di locazione “fuori mercato”: per un bilocale di 75 metri quadrati si paga un affitto di 450 euro al mese. Quando la media per la stessa metratura nel nostro Paese si aggira sui mille euro. Tutto questo garantendo comunque un profitto alla società che ha curato l’operazione.
Il privato che ha realizzato il progetto, la Polaris Real Estate, si è rifatta a realtà che in Europa esistono da almeno vent’anni. E rispondono al nome di “housing sociale”, un settore che fa parte del più vasto mondo dell’economia e della finanza etica e che vuole dare risposte abitative a chi non si potrebbe permettere i prezzi di mercato. In pratica, quasi più nessuno: perché se è vero che i prezzi degli affitti in Italia sono in media con l’Europa, gli stipendi sono molto al di sotto.
Progetti che per avere gambe devono far convivere in modo virtuoso pubblico e privato: le case di San Siro - il progetto social più grande d’Europa - è stato realizzato con un finanziamento del Fondo Immobiliare di Lombardia, promosso da Fondazione Cariplo e Regione, ma i cui sottoscrittori sono banche come Intesa e Bpm, assicurazioni come Generali, la Cassa Italiana geometri e la Cassa Depositi Prestiti.
Come detto, è bastato copiare quanto già accade nel resto d’Europa. Pochi giorni fa, in un convegno sul tema organizzato a Torino, la società di consulenza Scenari Immobiliari ha presentato uno studio che evidenzia lo scarso peso dell'housing sociale: a Roma e Milano incide per il 4 e il 7 per cento sul totale delle locazioni. A Londra raggiunge il 26, a Copenaghen il 20, a Parigi il 17, mentre la media europea è del 15. Ecco perché, potrebbe essere una risposta sia alla crisi dell'immobiliare (prezzi crollati del 30 per cento in 7 anni e compravendite scese del 20 solo nell'ultimo anno e del 50 in un decennio) sia dell’edilizia (i permessi di costruzione nel 2012 sono calati di un altro 22 per cento, ai minimi dal dopoguerra). L’housing sociale diventa così una strada su cui si potrebbero avviare in tanti. Proprio la Cassa Depositi Prestiti, la spa controllata del Tesoro che si occupa di mettere a frutto il risparmio postale degli italiani, ha destinato nell’ultimo bilancio un miliardo di euro per progetti edilizi con locazioni calmierate. E il caso di San Siro a Milano potrebbe fare da modello.
Un Commento di Michela Barzi a questo articolo e alle proposte descritte
Una denuncia e un appello del Comitato "Una spiaggia per tutti" e dell'"Assise Cittadina per Bagnoli"per la salvaguardia di un bene prezioso cui i cittadini di Napoli non sono disposti a rinunciare. Per aderire vedi in calce
Il recupero ad uso pubblico del litorale di Bagnoli corre un serio rischio. Da alcuni mesi autorevoli esponenti della fondazione Idis sostengono pubblicamente di avere raggiunto con il Comune di Napoli un accordo per la riedificazione dei fabbricati di Città della Scienza distrutti dal rogo del 4 marzo scorso; gli edifici verrebbero ricostruiti “com’erano e dov’erano”, a meno di una piccola area marginale che sarebbe trasformata in giardinetto con vista sul mare e graziosamente concessa alla fruizione della cittadinanza, la quale potrebbe accedervi tramite due accessi pedonali attrezzati dalla fondazione. Tale accordo, secondo fonti giornalistiche, dovrebbe essere formalizzato il 19 novembre a Roma durante un incontro tra Idis, Comune e Governo. Il sindaco De Magistris continua ad proclamare di aver raggiunto un “compromesso soddisfacente”, sul quale però non fornisce alcuna delucidazione, ed ha ribadito durante la recente seduta monotematica su Bagnoli del Consiglio Comunale che spetterà a tale organo l’ultima parola in merito. Appare tuttavia strano che su una questione così delicata non ci sia stata una discussione pubblica e che il ruolo del consiglio debba ridursi ad approvare o rigettare, a scatola chiusa, un accordo definito dal Sindaco in altre sedi.
Affermiamo senza mezzi termini che l’approvazione di un tale accordo, indipendentemente dalla sede dove eventualmente dovesse avvenire, costituirebbe un atto gravissimo sia per le sorti dell’ex area industriale di Bagnoli che per le procedure democratiche di governo del territorio.
E’ bene precisare subito che la riqualificazione di Bagnoli è imprescindibilmente legata al recupero del suo lungomare per la pubblica balneazione ossia alla realizzazione di quella grande spiaggia cittadina a cui napoletani anelano da oltre un secolo. A questo fine mirava la legge per il primo finanziamento della bonifica di Bagnoli, la 582/96, stabilendo al comma 14 dell’articolo 1 l’obbligo di ripristinare la morfologia naturale della costa. Nella stessa direzione andava la Variante al PRG per l’area occidentale del 1998, disponendo di demolire e riedificare in altra sede gli edifici siti a valle di via Coroglio, per realizzare un arenile continuo da Nisida a la Pietra. Questo sacrosanto obiettivo, sostanzialmente recepito nel 2005 dal Piano Urbanistico Attuativo per Bagnoli-Coroglio, è stato recentemente ribadito dal Consiglio Comunale di Napoli, che il 25 settembre 2012 ha approvato con larghissima maggioranza (praticamente all’unanimità) una delibera d’iniziativa popolare, sottoscritta da oltre13mila cittadini napoletani, la quale impegna la Giunta ed il Sindaco a compiere una serie di atti per destinare ad uso balneare gratuito il tratto di litorale tra Nisida ed il confine comunale con Pozzuoli.
Purtroppo nessuna amministrazione pubblica ha finora tradotto questi provvedimenti in azioni concrete; tuttora il lungomare di Bagnoli, ancorchè inquinato da sostanze pericolose come quelle sparse sui fondali e negli arenili o nella famigerata colmata a mare, è sottoposto ad un processo di privatizzazione strisciante, imperniata prevalentemente sugli interessi dei concessionari balneari privati e della fondazione Idis. Com’è noto, un accordo di programma ha imposto nel 1997 che il trasferimento dei volumi di Città della Scienza siti a valle di via Coroglio, previsto dalla Variante, avvenisse solo alla data di ammortamento dei finanziamenti pubblici erogati per la loro ristrutturazione. Dopo l’incendio che ha distrutto tali fabbricati, evento sulle cui oscure motivazioni la magistratura tuttora indaga, la fondazione Idis ha promosso una campagna martellante per assicurarsene la ricostruzione in loco, malgrado logica e diritto andassero in un’altra direzione. Il Comune, che sembrava in un primo momento deciso a trasferire la struttura nel rispetto delle norme urbanistiche, si è successivamente attestato su una posizione attendista, se non addirittura conciliante, verso le richieste dell’Idis.
Ben si comprende l’interesse particolare della fondazione Idis a mantenere un affaccio diretto sul mare, benchè esso sia marginalmente o per nulla collegato alle sue attività istituzionali. Molto meno comprensibile è l’esitazione del Comune ad affermare il prevalente interesse generale a recuperare integralmente alla balneazione quel prezioso tratto di costa dove Napoli può ancora sperare di riavere la sua spiaggia. Lo stesso interesse generale che dovrebbe spingerlo a verificare quale bonifica abbia effettuato l’Idis sui suoli dell’ex Montecatini dov’è insediata Città della Scienza, come anche gli effetti ambientali del recente incendio, prima di prendere in considerazione ogni ipotesi di riuso dell’area. Appare poi una beffa che il Governo (all’epoca presieduto da Mario Monti) abbia saputo reperire in poche settimane oltre 20 milioni di euro per la ricostruzione di Città della Scienza, mentre solo un anno prima aveva tagliato senza scrupoli 50 milioni di euro destinati al ben più importante obiettivo della bonifica del mare di Bagnoli.
E’ quindi necessario affermare senza equivoci che avallare le pretese dell’Idis significherebbe violare tutte le disposizioni precedentemente richiamate, facendo strame delle procedure democratiche e sabotando il fondamentale obiettivo di restituire ai napoletani una spiaggia pubblica balneabile degna di questo nome. La ricostruzione in loco dei fabbricati distrutti autorizzerebbe tutti gli edifici e le funzioni che attualmente insistono sull’area destinata a spiaggia dagli strumenti urbanistici a rimanere dove sono: al posto di un arenile pubblico attrezzato secondo un disegno unitario di qualità, rimarrebbe l’attuale spezzatino di manufatti scadenti ed attività commerciali private. Verrebbe inoltre incoraggiata la volontà dell’Idis di completare il suo originario progetto e realizzare sul pontile dell’ex Montecatini un approdo per le Vie del Mare, con il conseguente traffico di barche ed aliscafi che comprometterebbe definitivamente il ripristino della balneazione in quell’area.
Va invece ribadito che le attività di Città della Scienza allocate nei fabbricati distrutti dall’incendio possono e devono trovare nuova sede in un’area adeguata da individuare a monte di via Coroglio, secondo le previsioni della Variante al PRG per l’area occidentale, essendo tragicamente quanto ineluttabilmente venuta meno ogni esigenza di ammortamento. La risposta adeguata ad un atto criminale come quello che ha colpito gli edifici di Città della Scienza non può consistere certo nell’avvalorare scelte contrarie a quelle norme di governo del territorio che la città si è data da tempo ma nella celere e puntuale individuazione di autori, mandanti e ragioni del gesto da parte della magistratura.
Per questo chiediamo al Sindaco, alla Giunta ed al Consiglio Comunale di impegnarsi formalmente affinché in nessuna sede di confronto istituzionale venga rimessa in discussione la scelta, sancita nelle leggi nazionali e negli strumenti urbanistici comunali, di rimuovere sia la colmata a mare che tutti gli edifici siti a valle di via Coroglio per realizzare un arenile ininterrotto da Nisida a La Pietra, da destinare a spiaggia pubblica cittadina.
L'autore appartiene ai pochi che non contrastano il consumo di suolo solocon le parole, ma anche con i fatti. Lo ha fatto come sindaco di un piccolo comune alle porte di Milano e lo ha fatto come fondatore dell'associazione Stop al consumo di suolo.
Quante volte, partecipando ad un dibattito sul territorio, su una grande opera, su un piano regolatore, vi è capitato di essere etichettati come dei radicali ambientalisti, degli estremisti, dei sovversivi annidati nei comitati? A me è capitato moltissime volte.
La cosa mi ha sempre dato anche un certo godimento. Aumentava la mia autostima. Essere accusato di essere un sovversivo dai dirigenti del partito del calcestruzzo (sia da quelli di matrice neoliberista che da quelli di matrice progressista) era motivo di grande orgoglio. Cose da raccontare ai nipotini. «Ma smettila di opporti alle autostrade e al Tav! Vuoi farci tornare all'età della pietra? Vuoi muoverti con i cavalli! Estremista e ambientalista del c...!», «Si, adesso siete anche contro l'expo 2015! Ma vergognatevi. Siete dei talebani del verde! Volete farci perdere occasioni di sviluppo, di crescita, di competitività! Irresponsabili», «Ma che problemi vi da questo outlet? Ci sistemano anche tutta la viabilità e ci fanno 7 rotonde. Ah certo! Voi volete andare nei campi a caccia di farfalle, oppure volete tornare a coltivare la terra! Bravo! Oltre ad essere ambientalista sei pure terrone!»(questa me la sono beccata da parte dei dirigenti del partito del cemento della corrente leghista).
Ma poi, con il passare del tempo, questa etichetta ha cominciato a starmi stretta e con mia grande sorpresa mi sono reso conto che in realtà, io e direi anche tutti gli ambientalisti, siamo dei veri ed autentici moderati. Nel senso che siamo impegnati nel moderare il peso dell'uomo sulla terra. Vorremmo mantenere, difendere o ripristinare i delicati equilibri esistenti tra il genere umano, gli altri esseri viventi e la terra. Terra intesa sia come pianeta che come terra che abbiamo sotto i piedi.
Di converso, quelli che ad ogni assemblea pubblica, consiglio comunale o talkshow televisivo, non perdono occasione per sbeffeggiarci, disegnarci su un albero intenti ad abbracciare un panda oppure additarci all'opinione pubblica come i nemici della patria, hanno perduto la natura e lo smalto di moderati. Approvando e finanziando grandi opere, speculazioni edilizie, saccheggi vari del territorio, distruggendo biodiversità e suoli agricoli, con lo scorrere dei cronoprogrammi dei loro cantieri promessi alla lavagna di Porta a Porta, i rispettabili politici e lobbisti in doppiopetto hanno subito una metamorfosi che li ha trasformati in veri estremisti sovversivi, quasi sempre polemici e pronti ad alzare i toni della discussione. Se necessario anche usando il manganello...
Esagero? Mi pare proprio di no. Anzi possiamo affermare con pochi dati certi, che i veri nemici del benessere del paese e dei cittadini che lo abitano siano proprio loro. Loro che in un quarantennio hanno compromesso il futuro delle presenti e delle future generazioni. Vediamo perché.
Che cosa è fondamentale per un popolo, per le persone che vivono su un determinato territorio? Che cosa è indispensabile alla sopravvivenza dei cittadini? Il cibo. E che cosa è accaduto al nostro paese? È accaduto che dal 1971 al 2010 ha perso 5 milioni di ettari di Superficie Agricola Utilizzata (SAU). Questo dato è dovuto a due fenomeni: l'abbandono delle terre e la cementificazione.
Per la risoluzione del primo, la politica è completamente assente e non riesce, anzi non prova neanche, ad arginare la perdita di terreno del settore primario rispetto al mattone. Coltivare la terra rende sempre meno in termini di reddito ed è molto faticoso, nonostante la meccanizzazione. Una crisi che richiederebbe anche un cambio di modello di produzione, avviando una riconversione che emancipi il settore stesso dalla monocoltura intensiva aprendo nuove prospettive. Non solo in termini di produzione ma anche di occasioni per riprodurre comunità e socialità.
Per il secondo fenomeno, la cementificazione, la politica dominante, non solo non ha arginato il fenomeno irreversibile della impermeabilizzazione dei suoli, ma lo ha facilitato e promosso: approvando normative che hanno spinto i comuni a fare cassa con la monetizzazione del territorio, progettando e realizzando opere infrastrutturali che hanno accompagnato l'espansione urbanistica (lo sprawl), favorendo la rendita urbana ai danni della tutela del territorio, del paesaggio e dell'agricoltura, coltivando il consenso facile con gli oneri di urbanizzazione che arrivano grazie alle colate di cemento.
A questi dati, tenuti nascosti sapientemente all'opinione pubblica (ne avete mai sentito parlare al TG1, al TG3, a Ballarò, a Otto e mezzo?) se ne aggiunge un altro ancor più preoccupante: l'Italia è il terzo paese in Europa ed il quinto nel mondo nella classifica del deficit di suolo. In sostanza ci mancano 49 milioni di ettari per coprire il nostro intero fabbisogno che è pari a 61 milioni di ettari. Siamo destinati ad essere sempre più dipendenti dalla produzione di terreni di altri paesi. Il buon senso del buon padre o madre di famiglia dovrebbe portarci a fermare per decreto ed immediatamente la cementificazione ed il consumo di suolo, a bonificare le aree compromesse dal cemento e dai veleni, ad incentivare seriamente il ritorno alla coltivazione delle terre abbandonate. Ma purtroppo il buon senso e l'interesse collettivo sono spesso in contraddizione con gli interessi dei pochi e soliti noti...
Ma oltre che della perduta sovranità alimentare, gli estremisti dirigenti del partito del cemento si sono resi protagonisti dell'alterazione e della sovversione di delicati equilibri ecosistemici. Alterazione condotta grazie alle loro azioni irriducibili, condotte talvolta nottetempo: mitici i consigli comunali alle 3 di notte per approvare varianti ai piani regolatori (Nei quindici anni dal 1995 al 2009, i comuni italiani hanno rilasciato complessivamente permessi di costruire per 3,8 miliardi di mc). Le scelte di questi estremisti sono concausa certificata del dissesto idrogeologico e dello sprofondamento quotidiano del paese nel fango. Ma essi si ostinano quotidianamente a tenere la posizione, si oppongono in maniera davvero ideologica e radicale alle decine di proposte veramente moderate che presentiamo tutti i giorni.
Noi (ambientalisti, comitati, cittadini) chiediamo di investire le scarse risorse nella messa in sicurezza del territorio; loro ci rispondono arroganti che sono prioritari i buchi nelle montagne per portare merci a 300 km all'ora da Torino a Lione. Noi proponiamo di incentivare il recupero degli immobili esistenti, rendendoli più efficienti dal punto di vista energetico, di puntare sul risanamento/ricostruzione dei centri storici abbandonati (a partire da L'Aquila, dove recentemente si sono recati 22 sindaci moderati della Val di Susa per chiedere di impiegare in quella città le risorse destinate al Tav); loro si impuntano con le newtown in aperta campagna, le cittadelle dello sport, della moda, del design. Noi proponiamo di restaurare il paesaggio, di elaborare un grande piano nazionale di piccole opere, che aiuterebbe l'edilizia ad uscire dalla crisi (dall'abbattimento delle barriere architettoniche alla realizzazione di fognature, marciapiedi e piste ciclabili); loro ci rispondono polemicamente e strumentalmente con nuovi piani casa, nuovi grattacieli, nuovi grandi eventi e relative nuove grandi autostrade e nuovi grandi padiglioni. Insomma, noi chiediamo di andare più piano; loro accelerano con sprezzo del pericolo, spingendo il vapore a tutta velocità verso le estreme conseguenze, verso il baratro. Degli irresponsabili.
Risultato di queste scelte scellerate portate avanti con tanta veemenza bipartisan? Secondo l'ISPRA (Istituto Superiore per Protezione e la Ricerca Ambientale) ogni giorno vengono impermeabilizzati 100 ettari di terreni naturali. 10 mq al secondo. Quindi cosa facciamo?
Dobbiamo fermarli. Non c'è alternativa. Perché sono dei veri sovversivi. I veri estremisti di questo paese.
Cliccando sul titolo potete leggere il testo della piattaforma e l'elenco delle 148 associazioni, comitati e altri gruppi che hanno aderito aggiornato al 25 novembre
Giornate di mobilitazione regionale in difesa della qualità della vita
Sabato 16 novembre : iniziative di sensibilizzazione nei Comuni del Veneto
Sabato 30 novembre ore 14 – stazione FS di Santa Lucia – manifestazione regionale a Venezia
La Terra non ce la fa più: ha bisogno di un anno e mezzo per recuperare quello che le viene sottratto in un anno. “Il clima impazzito sconvolgerà il pianeta. Siamo vicini al punto di non ritorno” (Ipcc-Onu 2013). E il Veneto è una delle regioni più inquinanti e inquinate d’Europa.
Gli abitanti del Veneto sono da anni impegnati in una moltitudine di vertenze locali, volte a salvaguardare la vivibilità del territorio. Cittadine e cittadini di buona volontà si sono finalmente riuniti per chiedere una urgente inversione di rotta:
- Fermare subito le “grandi opere” inutili e dannose (nuove autostrade e linee TAV, carbone nella centrale di Porto Tolle, MOSE, scavo nuovi canali in laguna, nuove scogliere e false barene-discariche).
- Allontanare definitivamente le “grandi navi” dalla Laguna.
- Liberare il territorio dalle servitù militari.
- Finanziare i Comuni, anche con la Cassa Depositi e Prestiti a tasso agevolato, per manutenzione, messa in sicurezza, riqualificazione energetica di edifici pubblici e territorio – vera grande opera necessaria - dando lavoro alle piccole e medie imprese.
- Riconversione ecologica delle città, delle industrie e dell’agricoltura per creare buona e stabile occupazione.
- Gestione pubblica e partecipata, senza profitti in bolletta, di acqua e servizi pubblici – No allo sfruttamento indiscriminato delle risorse idriche.
- Fermare la privatizzazione della sanità: i “project financing” ospedalieri sottraggono risorse pubbliche alla prevenzione e alle prestazioni sanitarie di cura.
- Stop al consumo di suolo agricolo : cambiare la legge urbanistica regionale e il nuovo PTRC – Piano Territoriale Regionale - per tutelare il patrimonio storico, culturale e paesaggistico, attuando finalmente e per intero il Codice nazionale del Paesaggio.
- Basta con il ricorso alla “legge obiettivo” e ai commissari straordinari .
- Basta con inceneritori, cave e discariche – Incentivare riduzione, riuso e riciclo dei rifiuti.
- Stop a nuove autostrade, strade, raccordi e poli commerciali che desertificano i nostri centri, distruggendone il tessuto sociale e le attività economiche: investire per recuperare aree ed edifici da bonificare e riqualificare (a partire da Porto Marghera) per attività innovative.
- Investire non in autostrade e Alta Velocità, ma in rinnovo e potenziamento delle ferrovie esistenti con un piano integrato di vera intermodalità. Favorire il trasporto pubblico locale e regionale (SFMR). Favorire la mobilità ciclo-pedonale. Spostare il trasporto merci dalla gomma ad acqua e rotaia.
- Ricostruire gli organismi di valutazione e controllo ambientale per renderli indipendenti dai poteri politici ed economici: eliminare i conflitti d’interesse e di competenze e la concentrazione di tutti i poteri (di Piano, progetto, valutazione, attuazione e controllo) in una sola figura.
- Garantire pubblicità e trasparenza ai lavori delle Commissioni d’inchiesta del Consiglio regionale sulla “finanza di progetto” e le aziende regionali, innanzitutto su Veneto Strade SpA.
- Smantellare l’intreccio politica-affari oggi all’attenzione della Magistratura.
- Difesa della Costituzione e delle assemblee elettive, contro ogni tentazione presidenzialistica. - Partecipazione piena dei cittadini alle decisioni e ai controlli.
I comitati e i movimenti, le associazioni e i gruppi di cittadinanza attiva operanti in Veneto invitano tutte e tutti a far sentire la loro voce e a partecipare alle iniziative programmate.
aderiscono:
1
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Beati i costruttori di pace
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2
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Amministrazione comunale Marano Vicentino
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3
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Comitato diritto alla città -rete dei comitati cittadini Rovigo
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4
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Comitato Opzione Zero
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5
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Movimento Mira 2030
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6
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Fondamente
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7
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8
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Mountain Wilderness Italia
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9
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Coordinamento di Padova "Costituzione, la via maestra"
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10
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Eco Magazine
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11
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Ecoistituto del Veneto "Alex Langer"
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AmicoAlbero - Mestre- Venezia
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13
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Movimento dei Consumatori - Venezia
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14
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VeneziAmbiente - Ecomuseo della Laguna Mestre - Malcontenta
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15
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Assemblea permanente contro il rischio chimico Marghera
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16
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Associazione AmbienteVenezia
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17
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Coordinamento veneto pedemontana alternativa CoVePA
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18
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CAT Comitati ambiente e territorio della Riviera del Brenta e del Miranese
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19
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Digiuno Territorio
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20
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Comitato Ambiente e Sviluppo di Cavarzere (VE)
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21
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Rete Polesana dei Comitati
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22
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ALBA – Alleanza lavoro Benicomuni Ambiente - Padova
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23
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No Grandi Navi di Venezia
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24
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Associazione Arianova - Pederobba
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25
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Associazione Si Rinnovabili No Nucleare
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26
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Movimento per la Decrescita Felice di Padova
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27
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Comitato Difesa Salute e Ambiente Padova Est
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28
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Coordinamento Zero-Rifiuti Padova
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29
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Comitato Prov. 2 Si Acqua Bene Comune - Padova
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30
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Associazione Città Amica
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31
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Comitato Difesa Alberi e Territorio - Padova
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32
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Associazione ISDE (medici per l'ambiente) sezione di Padova
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33
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Legambiente Veneto
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34
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L'Eco dalle Terre
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35
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IntercomAmbiente di Trecenta Rovigo
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36
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Movimento Salvaguardiaambiente di Marano Vicentino
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37
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Comitati Difesa Salute e Territorio NO PEDEMONTANA
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38
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Rete dei Comitati Alto Vicentino
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39
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Coordinamento delle associazioni ambientaliste del Lido di Venezia
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40
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Comitato Referendario Sarcedo Turistica
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41
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Forum Naz.le Salviamo il Paesaggio
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42
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Coordinamento delle Ass.ambientaliste del Parco dei Colli Euganei
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43
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Comitato No Valdastico Nord
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44
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Comitato No G.O.L.F. Sarcedo
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45
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L'acqua e il Bosco della Val Posina
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46
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Arcadia Ambiente e Territorio
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47
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Comitati ambiente e territorio della Riviera del Brenta e del Miranese
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48
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Coordinamento dei Comitati di Vicenza
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49
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Alternativa - laboratorio politico
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50
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Comitato per la salute pubblica Bene Comune - Pordenone
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51
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Comitato sì Treviso mare
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52
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Comitato Commenda Est di Rovigo
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53
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Associazione Archeostorica Cayran - Caerano di San Marco (Tv)
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54
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Agricoltura Biologica FUORI DI CAMPO di GRUPPO POLIS
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55
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Rete provinciale dei Comitati del Polesine e basso-veneziano
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56
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Diversamente Bio
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57
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Movimento della Decrescita Felice Circolo di Venezia
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58
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Istituto Nazionale di Bioarchitettura sezione di Venezia (INBAR Venezia)
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59
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Caresà Società Cooperativa Sociale Impresa Sociale
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60
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Circolo Legambiente Legnago
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61
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Comitato Antinucleare di Legnago e Basso Veronese
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62
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Comitato "cittadini liberi - Porto Tolle"
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63
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Comitato art.9 per la salvaguardia del paesaggio
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64
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Comitati Ambiente sicuro di Salzano e Noaleambiente di Noale
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65
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Circolo ACLI Zugliano (VI)
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66
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Il Ponte del Dolo
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67
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"Lasciateci respirare" di Monselice
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68
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I Comitati riuniti per il riciclo totale -Rifiuti Zero - di Treviso e Venezia
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69
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Associazione per la Decrescita
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70
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Associazione di Cultura e Iniziativa politica InComune di Venezia
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71
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Cattolici per la Vita della Valle No Tav
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72
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Liberinsieme Legnago
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73
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Salviamo il paesaggio - Bassa Veronese
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74
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GIT Banca Etica Venezia
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75
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Comitato interregionale Carnia- Cadore P.A.S. Dolomiti
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76
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Comitato Bellunese Acqua Bene Comune
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77
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Gruppo Natura Lentiai
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78
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Gruppo Coltivare Condividendo
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79
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Casa dei Beni Comuni Belluno
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80
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Magazzini Prensili
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81
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Comitati Prà Gras
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82
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Cittadinanza e Partecipazione Feltre
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83
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Associazione Tutela e Valorizzazione dell'Alta Valle del Mis e dell'ex sito minerario di Vallalta
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84
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Cooperativa Mazarol Guide Naturalistico - Ambientali
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85
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WWF Altamarca
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86
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Circolo Wigwan il Presidio sotto il Portico
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87
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Coordinamento di Salviamo il paesaggio di Asolo Castelfranco Veneto
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88
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Gruppo di iniziativa di Forte Carpenedo
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89
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Gruppo Etico Territoriale "El morar" di Valeggio sul Mincio (VR)
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90
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Comitato Bovolenta aria pulita
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91
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Comitato di San Pietro in Paerno Rosà - Tezze s/Br ONLUS
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92
|
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93
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Comitato liberi e pensanti Marghera
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94
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Asolo Viva
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95
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Il nodo Trevigiano di Alba
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96
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Lega Anti Vivisezione Padova
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97
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Città Amica associazione di architetti-urbanisti
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98
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Associazione NO ALLA CENTRALE (per lo sviluppo E-ti-co Sostenibile dell’Ovest Vicentino)
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99
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Associazione Il Pane e le Rose di Isola della Scala Verona
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100
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APS Movimento Sereno
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101
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Italia Nostra Veneto
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102
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Comitato degli Allagati di Favaro
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103
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Comitato di Liberazione Nazionale dei corsi d'acqua
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104
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Legambiente Padova
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105
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Amici della bicicletta
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106
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Associazione rurale italiana
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107
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Comitato arsenale di Verona
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108
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Comitato dei cittadini contro il collegamento autostradale delle Torricelle
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109
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Comunità cristiane di base di Verona
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110
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Comitato Fumane Futura
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111
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Donne in Nero Verona
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112
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Gastelle
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113
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Italia Nostra Verona
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114
|
Comitato Mamme della Valpolicella
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115
|
Monastero del Bene Comune - Sezano
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116
|
Movimento Nonviolento
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117
|
Pestrino e Palazzina da Salvare
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118
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Salvalpolicella
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119
|
Associazione Valpolicella 2000
|
120
|
Verona In
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121
|
Comitato spontaneo Verona Inalberata
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122
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Circolo ambientalista Alex Langer di Valeggio e Verona
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1
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Fiom Belluno
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2
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Cobas - Comitati di Base della Scuola del Veneto
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3
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Federazione di Belluno di Rifondazione Comunista
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4
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Partito democratico di Meolo
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5
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Rifondazione Comunista del Veneto
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6
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Circolo SEL di Mira
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7
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Uniti per Cambiare di Occhiobello (RO)
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8
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Sinistra Ambientalista Ponte San Nicolò (Padova)
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9
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Circolo SEL di Ponte San Nicolò (Padova)
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10
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Circolo SEL Enrico Berlinguer di Dolo VE
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11
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Associazione Cavarzere 5 Stelle
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12
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Circolo Sel di Venezia
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13
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Circolo Sel di Mestre
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14
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Circolo Sel di Marghera
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15
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Federazione Provinciale di Sinistra Ecologia Libertà - Venezia
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16
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Movimento 5 stelle di Castelfranco Veneto
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17
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Padova 2020
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18
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Italia dei Valori Regione Veneto
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19
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Movimento 5 stelle Veneto
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20
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Io scelgo Mirano
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21
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Federazione polesana di Rifondazione Comunista
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22
|
Rifondazione Comunista Verona
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1
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Andrea Zanoni Europarlamentare
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2
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Umberto Curi, Filosofo
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3
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Fabrizio Baldan
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4
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Gianni Buganza
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Troppo costoso e tempi lunghi, meglio non scavare, tanto più che il bucone è marcio e l'alternativa c'è. Ma dopo le inchieste giudiziarie Renzi, il facondo sindaco di Firenze e aspirante al trono d'Italia tace, Il manifesto, 14 novembre 2013
Appare scontato che in tale quadro non ci fosse alcuna attenzione per il centro urbano di Firenze, né per il suo patrimonio artistico, culturale, ambientale e abitativo. Il sindaco Matteo Renzi, prossimo possibile dominus del Pd, nonché candidato alla premiership, che pure chiacchiera su tutto, in questo caso mantiene un rigoroso, quanto imbarazzato e clamoroso, silenzio.Movimenti e comitati, insieme agli studiosi dell'università che hanno analizzato il problema, chiedono invece con forza l'abbandono definitivo di questo progetto, «inutile e dannoso», e il ritorno a un più agevole e meno costoso passante di superficie, di cui gli stessi tecnici hanno di recente aggiornato la proposta progettuale. Lo scenario, che Giorgio Pizziolo ed altri tecnici hanno curato, è infatti molto più conveniente dal punto di vista di tempi, costi, impatto ambientale ed efficacia della realizzazione, anche rispetto all'intero sistema di mobilità urbana e metropolitana interessato.
Per avviare i lavori del «passante» fiorentino è molto più semplice e rapido rendere definitivo il progetto nuovo di sovrattraversamento, piuttosto che tentare di proseguire l'iter, interrotto di fatto dalla magistratura, di megatunnel e grande stazione sotterranea. Almeno se si vuol rispettare il criterio di «assoluta legalità» per le operazioni a venire, dichiarato dalla stessa Rfi. Come ricordato in questi giorni dall'attivissimo «Comitato No Tunnel Tav», le illegittimità ambientali, amministrative, civili e penali già emerse nell'inchiesta costituiscono solo una parte di un quadro di irregolarità assai più vasto,di cui chi ha studiato il progetto è ben consapevole. Tra le "magagne" che devono ancora emergere vi è, per esempio, l'assoluta mancanza di Valutazione d'impatto ambientale della megastazione sotterranea, per la quale il proponente tentò di spacciare per buona altra valutazione redatta per altro progetto (circostanza ammessa successivamente dai suoi stessi legali). Tra le altre questioni ancora da sollevare vi è la mancanza di nulla osta paesaggistico; e infine il fondamentale dato già emerso per cui "Monna Lisa", ovvero la fresa montata per lo scavo, è inadeguata a lavorare nel sottosuolo del centro storico fiorentino e andrebbe sostituita.
Provvedere correttamente a sanare o aggiustare tutti questi problemi significherebbe, oltre a far lievitare i costi, poter avviare i lavori non prima di un anno. Quindi si aprirebbe il problema dell'impatto dello scavo vero e proprio, mai avviato finora.
Indagando i documenti progettuali e programmatici relativi al sottoattraversamento e in generale al nodo fiorentino della linea ad alta velocità, viene confermato che la vera scelta della governance toscana e fiorentina era legata alla necessità di premiare il sistema locale con un progetto finanziariamente all'altezza di quanto si stava spendendo negli altri grandi nodi ferroviari nazionali. Se a Firenze fosse stato confermato il progetto di superficie, nell'area ci sarebbe stata un'allocazione di risorse sensibilmente minore: un progettino da 350 milioni di euro. Bisognava cambiare: Firenze pretendeva il suo vero progetto di alta velocità.
Dalle pagine economiche di un grande quotidiano italiano, la notizia ufficiale dello sprawl Doc all'americana nel nostro paese passa per tutt'altro. Corriere della Sera, 14 novembre 2013, postilla (f.b.)
ROMA — Basiglio, il comune che ingloba anche l’area residenziale di Milano 3, si conferma come il comune d’Italia con gli abitanti più ricchi. I 4.159 contribuenti del comune lombardo hanno dichiarato nel 2011 un’Irpef media di 53.589 euro. Quasi diecimila euro in più rispetto a Galliate Lombardo, provincia di Varese, che con 44.814 di Irpef media è al secondo posto nella lista dei comuni con gli abitanti più ricchi. Nell’elenco, tra le prime dieci posizioni, ben sette sono appannaggio di comuni della Regione Lombardia, mentre gli altri tre comuni della “Top Ten” sono tutti nella cintura torinese. Dopo Basiglio e Galliate viene Campione d’Italia (Como), con un’Irpef media di 42.772 euro a testa, al quarto posto Cusago (Milano) e Carate Urio (Como) al quinto posto. Il sesto è appannaggio di Pino Torinese, il settimo di Torre d’Isola (Pavia), poi c’è Fiano, sempre in provincia di Torino, al nono posto Segrate (Milano) e al decimo Pecetto Torinese.
Tra le grandi città capoluogo il reddito Irpef più elevato si registra a Milano, che occupa la dodicesima posizione assoluta, con una media di 36.253 euro, seguita da Bergamo (al 32° posto con 32.274 euro), Monza, Roma (al 55° posto con un’Irpef media di 30.544 euro), poi Pavia, Padova, Treviso, Siena, Bologna, Varese, Parma, Cagliari, che è la prima città del centro sud e precede Lecco e Firenze. Tra le città capoluogo il reddito medio più basso si è registrato nel 2011 a Barletta (19.644 euro), dietro a Isernia, Ragusa e Fermo.
I dati del ministero delle Finanze confermano dunque il divario di ricchezza tra Nord e Sud, ma soltanto per le grandi città. Nella classifica dei singoli comuni sono infatti molto numerosi quelli del Nord che figurano nelle ultime posizioni. In assoluto il valore Irpef medio più basso si registra a Valsolda, provincia di Como, con appena 11.988 euro a testa. Ma succede, spiega il sindaco Giuseppe Farina, perché «il 90% dei valsoldesi lavora in Svizzera per cui percepisce il reddito lì e non dichiara nulla in Italia». Precedono Valsolda i comuni di Platì (Reggio Calabria), Gurro (Vibo), Val Rezzo (Como), Mazzarrone (Catania), Cavargna (altro comune del comasco), Elva e Castelmagno, in provincia di Cuneo, Cairano (Avellino) e Schiavi di Abruzzo (Chieti). Il comune d’Italia con il maggior numero di dichiarazioni Irpef è Roma (quasi un milione e mezzo), mentre all’altro capo della classifica c’è Moncenisio. Sembra incredibile, ma è così: in quel comune ci sono appena 13 contribuenti Irpef. Tutto sommato benestanti, con una media di 25.753 a testa.
La Repubblica, 14 novembre 2013
Mentre un pezzo di questa pseudo-maggioranza di governo, con la complicità o la connivenza di una parte del Pd, vorrebbe mettere in vendita il patrimonio pubblico delle spiagge, lo Stato italiano rischia di perdere una “perla” della Sardegna come l’isola di Budelli, nell’arcipelago incantato della Maddalena. Qui Michelangelo Antonioni girò nel 1964 una memorabile sequenza del suo “Deserto rosso” con Monica Vitti. E qui c’è ancora, nonostante le scorribande di un turismo predatorio, la famosa “spiaggia rosa”, una delle più suggestive del mondo, così denominata per il colore particolare della sabbia lungo la linea della battigia.
All’inizio del Novecento, Budelli apparteneva a una famiglia della Maddalena e poi nel 1950 venne acquistata da un ingegnere milanese con il progetto di costruire un esclusivo villaggio vacanze. Ma l’operazione fu bloccata dalle resistenze locali, fino a quando nel 1992 il ministro dell’Ambiente, Carlo Ripa di Meana, firmò un decreto per rendere quel territorio inedificabile. A febbraio scorso, infine, in seguito al fallimento della società proprietaria, l’isola è andata all’asta ed è stata comprata per 2 milioni e 945mila euro da un banchiere neozelandese, intenzionato - a quanto assicura lui stesso - a preservare l’ambiente con le sue 700 varietà vegetali di macchia marina, di cui 50 specie endemiche.
Attraverso il Parco nazionale dell’Arcipelago della Maddalena, istituito nel ‘90, lo Stato potrebbe ancora esercitare però un diritto di prelazione entro l’8 gennaio 2014. Senonché l’articolo 138 della precedente Finanziaria, predisposta dal governo Monti, impedisce a qualsiasi ente pubblico di acquistare beni e cose. E per questo, su sollecitazione dell’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, Sel e il gruppo misto del Senato hanno presentato un emendamento alla legge di Stabilità che è all’esame del Parlamento.
In collaborazione con la piattaforma “change.org”, lo stesso Pecoraro Scanio aveva già lanciato su Internet una petizione popolare — intitolata “Budelli bene comune” — che finora ha raccolto oltre 80 mila firme. L’obiettivo è quello di affidare la proprietà e la gestione dell’isola al Parco, per trasformarla in un “museo all’aria aperta” in grado di autofinanziarsi con il ricavato dei biglietti d’ingresso. «Budelli è un patrimonio e un simbolo del nostro Paese — ribadisce il capogruppo di Sel alla Camera, Gennaro Migliore — che va restituito ai cittadini italiani».
L’emendamento alla legge di Stabilità chiama in causa direttamente il ministero dell’Economia, già alle prese con il bombardamento di tremila emendamenti presentati dai partiti alle Camere: anche in questo caso, spetta eventualmente a Fabrizio Saccomanni reperire i tre milioni di euro per salvare “l’isola più bella del mondo”. Ma tutto sommato si tratta di una cifra contenuta, l’equivalente di un appartamento di pregio nel centro di Roma, che oltretutto servirebbe ad alimentare turismo e occupazione. E perciò si aspetta un intervento anche da parte del ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, al quale va il merito di aver indotto per ora il Partito democratico a fare dietrofront sulla vendita delle spiagge.
Nel frattempo, contro questa inaccettabile liquidazione del nostro litorale, la Federazione dei Verdi guidata da Angelo Bonelli ha indetto per le 15 di oggi a Roma, in piazza del Pantheon, un sit-in di protesta contro la proposta di Pdl e Lega. «Vogliamo mobilitarci - spiega Bonelli - non tanto per una questione politica, quanto piuttosto morale». Il paradosso è che le spiagge italiane, con le 30 mila concessioni demaniali assegnate a imprenditori privati per la gestione di 15 mila stabilimenti
balneari che insistono su 600 Comuni costieri, di fatto sono state già svendute: tant’è che rendono allo Stato intorno ai cento milioni di euro all’anno, in base a canoni irrisori e spesso anche clientelari, fruttando agli esercenti incassi che si aggirerebbero sui dieci miliardi (due secondo i dati ufficiali).
Nel 2012 fu la Commissione europea a intervenire, sollecitando la riduzione da 30 a 5 anni della proroga alle concessioni, originariamente proposta anche allora da Pdl e Pd. La storia, insomma, si ripete. Ma la “spiaggia rosa”, l’isola di Budelli e tutto l’arcipelago della Maddalena non possono rientrare ora nella logica viziosa delle “larghe intese”.
Perché la decisione del Consiglio dei ministri in merito alle Grandi navi a Venezia e' un ultoriore, poderoso contributo dei governanti nazionali, regionali e locali alla distruzione di un monumento per costruire il quali natura e storia hanno collaborato per mille anni. Stralci da un libretto tutto da leggere
La beffa della decisione del governo sulle Grandi navi nella Laguna di Venezia è palese per chi conosce la questione. Ci siamo già espressi in proposito con una postilla all’articolo che informava della decisione governativa. Sembra però che molti di quanti si esprimono sull’argomento valutino la decisione come una buona cosa, o almeno un ragionevole compromesso Mi riferisco soprattutto ai decisori - nazionali, regionale e locali. Essi sono distinguibili in due categorie: quelli in malafede, e quelli che non sanno e decidono sull’onda del sentito dire. Poiché la speranza di convincere gli onesti non ci abbandona mai vogliamo rivolgerci a questi ultimi. alcuni stralci del libretto Confondere la Laguna, redatto da Lidia Fersuoch per la collana “Occhi aperti su Venezia" di Corte del Fòntego editore, ringraziando autrice ed editore della concessione.
1. Escavo del canale Contorta Sant’Angelo e terminal alla Marittima: le navi da crociera accedono alla Laguna attraverso la bocca di Malamocco, percorrono in parte il Canale dei Petroli, imboccano un nuovo canale da escavarsi a fianco del vecchio canaletto Contorto – così lo chiamava Cristoforo Sabbadino, oggi Contorta Sant’Angelo –, entrano nel Canale della Giudecca e approdano alla Marittima.
2. Percorso per il canale Vittorio Emanuele e terminal alla Marittima: come nella prima proposta, le navi entrano per la bocca di Malamocco, percorrono il Canale dei Petroli, imboccano il Canale delle Tresse, proseguono lungo il canale Vittorio Emanuele e raggiungono la Marittima.
Il Canale dei Petroli verrebbe raddoppiato per più della metà del suo percorso e portato a 240 m di larghezza41. È previsto anche l’ampliamento a 450 m di diametro del Bacino di evoluzione 3 all’innesto del Canale delle Tresse, l’escavo e l’allargamento di questo canale e di parte del Vittorio Emanuele, l’arretramento e la riconfigurazione della discarica delle Tresse. Tale ipotesi è stata scartata dall’autorità portuale non per i prevedibili danni alla Laguna, ma per l’inaccettabile e pericolosa interferenza fra traffico passeggeri e traffico merci nel Canale dei Petroli (e per i costi, quasi 400 milioni di euro). Anche la proposta del canale Contorta tuttavia prevede, nel Canale dei Petroli, un lungo tratto di commistione fra traffico mercantile e crocieristico.
3. Percorso per il Canale dei Petroli e terminal a Marghera: le navi entrano in Laguna per il porto di Malamocco, percorrono tutto il Canale dei Petroli sino a imboccare il Canale Industriale Ovest e giungere a Marghera, ove è prevista la nuova stazione crocieristica.
Questa ipotesi è stata sostenuta dal sindaco Orsoni sin dalla campagna elettorale. Il progetto, al momento della stampa di questo libretto, non è stato ancora presentato alla cittadinanza. Si può presupporre che il percorso attraverso il Canale dei Petroli (previsto anche nella proposta precedente e rifiutato dall’autorità portuale per la condivisione con il traffico mercantile) necessiti ugualmente, in molte parti, del raddoppio del canale.
4. Terminal fuori della Laguna, a Santa Maria del Mare (Pellestrina): le navi ormeggiano in una nuova stazione marittima eretta presso la costa, nella piattaforma provvisoria di cemento di 11 ettari costruita per i cantieri di prefabbricazione dei cassoni del MoSE.
Con nota n° 348253 del 21 agosto 2007, il Comune di Venezia si era espresso in modo fermo contro tale ubicazione del cantiere, per la valenza paesaggistica dei luoghi, fra i più belli prospicienti la Laguna di Venezia, assoggettati a quattro vincoli paesaggistici: «In un territorio vincolato, a norma del codice, non è ammissibile lasanatoria a posteriori ed è obbligatoria la rimessa in pristino», ripristino che Magistrato e Consorzio si sono obbligati a effettuare e che la città si aspetta. Ma basterebbe guardare su Google maps l’impatto degli 11 ettari di cemento per comprendere come l’ipotesi di riutilizzarli – ventilata dal presidente dell’autorità portuale Paolo Costa – sia irrealizzabile. La proposta prevederebbe anche la realizzazione di una linea di trasporto passeggeri sublagunare (opera sin ora scongiurata, per le conseguenze ambientali e sociali e per i costi) a collegamento con la terraferma e Venezia.
Ritorna sotto non troppo mentite spoglie, il progettone di Ligresti/Veronesi, fiore avvelenato all'occhiello del centrodestra ereditato dal centrosinistra. La Repubblica Milano, 13 novembre 2013, postilla (f.b.)
La dead line è il 31 dicembre. Una data entro la quale «Visconti srl presenterà sicuramente al Comune il progetto per l’area Cerba», ha assicurato Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia, la società che si è assunta l’onere di sviluppare l’opera. E di far diventare realtà il “Centro europeo di ricerca biomedica avanzata” nel Parco Sud tanto sognato da Umberto Veronesi. Si riaccendono i riflettori sul Cerba: dopo il braccio di ferro a giugno tra Palazzo Marino e i curatori fallimentari dei terreni di Ligresti — chiesero di costruire un centro commerciale, il Comune disse no — ieri il numero uno di Hines ha annunciato che il piano per il polo scientifico è in via di definizione e che sarà presentato entro l’anno. Con alcune modifiche: il progetto, prima unitario, «ora è stato suddiviso per lotti, che coincideranno con i singoli istituti », ha spiegato Catella. L’obiettivo sarebbe quello di suddividere l’opera in “porzioni”, in modo da dilazionare i 92 milioni di euro di oneri di urbanizzazione che devono essere versati a Palazzo Marino per permettere alle ruspe di mettersi al lavoro.
L’Accordo di programma per la realizzazione del Cerba nei terreni di Ligresti accanto allo Ieo è stato firmato nel 2007. La strada - un’opera da 1,3 miliardi di euro, con 300mila metri quadri di edificazione e altrettanti di parco - è stata però sin da subito accidentata, soprattutto a causa del crac nel 2012 di Imco e Sinergia, le due immobiliari proprietarie dei terreni. Il 7 ottobre Visconti srl (società costituita ad hoc dalle banche creditrici di Ligresti, con Unicredit capofila) ha presentato al Tribunale il concordato per Imco: la proposta venerdì scorso ha incassato l’ok del comitato dei creditori, e adesso attende l’approvazione del giudice. Il concordato prevede che i terreni di Imco (tra cui quelli del Cerba) confluiscano in un fondo che sarà gestito da Hines Italia, a cui è stato affidato il compito di sviluppare il progetto.
Di qui, le modifiche che si vorrebbe apportare al progetto prima di far partire i lavori: oltre alla dilazione sugli oneri, l’ipotesi sarebbe quella di realizzare attorno al polo non un parco attrezzato (come previsto cinque anni fa) bensì agricolo, per risparmiare sulla manutenzione. L’ideazione dell’ipotesi è stata affidata allo studio Gregotti, che starebbe anche valutando i cambiamenti da fare al progetto immobiliare (firmato dallo studio Boeri) qualora la realizzazione per lotti ricevesse l’ok. Già, perché tutte le modifiche al piano originale oltre a dipendere dall’approvazione del concordato, devono incassare l’ok di Comune, Regione e Provincia, che nel 2007 hanno firmato l’Accordo di programma. Ed è proprio su questo che, ancora una volta, il Cerba rischia di arenarsi: il 5 novembre Visconti srl ha inviato a una lettera alle istituzioni per illustrare il concordato e chiedere il «sollecito riavvio delle procedure di revisione dell’Accordo». Dal Comune però arriva cautela: «Non abbiamo ricevuto ancora nessuna proposta e, per questo, non credo sia corretto commentare queste ipotesi di modifica se non negli ambiti competenti — dice l’assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris — . In ogni caso, se queste indiscrezioni fossero confermate, ricordiamo che alcune tra queste proposte erano già state bocciate a giugno »
postilla
Pare tristemente indicativo che in una delle città dove più pervicacemente si è perseguita la famigerata logica dei diritti edificatori, creati ad hoc e poi traslocati qui e là a seconda delle esigenze e vantaggi di chi conta, a nessuno sia mai venuto in mente che anche un progettone come il Cerba (sempre che si confermi la legittimità del piano) potrebbe virtuosamente seguire il percorso originario di questa pratica. Ovvero, come ci ha spiegato su questo sito Cristina Gibelli, di uso proprio e corretto dello strumento, a tutela di superfici del tutto inadatte alla trasformazione urbana, trasferendo i volumi altrove. E la greenbelt del Parco Sud è esattamente uno di questi posti inadatti, indipendentemente dallo sponsor scientifico, dai costruttori coinvolti, dallo studio di progettazione incaricato (f.b.)
Sintetica recensione di un episodio tipico de"patrimonio all'Italiana", puntualmente raccontato da Stefano Boato nel recente libretto della collana "Occhi aperti su Venezia" Corte del Fòntego editore. Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2013
Ora Stefano Boato, professore di Urbanistica allo Iuav, ripercorre puntualmente la vicenda in un utile libretto (“Giù dalla torre”) appena uscito nella collana “Occhi aperti su Venezia”, pubblicata da Corte del Fontego, che è un vero presidio civico. Nella primavera del 2012 la Torre catalizza le Larghe Intese anche in Laguna, riuscendo a essere dichiarata di interesse pubblico sia dalla Regione Veneto (Lega) sia dal Comune (Pd): senza un piano finanziario, senza che le aree siano proprietà di Cardin. A luglio arriva il parere negativo dell’Enac: il birillo è così alto da mettere in serio pericolo i voli del Marco Polo. Ma solo a novembre una enorme pressione politica indurrà l’ente a rimangiarsi il no, e a dare luce verde. Si oppone strenuamente Italia Nostra, Vittorio Gregotti definisce la torre “un’enorme porcata", Franco Miracco la martella dai giornali veneti, Settis la affonda su Repubblica e anche il Fatto fa la sua parte.Un anno fa il Mibac fa notare che un vincolo impedisce di costruire la Torre: ma il sindaco Orsoni minaccia di impugnarlo (e ci sarebbe mancato solo questo!).
Ma i colpi di scena non sono finiti: quello decisivo arriva dallo stesso Cardin, che dopo aver fatto capire che avrebbe sborsato due miliardi e mezzo di euro senza rivolgersi alle banche, a dicembre non riesce a trovare nemmeno 20 milioni per comprare i terreni. Sipario: fine ingloriosa della sceneggiata. E la liberazione dalla Torre-che-non-c’è ha una morale positiva, nelle parole di Boato: “Possiamo riprendere il filo, promuovere nuovi valori e disegni urbani realmente compatibili con il contesto e vivibili”. È l’unica possibilità: o sarà Venezia a non esserci più.
Arnaldo (Bibo) Cecchini
Perché abbiamo ritenuto giusto collaborare con la Giunta Cappellacci
ma oggi siamo contrari al loro PPS
Caro Eddy,
Rispondo alla tua lettera aperta del 7 novembre scorso. Credo, anzi so, di essere uno dei tuoi “ottimi e stimatissimi amici” e sono sempre stato e sono stato un amico di eddyburg che consiglio sempre ai miei studenti come un punto di riferimento irrinunciabile. Ricorderai che lo presentammo ad Alghero ai suoi albori.
Mi fa piacere discutere con te, come abbiamo fatto in tanti anni, trovandoci spesso d’accordo e sempre facendo delle nostre discussioni, occasionalmente anche aspre, un’occasione di crescita e di apprendimento. Ricordo la più ardua, durante la guerra del Kosovo che ci ha visto in dissenso, in due gruppi con posizioni diverse allo IUAV. O la discussione sulla bozza di riforma Martinotti su cui invece eravamo d’accordo. O il fatto che ci siamo alternati come pro-rettori responsabili delle nuove tecnologie allo IUAV, con una grande consonanza di visione. Insomma, oltre ad aver appreso da te e da Indovina il poco che so di urbanistica, sono lieto di essere tuo amico.
Ciò premesso, come hai visto ho, abbiamo noi tutti e quindici, già risposto alla seconda domanda: sono contrario al cosiddetto PPS proposto dalla Giunta regionale in carica, e farò quel che posso per evitare che venga approvato.
La prima, più che una domanda, è una rilevante questione.
Come forse ricorderai sin da “bambino” non credevo alla neutralità della scienza (sono laureato in Fisica e il mio primo scritto si intitolava “Un mitra è una mitra e la meccanica quantistica è la meccanica quantistica”, un samizdat che ha circolato molto a Preganziol, prima che tu arrivassi). Posso non dilungarmi su quel che so, sappiamo, essere ovvio? Vengo alla questione.
I dirigenti dell’Assessorato all’Urbanistica della Regione Sardegna ci hanno chiesto (non so a chi altro, ad esempio non sapevo che avessero chiesto anche a te) se potevamo essere interessati a condurre un processo teso a presentare e a discutere con tutti gli attori sociali, economici e istituzionali il PPR della Sardegna (quello che tu hai, con altri tra cui il nostro Preside di allora Vanni Maciocco, pensato ed elaborato), a evidenziarne possibili criticità, a indicare modalità di coinvolgimento degli attori pubblici locali (Comuni e Province) nella sua applicazione e nella costruzione di progettualità.
Io non ero allora Preside, ma dirigevo un laboratorio che si occupa (anche) di partecipazione (so che abbiamo una grande consonanza su questo, dall’epoca in cui abbiamo seguito delle Tesi di Laurea insieme sull’argomento) e la richiesta è pervenuta all’amica e collega Alessandra Casu, che tu conosci bene e sulla cui serietà, rettitudine, onestà e rigore non è permesso a nessuna persona perbene di dubitare; Alessandra ha assunto la direzione del processo.
Posso pensare che una delle ragioni della richiesta fosse che avevamo condotto un processo di condivisione e di conoscenza del PPR per decine di amministratori, funzionari e tecnici, un’attività di formazione voluta dalla Giunta Soru, chiamato ITACA e il cui laboratorio finale, svoltosi a Barcelona aveva come titolo Nuove Idee per la Sardegna: quel laboratorio era stato ideato e guidato da me, dalla collega Casu e dal collega Plaisant,.
Abbiamo deciso di manifestare il nostro interesse perché l’obiettivo dichiarato era quello che ho descritto e perché noi siamo un’istituzione che ha il dovere di cooperare - in piena autonomia e con rigore scientifico e trasparenza - con altre istituzioni pubbliche (succedeva allo IUAV ad esempio con la Regione Veneto).
Il processo è stato condotto con grande rigore (anche se i tempi previsti sono stati tagliati) e con la massima trasparenza: Alessandra potrà darti i dettagli, in un suo intervento nel merito del processo cui io ho partecipato pochissimo.
Le conclusioni erano, e non era scontato (come sai il Presidente Soru per cui ho votato due volte, è stato impallinato dai “suoi” in Consiglio Regionale, fatto che ha portato alle seconde elezioni, quelle perse), di difesa del PPR, con pochi e circostanziati suggerimenti, molto ragionevoli; ne cito alcuni: attenzione a costruire rapporti definiti fra i vari livelli istituzionali, formazione del personale e dei tecnici – come era stato nel grande progetto ITACA – sostegno alla pianificazione e alla progettazione dei Comuni (io li ho chiamati gli “urbanisti dei piedi scalzi”), estensione del Piano alle zone interne linee-guida chiare e usabili.
Tu dirai: “ma siete così ingenui da pensare che, nonostante un lavoro serio e ben fatto, Cappellacci non ne avrebbe approfittato per strumentalizzarlo e manipolarlo?”. La risposta è no, non sono ingenuo. Ma – in ogni occasione – abbiamo chiarito, precisato e argomentato; alcuni pensano persino che – proprio perché il lavoro era serio e non manipolabile – sia stato per molto tempo un argine contro lo stravolgimento del PPR.
Non credo che il nostro lavoro di urbanisti sia neutrale (come dice il comune amico Indovina: l’urbanistica è “scelta politica tecnicamente assistita”), credo che si possa farlo con onestà e chiarezza, credo che non sia opportuno - se non in casi estremi – rifiutare la collaborazione tra istituzioni, all’unica condizione di perseguire l’interesse pubblico con chiarezza e onestà.
Spero di aver chiarito la nostra posizione. Mi fermo qui. Grazie dell’opportunità. Un abbraccio.
P.S.
Una nota metodologica. Il mio costume è, quando scrivo un articolo o rilascio un’intervista ai media online che consentono commenti, di non commentare i commenti. C’è uno statuto diverso tra queste due modalità di intervento, per questo non mi permetto di commentare mai su un mio “pezzo”, se non sul mio personale blog, che – essendo casa mia – governo io. Continuerò così.
Eoardo Salzano
Ti ringrazio, ma il lavoro non è finito qui
prendo atto con piacere della tua (della vostra) opposizione al piano paesaggistico di Cappellacci. Sono particolarmente lieto che la discussione si sia allontanata dal terreno dei riferimenti personali e sia andati al merito delle cose. Ti sono grato della tua ricostruzione dei fatti che – certamente per mia colpa – conoscevo solo in piccola parte. Mantengo peraltro forti dubbi sull’opportunità di collaborazioni tra istituzioni che aderiscono a convinzioni, principi e interessi (diciamo ideologie? non attribuisco alcun significato negativo a questo termine) molto distanti tra loro.
Mi domando: se hai determinati principi e anteponi alcuni interessi su altri, ha senso collaborare con chi esprime principi e serve interessi alternativi ai tuoi, anche se lo fai solo per ridurre il danno di scelte che giudichi sbagliate? Anche se agisci come istituzione pubblica collaborando con un’altra istituzione anch’essa pubblica? Non conta tanto il colore politico, quanto l’atteggiamento di quella istituzione nei confronti del tema del quale sei “esperto”.
La mia è una posizione che si riferisce all’attuale contesto storico e geografico, e in particolare alla disparità di condizioni tra chi esercita il potere reale (anche attraverso le istituzioni) e il mondo (e le istituzioni) degli intellettuali.
Passando a un altro più specifico argomento mi interessano molto i suggerimenti che, come scrivi, avete dato nel corso del vostro lavoro in merito all’implementazione del Piano di Soru. Se fossi più vispo ti proporrei di organizzare ad Alghero una discussione critica su quel piano e sui suoi limiti, magari a partire dal libro che ho curato (Lezioni di piano: se l’hai letto sai che con questo titolo non si intendeva attribuire la denominazione di “lezione” al mio intervento né al PPR in sé, ma agli insegnamenti che dal suo percorso potevano trarsi). Sono del parere che su quel piano si sia ragionato poco, negli ambiti della cultura specialistica, e che questo non sia un bene.
Per quanto riguarda il PPS di Cappellacci spero che non ci sia bisogno di nostre iniziative, visti l’atteggiamento, per ora fermo, del Mibac e la quantità di magagne formali del tentativo della Regione di cancellare goffamente le tutele. Devo dire che mi sembra un segno non bello dei nostri tempi il fatto che ci si debba così spesso affidare alla magistratura, solo perché la cultura e la politica tacciono. Se invece le cose cambieranno e il tentativo di Cappellacci dovesse guadagnare terreno e riterrò necessaria una iniziativa pubblica da parte degli intellettuali e dei cittadini, ti (vi) chiederò di aderire in ambedue i ruoli.
Basterebbe questo per fermare il mostro. Ma c'è altro, più consistente che StopOr_Me da tempo denuncia. Il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2013
Alcune cose, invece, appaiono sicure: quei 380 chilometri di asfalto in 5 regioni (Lazio, Umbria, Toscana, Emilia e Veneto) costeranno quasi 10 miliardi di euro, 4 in più di quelli preventivati per il fu Ponte sullo Stretto. L'altra sicurezza è che, nonostante la promessa che tutto sarà pagato dai privati con il project financing, alla fine dalle casse statali uscirà invece una cifra di uguale entità a favore dei realizzatori, un debito che peserà sui conti per almeno un quindicennio. La terza sicurezza è che i cittadini-automobilisti fino ad ora abituati a viaggiare gratis su quel tragitto, dovranno contribuire con il pagamento di pedaggi autostradali che per circa mezzo secolo finiranno nelle casse della società concessionaria dell'opera.
La quarta certezza è che si tratta di un affare destinato a finire in bocca a Vito Bonsignore, il finanziere-costruttore-politico che per primo ha presentato un progetto assicurandosi un preziosissimo diritto di prelazione che varrà oro al momento della gara europea per la scelta dell'azienda che dovrà realizzare l'opera. La gara sarà indetta tenendo come punto di riferimento proprio la proposta Bonsignore e nel caso in cui qualcuno riuscisse ad offrire condizioni migliori, lo stesso Bonsignore avrà diritto all'ultima parola.
Bonsignore è uno dei protagonisti della Tangentopoli di vent'anni fa e vanta una sfilza di procedimenti giudiziari lunga mezza pagina, condannato in via definitiva a 2 anni per corruzione e turbativa d'asta, presente nella lista dei cittadini italiani esportatori di capitali in Liechtenstein, fondatore dell'Udc, tuttora vice presidente del Partito Popolare al Parlamento europeo. L'ultima certezza è che il ripescaggio della mega opera avviene con ministro delle Infrastrutture uno dei politici più vicini a Bonsignore, il ciellino Maurizio Lupi, ovviamente desideroso di legare il suo nome ad un'opera destinata a restare nella storia d'Italia (sempre che alla fine si faccia). Tutto ciò dimostra che a dispetto delle dicerie, il governo delle larghe intese è vivo e vegeto e molto reattivo quando si tratta di affari con nove zeri.
La storia dell'autostrada Orte-Mestre comincia 12 anni fa, lo stesso giorno in cui il governo Berlusconi approva la famosa legge Obiettivo, quella che avrebbe dovuto far sbocciare il “nuovo Rinascimento italiano” assicurando pure un periodo di splendore ai costruttori, soprattutto i 13 maggiori riuniti nell'Agi. Come è andata a finire lo sanno tutti: di grandi opere nemmeno l'ombra, l'edilizia agonizza e proprio alcuni mesi fa una bella fetta di costruttori piccoli e medi ha abbandonato l'Ance e la Confindustria proprio in polemica con la legge Obiettivo. L'Orte-Mestre fu inserita nell'elenco degli “interventi strategici” e nella tacita spartizione dei pani e dei pesci, Bonsignore si fece avanti con una proposta e un progetto. L'iniziativa poi sembrava si fosse arenata perché lo Stato non trovava i quasi 2 miliardi iniziali necessari per passare dalle intenzioni ai primi passi concreti. Quei quattrini sono spuntati questa estate con un sistema molto complesso, sulla cui correttezza e linearità si sa già che alla fine dovrà pronunciarsi la Corte dei Conti. I quattrini sono stati promessi ai futuri realizzatori (leggi Bonsignore) con un abbuono di circa 2 miliardi di euro sulle tasse delle imprese (Ires e Irap) valido per 15-20 anni. Il periodo ritenuto necessario per completare i lavori e avviare la gestione. Nel frattempo quei quattrini Bonsignore se li farà anticipare cash dalle banche e quindi su di essi graveranno fior di interessi che lo Stato dovrà via via coprire.
Il manifesto, 10 novembre 2013
Il ministero per i beni culturali (Mibac) va verso l'impugnazione del piano del paesaggio con il quale la giunta sarda di centrodestra vorrebbe demolire la legislazione approvata nel 2006 dal governo regionale guidato da Renato Soru. Con una lettera pubblicata l'altro ieri sul quotidiano La Stampa il sottosegretario ai beni culturali, Ilaria Borletti Buitoni, ha invitato il presidente Ugo Cappellacci (Pdl) a sospendere la delibera approvata nei giorni scorsi dal consiglio regionale. In caso contrario, sarebbe inevitabile un doppio ricorso del governo Letta contro la giunta sarda: uno alla Corte costituzionale e un altro, amministrativo, davanti al Tar.
«Il presidente della regione Cappellacci - scrive Borletti Buitoni nella lettera - ha dichiarato guerra alla soprintendenza ai beni culturali della Sardegna e sta rapidamente consegnando l'isola a una visione che prevede un aumento gigantesco e capillare di costruzioni, visione di cui si vedono già i primi effetti. La scusa di chi sostiene questo progetto è sempre la solita: con la gravissima crisi economica, che in particolare in Sardegna sta uccidendo l'economia, non si può certo rinunciare all'opportunità di uno sviluppo almeno nel settore dell'edilizia. Dissento da questa affermazione, perché è ben vero il temporaneo sollievo che la riattivazione dell'industria delle costruzioni può portare alla disoccupazione tragica dell'isola, ma è altrettanto vero che, sulla media e lunga distanza, la distruzione del paesaggio toglierebbe alla Sardegna la sua eccezionalità, che, se valorizzata, sarebbe un volano di sviluppo a lungo termine. I ricchi russi, che pure decapitano senza problemi una collina per costruire in patria la propria casa, non ci metteranno nulla a transumare altrove quando in Sardegna si troveranno intorno non più un mare circondato da una natura incontaminata ma coste devastate dal cemento. E allora rimarrebbe solo la disperazione di aver consegnato luoghi unici a un modello di sviluppo sbagliato e poco lungimirante, che invece di portare benessere ha portato alla perdita di un patrimonio collettivo unico al mondo».
Alla lettera del sottosegretario ha replicato il capogruppo Pdl in consiglio regionale, Pietro Pittalis, con parole che, oltre a essere una perla di «pensiero berlusconiano», denunciano insieme il nervosismo della giunta di centrodestra e la debolezza della sua posizione in termini strettamente giuridici: «Sono stanco delle lezioncine di baronetti radical chic difensori dell'ambientalismo ipocrita. Invitiamo il sottosegretario Borletti Buitoni ad abbandonare un atteggiamento supponente e prevenuto, incompatibile con il ruolo che riveste. La invitiamo a cessare i suoi aristocratici modi sprezzanti verso chi, al contrario di lei, è stato eletto dal popolo». Facile, per Borletti Buitoni, replicare - questa volta non con una lettera ma con una nota ufficiale del Mibac - ricordando a Pittalis e a Cappellacci che essere eletti dal popolo non autorizza nessuno a violare le leggi, nel caso specifico il Codice dei beni culturali e la Costituzione. Per il sottosegretario una sospensiva del nuovo piano del paesaggio voluto dal centrodestra è necessaria «anche per evitare la coesistenza di due norme, il piano paesaggistico regionale del 2006 e quello attuale, dissonanti tra loro». «Inoltre - argomenta nella nota l'esponente del governo - se è vero che la Regione Sardegna gode di autonomia sulla procedura di redazione del piano, più sentenze della Corte costituzionale hanno dichiarato illegittime norme regionali che si ponevano in contrasto con disposizioni previste dal Codice dei beni culturali, a partire dall'articolo 135, che al comma 1 dispone che la pianificazione paesaggistica sia effettuata congiuntamente tra ministero e regioni». «Al contrario del presidente Cappellacci - conclude la nota del sottosegretario - io non sono in campagna elettorale e dunque mi è più facile guardare ai problemi dal punto di vista amministrativo e generale, dal punto di vista del bene comune inteso come cosa pubblica. Al netto delle fantasiose definizioni che sono state usate nei miei confronti, il vero punto in discussione sono i poteri dello stato e il loro interno equilibrio».
Applaudita dalle due ali del partito larghe intese, una delle più devastanti Grandi opere, tra le moltissime che si programmano e realizzano nell’Italia berlusconista, finanziandole coi debiti dei nostri posteri e con tagli sulla pelle degli abitanti, a partire dalle fasce più deboli. La Nuova Venezia, 9 novembre 2013
VENEZIA La prima applicazione della defiscalizzazione su un investimento infrastrutturale porta al Veneto un passo decisivo verso la realizzazione dell’autostrada Orte-Mestre e, con questa, della Nuova Romea. Ieri, grazie alla sostituzione del previsto contributo pubblico da 1,8 miliardi con una cifra equivalente di riduzioni fiscali (Ires, Irap e Iva) che la società concessionaria dovrà pagare dopo l’avvio della gestione, il Cipe ha dato il via libera (con prescrizioni) al progetto preliminare di nuovo corridoio autostradale (396 chilometri) Nord-Sud in grado di collegare Mestre a Orte.
L'Unità, 9 novembre 2013Il dramma di Pompei rischia, come spesso accade in Italia, di trasformarsi in commedia e peggio. Ci sono i mezzi finanziari provenienti dall’Europa, ma se ne vogliono convogliare altri, privati, italiani e stranieri, e per questo si ritiene che la persona più adatta a gestire questa cornucopia non sia un archeologo pur dotato di competenze gestionali (ve ne sono), ma un manager. Come l’ambasciatore Giuseppe Scognamiglio, già consigliere diplomatico di Enrico Letta al tempo in cui era ministro, ed ora vice-presidente di Unicredit. Questa sarebbe la posizione del presidente Letta. Il ministro dei beni culturali, Massimo Bray non pare convinto, teme che un ambasciatore senza competenze specifiche possa non fare decollare il Grande Progetto Pompei previsto dal peraltro discusso decreto Valore e Cultura.
E’ intervenuto Salvatore Settis archeologo e, fra le altre cose, direttore per anni del Getty Research Institute, a perorare la nomina di un archeologo che abbia cultura gestionale. Il Mattino di Napoli ha messo in campo adeguate artiglierie per smantellare la tesi di Settis e sostenere invece la necessità assoluta di nominare subito un manager alla Scognamiglio. Pochi ricordano ormai che la Soprintendenza speciale di Pompei fu creata, assieme a quella di Roma, anni fa (ministro dei Bc, Walter Veltroni) con un soprintendente archeologo e un city manager. La diarchia non ha funzionato, anche perché, dopo una certa data, si sono nominati generali dei carabinieri (più utili se applicati alla lotta alla camorra che controlla la zona, Pompei inclusa) o addirittura commissari di nessuna cultura archeologica (tantomeno pompeiana) sulla base di una “emergenza” proclamata dalla Protezione civile di Bertolaso e poi seccamente negata dalla Corte dei conti. Quest’ultima, esaminati i documenti dell’«emergenza» soltanto alla scadenza del mandato di Marcello Fiori, ha emesso un giudizio «postumo» dei più negativi. L’intera gestione commissariale tra il 2008 e il 2010, ha scritto infatti la Corte, «non sembra rispondere all’esigenza di tutelare l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi o da altri grandi eventi, che determinino situazioni di grave rischio». Somme ingenti finirono in un “restauro” raggelante del teatro romano, un tempo di tufo e marmo, ora di cemento, altre in musei virtuali, in piste ciclabili e via pedalando fra le rovine.
Rovine bisognose di attenzioni specialissime – come Stabia ed Ercolano – perché le “insulae” e i mosaici, gli affreschi contenuti nella varie dimore sono stati per un paio di millenni sotto una coltre di pomice senza conoscere quindi le mutazioni e le avversità climatiche. A differenza dell’archeologia in parte interrata, in parte no, di aree archeologiche paragonabili per vastità (Ostia Antica, per esempio). Molto, troppo forse si è scavato a Pompei anche perché la camorra scoprì decenni fa il business della pomice. Inoltre negli anni 50 si sono operati “restauri” con materiali cementizi che hanno peggiorato lo stato complessivo di conservazione dei manufatti, soprattutto davanti all’intensificarsi di piogge improvvise e violentissime. Ad imporsi oggi non è tanto un discorso di quantità, di provvista finanziaria, quanto di qualità tecnico-scientifica degli interventi, della loro programmazione, delle priorità da stabilire. Cosa c’entra un manager, di buona cultura bancaria, con tutto ciò? Nella vicina Ercolano le cose vanno assai meglio che a Pompei perché il flusso regolare dei finanziamenti è stato assicurato da un mecenate americano che non vuole “ritorni” pubblicitari e il piano dei lavori è stato definito e attuato dalla Soprintendenza. O no? E a Roma stessa, schivato il rischio di Bertolaso commissario, i lavori non sono andati a buon fine con Proietti e con Cecchi, due tecnici?
Ma i sostenitori della managerialità (gli stessi che parlano del “nostro petrolio”) non si rassegnano facilmente. Hanno applaudito l’arrivo al Collegio romano di un manager, Mario Resca, il quale veniva da aziende importanti nel loro ramo: McDonalds’, il Casino di Campione, o Finbieticola. Doveva “valorizzare” i beni culturali nazionali. Ha combinato qualcosa? A guardare le pubblicità “valorizzatrici” che ci sollecitavano a correre a vedere il Colosseo o il Cenacolo di Leonardo prima che ce li portassero via, pare proprio di no. Per non parlare del rinnovo delle concessioni dei servizi aggiuntivi dove le convenzioni approntate da Resca sono state mitragliate di ricorsi al Tar e giacciono al suolo inanimate (e prorogate). Se questi sono i manager della cultura, aridàtece er Soprintendente. Che sia bravo, certo. E che abbia gli strumenti per snellire le operazioni programmate con rigore scientifico oltre che finanziario.
L'ennesimo scontro globale locale sull'insediamento della grande distribuzione, letto come misera baruffa di interessi di bottega, e probabilmente percepito come tale anche dai protagonisti. Corriere della Sera, 9 novembre 2013
«Non fateci chiudere». Battaglia tra la Confcommercio milanese e l’Ikea sull’insediamento di un nuovo centro commerciale a Rescaldina, a 30 chilometri da Milano e a 5 da Legnano: 74 mila metri quadrati di cui 22 mila destinati ad ospitare mobili e arredamenti della ditta scandinava e gli altri 52 mila finalizzati a realizzare una galleria che offrirà differenti merceologie. I negozianti: overdose di centri commerciali. Possiamo già chiamarla la battaglia di Rescaldina perché il conflitto che si è aperto tra la Confcommercio milanese e l’Ikea è di quelli destinati a segnare quantomeno una stagione. La querelle verte sull’insediamento di un nuovo centro commerciale nel comune di Rescaldina a 30 chilometri da Milano e a 5 da Legnano. Si parla di 74 mila metri quadrati di cui 22 mila destinati a ospitare mobili e arredamenti della ditta scandinava e gli altri 52 mila finalizzati a realizzare una galleria commerciale che offrirà differenti merceologie. È il nuovo format dell’Ikea che ha visto una prima realizzazione a Villesse, in provincia di Gorizia e a ridosso della autostrada A4 e ora sbarca nell’Alto Milanese per poi puntare su Brescia. Rischiando di creare però quella che i commercianti denunciano come «un’overdose di centri commerciali» perché sull’asse Rho-Gallarate ne esistono già 13 oltre a un altro centro shopping sempre nel territorio di Rescaldina che occupa 46 mila metri quadri.
La contestazione dei progetti svedesi è iniziata ieri con un’assemblea di un centinaio di commercianti a Legnano e con la presenza di un paio di sindaci della zona, assessori e consiglieri regionali. Ma siamo solo all’inizio, da qui alla fine di novembre ne sono previste altre due a Saronno e Gallarate sempre con la regia dell’associazione che fa capo a Carlo Sangalli. Oltre ai danni che il centro Ikea provocherebbe per il tessuto dei dettaglianti costretti a chiudere i battenti, nel corso dell’assemblea è stato denunciato «un consumo di suolo di ulteriori 280 mila metri quadrati sottratti al verde e all’agricoltura in un’area già fortemente urbanizzata». La Confcommercio contesta anche i dati sull’occupazione, secondo il suo ufficio studi per 840 nuovi posti di lavoro creati con l’insediamento Ikea se ne distruggerebbero 1.085 nelle piccole imprese della zona e quindi il saldo sarebbe negativo.
La battaglia di Rescaldina scoppia in una congiuntura drammatica per il settore del commercio, la contrazione dei consumi ha messo in gravissima difficoltà i piccoli esercenti ma ha creato problemi anche ai centri commerciali. Non è un caso che le nuove aperture siano quasi esclusivamente da parte di operatori specializzati come Ikea, Decathlon o LeroyMerlin mentre i punti vendita generalisti soffrono e non pensano certo di espandersi. Se a Rescaldina si pensa di varare una nuova galleria commerciale lo si fa solo in virtù del traino Ikea perché altrimenti non avrebbe speranze di audience. Il tempo dello sviluppo esagerato dei centri commerciali in realtà è già terminato, il consumatore privilegia gli acquisti frazionati e non più la «spesona» e ovviamente questa tendenza al ribasso colpisce in primo luogo gli ipermercati. È vero poi che in Lombardia la grande distribuzione è cresciuta più che in altre regioni (ha una quota di mercato attorno al 70%) e l’orientamento programmatico della giunta regionale di centrodestra è considerato nettamente a favore dei Piccoli.
L’Ikea per ora non ha intenzione di replicare direttamente, ha affidato all’università di Castellanza uno studio sull’impatto del nuovo insediamento e quindi si appresta a una battaglia a colpi di slide e che non potrà non avere risvolti politici. Si sa che l’investimento sarà di 250 milioni di euro e che gli 840 saranno i soli posti di lavoro diretti ai quali va aggiunto il potenziale indotto. L’operazione non sarà tutte sulle spalle degli svedesi ma sono previsti dei partner immobiliari che si suddivideranno, ad esempio, i costi di realizzazione di nuove infrastrutture di viabilità stimati in 25 milioni. Per andare avanti sarà necessario però quello che in gergo si chiama un accordo di programma che dovrebbe prevedere le varianti urbanistiche, la licenza di vendita e l’assetto della nuova viabilità e alla fine richiederebbe le firme dei sindaci dei due comuni coinvolti (Rescaldina e Cerro Maggiore), della Regione e della Provincia di Milano. Se tutto dovesse filare liscio questo documento potrebbe vedere al luce non prima della primavera 2015 mentre per l’inaugurazione del centro bisognerebbe comunque attendere il 2018. Come si può arguire dalle date l’investimento guarda lontano ed è considerato strategico dai manager Ikea. Ma mentre sul fronte dei commercianti trapela come ipotesi di mediazione un ridimensionamento del progetto (solo il magazzino Ikea e niente galleria commerciale), l’azienda scandinava non sembra disposta a esaminare subordinate. O tutto o niente, ma siamo solo alla prima puntata.
L’informazione
Due domande
In trepida attesa, attendo la loro risposta.
Pare ovvio, che non bastino i cartelli per un'idea diversa di flussi urbani, ma si debba lavorare sulle forme. Basterà? La Repubblica Milano, 7 novembre 2013, postilla (f.b.)
Una nuova isola ambientale per “proteggere” via Sarpi pedonalizzata e per ridurre la congestione dell’intera zona. Parte dal Consiglio di zona 1 la proposta bipartisan di trasformare le vie della Chinatown milanese in una nuova zona che privilegia il traffico pedonale e riduce la velocità delle auto. Proposta che il Comune si prepara a recepire perché, come conferma l’assessore all’Ambiente Pierfrancesco Maran, «l’ambito di via Sarpi ha tutte le caratteristiche per diventare una zona 30», intesa come velocità massima consentita. Un progetto, quindi, che sarebbe l’ideale prosecuzione dell’isola ambientale approvata dalla giunta a luglio tra corso Como e Porta Garibaldi e su cui lavorano da tempo le associazioni e i comitati di zona Sarpi per migliorare la qualità della vita nel quartiere. Potrà prendere il via dopo che si sarà risolta la controversia sull’uso delle telecamere nella Ztl di via Sarpi (a maggio il Tar aveva dato ragione ai commercianti cinesi che ne contestavano l’utilizzo, così il Comune ha sospeso la delibera).
Quello che chiedono, i residenti delle vie comprese tra Melzi d’Eril, Elvezia, Montello e Sarpi, sono «una serie di provvedimenti mirati, per migliorare la circolazione, la qualità dell’aria, la mobilità ciclistica e pedonale », spiega l’ordine del giorno votato dal Consiglio di zona. Il cui presidente, Fabio Arrigoni del Pd, spiega: «Il quartiere è fatto di molte strade strette che attraversano via Sarpi dove le auto sfrecciano mettendo a rischio l’incolumità della gente: servono per lo meno dissuasori, come cordoli o restringimenti della carreggiata, e cartelli per ridurre la possibilità di correre». Il problema riguarda soprattutto via Giusti: qui c’è una scuola media dove spesso genitori e insegnanti lamentano la scarsa sicurezza degli attraversamenti, ed è proprio sul tratto di strada davanti alla scuola che il Consiglio di zona chiede un maggior intervento. A corredo, poi, l’ultima richiesta: far esaminare dall’Amat, l’Agenzia per la mobilità del Comune, i flussi di traffico pubblico e privato nella zona, per capire se e come si potrebbe deviare da alcune strade, troppo piccole o troppo congestionate, su altre.
Il piano per l’estensione delle isole ambientali milanesi, assicura Maran, arriverà presto anche a coprire quell’area (che ricade anche in parte nel Consiglio di zona 8): qui, del resto, ci sarà la fermata della linea 5 della metropolitana nel piazzale del cimitero Monumentale «quindi si potrebbero creare già prima dell’apertura della fermata condizioni che favoriscano il traffico pedonale in tutta la zona». Non sarà l’estensione di Area C a via Sarpi — proposta che i comitati di zona avevano anche immaginato nei mesi scorsi — ma sarebbe comunque un inizio. Per la giunta, poi, conferma Maran, sarebbe la naturale prosecuzione delle decisioni che hanno portato in due anni Milano a scendere di dieci posizioni (dal 14esimo al 24esimo posto) nella classifica fatta da “Tom Tom traffic index” sulle città maggiormente congestionate dal traffico.
postillaSu questo sito abbiamo già sottolineato più volte, come la gestione della mobilità sicura e tendenzialmente sostenibile (per quanto vale ancora la banalizzata definizione) debba necessariamente passare per una considerazione complessiva del contesto urbano in cui si sviluppa, e l'idea di procedere per passi successivi non alla chiusura-pedonalizzazione, ma a un riequilibrio delle modalità, pare davvero cosa diversa dalla pura imposizione di regole, cartelli, sanzioni. A maggior ragione come, nel caso specifico della zone detta Chinatown a Milano, si colloca su un asse di sviluppo particolarissimo, vero e proprio urban mall a connettere zone storiche e quartieri nuovi, tessuti tradizionali e (anche discutibili) sperimentazioni moderniste. Resta da vedere sino a che punto risulti davvero efficace agire esclusivamente a scala urbana, dato che specie in zone così mixed use i flussi interessati sono per loro natura di raggio assai più vasto. Ovvero, se non si rischi di chiamare con un nome diverso e più accattivante l'ennesima pedonalizzazione, buona sicuramente a migliorare la qualità della vita locale, ma scaricandone i costi all'esterno (f.b.)
Corriere della Sera, 6 novembre 2013
Avete mai visto una rivolta di cacciatori in difesa del guardiacaccia? È un po’ quanto sta succedendo a Siracusa dove non accenna a calare il polverone sollevato da un manipolo di costruttori edili, architetti, geometri in difesa del vecchio sovrintendente rimosso dall’assessore ai beni culturali Maria Rita Sgarlata. Ma come, direte, i sovrintendenti non sono forse invisi a tutti coloro che hanno che fare con il cemento perché di solito si mettono di traverso alle betoniere? E non hanno forse dalla loro parte gli ambientalisti?
Macché: nella città di Dionisio va a rovescio. Contro il vecchio sovrintendente Orazio Micali, infatti, si erano schierati un po’ tutti i difensori del patrimonio artistico, paesaggistico e culturale con una lettera firmata da 16 associazioni: da Italia nostra a SOS Siracusa, dall’Archeoclub d’Italia al Circolo Legambiente, dall’Associazione Koinè al Comitato per il Parco delle Mura Dionigiane e così via… Un fronte impossibile da etichettare politicamente perché teneva dentro uomini di destra come Enzo Maiorca e Fabio Granata e della sinistra vicini a Sel.
Tutti uniti nel chiedere la revoca di Micali accusato di esser di manica troppo larga nei confronti del cemento. Ma soprattutto di avere bloccato, dopo che finalmente era stata conclusa la perimetrazione attesa da decenni, l’iter di istituzione del Parco Archeologico di Siracusa. Parco che finalmente impedirebbe di edificare all’interno della cinta delle Mura Dionigiane e in particolare sui fianchi dell’Epipoli dove sorge il grandioso Castello Eurialo. Direte: ma non era già protetta, l’area? Mica tanto, se è vero che le sovrintendenti all’archeologia e al paesaggio Rosa Lanteri e Alessandra Trigilia si erano addirittura viste chiedere 100 milioni di danni per avere bloccato la costruzione sul pianoro dell’Epipoli di 71 villette e due centri direzionali. Intimidazione bocciata dai giudici: le funzionarie hanno applicato la legge.
Dall’altra parte gli «operatori del mattone», chiamiamoli così, dipingono Micali con parole di sperticato elogio: «un ottimo Sovrintendente, “titolato per laurea conseguita” ed in grado di assolvere, con equilibrio, al proprio ruolo di gestione e salvaguardia del territorio, in un momento di forte disagio e difficoltà per la nostra comunità» e capace di «ben continuare a lavorare per una gestione seria, proficua e serena dei suoi Uffici». Va da sé che la decisione della Sgarlata di rimuovere il sovrintendente (nel quadro di una rivoluzione di quasi tutti i dirigenti isolani) sostituendolo con l’archeologa Beatrice Basile è stata accolta come fumo negli occhi. Sit-in in piazza, mozioni di protesta, interrogazioni parlamentari, richieste di dimissioni dell’assessore… E si torna sempre alla denuncia di «Unesco alla siciliana», dove Legambiente ironizza su chi pretende insieme di avere il bollino di «sito Unesco» (che Siracusa ha) ma senza gli impicci di ogni vincolo di tutela che «blocca lo sviluppo» e «sa solo mummificare!»
Il compromesso truffaldino raggiunto tra Comune, Regione e Governo per la mitigazione dei danni provocati dagli ecomostri galleggianti. Il "fronte del No", ovviamente, non è d'accordo con la distruzione dell'unica laguna al mondo rimasta viva per un millennio. La Nuova Venezia, con postilla
di Enrico Tantucci
Incontro con Letta e i ministri Lupi, Bray e Orlando Da gennaio crociere ridotte del 20%, da novembre 2014 niente giganti del mare. Sarà scavato il canale Contorta
ROMA Primo, concreto stop, dal prossimo primo gennaio al passaggio di parte delle grandi navi in Bacino di San Marco - con una riduzione del 20 per cento di quelle superiori alle 40 mila tonnellate - e definitiva estromissione dal primo novembre del 2014 delle meganavi superiori alle 96 mila tonnellate, che non attraccheranno più a Venezia. Si parla a regime, secondo le prime stime - ancora da verificare da parte di Venezia terminal passeggeri - di circa 160 “toccate” in meno e di una diminuzione di passeggeri di circa un milione, sul milione e 800 mila totali attuali. Le navi ancora in Marittima.
In particolare: dal primo gennaio 2014 dovrà essere vietato il passaggio nello stesso Canale dei traghetti, con conseguente riduzione del 25 per cento dei transiti davanti a San Marco e del 50 per cento delle emissioni inquinanti; dal primo gennaio 2014 dovrà essere ridotto fino al 20 per cento(rispetto al 2012) il numero delle navi da crociera di stazza superiore alle 40 mila tonnellate abilitate a transitare per il Canale della Giudecca; dal primo novembre 2014 dovrà essere definitivamente precluso il transito delle navi crocieristiche superiori a 96 mila tonnellate di stazza lorda. Andranno, infine, assicurate una riduzione dello stazionamento giornaliero massimo (non superiore a 5 navi da crociera superiori alle 40 mila tonnellate) - e una contrazione dei passaggi residui nelle ore centrali della giornata, con concentrazione delle partenze e arrivi all’alba e al tramonto».
Contorta, lo scavo costerà 150 milioni
«Opera ambientale»
di Alberto Vitucci
VENEZIA Il presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa l’ha già definita «la più grande opera ambientale fatta in laguna negli ultimi anni». È lo scavo del canale Contorta-Sant’Angelo per evitare, dopo l’ingresso dal Canale dei Petroli, alle grandi navi da crociera di passare per il Bacino di San Marco. Scavando il canale Contorta Sant'Angelo - secondo Costa - si avranno 5 milioni di metri cubi di fanghi non inquinati utilizzabili per costruire barene di protezione ai lati del nuovo canale ma anche del Malamocco-Marghera. Costo previsto dell’opera: 150 milioni di euro, finanziabili anche con un ticket imposto alle navi da crociera per il loro passaggio. Tempi di realizzazione: tre anni, di cui uno per tutta la parte burocratica e progettuale e due di lavori effettivi Il Contorta-Sant’Angelo scavato sarà lungo 4 chilometri, movimentando, appunto, 5 milioni di metri cubi di fanghi. «Questa è la grande scommessa ha già dichiarato Costa -. Scavando il canale Contorta Sant'Angelo avremo 5 milioni di metri cubi di fanghi non inquinati che potremo utilizzare per costruire barene di protezione ai lati del nuovo canale ma anche del Malamocco-Marghera». Il progetto si divide in due settori: i costi compresi quello dello scavo del canale; e in seconda istanza, le opere per la ricostruzione dell’ambiente lagunare dopo lo scavo del Contorta-Sant’Angelo.Secondo l’Autorità portuale e il Magistrato alle Acque i costi di quest’opera si aggirerebbero sui 150 milioni di euro così suddivisi: 60-70 per le opere di scavo del tratto lagunare. Altri 70-80 milioni andrebbero per la realizzazione di velme e barene puntando alla ricostruzione morfologica della laguna.
Costa: «Bene per Venezia e il Porto»
di Enrico Tantucci
Orsoni: finalmente basta mega crociere a San Marco. Zaia: ora facciamo presto a scavare il canale Contorta Il Comitato contrario: «Una prima vittoria ma la nostra battaglia non si ferma qui»
postilla
Con una classe dirigente così ignorante e bugiarda c’è davvero poco da sperare. Dal sindaco della città e della sua Laguna fino al rappresentante, nel governo nazionale, della tutela dei beni culturali, nessuno ha ancora capito che la Laguna è un bene altrettanto prezioso e fragile, raro e delicato quanto la città che da essa e per essa è nata. Non hanno capito che distruggere l’una significa distruggere anche l’altra, né che dall’inondazione del turismo “mordi e fuggi” bisogna cominciare a difendersi oggi – se non è già troppo tardi, come molti temono. E neppure hanno capito che la Laguna di Venezia (l’unica rimasta tale al mondo per oltre un millennio, grazie alla continua manutenzione governata dalle tre regole della sperimentalità, gradualità, reversibilità di ogni trasformazione, non è un terreno piatto come quello sul quale corrono le autostrade. Se, come sembra, il vincitore della nobil tenzone sulle grandi navi è il presidente dell’Autorità portuale, allora non ci vuole molto per capire che la Laguna è perduta. Basta sapere (e tutti quelli che in qualche modo condividono la responsabilità del potere non possono non saperlo) che la realizzazione del canale Contorta comporterebbe l’ulteriore consolidamento dell’autostrada denominata Canale dei petroli, tra i maggiori colpevoli del degrado della Laguna. Come del resto accadrebbe se la scelta cadesse sulla soluzione preferita dall’erede dei Dogi, l’avvocato Giorgio Orsoni.