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Il numero chiuso con relativo ticket a Bidderosa fa scuola, tanto che Orosei estende la formula anti-assalto ad altre spiagge da tutelare. Da alcuni anni nei 500 ettari dell'oasi naturalistica (cinque cale incastonate nel bosco), Comune e Ente foreste collaborano per tutelare l'ambiente e garantire un minimo di servizi ai visitatori. Un modello vincente, come dimostra la risonanza internazionale rimbalzata anche sul New York Times, messo a punto nel tempo e affinato nel dialogo tra istituzioni, fino all'ultimo accordo tra l'organismo regionale e gli amministratori locali che ha sancito l'affidamento della gestione degli accessi al Comune di Orosei, attraverso la Pro loco. Ogni giorno possono entrare nell'oasi fino a un massimo di 130 autovetture per un costo di dieci euro (12 dal 21 luglio al 20 agosto), cinque euro per le moto e due per le biciclette. Biglietti che i visitatori pagano senza protestare anche perché hanno a disposizione alcuni servizi (tavoli da pic-nic, bagni, bidoni per la spazzatura) e, soprattutto, sanno che in base alla convenzione con il Comune, l'Ente foreste reinveste il 30 per cento delle somme incassate in progetti di miglioramento. Il modello di sviluppo turistico ecosostenibile nell'oasi di Orosei ha già dato i suoi frutti e gli amministratori del centro baroniese, hanno deciso di estenderlo alle pinete e alle spiagge di Sa Curcurica e di Su Barone, due zone da sempre al centro dell'assalto incontrollato dei bagnanti da salvaguardare urgentemente perché dichiarate siti di interesse comunitario e inserite nella rete europea “Natura 2000”. Un provvedimento «a carattere provvisorio e sperimentale» entrato in vigore tra non poche polemiche soprattutto tra i residenti e chi ritiene che si tratti solo di un modo di far cassa. Accusa respinta dagli amministratori che, proprio nel nome della tutela, hanno previsto un tetto massimo: 250 auto e 125 moto a Sa Curcurica, 850 auto 400 moto negli oltre cinque chilometri della pineta che costeggia il mare a Su Barone (regno del campeggio abusivo), Su Petrosu e Avalè. Non pagano pedoni e ciclisti, mentre, con cifre dimezzate per i residenti, gli automobilisti forestieri dovranno versare quattro euro e i centauri due. Oltre a calmierare gli accessi, si punta molto anche sulla regolamentazione dei parcheggi. Le areesosta,infatti, scongiureranno i parcheggi selvaggi in pineta, a ridosso delle spiagge e, addirittura, nelle dune, con benefici diretti sulla prevenzione degli incendi e l'accesso dei mezzi di soccorso. «Non a caso le chiamiamo misure di salvaguardia ambientale, ma nei limiti del possibile cercheremo di offrire qualche servizio», spiega il sindaco di Orosei Gino Derosas, soddisfatto per i primi risultati «anche se ogni novità deve essere metabolizzata». I nuovi barbari, camper compresi, rischiano però di spostarsi impunemente a Siniscola dove, salvo che a Berchida (confinante con Bidderosa), anche questa estate non ci saranno regole e ticket. Soprattutto nelle dune di Capo Comino già negli anni scorsi non sono mancate le segnalazioni di mezzi in transito e sosta nelle dune aggravate anche da episodi di campeggio abusivo. Il rischio di un notevole aumento delle presenze dai centri vicini non sfugge al sindaco Lorenzo Pau: «Siamo intenzionati recuperare il tempo perduto - dice il primo cittadino di Siniscola - credo però si debba procedere tutti insieme accelerando sul piano di utilizzo dei litorali, come vuole la Regione, detti regole omogenee a Orosei, Siniscola e Posada». Una svolta invocata anche da Orosei dove, aspettando gli altri Comuni, è stata avviata una sperimentazione destinata forse a diventare un altro modello-Bidderosa. «L'anno prossimo», conclude Derosas lanciando un preciso segnale politico, «il piano di gestione intercomunale deve essere pronto e con largo anticipo sulla stagione turistica per consentirci di offrire tutti i servizi necessari».

Il Centrodestra ha raggiunto il numero di firme sufficienti per avviare il referendum ( forse due) contro il regime di protezione del paesaggio costiero realizzato dal governo Soru in questi anni (per questo il Piano paesaggistico sardo è gratificato da riconoscimenti di organismi europei e internazionali.

Succede in Sardegna che ci siano forze politiche berlusconizzate, che non si curano di questo, e si mobilitano per fare più volumi ( “lotte dure per altre cubature” – ha scritto eddyburg di recente). Succede che le forse politiche del Centrosinistra non siano tutte fermamente decise a consolidare il progetto di tutela.

Ma anche, e per fortuna, capita che ci siano comuni che tengono duro per conservarli intatti i paesaggi unici che hanno in consegna, e in questo caso è bene sottolinearla la straordinarietà.

Si tratta del compendio Curcurica-Biderrosa in Comune di Orosei, provincia di Nuoro, nella costa orientale, a sud della Gallura (del Billionaire e di villa Certosa, direbbero sbrigativamente a Rete4). Un luogo che ho visitato in condizione di assoluto privilegio, con tanto di guida esperta, dato che collaboro con l’ amministrazione per mettere a punto il Piano urbanistico ( mi sono sentito corrispondente, su un altro registro, a quei fortunati conservatori- restauratori che possono toccare le pareti e le tele dipinte dai grandi maestri del Rinascimento).

E’ un ambiente privo di case – innanzitutto; e questa è di per sé una condizione di privilegio che la Sardegna; caratterizzato dalla presenza di stagni a ridosso del mare, che devono la loro origine al divagare lento dei rispettivi corsi d’acqua, in prossimità della foce, approfittando della speciale depressione di retrospiaggia. Il fenomeno è legato a particolari condizioni che per come le descrivono gli studiosi (i bassi valori di portata dei torrenti ed le modeste dimensioni dei bacini imbriferi) potrebbero apparire sfavorevoli condizioni. Luoghi nel passato stramaledetti, perché da qui venivano le malattie prima del Ddt americano, dato in quantità enormi pure da queste parti.

Questo luogo è rimasto fuori dai riti della balneazione: non ci sono case, nè rotonde sul mare e c’è silenzio ( anche il silenzio è una bella differenza).L’unico artificio a monte è per mano di caprai di un altro tempo, un ovile che avrà all’incirca trecento anni. E allora si capisce perché i miei amici del posto siano preoccupati che i pochi ombrelloni sulla spiaggia possano diventare molti di più.

La linea di difesa intransigente di quel paesaggio, che è pure un Sito di interesse comunitario, dove si vedono i fenicotteri e gli aironi rossi al tempo giusto, si è ormai consolidata; e su questo la classe politica locale conviene nella sostanza, tanto che non ha mai ceduto alle richieste, pure recenti, di “mettere a frutto” queste splendide risorse di proprietà comunale (!) in cura alll’Ente foreste della Regione.

Chi vuole avere un’idea di com’era la Sardegna prima di “Sapore di sale” deve vedere luoghi come questi: può fare una visita da queste parti, avendo cura di prenotare nella stagione estiva, perché l’accesso è consentito a non più di centoventi automobili e venti moto e non si fanno eccezioni. Biderrosa spiega la Sardegna che non compare sui giornali: perché non ci sono vip in giro e ricche ville di cattivo gusto. E sarà facile per chi vorrà venire da queste parti, capire perché il referendum – che mira a omologare luoghi come questo agli standard dei villaggivacanze – deve essere contrastato.

Si deve fare capire, ne devono essere consapevoli le forze di sinistra, che una controriforma, a partire dalla Sardegna, potrebbe nei prossimi anni mettere a rischio ambienti come questi. L’attacco ai programmi di tutela del paesaggio costiero sardo non è nell’interesse delle comunità locali, come qualcuno potrebbe credere, ma a sostegno di interessi di pochi a trasformare in merce luoghi preziosi, specialmente per le generazioni future. La rendita è il motore vero dell’attacco ai beni comuni.

La spiaggia di Biderrosa,nell'immagine, è una foto di Francesco Luche, ed è tratta dal sito del comune di Orosei

Se noi tutti sapessimo interpretare, senza mediatori, le vicende legate governo del territorio – spesso rese ad arte di difficile comprensione – le nostre città, i nostri paesaggi sarebbero migliori. Edoardo Salzano, grande urbanista, ha pubblicato di recente un libro ( Ma dove vivi? edito da Corte del Fontego) “scritto per spiegare l’urbanistica al popolo “ – dice scherzando. Questa necessità è indicata da molti, specialmente da chi si occupa di scelte partecipate, come condizione indispensabile per impedire che le strumentalizzazioni di parte prevalgano sulla verità.

Così non solo è apparsa oscura ai più, ma è stata del tutto capovolta dai detrattori la realtà dei fatti dopo il pronunciamento del Tar sul piano paesaggistico sardo.

Per via delle recenti sentenze, che chiunque può leggere integralmente nel sito web del Tribunale amministrativo, non c’è la sbandierata liquidazione dei principi essenziali del Piano, come è stato detto, ma solo alcune puntualizzazioni (non sempre da un particolare, pure interessante, proviene una visione generale del mondo). E la cancellazione di un comma non modifica di molto, almeno nell’ ultima questione in causa, le disposizioni di un intero articolo, tanto meno incide sulla struttura complessa di un piano.

Alle molteplici richieste dei ricorrenti di annullamento di norme fondanti dello strumento di pianificazione ( e di fasi del processo decisionale), i giudici hanno risposto con puntuali osservazioni, attraverso un’accurata lettura dello strumento, pure con espressioni di apprezzamento del lavoro svolto e degli esiti “riversati nella documentazione (relazioni tecniche, cartografie, relazione generale) allegata al piano paesaggistico, e sono – scrivono i giudici – la oggettiva dimostrazione dello svolgimento di uno studio approfondito e dettagliato del territorio sardo mai in precedenza condotto con tanta accuratezza e specificità”. Basterebbe questo autorevole riconoscimento per dire della qualità del Ppr, solido proprio perché costruito sulla fondata premessa della ricognizione dei beni paesaggistici.

La sostanza del progetto del governo regionale è (ancora) ben ferma nei suoi fondamenti.

Stupisce però che nelle reazioni e nei commenti, volti a enfatizzare dettagli suggestivi, non ci sia traccia del principale argomento sollevato continuamente, non solo dalle opposizioni, nel corso del processo di formazione e approvazione del Ppr. I dubbi espressi sulla potestà della Regione di dettare norme impegnative per i comuni sardi hanno occupato per mesi le pagine dei giornali: una discussione protratta nonostante l’aspetto fosse già stato chiarito dalla Corte con la sentenza n. 182 del 2006. E comunque anche su questo slogan – “l’ autonomia comunale prevaricata” – il Tar ha fatto chiarezza.

Non stupisce l’aggressione ai contenuti del piano paesaggistico e delle disposizioni normative a monte. Era prevedibile. Continuerà, e non sarà agevole difendere i risultati. Nonostante i riconoscimenti di prestigiosi organismi internazionali sulla svolta della Regione nella tutela dei suoi luoghi, c’è in Sardegna una linea distruttiva (e demagogica) di ogni impegno a presidio del paesaggio. L’insuccesso della marcia su Cagliari, organizzata dai promotori del referendum per abrogare la legge “salvacoste”, non ammette però sottovalutazioni. Gli avversari sono determinati (e gli alleati non sempre adeguatamente motivati). E’ chiaro –questo è il punto – che l’attacco ai programmi di tutela del paesaggio costiero dell’isola non è nell’interesse delle comunità locali, come vorrebbero farci credere, ma a sostegno degli interessi di pochi a trasformare in merce luoghi preziosi, specialmente per le generazioni future. La rendita ( e che rendita!) è il motore vero delle manifestazioni contro il piano.

Come scrive il ministro Rutelli (“La Repubblica” del 15 novembre) tra i nemici del paesaggio c’è “la crescita formidabile dei valori immobiliari che rende remunerativo qualsiasi intervento edificatorio in ogni angolo del paese”. Nelle coste sarde questi valori sono più elevati (sono i nostri bei paesaggi che fanno il prezzo!), e qui le iniziative di “costruttori e developer” –Rutelli definisce in modo elegante i palazzinari – sono evidentemente più incentivate. Se si fa un po’ di attenzione non è difficile individuare le vere ragioni degli oppositori al Ppr.

ASSETTO DEL TERRITORIO

Governo del territorio e urbanistica

Problemi e ritardi

Il sistema dell’urbanistica regionale è caratterizzato da una forte resistenza al cambiamento, legata soprattutto a una posizione tecnico-politica centralistica e a una visione tutta procedurale e burocratica del governo del territorio. Ne consegue che la percezione dominante dell’urbanistica nella società pugliese sia associata non certo alla prospettiva di nuovi futuri desiderabili, ma a un coacervo spesso contraddittorio di procedure e atti amministrativi di esasperante lentezza, che ai più sembra artificiosamente frapporsi a istanze e programmi di sviluppo. La mancanza di qualsiasi efficace quadro di assetto generale ad ampia scala appare espressione evidente della difficoltà di costruire scenari coerenti e condivisi di tutela e sviluppo del territorio regionale, che consentano di delineare strategie di qualificazione delle risorse sociali ed ambientali e di superare la dominante interpretazione regolativa e vincolistica delle funzioni di governo del territorio.

In assenza di efficaci indirizzi di assetto territoriale a scala regionale e provinciale, tutto il sistema di governo del territorio permane incentrato su una scala comunale di pianificazione fatta di piani surdimensionati e sempre più spesso snaturati da centinaia di accordi in variante, i quali assecondano le iniziative imprenditoriali ritenendo valida ogni sorta di contropartita, in assenza di quadri di riferimento ambientali, economici e sociali, rispetto ai quali valutarne vantaggi e svantaggi collettivi e di regole di equità e trasparenza sulle quali basare le negoziazioni pubblicoprivato.

Le province che hanno avviato esperienze di pianificazione territoriale non hanno avuto alcun sostegno dalla regione, che, anzi, anche nei più recenti provvedimenti legislativi ha confermato il proprio accentuato centralismo. Mancano anche esperienze di pianificazione specialistica nel campo delle aree protette e dei bacini idrografici, mentre i piani nel campo dell’assetto idrogeologico, dello smaltimento dei rifiuti o delle attività estrattive, sono stati costruiti senza disporre di quadri conoscitivi robusti e di alcun riferimento a opzioni complessive di sviluppo del territorio. Il risultato consiste nella frammentarietà e incoerenza dell’azione regionale, in un esercizio del potere che, per i suoi caratteri di marcata discrezionalità e dipendenza da contingenze specifiche, non offre sufficienti certezze ad attori istituzionali e operatori sociali ed economici.

Questi problemi caratterizzano anche la pianificazione paesistica in atto. Il Putt/paesaggio, infatti, lungi dal proporsi quale strumento di governo del territorio orientato a valorizzare le cospicue risorse ambientali e culturali della regione, intendendole quali potenziali fonti di sviluppo e rigenerazione degli ambienti insediativi regionali, anche in ragione di un’inadeguata base informativa, ha finito per rinviare alla fase attuativa, ossia alla pianificazione comunale e ai singoli progetti di trasformazione, la gran parte delle scelte in merito alle trasformazioni desiderabili e possibili. Il parere paesaggistico e l’attestazione di compatibilità paesaggistica, strumenti previsti dal Putt/p per la trasformazione dei territori di maggiore pregio, rischiano di diventare niente più che ulteriori passaggi burocratici nella catena esasperante dei controlli esercitati dalla regione nei confronti degli enti locali.

Linee guida dell’azione regionale

In relazione ai problemi sin qui accennati l’azione del governo regionale deve orientarsi rapidamente verso:

-il superamento dell’attuale fase di incertezza e confusione normativa, legata anche alla contemporanea vigenza di due leggi regionali in materia di governo del territorio, la 56/1980 e la 20/2001;

-la rottura del modello gerarchico e centralistico che ha dominato, sin dall’inizio, il governo regionale del territorio in Puglia;

-il rinnovamento delle forme di tutela del paesaggio secondo le indicazioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio;

- la messa in atto di più agili, efficaci e trasparenti procedure di approvazione o verifica di conformità dei piani, e ogni altra forma di autorizzazione in merito alle trasformazioni d’uso del suolo, da un lato, operando uno sforzo straordinario di recupero dei ritardi accumulati, anche definendo ‘corsie accelerate’ per specifici temi di rilevanza strategica, dall’altro, agendo sul duplice fronte della semplificazione procedurale e del decentramento di funzioni;

- il superamento della prassi estemporanea, e spesso sregolata, di trasformazioni in variante ai piani, testimoniata dalle centinaia di accordi di programma giacenti presso l’Assessorato all’Assetto del Territorio in attesa di esame;

-la costruzione di rapporti sinergici fra il sistema di governo del territorio e le iniziative di tutela ambientale e programmazione dello sviluppo;

- il sostegno all’innovazione delle pratiche di pianificazione locale, perché questa, riconosciuto l’esaurimento della spinta all'espansione urbana, si orienti decisamente verso obiettivi di miglioramento della qualità dell’ambiente e della vita dei cittadini, di bonifica di aree inquinate, di riqualificazione di aree degradate e recupero dei tessuti urbani consolidati.

Condizioni e modi di realizzazione

Per realizzare tale disegno programmatico occorre dare attuazione coerente sia agli obiettivi perseguiti dalla nuova legge urbanistica regionale n. 20/2001 “Norme generali di governo e uso del territorio”, consistenti nello sviluppo sostenibile, nella tutela dei valori ambientali, storici e culturali e nella riqualificazione territoriale sia ai principi sanciti dalla stessa legge: “sussidiarietà, mediante la concertazione tra i diversi soggetti coinvolti, in modo da attuare il metodo della copianificazione; efficienza e celerità dell’azione amministrativa attraverso la semplificazione dei procedimenti; trasparenza delle scelte, con la più ampia partecipazione; perequazione”.

Non è facile in tempi brevi indirizzare il sistema di pianificazione regionale verso tali obiettivi e principi: occorre rimuovere routine burocratiche radicate e costruire una nuova cultura del governo del territorio. Innanzi tutto, sostituire alla logica del controllo quella della pianificazione, alla prassi degli accordi “caso per caso” quella della concertazione istituzionale per il perseguimento di obiettivi strategici, alla cultura dell’espansione e del consumo del suolo quella della salvaguardia e della riqualificazione del territorio. L’innovazione di principi e strumenti introdotta dalla legge non può essere sufficiente a tale fine. Peraltro, la legge presenta problemi interpretativi sostanziali e procedurali. Al documento regionale di assetto generale (DRAG) è affidato il compito di definire gli ambiti di tutela e conservazione dei valori ambientali e culturali, gli indirizzi per la formazione, il dimensionamento e i contenuti dei piani provinciali e comunali, gli schemi delle infrastrutture di interesse regionale. Ma l’attuale versione del DRAG, costruita senza la necessaria partecipazione e condivisione pubblica, ripropone un modello consolidato di governo del territorio la cui inefficacia è ben chiara ai più. Occorre quindi reimpostare il DRAG, perché questo diventi quadro condiviso delle grandi opzioni strategiche regionali, e quindi riferimento innanzitutto per l’azione della regione nei diversi settori, perché valorizzi l’esperienza delle province nel campo della pianificazione di area vasta, e perché sia in grado di fornire risposte alle difficoltà comunali di governo del territorio a scala locale.

Più in particolare, così come da tempo è accaduto in pressoché tutte le regioni italiane, bisogna rafforzare il ruolo delle province nella pianificazione territoriale, consentendo ad esse di svolgere efficacemente i compiti assegnati dalla legislazione nazionale e regionale, e valorizzando il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) anche attraverso l'assimilazione e lo sviluppo dei contenuti della pianificazione paesaggistica. Analogamente, occorre sostenere i comuni nella faticosa attività di rinnovamento della pianificazione comunale, interpretando il principio della co-pianificazione come rapporto collaborativo che dovrebbe legare regione ed enti locali durante l’intero percorso di costruzione/approvazione del piano, e non solo, come sancito dalla legge regionale 20/2001, la fase terminale del processo in caso di deliberazione dell’incompatibilità del PUG con il DRAG o il PTCP. Questo è un punto critico di importanza primaria. Infatti, appare difficile immaginare di poter fondare la nuova pianificazione su una partecipazione convinta, responsabile ed efficace dei diversi soggetti alla costruzione delle scelte, piuttosto che, come avveniva in passato, su una distinzione gerarchica delle competenze, se il metodo della copianificazione per il livello comunale si adotta solo in caso di difformità rispetto ai piani ‘sovraordinati’.

Una maggiore flessibilità del piano comunale e autonomia decisionale degli enti locali, sollecitata da tempo e con forza da questi ultimi, dovrebbero essere accompagnate dall’introduzione di criteri di qualità e di rischio per la valutazione preventiva di compatibilità ambientale delle trasformazioni, in linea con quanto previsto dalla direttiva comunitaria 2001/42/CE del 27 giugno 2001 sulla Valutazione Ambientale Strategica. In assenza di quadri valutativi, le intese istituzionali che la legge 20/2001 introduce nelle procedure di pianificazione ordinaria (accordo di programma e conferenza dei servizi) rischiano di svilupparsi sulla base di criteri contingenti e di condurre, nei casi migliori sinora alquanto rari, a qualche miglioramento di efficienza del processo decisionale.

Infine, appare essenziale e indifferibile la costruzione di un sistema informativo territoriale, da concepire come quadro integrato di conoscenze a sostegno del “nuovo” sistema di pianificazione regionale. La moltiplicazione di portatori d’interessi e il crescente protagonismo di una società civile che rivendica un ruolo attivo nei processi decisionali, assieme all’articolazione dei livelli decisionali e alla frammentazione di iniziative e istanze di trasformazione del territorio, richiedono, infatti, una ricomposizione dei quadri di conoscenza che, pur non annullando le differenze di visioni e approcci fra diversi settori e livelli di intervento, consenta di disporre di sfondi comuni sui quali imperniare la nuova pianificazione regionale.

LE POLITICHE ABITATIVE

Un campo trascurato e dominato dalle logiche dell’emergenza

Il campo delle politiche abitative è stato trascurato dai recenti governi regionali, nell’ambito di un progressivo disinteresse dello stato nei confronti di vecchie e nuove forme di disagio sociale. Questo è accaduto nonostante l’ampiezza della domanda abitativa inevasa, il crescente fabbisogno di alloggi in locazione a canoni compatibili con situazioni economiche delle famiglie sempre più difficili, l’acuirsi di un disagio abitativo che colpisce soprattutto le fasce più deboli della popolazione, l’ampliarsi delle aree di esclusione sociale e povertà.

In questo campo occorre passare dal dominio dell’emergenza che ha caratterizzato nel passato l’azione regionale a politiche ordinarie basate su capacità di analisi e programmazione, anche al fine di un migliore uso delle poche risorse disponibili e della riduzione di ampie sacche di iniquità.

La logica dell’emergenza e della straordinarietà non da buoni frutti. Si consideri, in particolare, la drammatica situazione degli IACP provinciali, tutti affidati alla guida di commissari straordinari, caratterizzati da situazioni economiche opache e talvolta perfino in dissesto, assillati da problemi di abusivismo, morosità, interventi d’urgenza. A tali problemi sono state date soluzioni non solo inadeguate ma anche confuse e inique, generando ulteriori problemi e iniquità. Basti pensare alla sanatoria prevista dall’art. 60 della l.r. n. 1/2005 o ai modi casuali e mirati solo a incassare danaro mediante cui si è proceduto all’alienazione del patrimonio pubblico. Occorre radicalmente invertire questo modello di gestione.

È necessario, inoltre, muovere dalla tradizionale concezione settoriale dell’edilizia residenziale pubblica, quale area d’intervento preposta alla realizzazione di nuovi alloggi destinati a soddisfare il fabbisogno abitativo di fasce sociali incapaci di accedere al libero mercato, verso la costruzione di politiche abitative atte ad affrontare una gamma di bisogni e problemi persistenti ed emergenti: da quelli che richiedono tempestive misure di sostegno alle famiglie, a quelli che necessitano di politiche urbane integrate, capaci di agire simultaneamente sulle dimensioni fisiche, sociali ed economiche del disagio abitativo.

Verso condizioni ‘normali’ di conoscenza e azione

Per superare i problemi su accennati, appare indispensabile l’istituzione un Osservatorio sulle politiche abitative che consenta di comprendere con tempestività e accuratezza le evoluzioni di una domanda dinamica e in continua trasformazione e le ragioni di un’offerta statica e incapace di intercettare l’articolazione dei bisogni emergenti. Questo deve essere inteso come sede di confronto fra conoscenze esperte e saperi degli abitanti, coordinandosi con gli osservatori già operanti in altre regioni e con l’Osservatorio istituito presso il Ministero dei Lavori Pubblici.

Per risolvere i problemi su accennati, è necessario varare rapidamente norme di riordino delle funzioni amministrative nel campo delle politiche abitative e di trasformazione degli enti regionali operanti nel settore dell’edilizia residenziale pubblica. Nell’ambito di tali norme un ruolo molto rilevante dovrà essere assegnato agli enti locali, in linea con la politica di decentramento delle funzioni perseguita anche in altri campi dal governo regionale, mentre gli enti dovranno essere trasformati in aziende con bilanci in attivo, senza costi per la Regione, capaci di una gestione sana, trasparente e accorta del ricco patrimonio immobiliare del quale dispongono, costituito da circa 57.000 unità fra alloggi e locali. A tal fine occorre affidarsi a strutture dirigenziali di elevata professionalità e integrità. Nel frattempo, bisogna revisionare e aggiornare la normativa per l’assegnazione degli alloggi ERP e la determinazione dei relativi canoni di locazione. Quanto al finanziamento delle politiche abitative, i problemi riguardano il carattere discontinuo e residuale dei flussi finanziari destinati al settore. Dalla legge n. 865/1971 in poi, i finanziamenti sono stati assicurati principalmente dallo Stato, mediante i fondi Gescal. Tale regime, però, è cessato nel 1998. Da allora alle regioni non sono stati più assegnati fondi. In passato la Regione Puglia ha finanziato l’ERP con fondi propri di bilancio, ma incanalandoli esclusivamente verso l’edilizia agevolata e quindi mai verso gli I.A.C.P. Da anni al settore non sono più destinati finanziamenti statali. Nell’attesa che lo Stato assegni alle Regioni almeno la spesa storica, come da queste è stato richiesto in varie sedi, sembra possibile fare da sé. Sono state identificate, e a breve verranno quantificate con precisione, economie di programmi precedenti, non più necessarie ai programmi in corso, e residui che hanno raggiunto entità tale da consentire la predisposizione di un nuovo piano casa. Parallelamente, si dovrà operare per rendere la spesa più efficace, incanalandola verso le aree di reale disagio. A tal fine si ritiene necessario operare in diverse direzioni, di seguito brevemente illustrate.

Sostegno alle famiglie mediante:

a) Intervento del bilancio regionale verso l' integrazione del fondo sociale per il contributo all’affitto e l' incentivazione dell'offerta di abitazioni in affitto per rispondere alla nuova domanda di giovani, anziani, di nuova mobilità per lavoro ecc. In proposito si evidenzia che di fronte a una domanda crescente anche in termini finanziari, i trasferimenti statali (legge n. 431/98) si sono progressivamente assottigliati. In Puglia, i contributi alle famiglie per abbattere il canone di locazione per l’anno 2004 ammontano a 20 milioni di Euro di fondi statali, cui si aggiungono fondi regionali per 15 milioni di euro.

b) Istituzione di un apposito fondo sociale regionale per i casi di morosità incolpevole, accompagnato da misure che agevolino la comunicazione fra inquilini e istituti, coinvolgendo a tal fine sindacati, associazioni, comitati di quartiere e simili organizzazioni.

c) Concessione di contributi in conto capitale erogati direttamente alle famiglie per l’ acquisto della prima casa.

D) Concessione di contributi in conto capitale a imprese e cooperative, prioritariamente per il recupero di alloggi da vendere o assegnare a famiglie prive della prima casa e aventi specifici requisiti. Tali contributi dovranno essere integrati con il risparmio familiare e con mutui bancari, i i cui tassi di interesse sono ormai sufficientemente bassi da risultare convenienti. Per tale motivo non si ritiene opportuno che la Regione, come è avvenuto in passato, conceda contributi sugli interessi, peraltro dispendiosi dal punto di vista procedurale e richiedenti impegni finanziari per almeno quindici anni.

Recupero di immobili I.A.C.P.

Occorre ripristinare condizioni di vivibilità in un patrimonio edilizio caratterizzato da estesissime aree di obsolescenza e degrado e porre le basi per l’avvio una politica di manutenzione programmata da parte degli enti. Quest’ultima consiste in attività di manutenzione ordinaria finalizzata a conservare il valore e i livelli di funzionalità dell'immobile, migliorando il rapporto tra risorse impegnate e soddisfacimento degli abitanti. L’azione regionale deve sostenere il passaggio dall’attuale situazione di interventi manutentivi dettati da motivi di urgenza (riparazione di guasti) a programmi di manutenzione basati sull'analisi dei cicli di obsolescenza delle diverse componenti. Parallelamente, dovrà sostenere programmi sperimentali che esprimano un deciso orientamento verso la sostenibilità urbana attraverso progetti capaci di coniugare ricerca su tecnologie pulite e compatibili con l’ambiente, creazione di nuove professionalità, crescita dell’occupazione, ed sviluppo di pratiche di recupero e riqualificazione urbana.

Azioni integrate e partecipate di riqualificazione dei quartieri.

La Regione, quale ente di programmazione e promozione, non può limitarsi a ripartire e assegnare i fondi, ma deve orientare la propria e l’altrui azione verso interventi che incidano allo stesso tempo sul degrado edilizio, sul disagio sociale e sulle tendenze di trasformazione urbana, evitando l’espulsione delle fasce sociali deboli dalle città centrali e la diffusione insediativa, lo spreco di suolo, lo svuotamento delle parti storiche della città, la formazione di ghetti urbani desolanti, l’inquinamento da mobilità veicolare. Essa, inoltre, può indurre altri soggetti pubblici e privati a concorrere con fondi propri alla soluzione dei problemi abitativi e a sperimentare tecnologie eco-compatibili. A tal fine può promuovere interventi da realizzarsi mediante i cosiddetti “programmi complessi”, ossia interventi integrati miranti ad agire simultaneamente sul degrado fisico e sul disagio sociale, da attuarsi nelle zone degradate delle città, siano esse aree in P.d.Z. 167 o parti della città storica, mediante il coinvolgimento diretto degli abitanti e contenuti e procedure coerenti con le peculiarità dei problemi di grandi città e piccoli centri della regione. In tal modo i programmi integrati non sarebbero più interventi "di nicchia", legati a finanziamenti straordinari esterni, ma diverrebbero parte di politiche urbane volte alla soluzione degli intricati problemi fisici, sociali ed economici dei quartieri in crisi. Anche in quest’ambito, pertanto, l’obiettivo dello sviluppo dell'edilizia in locazione deve essere considerato cruciale.

L’ampia risposta dei comuni pugliesi al recente bando dei Contratti di Quartiere II, istituiti con legge statale 21/2001, art. 4, quali “programmi innovativi in ambito urbano”, segnala il grande interesse verso simili strumenti di politica urbana. Tuttavia, l’enfasi eccessiva posta dal bando regionale sull’ammontare di risorse finanziarie attivate dai privati mediante interventi edilizie, a scapito di altri elementi compresi negli indirizzi statali, quali la partecipazione degli abitanti alla definizione degli obiettivi del programma o il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati per incrementare l’occupazione, favorire l’integrazione sociale e fornire servizi, rischiano di tramutare i Contratti in “occasioni” offerte dal pubblico per realizzare iniziative immobiliari in variante ai piani.

Risorse umane e struttura organizzativa

La realizzazione degli obiettivi programmatici sin qui succintamente esposti rende necessari e urgenti interventi di potenziamento della struttura e revisione dell’attuale modello organizzativo, da affidarsi sia alla riqualificazione delle professionalità esistenti sia all’inserimento di nuove figure professionali. Un simile impegno deve essere finalizzato soprattutto a re-orientare l’azione della struttura verso i compiti di pianificazione e indirizzo strategico propri del governo regionale. Vi è da aggiungere che esso richiede un radicale mutamento del metodo di lavoro nella direzione dell’intersettorialità e dell’interscalarità, ossia della ricerca di coerenza e sinergie fra risorse e politiche di settore e fra le azioni dei diversi livelli istituzionali (regione, province e comuni, nell’ambito delle programmazioni europee e nazionali). Un particolare sforzo di riqualificazione e innovazione professionale è necessario anche a questo scopo.

http://www.regione.puglia.it/quiregione/web/files/territorio/documento_programmatico.pdf).

Inseriamo di seguito il primo paragrafo ("Il paesaggio come bene patrimoniale") del primo capitolo ("La filosofia del piano") del Documento programmatico del PPR della Puglia. Esso definisce, dal punto di vista metodologico e operativo, il programma di formazione del PPR della Puglia. E' stato elaborato dal coordinatore scientifico del piano, Alberto Magnaghi. In calce il link per scaricare il documento integrale, estratto dal Bollettino Ufficiale Regionale, n. 168 del 27.11.2007

I paesaggi delle Puglie, prodotti nel tempo lungo della storia dalle “genti vive” (Sereni) che li hanno abitati e che li abitano, costituiscono il principale bene patrimoniale (ambientale, territoriale, urbano, socio culturale) e la principale testimonianza identitaria per realizzare un futuro socioeconomico durevole e sostenibile della regione.

Questo futuro non risiede in una esasperata accelerazione degli scambi, della standardizzazione dei prodotti, della mobilità di merci e persone sul mercato mondiale, ma nella capacità di innovare, produrre e scambiare beni che solo in quel luogo del mondo possono venire alla luce in quanto espressione culturale di una identità di lunga durata che il paesaggio, a ben interpretarlo, racconta, Un’identità che si è costruita nell’azione umana di lunga durata, esito evolutivo di dinamiche relazionali nelle quali le dimensioni dello spazio e del tempo sono indissolubilmente legate. In questa visione è necessario superare la distinzione che faceva alternativamente prevalere l’uno sull’altro, con lo spazio il più delle volte percepito quale sfera della fissità (e dell’inerzia), in opposizione al tempo come dominio del movimento (e del progresso) [1].

In questo senso il paesaggio ha valore di patrimonio sociale e di bene comune che deve essere continuamente costruito e ri-costruito mediante azioni di conservazione, valorizzazione, riqualificazione.

Il paesaggio storico è ricco di idee, di invenzioni, di narrazioni. Certo un paesaggio inteso non solo come veduta, “bello sguardo”, ma indagato, decifrato, nella sua bellezza, come specchio dell'anima dei luoghi, come teatro in cui va in scena l’autorappresentazione identitaria di una regione, “come parte essenziale dell’ambiente di vita delle popolazioni e fondamento della loro identità” (art 5 della Convenzione europea del paesaggio). In questa accezione esso è un giacimento straordinario di saperi e di culture urbane e rurali, a volte sopite, dormienti, soffocate da visioni individualistiche, economicistiche e contingenti dell’uso del territorio; ma che possono tornare a riempirsi di significati collettivi per il futuro. Il paesaggio è il ponte fra conservazione e innovazione, consente alla cultura locale di “ripensare sé stessa”, di ancorare l’innovazione alla propria identità, ai propri miti, sviluppando “coscienza di luogo” per non perdersi inseguendo i miti omologanti della globalizzazione economica.

Miti questi ultimi che tendono a rappresentare il territorio come un insieme di “piattaforme” transnazionali, nazionali, interregionali, regionali: piattaforme logistiche, produt.tive, fasci infrastrutturali (corridoi); le città diventano “snodi”, “sistemi commutatori fra flussi”.

La Puglia è disegnata in queste rappresentazioni come un insieme di rettangoli che collegano cerchi e quadrati (corridoi che collegano piattaforme logistiche, porti, interporti, zone industriali e cosi via). Questa rappresentazione funzionale per nodi e flussi, se assunta come unico criterio interpretativo “sovraordinato” delle opportunità territoriali, rischia di obnubilare l’identità dei luoghi, trasformandoli in crocevia (snodi) omologati e omologanti di funzioni economiche dei mercati globali. La rappresentazione identitaria dei paesaggi, restituendo evidenza socioeconomica alle peculiarità del territorio, dovrebbe restituire alle relazioni fra luoghi il loro valore strutturale di sviluppo degli scambi fra società locali (regioni, microregioni) e della loro connessione a rete per la cooperazione oltre che per la competizione [2].

Uno sviluppo locale che si richiami al concetto di autosostenibilità deve innanzitutto, come argomenta Gianfranco Viesti, far riferimento alla “capacità delle istituzioni e delle società locali di valorizzare .le risorse disponibili”4. [3]. Ma quali risorse? Certo in primo luogo “conoscenza”, “saperi”, “cervelli”; ma, aggiungo, quando queste risorse riescono a trarre la loro ragione di scambio (con altre conoscenze e “cervelli”) dal profondo dei giacimenti identitari, che le proiettano sulla scena globale come attori originali di un processo dì cooperazione-competizione e non come oggetti di un percorso di omologazione e, infine, di subordinazione culturale ed economica; contribuendo in questo modo a ridefinire il concetto stesso di “sviluppo”.

Il Piano paesaggistico dunque si candida ad essere strumento per riconoscere, denotare e rappresentare i principali valori identitari del territorio; per definirne le regole d’uso e di trasformazione da parte degli attori socioeconomici; per porre le condizioni normative e progettuali per la costruzione di valore aggiunto territoriale[4]come base fondativa di uno sviluppo endogeno e autosostenibile [5].

[1]J. May e N. Thrift, a cura di, Timespace: Geographies of Temporality, Routledge. Florence, KY, USA, 2001.

[2] Massimo Quaini fa riferimento a questa speranza quando, descrivendo uno scenario oppositivo alle maglie larghe della globalizzazione nel modello di sviluppo della Liguria, scrive: “il secondo registro identitario punta ... alla centralità dei territorio locale e sulla diversità dei paesaggi ... è un registro fatto di molte identità locali non ancora sacrificate sull’altare della velocità dei flussi e delle reti; che fa proprio l’elogio della lentezza e si realizza nella costruzione di uno spazio più conviviale, che conflittuale. … Le identità e i paesaggi locali per sopravvivere hanno bisogno di circuiti economici ben radicati nelle qualità e nelle risorse del territorio e per funzionare devono saper mettere insieme propensioni, domande e consumi tipicamente post-industriali e post-moderni e dunque fare appello a u mercato più vasto. È il caso per esempio della riscoperta delle vocazioni agrarie e produzioni alimentari e artigianali di qualità, collegato a nuove forme di viaggio lento e di turismo culturale, come anche di scoperta della fascia collinare come luogo di residenza alternativo alle invivibili aree metropolitane.

[3] G. Viesti, Le tessere del mosaico. Rimettere insieme la Puglia, Laterza, Bari 2005.

[4] Per “Valore Aggiunto Territoriale” di un sistema locale intendo: una crescita durevole del patrimonio prodotta dalla messa in valore delle risorse ambientali e socio-territoriali, garantendone la riproduzione nel tempo e determinando empowerment della società locale; il conseguente sviluppo della capacità di autoriproduzione della società locale, anche attraverso la riduzione della sua impronta ecologica come aumento di autosufficicnza alimentare, energetica, tecnologica.

[5] Il concetto di autosostenibilità è riferito at superamento del concetto di ecocompatibililà ovvero di un modello di sviluppo che richiede correttivi e puntelli esterni per essere sostenibile; l’autosostenibilità la riferimento a un modello di sviluppo che trova nelle regole riproduttive delle sue risorse locali la capacità autogenerativa delladurevolezza. Vedasi in proposito il mio: Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.

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Per prima cosa cominciamo dal territorio e dalle sue “tensioni” principali. In Sardegna, la nuova giunta guidata da Soru ha messo al primo punto della propria azione la protezione delle coste da un dissennato sfruttamento edilizio, facendone l’emblema di un modo diverso di guardare alla regione e al suo sviluppo. In Friuli – Venezia Giulia l’impegno principale sembra nella realizzazione di grandi infrastrutture in una logica transfontaliera. In Puglia, esiste una questione specifica che l’amministrazione Vendola ha individuato come nodo prioritario da affrontare e come elemento distintivo della propria attività di governo del territorio?

La situazione pugliese è molto diversa da quella sarda. Diversamente dalla Sardegna, al momento dell’insediamento della nuova Giunta Regionale, in Puglia era vigente un piano paesistico , approvato in via definitiva nel 2001 sebbene presentasse rilevanti problemi di attuazione. Il piano paesistico era uno strumento che avevamo molto criticato quando eravamo all’opposizione, tuttavia va riconosciuto che in alcune situazioni si è rivelato importante per evitare trasformazioni del territorio dissennate, soprattutto nelle aree sensibili dal punto di vista paesaggistico. Per questa ragione abbiamo deciso di non ripartire da zero; sia nel caso del piano paesistico, sia nel caso della legge urbanistica regionale , la nostra scelta è stata quella di utilizzare gli strumenti esistenti, sebbene con un indirizzo politico diverso. Questa scelta è stata motivata da una ragione di economia del tempo: porre subito mano ad una nuova legge probabilmente avrebbe assorbito tutte le energie dell’amministrazione regionale per l’intero primo mandato. Siccome la legge approvata aveva un struttura “leggera”, rinviando ad atti di indirizzo e regolamentari, abbiamo ritenuto che questi ultimi potessero essere riempiti di contenuti e questo abbiamo fatto. Dovendo pertanto individuare una questione specifica che possa assumere un significato simbolico del cambiamento impresso dalla nuova amministrazione, possiamo dire che l’obiettivo prioritario è stato quello di rendere nuovamente la pianificazione centrale nei processi di governo del territorio. Questa è la sfida che noi abbiamo voluto lanciare a tutti, segnando una discontinuità con la precedente prassi derogatoria e sregolata.

La Puglia è una regione particolarmente vivace dal punto di vista economico, in particolare nelle aree centrali e, attualmente, anche nella parte Salentina, solo geograficamente periferica. A partire dalla metà degli anni 90 si erano sviluppate in Puglia numerose iniziative tese ad aggirare, forzare, o semplicemente derogare rispetto a una pianificazione che, col passare del tempo, stava diventando sempre più un simulacro incapace di rispondere ai bisogni alle domande sociali. Tra l’altro, si deve sottolineare che la pianificazione di area vasta era praticamente inesistente - fatta eccezione per il PUTT cui ho accennato in precedenza, peraltro fondato su un quadro conoscitivo datato e frutto di un lunghissimo periodo di gestazione che l’aveva slabbrato da tutte le parti - e la pianificazione comunale era fondata su strumenti altrettanto datati e su un modello di pianificazione così rigido che aveva finito con il giustificare la richiesta di deroghe. La legge regionale 56 del 1980, per esempio, vietava varianti agli strumenti urbanistici dei piani non adeguati alla legge stessa, fatta eccezione per i PIP, PEEP e opere di interesse pubblico. Un meccanismo che aveva portato la regione stessa ad approvare norme derogatorie. E’in questo contesto che noi ci siamo insediati, cercando di rendere competitiva la pianificazione.

La legge 20/2001, tutto sommato, da questo punto di vista ha giovato perché prevede tempi certi di approvazione degli strumenti urbanistici comunali. In precedenza, nella prassi, gli uffici regionali approvavano la strumentazione urbanistica in 6 o 7 anni, facendo così decadere le norme di salvaguardia e creando una situazione assolutamente folle. Paradossalmente, la procedura del silenzio assenso, che potrebbe apparire devastante, in realtà costringe a correre e a dare certezza ai tempi della pianificazione, obbligando a concludere il procedimento di verifica di compatibilità nei sei mesi sanciti dalla legge. Questo fa riflettere circa la necessità di giudicare i singoli istituti procedimentali alla luce delle specificità dei contesti. La prima richiesta che ho avuto da parte degli uffici, quando mi sono insediata, è stata quella di modificare questo punto della legge, ma io mi sono opposta, proprio per impedire il ritorno ai tempi infinitamente lunghi del passato, che tanto avevano determinato la delegittimazione sociale dei piani urbanistici quali primari strumenti di governo del territorio.

Il punto di forza della nostra azione amministrativa è, dunque, rendere la pianificazione del territorio nuovamente importante per costruire uno sviluppo sostenibile, renderla competitiva rispetto alle pratiche derogatorie, anche perché sono convinta che quell’accelerazione che dovrebbe caratterizzare queste pratiche, generalmente non si realizza, fatta eccezione negli interventi portati avanti da poteri forti con capacità di farsi ascoltare a livello regionale e di far modificare addirittura le norme, così come è avvenuto, in maniera incrementale, negli anni scorsi. Molti strumenti messi a punto con pratiche derogatorie hanno però trovato nella magistratura penale una ragione di blocco e, quindi, neppure dal punto di vista dell’efficienza si sono rivelati vantaggiosi per gli stessi operatori che li avevano promossi. Potendo argomentare, con dati alla mano, circa l’infondatezza dell’efficacia di una visione iperliberista, abbiamo puntato tutto sull’irrobustimento e sull’innovazione della sistema di pianificazione regionale ai vari livelli, incentivando i comuni a redigere i nuovi piani urbanistici generali e le province i piani territoriali di coordinamento, anziché attendere l’approvazione del nuovo documento regionale di assetto generale (DRAG) come prospettato dalla legge regionale 24/2004, che aveva modificato la legge regionale 20/2001 condizionando appunto al DRAG la conclusione degli iter degli strumenti di pianificazione previsti dalla legge stessa. Abbiamo voluto fornire uno stimolo agli enti locali, nella convinzione che un deficit di pianificazione in questa regione così vivace avrebbe avuto effetti nefasti, poiché le pressioni e spinte economiche avrebbero portato inesorabilmente le amministrazioni, a tutti i livelli, a trovare strade contorte per soddisfare le richieste.

Un grande rischio corso anche dalla stessa amministrazione regionale. Devo per esempio sottolineare che in Puglia lo strumento dello sportello unico per le attività produttive previsto dal Dpr 477/1998 è inteso come uno sportello “in variante”, cioè un modo per ottenere una modifica ai piani; piani molto vecchi che, non prevedendo aree destinate ad attività produttive, turistiche ecc. consentono di ricorrere all’articolo 5 del DPR 447, che prevede, in via “straordinaria-eccezionale”, l’uso dello sportello unico in variante. Nella nostra regione questa eccezione è invece diventata una prassi. Nel 2006 abbiamo avuto 360 domande di varianti allo sportello unico per le attività produttive e abbiamo registrato negli anni centinaia di accordi di programma in variante alla strumentazione urbanistica.

D. Avete quindi una regione che chiede industrie, turismo e offerta di spazi per attività produttive oppure dietro tale domanda si nasconde un’attività prevalentemente speculativa?

R. La pressione per costruire risente molto della componente speculativa legata alla valorizzazione dei suoli, però sarebbe rozzo interpretazione esclusivamente in questo modo la domanda. Ci sono molte attività produttive che hanno bisogno di ampliarsi e di rilocalizzarsi. La Puglia è una regione vivace, non siamo in presenza di una fase stagnante, almeno per alcune attività. Si consideri che negli anni ’90 c’è stato un vero e proprio boom del distretto del salotto imbottito, del calzaturiero. Il Salento ha avuto uno sviluppo turistico straordinario proprio negli ultimi 10 anni. Nella passata amministrazione si pretendeva di gestire tutto ciò attraverso singoli accordi di programma o varianti puntuali agli strumenti urbanistici. Ad un certo punto il sistema è saltato e gli operatori economici più illuminati, più corretti e più avveduti, hanno cominciato a chiedere regole chiare, certe e più trasparenti. Con qualche eccezione nel foggiano che rimane un contesto molto, molto difficile. Per questo abbiamo disciplinato le possibilità offerta dall’art. 2 del DPR 447/1998, prevedendo la possibilità delle varianti urbanistiche per dare risposte a queste domande localizzative così da spuntare le armi a questo uso assolutamente improprio dello sportello unico in deroga su singoli progetti.

D. Il sistema insediativo pugliese può essere accumunato ad altri parti d’Italia dove negli ultimi dieci anni la crescente divaricazione nella distribuzione del reddito ha prodotto un aumento delle disuguaglianze territoriali, tra centro e periferia, tra aree congestionate e territori in abbandono. Il cosiddetto sprawl e la crisi dei sistemi di trasporto pubblico hanno alimentato questo fenomeno. E’ così anche in Puglia?

R. Assolutamente si, ma con alcune peculiartà. Sarebbe sbagliato parlare in questo contesto di città diffusa secondo il modello veneto, pur in presenza di insediamenti diffusi; peraltro c’è un nesso di causa-effetto anche in relazione a quello di cui abbiamo parlato precedentemente: in numerosi casi, i singoli insediamenti nati nel territorio agricolo in deroga ai piani sia con destinazione produttiva che con destinazione residenziale, sono sorti senza urbanizzazioni.

Esiste una singolarità pugliese, purtroppo alimentata dalla pianificazione, Nella redazione dei PRG le analisi relative ai fabbisogni vengono elaborate secondo tabelle contenute in indirizzi regionali. Di fatto il criterio adottato dalla regione Puglia per esaminare gli strumenti urbanistici poggiava essenzialmente sul rispetto di queste tabelle e quindi su un riscontro esclusivamente di tipo quantitativo del dimensionamento del piano in rapporto a fabbisogni peraltro astrattamente valutati. In assenza di procedure di indirizzo che andassero oltre questa grezza quantificazione accadeva che i comuni presentassero piani sovradimensionati, perché la spinta all’espansione non è mai venuta meno. La Regione, ancorandosi al rispetto dei criteri quantitativi, chiedeva in fase di approvazione la riduzione della capacità insediativa di piano, cosa che, una volta che il piano è stato adottato e osservato, non era facile ottenere. A questo scopo, era la regione stessa a suggerire, inizialmente in modo informale e successivamente addirittura nel deliberato, di ridurre le densità, con tre gravi conseguenze dal punto di vista della sostenibilità:

- alimentazione dello sprawl, con tutte le conseguenze di insostenibilità ambientale che un simile modello insediativo comporta;

- insostenibilità sociale, derivante dal fatto che indici di edificabilità così bassi non consentono di realizzare edilizia sociale e, più in generale, a contenere i costi insediativi;

- insostenibilità economica, perché può non esserci convenienza alla trasformazione se viene imposto un indice di densità insediativa troppo basso, per gli elevati costi di urbanizzazione sopportati dai promotori delle iniziative e perché i costi di manutenzione e gestione delle infrastrutture e dei servizi posti a carico della collettività diventano insopportabili. In questo momento si sta provando a riflettere su una norma che incentivi la densificazione perché anche gli ultimi piani approvati presentano queste difficoltà.

Esiste poi un altro problema che è importante considerare: negli ultimi 30 anni c’è stata molta attenzione verso la tutela della fascia costiera: già la legge 56/1980 non consentiva l’edificazione entro 300 metri dalla costa; la successiva legge 30, contenente le norme transitorie di salvaguardia in attesa del piano paesistico, aveva riconfermato questa previsione per tutte le aree sulle quali non si fossero consolidati diritti di trasformazione, disposizione fatta propria dal piano paesistico.

La pressione per la trasformazione turistica e la realizzazione di insediamenti turistici – impedita lungo la costa – ha trovato sfogo nell’entroterra, privo di strumenti di tutela. Quindi la sfida che oggi abbiamo di fronte è di pianificare quelle parti del territorio ignorate dal vigente piano paesistico o rimaste lettera morta, cosa che è avvenuta per tutte quelle parti del PUTT contenenti direttive e indirizzi. Pensiamo di farlo agendo sulle parti del piano paesistico che rimandano a piani di secondo livello, chiamate “sotto-ambiti”, e facendo riferimento ai contenuti conoscitivi del piano riguardo alla tutela del territorio rurale, nell’espressione dei pareri paesaggistici.

D. E’ opinione corrente che in Italia vi sia un rilevante deficit infrastrutturale (basti pensare alle grandi opere, agli inceneritori, alle centrali....) da colmare in fretta per garantire un benessere futuro ai cittadini, in particolare al Sud. Nuove strade, impianti e centrali, nuovi spazi per la produzione, il commercio e il turismo di massa: tutte queste domande amplificano anziché attenuare i conflitti con il paesaggio e con l’ambiente, e solo una minoranza di amministratori e di politici percepisce i rischi di un’ulteriore compromissione del territorio e l’urgenza di un significativo cambiamento di strategia. Come intende affrontare questo problema la Giunta regionale?

Io sono convinta che non ci sia alcun deficit di infrastrutture. Semmai – in alcuni punti – è vero l’esatto contrario, siamo in presenza di un eccesso di offerta. Si pensi alla statale 100, parallela all’autostrada Bari-Taranto, pericolosa da percorrere in quanto praticamente deserta, oppure alla statale 16bis, ormai completata in direzione nord e in direzione sud a quattro corsie.

Certamente per ciò che riguarda la rete stradale, non si tratta di un problema di carenza in senso assoluto. Per quanto attiene alle infrastrutture ferroviarie i problemi principali sono legati all’ammodernamento. Si pensi alle linee Bari-Taranto, Bari-Matera, alla stessa Bari-Lecce che solo di recente ha il doppio binario elettrificato. Ci sono però interventi più modesti che sono assolutamente necessari per rendere pienamente funzionanti queste infrastrutture. Penso all’ultimo tratto del collegamento Bari-Taranto, alla mancanza di un collegamento veloce tra il punto dove termina l’autostrada, il porto e il grande complesso industriale. Una strada congestionatissima e assolutamente impraticabile allunga a dismisura i tempi di percorrenza: si impiega lo stesso termpo per percorrere l’intero tratto autostradale e i pochi chilometri di strada ordinaria che servono per arrivare al porto e alla città.

D. Anche in provincia di Foggia è particolarmente evidente l’assenza della politica “dell’ultimo miglio”: la dotazione infrastrutturale è elevata nel complesso ma incompleta in alcuni punti cardine, sono assenti le connessioni e carente l’integrazione tariffaria, la gestione e perfino la manutenzione.

La politica dell’ultimo miglio è tradizionalmente mancata. E’ mancata una politica di raccordo e di connessione tra infrastrutture diverse, cioé di intermodalità, così come di connessione tra infrastrutture dello stesso tipo. Per esempio abbiamo avuto tante ferrovie in concessione che non hanno mai dialogato, né tra loro e neppure con quelle statali, creando più disfunzioni che servizi.

Devo anche evidenziare un deficit di servizi alla produzione, da un lato, e alla persona, dall’altro. Lo possiamo facilmente constatare facendo riferimento ad alcuni semplici indicatori utilizzati nelle statistiche europee e nazionali (servizi alla produzione in relazione agli addetti all’industria, densità di servizi ricreativi, culturali o sportivi alla persona). Dobbiamo lavorare molto in questa direzione, un po’ per colmare le carenze del passato, un po’ perché l’attenzione si è concentrata sulla realizzazione dei contenitori più che sulla della gestione del servizio. Abbiamo quindi molte opere incompiute e altrettante completate, ma non gestite, e quindi in stato di degrado. E’ questo uno dei principali problemi che abbiamo di fronte per il prossimo futuro.

Tra gli aspetti da correggere c’è anche la politica degli insediamenti industriali. Ogni città ha realizzato un proprio piano per gli insediamenti produttivi, ma in molti casi risultano carenti o assenti le infrastrutture tecnologiche, le urbanizzazioni e – ovviamente – tutti i tipi di servizi, dall’elaborazione dei dati alle mense. Le aree industriali sono costituite da meri agglomerati di capannoni che spesso non hanno conservato nemmeno la destinazione produttiva, ma ospitano attività commerciali, perchè anche in Puglia abbiamo consumi che superano di molto la produzione, uno sbilanciamento storico tipico del mezzogiorno alimentato dai redditi per assistenzialismo. Dobbiamo intervenire in questo campo creando servizi intercomunali con dimensioni tali da servire bacini ampi e gestibili economicamente.

D. Esistono soggetti intermedi tra il pubblico e il privato, su cui puntare per ampliare l’offerta di servizi?

R. Il settore intermedio è debole perché non c’è un rapporto unidirezionale tra domanda e offerta. Dal mio punto di vista, la debolezza è dovuta anche al fatto che non c’è stata una politica di valorizzazione del settore intermedio.

Vi sono state amministrazioni locali che invece hanno sostenuto il settore intermedio, soprattutto nel Salento, dove ci sono amministrazioni comunali hanno dovuto rivolgersi all’esterno per le piccole dimensioni e per la fragilità di bilancio; bisogna dire che nel Salento, in questi piccoli centri, c’è maggiore coesione sociale, ci sono pochi interlocutori e pertanto non si generano quei conflitti che nascono nei grandi centri e che si scatenano quando si mettono in competizione rappresentanti di diversi interessi. A me sembra che le esperienze in atto facciano ben sperare, sia nel settore cooperativo, sia in quello dell’associazionismo sociale e soprattutto culturale. Tuttavia occorre estendere l’esempio del Salento alle altre parti della regione e la regione potrebbe sostenere queste iniziative attraverso la programmazione comunitaria, che finora si è rivolta unicamente agli enti locali con tutti i rischi che questo comporta anche di appesantimento gestionale.

D. Gli enti locali hanno colto l’importanza della gestione associata oppure prevalgono le spinte locali anche a scapito dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi erogati?

R. Su questo stiamo molto lavorando insieme agli aderenti all’ANCI che si sono dimostrati più sensibili all’esigenza fare sistema. Esistono spinte locali molto forti che possono essere contrastate solamente attraverso un uso sapiente degli incentivi che favoriscano forme di aggregazione stabile. Non mancano esperienze di aggregazione, anzi sono piuttosto numerose, ma sono ancora largamente opportunistiche. Laddove manca l’incentivo, prevale la spinta municipalistica, anche dove non c’è sostenibilità degli interventi, per mancanza di maturità politica e per incapacità di andare oltre la costruzione di un consenso di corto respiro.

D. Anche alla luce di questo fenomeno, non sarebbe preferibile puntare sulle province – innanzitutto – e poi, semmai, su associazioni ‘istituzionali’ come le comunità montane?

R. Dal mio punto di vista, innamorarsi di modelli astratti senza metterli alla prova è sempre sbagliato. Quando ci siamo insediati abbiamo certamente puntato sulle province dando loro quel ruolo e quell’importanza che non avevano avuto prima, anche per motivi di schieramento politico. La regione era di centro-destra e le province di centro-sinistra, pertanto il protagonismo di queste ultime non era visto di buon occhio; al contempo, alcuni capoluoghi provinciali erano di centro-destra, e quindi tenuti in grande considerazione dalla regione, ma per reazione tutto ciò aveva dato origine ad una aggregazione spontanea dei piccoli centri, allo scopo di contrastare la forza dei capoluoghi.

La nuova giunta ha rafforzato il ruolo delle province come enti intermedi, rimuovendo tutti gli ostacoli che si frapponevano, anche perché ritenevamo che le aggregazioni volontarie, legate alle opportunità che man mano si presentavano, stavano determinando una geografia così variabile e confusa da provocare disfunzioni di tipo programmatico e gestionale, come abbiamo poi dimostrato nelle Proiezioni territoriali per il documento strategico regionale che abbiamo di recente approvato.

Avevamo puntato sulle province, ma, per la verità, a due anni di distanza non tutte hanno raccolto la sfida: alcune amministrazioni provinciali hanno lavorato, sono andate avanti, hanno dimostrato di avere un livello di maturità e consapevolezza notevole, altre sono appena partite. E’ chiaro che nei territori nei quali le amministrazioni si rivelano incapaci di avviare dei processi di programmazione e pianificazione di area vasta e si dimostrano incapaci di essere concretamente il punto di snodo e coordinamento del livello comunale, una riflessione va aperta. Penso alle politiche abitative e alla costituzione dell’osservatorio sulla condizione abitativa, nel quale abbiamo coinvolto pienamente le province, svolgendo le riunioni nelle loro sedi e coinvolgendole nella tenuta dei contatti con i comuni. In alcuni casi non abbiamo nemmeno ottenuto risposta, in altri si sono limitati a mettere a disposizione una sala e ai saluti formali di rito.

Le province, qualora fossero dotate di piani territoriali di coordinamento, potrebbero partecipare già oggi attivamente al controllo di compatibilità dei piani urbanistici comunali, che la regione svolge con il piano paesistico, gli altri piani regionali e le norme regionali nella conferenza di co-pianificazione che è prevista dalla legge 20/2001: largamente non partecipano alle conferenze di servizi, e quando vi partecipano, per la verità, esse non hanno molto da dire.

D. In un quadro siffatto, chiamata a programmare un’ingente spesa pubblica sostenuta da consistenti incentivi comunitari, la Regione ha puntato le sue carte sulla pianificazione strategica. Come è intesa quest’ultima dall’amministrazione Vendola e a quali condizione si pensa che possa costituire un’opportunità da cogliere, e non l’ennesimo grimaldello per favorire le spinte locali, grandi e piccole, a dispetto di ogni coerenza complessiva?

R. Può costituire o una opportunità o un de profundis della pianificazione territoriale a seconda di come le provincie saranno in grado di muoversi. Io, per mia formazione disciplinare, fuggo da ogni riflessione incentrata sugli strumenti, incapace di guardare agli esiti concreti che tali strumenti producono. Noi lo diciamo sempre anche come urbanisti che lo strumento dipende da chi lo usa e da come viene usato, ma poi cadiamo spesso nella trappola di ragionare sui modelli astratti.

Un esempio efficace è costituito dal programma Urban, che è stato il fiore all’occhiello di tante amministrazioni e della unione europea, programma di lotta alla esclusione sociale, programma che nasce come sperimentazione della integrazione tra dimensione fisica e dimensione sociale della riqualificazione urbana. Di fatto, in molte realtà, da programma di lotta all’esclusione sociale è diventato programma di valorizzazione immobiliare e quindi di promozione dell’esclusione sociale.

Questo è un esempio che a me sta particolarmente a cuore, perché riguarda la città di Bari, interessata da Urban I, e forse anche di Taranto ove è in corso di attuazione Urban II, perché così sta funzionando in tanti altri comuni che ho visto. Faccio questo esempio non a caso ma perché è stato giudicato il programma più maturo che noi abbiamo fatto e che ci obbliga a confrontarci con obbiettivi ed esiti piuttosto che sugli strumenti.

Non vi è dubbio che un piano territoriale di coordinamento provinciale, ma anche un piano urbanistico comunale, oggi non può non avere un contenuto strategico, inteso come la capacità di costruire la visione futura del territorio, delle sue potenzialità di sviluppo basate sull’analisi rigorosa dei punti di forza e di debolezza, dei rischi e delle opportunità; inoltre, se si considera l’approccio strategico come un approccio che obbliga a coinvolgere attori pubblici e privati nella condivisione di una visione, con una forte spinta di partecipazione anche dal basso e un orientamento all’azione, dal mio punto di vista, oggi, anche un piano territoriale di coordinamento provinciale deve avere un approccio strategico, non potendo contare esclusivamente sulla parte regolativa che sappiamo essere di “secondo livello”, ovverosia mirata a dettare indirizzi e direttive ai comuni.

In questo senso il PTC può essere una risorsa per la pianificazione strategica, perché coltiva la dimensione dell’area vasta. In certi contesti ciò costituisce un punto di vantaggio, poiché significa che si è già discusso, ci sono stati momenti di partecipazione e condivisione, sono stati individuati progetti che riguardano l’area vasta. A ben vedere, il problema principale è proprio questo: i piani strategici dovrebbero concentrare l’attenzione su progetti rilevanti per l’area vasta, invece che proporre sommatorie di singoli progetti municipali, cui viene fornita una mera cornice, puntando in realtà alla sola suddivisione delle risorse da assegnare. In realtà dove questo non c’è, è difficile da costruire rapidamente perché sappiamo che i piani strategici dovranno orientare la programmazione 2007/2013 e sarà difficile bruciare i tempi. Sia nel caso della provincia di Lecce che in quella di Foggia c’è voluto molto tempo per mettere in piedi un sistema robusto di conoscenze e visioni condivise ancorato alla pianificazione di area vasta. Abbiamo situazioni di grande potenzialità. L’importante è che non domini un vizio consolidato: quello di guardare ciascuno al proprio assessorato, al proprio settore e di portare avanti il proprio piano, ignorando il lavoro degli altri. Come se il piano paesaggistico potesse prescindere dalle decisioni sulle coste dell’assessore al demanio, o se le previsioni del piano dei trasporti potessero non tener conto di quello che propone l’assessorato all’assetto del territorio, e viceversa.

Stiamo cercando di dare una diversa impostazione al nostro lavoro e direi anche di dare un buon esempio alle province e ai comuni. Però non è facile, nonostante la nostra profonda convinzione. Non è facile soprattutto perché gli uffici oppongono resistenza, anche più degli stessi assessori; nel caso della giunta Vendola, come suole affermare Piero Cavalcoli, attuale dirigente del settore assetto del territorio che viene dall’esperienza dell’Emilia-Romagna, si osserva un rapporto inverso rispetto alla sua precedente esperienza: mentre in Emilia ad una burocrazia forte dal punto di vista culturale si contrapponeva una politica che tendeva ad indebolirsi, qui siamo in presenza di una burocrazia molto debole, che tende a frenare la politica, anche laddove quest’ultima è proiettata in avanti.

Il settore assetto del territorio è stato creato proprio per innovare le pratiche di governo del territorio in Puglia. Esso ha la responsabilità, fra l’altro, della redazione del nuovo documento regionale di assetto generale (DRAG) e del nuovo Piano paesaggistico. Vi sono settori regionali dove non vi è stato mai aggiornamento professionale e la ‘contaminazione’ con altre esperienze è importantissima; per quanto riguarda il rinnovo generazionale, sono in atto concorsi miranti, fra l’altro, a colmare le carenze dell’organico dovute ad un esodo incentivato promosso dalla precedente amministrazione. Ma permangono funzionari che hanno lavorato per 30 anni come dirigenti nello stesso settore, che si considerano custodi della memoria storica, e quindi del potere, rendendosi indispensabili a chiunque passi da politico per questi uffici. In questi casi, le incrostazioni sono talmente forti e sedimentate che non è possibile rimuovere o cambiare queste abitudini. Si adeguano, perché sono abituati ad ”assecondare” i politici o perché capiscono che altrimenti rischiano il posto, ma occorre spingerli, spronarli, fornire loro proposte, indicazioni, e persino schemi di delibere, che dovendo firmare si riservano di esaminare spesso dilatando i tempi attuativi.

L’opportunità di fare entrare gente nuova con i concorsi è premessa indispensabile per l’innovazione. Purtroppo però, da quando è stata istituita la regione, questo è il primo concorso. Ci sono quindi drammatiche aspettative interne, “giovani” che hanno 50 anni, entrati ad un livello e rimasti sempre a quello, che mal vedono immissioni dall’esterno. Il problema è che anch’essi sono stati formati dentro questo “sistema”. Questa situazione rappresenta, probabilmente, il principale problema di questo governo regionale. Anche se riusciamo ad approvare piani buoni, rivolgendoci se occorre all’esterno, anche se approviamo leggi buone e innovative, se la macchina amministrativa rimane immutata, rischiamo di sortire esiti non corrispondenti ai propositi di quello che approviamo. Su questo sono pessimista: è vero che abbiamo indetto concorsi che porteranno 70 nuovi dirigenti - 35 interni e altrettanti esterni – ma, da un lato, rimane il ”peso” preponderante della vecchia struttura, dall’altro, se è indubbio che i nuovi arrivati porteranno rinnovamento, resta il rischio che possa trattarsi di rigenerazione solo anagrafica e che essi siano presto assorbiti dalle routine consolidate.

«Rendere le trasformazioni del territorio coerenti con il paesaggio ma in grado di creare valore aggiunto»: è questa la sfida lanciata dalla Regione Puglia. Ne ha parlato l’assessore all’Assetto del Territorio e all’Urbanistica della Regione Puglia, Angela Barbanente, che ha presentato in un incontro con i giornalisti la «nuova generazione di Piani urbanistici della Regione Puglia», una ‘manovra’ che in pochi anni potrebbe trasformare il territorio, un nuovo modello di sviluppo dove l’attività umana non sarà in contrapposizione con il paesaggio.

E’ con questo spirito che in giunta sono state approvate alcune delibere, tra cui le più importanti sono: la delibera di adozione degli indirizzi per la pianificazione comunale che rappresentano una parte importante del Documento regionale di assetto generale (Drag); un protocollo d’intesa con il Comune di Corigliano d’Otranto, il primo Comune che ha chiesto di essere accompagnato formalmente dalla Regione nel percorso di applicazione degli indirizzi ancor prima che questi siano vigenti; e l’avvio della redazione del nuovo piano paesaggistico della Regione Puglia, adeguato alla convenzione europea del paesaggio e al nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio. «E’ quindi - ha detto Barbanente - una vera e propria generazione di piani, di nuovi piani comunali che noi indirizziamo e di pianificazione regionale». Il nuovo piano paesaggistico - ha annunciato Barbanente - sarà diverso dai piano paesistico oggi in vigore: «Intanto il piano in vigore - ha detto Barbanente - è un piano che è stato costruito senza una cartografia adeguata. Oggi noi costruiamo il nuovo piano sulla cartografia nuova che abbiamo redatto per l’intera regione Puglia e quindi partiamo sulla base di conoscenza robusta: conoscere per pianificare, questo è un motto vecchio della storia dell’urbanistica».

Per la redazione del nuovo piano paesaggistico sono stati costituiti un comitato scientifico guidato dal prof. Alberto Magnaghi, ordinario di pianificazione territoriale della facoltà di architettura dell’Università di Firenze, esponente del movimento dei Nuovi Municipi che fonda la prospettiva dello sviluppo locale sul concetto della cittadinanza attiva; un nucleo tecnico operativo fatto da esperti dell’assessorato e del ministero. E’ anche in programma l’organizzazione di un ‘Forum del paesaggio’, per coinvolgere nella redazione del piano associazioni, cittadini, Comuni, organizzazioni sindacali.

Proposta di Accordo tra Regione e Province per la collaborazione in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica, Bari, 13 luglio 2005



Le ragioni del rilancio del ruolo delle autonomie locali nel sistema di governo del territorio regionale

La straordinaria domanda di innovazione e partecipazione democratica che ha segnato la nascita di questo governo regionale non può non investire anche il governo del territorio. Una domanda di forte discontinuità rispetto al passato nei rapporti fra Regione ed enti locali proviene dal sistema delle autonomie, che da tempo mostra forte insofferenza di fronte a tendenze regionali neocentralistiche. Essa è sostenuta dal mutato quadro istituzionale e normativo che, sia a livello europeo sia a livello nazionale, ha individuato nei principi della sussidiarietà, del decentramento dei poteri e della collaborazione interistituzionale i cardini dell’esercizio dell’amministrazione pubblica.

In nome di una sussidiarietà non solo di principio, ma intesa quale essenziale condizione di efficacia dell’azione amministrativa, città e territori pugliesi chiedono che siano loro attribuiti più ampi spazi e capacità di auto-governo, per stabilire assetti integrati di politica, società e cultura a livello locale. I processi alla base di tale richiesta sono complessi e largamente alimentati da iniziative di sviluppo locale i cui esiti non possono darsi per scontati. La questione importante, tuttavia, è che non è possibile ignorarli, facendosi sovrastare da eredità o resistenze del passato.

La domanda di decentramento si accompagna a un crescente protagonismo degli enti locali nella costruzione di strategie di sviluppo locale, che sollecita la pianificazione territoriale a diventare per queste un supporto piuttosto che un ostacolo. Ma essa è da mettere in relazione anche al crescente attivismo di cittadini e movimenti sociali, i quali fanno sentire sempre più forte la propria voce, talvolta esprimendo una domanda di qualità insediativa che le forme consolidate di governo del territorio sembrano non essere in grado di garantire.

La creazione di un rapporto di collaborazione fra Regione e autonomie locali è vitale, peraltro, per ristabilire un clima di fiducia fra detti enti, e fra questi e gli operatori economici, i gruppi sociali e i cittadini nel governo del territorio, dopo una lunga fase nella quale le lentezze esasperanti dei controlli regionali hanno fornito argomenti a supporto di una deregolazione selvaggia, la quale ha generato vaste aree di opacità e di iniquità e alimentato sospetti nei confronti dell’amministrazione regionale.

Il ruolo delle Province

Le Province possono divenire snodo fondamentale nei nuovi rapporti da stabilirsi fra Regione e livelli locali di governo territoriale, con riferimento non solo al sistema delle autonomie, ma a tutti i soggetti pubblici e privati operanti nel territorio. Questo ruolo non deriva soltanto dalle funzioni attribuite all’ente Provincia dalla legislazione nazionale e regionale, ma anche dall’esigenza di coordinare iniziative e modi d’uso del territorio che hanno quale scala di riferimento territori sempre più vasti. Si pensi alle tendenze di modificazione dell’offerta di attività ricreative, commerciali, direzionali, all’estensione delle aree di relativa domanda e alle forme di mobilità generate. Esso deriva, inoltre, dall’esigenza di non appiattire e banalizzare in quadri regionali aggregati, i caratteri di una Regione che presenta notevolissime differenze interne dal punto di vista ambientale, socio-economico e paesaggistico.

La mancanza, per oltre un ventennio dall’approvazione della legge urbanistica regionale 56/1980, di qualsiasi efficace quadro di riferimento pianificatorio sovracomunale è espressione evidente della difficoltà dell’Ente Regione di costruire scenari condivisi di organizzazione del territorio ad ampia scala. In mancanza di questi, l’attività di governo del territorio è stata dominata da un’interpretazione tutta procedurale e burocratica dei compiti a tale Ente attribuiti.

Le Province possono concorrere a modificare questa interpretazione delineando, mediante i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale, scenari futuri di sviluppo e tutela del territorio nell’area vasta. La pianificazione provinciale, poi, rappresenta occasione preziosa ai fini della costruzione di un sistema di conoscenze condiviso delle caratteristiche socio-economiche, ambientali, insediative e infrastrutturali, fornendo, da un lato, visioni più ricche, articolate e aggiornate di quelle oggi disponibili del territorio regionale, dall’altro, quadri di riferimento di area vasta per le diverse strategie d’azione di scala comunale.

Tale sistema di conoscenze dovrebbe essere integrato nel Sistema Informativo regionale in corso di realizzazione, e poi arricchito e migliorato con continuità affinché esso dia efficace supporto sia alla definizione delle linee di assetto del territorio regionale, sia all’elaborazione dei nuovi PUG comunali sia, infine, alle decisioni da assumersi nelle varie sedi della co-pianificazione e/o concertazione interistituzionale.

I vantaggi per l’intero sistema regionale derivanti dal decentramento alle Province di funzioni di governo del territorio consisterebbero anche nella possibilità di sollevare progressivamente la Regione da compiti gestionali che essa svolge con difficoltà, e consentirle di dedicarsi con maggiore intensità ed efficacia ai compiti che le sono propri, ossia all’esercizio della funzione legislativa e di raccordo fra potere centrale e locale.

Condizione essenziale affinché il livello provinciale non riproduca vizi e distorsioni di quello regionale, proprio come è accaduto per la Regione rispetto allo Stato, è la capacità di costruire visioni condivise intorno alla strategia complessiva, basata su un'attività di intenso ascolto della domanda sociale e sistematico coinvolgimento delle amministrazioni locali. Si tratta di impostare a tal fine una rete fitta e continua d’interazioni, perché quadri di conoscenze e opzioni pianificatorie da un lato traggano origine da saperi e istanze locali, e dall’altro si diffondano e radichino nei contesti locali, presso i comuni e la loro base sociale.

Il buon risultato dell’azione provinciale rispetto a quello regionale non può derivare soltanto da fattori di scala, magari appellandosi al principio di sussidiarietà, che presuppone che l’autonomia più grande si astenga dal trattare ogni problema che può essere affrontato da un’autonomia più piccola. Qualsiasi ordine stabilito una volta per tutte e privo della rete d’interazioni sopra accennata, tenderebbe a burocratizzarsi, come è accaduto per lo Stato prima e poi per la Regione. Solo un ordine flessibile e aperto alle sollecitazioni esterne può, con il suo continuo rinnovarsi, contrastare, con speranze di successo, la tendenza alla burocratizzazione e rispondere alle domande della società civile.

La realizzazione degli obiettivi programmatici: decentramento e semplificazione nelle procedure urbanistico/territoriali



Per le ragioni sopra accennate, obiettivo centrale della nuova Amministrazione regionale in materia urbanistico/territoriale consiste nella “rottura del modello gerarchico e centralistico che ha dominato, sin dall’inizio, il governo regionale del territorio in Puglia”.

Ci si propone dunque di “operare in discontinuità con questa tendenza all’accentramento delle competenze e delle decisioni”. Il ruolo che le Province potranno svolgere nell’ambito di questa politica è fondamentale.

L’idea è di assumere, con un orientamento di Giunta un corpo di indirizzi politico/amministrativi che guidino, nella prima parte del mandato, verso obiettivi di decentramento e semplificazione nelle procedure urbanistico/territoriali. Qualcosa di più, dunque, di quanto contenuto nel programma di mandato relativo alla materia: una vera e propria Dichiarazione di intenti, da strutturare e rendere operativa attraverso una serie di Accordi (ex art.30 del T.U. 267/2000), di cui di seguito si propone una bozza introdotta da una serie di osservazioni di merito (v. all. 1).

1. Perché è necessaria questa “discontinuità”?

Non si tratta di semplice galateo istituzionale.

La percezione dominante dell’urbanistica nella società pugliese, associata non certo alla prospettiva di nuovi futuri desiderabili ma a un coacervo spesso contraddittorio di procedure ed atti amministrativi di esasperante lentezza, è sostanzialmente da imputare proprio a questa persistente posizione tecnico-politica centralistica ed alla visione tutta procedurale e burocratica del governo del territorio che la caratterizza.

All’origine di questa visione risiede la mancanza di qualsiasi efficace quadro di assetto generale ad ampia scala, espressione evidente della difficoltà di costruire scenari coerenti e condivisi di tutela e sviluppo del territorio regionale che consentano di delineare strategie di qualificazione delle risorse sociali ed ambientali. L’assenza di una visione generale, coerente e condivisa, impedisce a sua volta, in un circolo vizioso, di superare la dominante interpretazione regolativi e vincolistica delle funzioni di governo del territorio.

Così, in assenza di efficaci indirizzi di assetto territoriale a scala regionale e provinciale, tutto il sistema di governo del territorio permane incentrato su una scala comunale di pianificazione fatta di piani sovradimensionati e sempre più spesso snaturati da centinaia di accordi in variante, i quali assecondano le iniziative imprenditoriali ritenendo valida ogni sorta di contropartita, in assenza di quadri di riferimento ambientali, economici e sociali, rispetto ai quali valutarne vantaggi e svantaggi collettivi e in assenza di regole di equità e di trasparenza sulle quali basare le negoziazioni pubblico-privato.

Analogamente, le Province che hanno avviato esperienze di pianificazione territoriale non hanno avuto alcun sostegno dalla Regione che, anzi, anche nei più recenti provvedimenti legislativi, ha confermato il proprio accentuato centralismo. Mancano poi esperienze di pianificazione specialistica nel campo delle aree protette e dei bacini idrografici, mentre i piani nel campo dell’assetto idrogeologico, dello smaltimento dei rifiuti o delle attività estrattive, sono stati costruiti senza disporre di quadri conoscitivi robusti e di riferimenti ad opzioni complessive di sviluppo del territorio.

Il risultato consiste nella frammentarietà e nella incoerenza dell’azione regionale, in un esercizio del potere che, per i caratteri di marcata discrezionalità e dipendenza da contingenze specifiche, non offre sufficienti certezze agli attori istituzionali ed agli operatori sociali ed economici.

Dunque il centralismo, al di là della scarsa correttezza istituzionale, comporta:

Ø l’assenza di una visione generale condivisa, e dunque la presenza di una certa competitività “interna”, che può generare conflitti (tra territori e tra competenze settoriali);

Ø il ritardo nella costituzione dei necessari apparati conoscitivi e di indirizzo, che non possono essere costruiti “al centro”, ma che richiedono uno stretto legame con la realtà e con il quotidiano (in una parola, richiedono una costante presenza “in periferia”);

Ø la tendenza della disciplina tecnica, in assenza di questi apparati di conoscenza e di indirizzo, a rifugiarsi in una visione burocratica e vincolistica, priva della necessaria serenità che esclusivamente deriva dalla conoscenza diretta e documentata della realtà;

Ø la progressiva opacità e confusione dell’azione amministrativa, sempre più costretta alla deroga e al rifiuto delle responsabilità, con i conosciuti effetti: tempi esasperanti, ambiguità procedurali, discrezionalità e mancanza di limpidità nelle decisioni.

Nella situazione descritta, l’obiettivo della discontinuità sembra fondato su due prospettive: il decentramento e la semplificazione, la seconda come effetto positivo del primo.

2. Quali ostacoli si interpongono al raggiungimento dell’obiettivo del decentramento?

Sull’argomento va innanzitutto rimossa ogni ambiguità normativa e legislativa. Sarà dunque necessario:

  1. contrastare la concezione “gerarchica” nella pianificazione per livelli: vale a dire la concezione per cui il Piano regionale decide tutto, definendo le scelte territoriali in modo puntuale, mentre al Piano provinciale è affidato esclusivamente il compito di articolare le scelte regionali, potendole tutt’al più specificare, e contemporaneamente al Piano comunale è affidato solo il compito di tradurle in destinazione d’uso delle aree e in specifiche funzioni di dettaglio.

E’ questa una concezione che evidentemente tende a negare agli Enti locali ogni autonomia e responsabilità: in fondo si sostiene che l’interesse generale é sempre meglio rappresentato nella misura in cui si sale nella scala gerarchica delle istituzioni di governo.

Nulla di più lontano dal principio della sussidiarietà e dal metodo della co-pianificazione, che ne è in fondo la traduzione operativa (art. 2 della L.R.20/2001).

Questa concezione è peraltro ancora presente nello stesso quadro legislativo regionale: ad esempio, nel 2° comma dell’art.1 della L.R.24/2004, che stabilisce che il DRAG sia “riferimento vincolante per la pianificazione provinciale e comunale”, o nell’art. 2, che definisce i contenuti del DRAG, attribuendogli la facoltà di decisione su ogni aspetto della pianificazione. Questi dispositivi sono entrambi tipicamente connotati da una concezione “gerarchica”, da cui discende, implicitamente, che non si tratta di stabilire “controlli di compatibilità” tra i Piani, come sarebbe corretto e come prevede il successivo art. 5 della medesima L.R.24/04, bensì di operare tradizionali verifiche di conformità al Piano di ordine superiore.

Ma, come è naturale, la co-pianificazione è impossibile se non si dialoga tra uguali.

b. contrastare la concezione “piramidale” nella pianificazione per livelli, che è conseguenza della visione precedente: vale a dire la concezione per cui, al vertice della piramide, le scelte del Piano regionale sono decise da pochi, con procedure rapide e semplificate e, man mano che le scelte sono compiute ai livelli inferiori, si allargano le basi della consultazione e si complicano le procedure, fino a giungere, dal Piano provinciale a quello comunale, all’estrema complicazione nelle decisioni, ai tempi interminabili e alla paralisi.

Le procedure di adozione e di approvazione dei diversi Piani, stabilite dal III°, dal IV° e dal V° Titolo della L.R.24/01 sono un esempio evidente di questa concezione: il Piano regionale è approvato solo dalla Giunta, sentita la Commissione consiliare (art. 9 della L.R.24/04), mentre il Piano provinciale è adottato ed approvato in Consiglio, dopo la verifica di compatibilità regionale (tempi complessivi probabili della procedura di formazione del Piano: dai 12 ai 24 mesi), e quello comunale, anch’esso adottato ed approvato in Consiglio, richiede addirittura una doppia verifica, quella regionale e quella provinciale (tempi complessivi probabili della procedura di formazione del Piano: dai 24 ai 36 mesi).

c. Contrastare la concezione “a cascata” nella pianificazione per livelli, che è conseguenza delle prime due: vale a dire la concezione per cui prima deve essere approvato il Piano regionale, poi quelli provinciali e infine quelli comunali. Questa concezione, sebbene non esplicita nel quadro normativo, ha comunque costituito sino ad ora la prassi dell’azione regionale ed ha inevitabilmente determinato una forte inerzia nell’azione provinciale e comunale (va peraltro detto che, per quanto riguarda la pianificazione comunale, il 7° comma dell’art.11 della L.R. 20/01 stabilisce che, qualora DRAG e PTCP non siano ancora stati approvati, il controllo di compatibilità può venire effettuato “rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente”).

E’ in conclusione evidente che una prima manifestazione concreta di “discontinuità” dovrà consistere nella rimozione degli elementi di ambiguità e di contrasto con una corretta politica di semplificazione e di decentramento delle competenze che ancora sono contenuti nel corpo legislativo e normativo. Una rimozione che dovrà avvenire con circolari interpretative, quando possibile; con parziali ma significative correzioni, quando indispensabile.

I tempi e i modi del decentramento sono dettati dalla stessa capacità/volontà degli Enti destinatari delle funzioni, dalla loro convinzione a procedere, dalla disponibilità di uomini e di risorse, dalla comune capacità di definire Accordi interistituzionali che moltiplichino queste disponibilità, amplino le opportunità di sinergia, allarghino il fronte del consenso alla prospettiva del decentramento.

Questo è il senso della proposta di Accordo per il Decentramento e la Semplificazione che viene succintamente descritto al seguente punto 6 e proposto, in bozza, in allegato.

3. Come procedere? Tre grandi obiettivi

Non è facile in tempi brevi indirizzare il sistema di pianificazione regionale verso nuovi obiettivi e principi: occorre rimuovere routine burocratiche radicate e costruire una nuova cultura del governo del territorio.

Innanzi tutto, occorre sostituire alla logica del controllo quella della pianificazione, alla prassi degli accordi “caso per caso” quella della concertazione istituzionale per il perseguimento di obiettivi strategici, alla cultura dell’espansione e del consumo del suolo quella della salvaguardia e della riqualificazione del territorio.

In questa direzione sembrano centrali tre grandi obiettivi programmatici:

a. al documento regionale di assetto generale (DRAG) è affidato il compito di definire gli ambiti di tutela e conservazione dei valori ambientali e culturali, gli indirizzi per la formazione, il dimensionamento e i contenuti dei piani provinciali e comunali, gli schemi delle infrastrutture di interesse regionale. Ma l’attuale versione del DRAG, costruita senza la necessaria partecipazione e condivisione pubblica, ripropone un modello consolidato di governo del territorio la cui inefficacia è ben chiara ai più. Occorre quindi reimpostareil DRAG, perché questo diventi quadro condiviso delle grandi opzioni strategiche regionali, e quindi riferimento innanzitutto per l’azione della Regione nei diversi settori, perché valorizzi l’esperienza delle Province nel campo della pianificazione di area vasta, e perché sia in grado di fornire risposte alle difficoltà comunali di governo del territorio a scala locale;

  1. conseguentemente, così come da tempo è accaduto in pressoché tutte le regioni italiane, bisogna rafforzare il ruolo delle Province nella pianificazione territoriale, consentendo ad esse di svolgere efficacemente i compiti assegnati dalla legislazione nazionale e regionale, e valorizzando il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) anche attraverso l'assimilazione e lo sviluppo dei contenuti della pianificazione paesaggistica;
  1. occorre infine sostenere i Comuni nella faticosa attività di rinnovamento della pianificazione comunale, interpretando il principio della co-pianificazione come rapporto collaborativi che dovrebbe legare Regione ed Enti Locali durante l’intero percorso di costruzione/approvazione del Piano, e non solo, come sancito dalla L.R.20/2001,la fase terminale del processo in caso di deliberazione dell’incompatibilità del PUG con il DRAG o il PTCP.

Collocato in questo quadro programmatico, il compito di definizione dei possibili campi e modi di collaborazione tra la Regione e le Province impone di trascendere l’interpretazione ristretta e limitativa delle specifiche competenze istituzionali degli Enti, e di declinare le disposizioni dell’art. 2 della L.R.20/2001 nel modo più ampio possibile, moltiplicando ed articolando i processi partecipativi e di concertazione interistituzionale pur previsti dalla stessa L.R.20/2001 per il DRAG, per i PTCP e per i PUG.

Questa prospettiva va naturalmente strumentata ed organizzata, perché non si risolva in confusione e in demagogico richiamo formale alla partecipazione ed alla co-pianificazione. La proposta di Accordo che segue, è dunque una prima proposta di strumentazione, che andrà perfezionata ed articolata attraverso specifiche Convenzioni, da formulare assieme alle singole amministrazioni provinciali, al fine di tener conto delle diverse condizioni di operatività e di avanzamento dei lavori di redazione dei PTCP.

4. Problemi e opportunità del quadro normativo

Il quadro normativo pugliese presenta molteplici lacune e taluni orientamenti non condivisibili; in particolare con la Legge Regionale 13 dicembre 2004, n. 24, si è riproposto un modello gerarchico tra DRAG e PTCP e nei rapporti tra Regione e Province che va superato in favore della distinzione delle rispettive funzioni e dell’autonomia dell’esercizio delle potestà amministrative attribuite a ciascun Ente, pur nel coordinamento tra i diversi livelli istituzionali e nel perseguimento condiviso dei principi di tutela e di sviluppo sostenibile.

È pertanto intenzione di questo Assessorato presentare un’apposita proposta di legge per la modifica della Legge Regionale 13 dicembre 2004, n. 24 e della Legge Regionale 27 luglio 2001, n. 20, orientata a superare una concezione non più condivisibile e per liberare ed incentivare tutte le potenzialità insite nella pianificazione provinciale.

Nelle more della modifica legislativa alla normativa regionale, è tuttavia opportuno chiarire con adeguata nettezza che la mancata approvazione del DRAG non impedisce in alcun modo alle Province di avviare e portare avanti il processo di pianificazione, mediante adozione del PTCP (e successiva approvazione dello stesso dopo il controllo di compatibilità previsto dall’art. 7 della L.R.20/2001).

Difatti, per quanto l’art. 1 della L.R.24/2004 preveda che il DRAG costituisca “riferimento vincolante” per la pianificazione provinciale, e per quanto l’art. 6 della L.R.20/2001 preveda che il PTCP sia adottato dalla Provincia in “conformità ed attuazione del DRAG”, non può in alcun modo ritenersi che, in assenza del DRAG, le Province non possano esercitare la propria potestà pianificatoria e non possano pertanto adottare il PTCP.

Occorre difatti rammentare (ma ciò dovrebbe essere del tutto superfluo) che la competenza alla redazione del PTCP viene attribuita alla Provincia da norma statale (da ultimo art. 20 D.Lgs. n.267/2000) e che tale assetto di competenze trova oggi preciso ed univoco sostegno costituzionale (essendo stati recepiti nell’art. 118 della Carta i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, che impongono l’attribuzione di specifiche funzioni amministrative alle Province allorché sia necessario per assicurarne l’esercizio in forma unitaria).

Una norma di Legge Regionale che consentisse alla Regione di inibire attraverso un proprio atto amministrativo (la mancata adozione del DRAG) l’esercizio dei poteri di pianificazione della Provincia, precludendo sine die l’adozione del PTCP, risulterebbe dunque manifestamente incostituzionale, sia per contrasto con la norma statale (art. 20 del D.Lgs. n. 267/2000), sia per contrasto con l’art. 118 della Costituzione.

Ebbene, poiché nel nostro ordinamento vige il principio che impone di interpretare le leggi in modo conforme alla Costituzione, i citati articoli della normativa regionale (l’art. 1 della L.R.24/2004, l’art. 6 della L.R.20/2001) vanno interpretati nel senso che il DRAG acquisterà efficacia “vincolante” per la pianificazione provinciale solo allorquando verrà ad esistenza, ma che prima della sua approvazione le Province possono comunque procedere alla adozione del PTCP, conformandosi ai generali precetti normativi della legge statale e regionale, oltre che al PUTT.

Tale interpretazione, compatibile peraltro con il dato letterale delle norme che non escludono espressamente l’esercizio della potestà pianificatoria provinciale prima dell’approvazione del DRAG, consente di non far ricadere sulle Province i ritardi della Regione, e consente altresì di ricostruire i rapporti tra Regione e Province in conformità ai dettati costituzionali.

In mancanza della esplicitazione dei criteri e dei principi da parte del DRAG, la Regione si rende peraltro pienamente disponibile ad attivare immediatamente le opportune sedi istituzionali per la condivisione delle conoscenze e dei principi che dovranno informare le rispettive attività; ciò potrà avvenire sia mediante apposite conferenze di co-pianificazione preordinate alla adozione dei PTCP (conferenze che, sebbene non espressamente previste nella L.R.20/2001, non sono certamente precluse essendo anzi conformi ai generali principi statuiti dalla L.241/1990 sul procedimento amministrativo), sia mediante costituzione di un tavolo interistituzionale di regia del processo, proprio quale quello proposto dalla bozza di Accordo che segue.

5. Quale, in questo disegno, il ruolo della pianificazione provinciale? Di quale strumentazione operativa è necessario dotarsi?

Dei tre obiettivi precedentemente descritti, se il primo costituisce il generale quadro di riferimento per la nuova politica urbanistica regionale e l’ultimo costituisce il più impegnativo e complesso, per il numero dei soggetti coinvolti, per le azioni da promuovere e monitorare, per la significatività che la disciplina locale dell’uso del suolo rappresenta nell’opera di governo del territorio, il secondo, vale a dire il rafforzamento e lo sviluppo della pianificazione provinciale, è senza dubbio quello centrale, il naturale presupposto degli altri due, quello che li rende credibili e concretamente perseguibili.

Sarebbe del tutto improponibile, infatti, un’approfondita rivisitazione del DRAG senza un robusto contributo delle Province, così come risulterebbe al di sopra delle forze della sola Regione l’azione di servizio ai Comuni, impegnati nell’elaborazione dei loro PUG, azione che è invece indispensabile per il contributo innovativo che anche in campo urbanistico questa amministrazione vuole fornire alla politica regionale pugliese.

E’ dunque necessario fornire una prima valutazione comune del cammino che le Province devono compiere, per definire possibili strumenti di collaborazione, reciproci stimoli all’azione, sinergie finanziarie ed operative.

Allo scopo si allega una serie di riflessioni sulle esigenze organizzative e di strumentazione che l’esperienza consiglia sulla costruzione del processo di piano (v. all. 2).

6. Per un Accordo per il Decentramento e la SemplificazioneSembrano a questo punto chiarele finalità di un Accordo tra Regione e Province sul tema del decentramento delle funzioni urbanistiche e sulla conseguente semplificazione delle procedure.

Le finalità dell’Accordo possono così essere sintetizzate:

a. costituire un organismo interistituzionale di coordinamento delle politiche territoriali ed ambientali degli Enti sottoscrittori, con lo specifico obiettivo di accompagnare l’azione regionale di decentramento delle competenze e di semplificazione delle procedure, nell’ambito di una più generale volontà di coordinare le politiche territoriali ed ambientali degli Enti di governo di area vasta

b. dotare detto organismo di adeguate strutture tecniche interistituzionali di istruttoria e proposta

c. predisporre adeguati programmi di collaborazione tra gli Enti sottoscrittori nonché i criteri di individuazione e di attribuzione delle risorse necessarie

Gli impegni dell’Accordo, da sviluppare in un vero e proprio articolato convenzionale da adattare alle esigenze e alle condizioni operative e finanziarie di ciascun Ente sottoscrittore, ai sensi dell’art.30 del T.U. 267/2000, strumenteranno quanto previsto nella Dichiarazione di Intenti, vale a dire:

1. l’impegno delle Province a predisporre, entro un ragionevole periodo di tempo (e comunque entro il presente mandato), il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, costituendo anche le indispensabili strutture operative dedicate alla funzione della pianificazione territoriale: Ufficio di Piano, Comitato di Coordinamento, Ufficio Cartografico e SIT;

2. l’impegno della Regione a contribuire, in termini organizzativi all’opera di redazione del Piano e, nel caso di Province già sostanzialmente dotate dello strumento, al consolidamento degli apparati, allo sviluppo degli archivi di documentazione e di approntamento dei modelli di valutazione;

3. l’impegno delle Province a contribuire alla rielaborazione del DRAG, per quanto riguarda la parte relativa alla pianificazione provinciale e comunale, fornendo la disponibilità di propri tecnici alla composizione di un quadro di analisi e di indirizzo il più possibile documentato;

4. l’impegno della Regione a trasferire i poteri in materia urbanistica alle Province una volta approvato il PTCP e, in attesa dell’approvazione, a coinvolgere gli Uffici di Piano provinciali nelle istruttorie di approvazione degli strumenti urbanistici locali

5. l’impegno della Regione e delle Province a costituire appositi organismi interistituzionali di carattere tecnico ed organizzativo ai quali affidare l’istruttoria tecnica dei temi specifici progetti di approfondimento delle tematiche connesse alla semplificazione in materia urbanistica e al decentramento amministrativo, nonché dei temi connessi alle principali trasformazioni infrastrutturali e insediative regionali.

I descritti impegni verranno discussi e meglio puntualizzati nelle riunioni con le singole Province che l’Assessorato regionale si impegna ad organizzare nel periodo settembre/dicembre, con l’obiettivo di rendere l’intera proposta operativa all’avvio del 2006.

Fermare l’avanzata di Villettopoli, valorizzando il territorio rurale. Con questo ambizioso obiettivo è stato firmato ieri un accordo di programma fra i Comuni di Giussago, Certosa, Rognano e Zeccone. Parte del progetto, che ha come finalità proprio lo sviluppo dell’ambito territoriale dei paesi del parco Visconteo, sarà finanziato dalla Navigli Lombardi. Lo studio di fattibilità sarà affidato all’Università di Pavia. La firma dell’accordo è avvenuta simbolicamente nel parco comunale di Giussago, 33mila metri quadrati strapparti all’urbanizzazione per volere dell’attuale giunta.

Gli onori di casa, infatti, li ha fatti il sindaco Ivan Chiodini: “Si tratta di un passo avanti per lo sviluppo del nostro territorio che non può essere pensato unilateralmente. Soprattutto nella fascia dei Navigli. Per salvare la nostra zona serve una programmazione comune”. E proprio dal tavolo ieri è uscito un accordo che segna una svolta, almeno nel modo di pensare e amministrare il Nord Pavese.

Al centro non c’è solo la salvaguardia del patrimonio culturale ed artistico di quest’area, ma anche lo sfruttamento del “suo grande giacimento di conoscenza, saperi e ricerca per il quale è maturo il tempo di trovare percorsi di applicabilità a supporto di nuove iniziative imprenditoriali” recita la parte centrale del documento. Tre i punti fondamentali su cui poggia il patto dei 4 sindaci (olte a Chiodini, Bruno Garlaschelli di Certosa, Silvio Penati di Rognano, e Terenzio Grossi di Zeccone). Il primo prevede appunto l’apertura di un confronto fra gli amministratori per uno scambio sulle politiche di sviluppo sostenibile. Il secondo la redazione di uno studio d’area che fornisca una fotografia dei punti di forza e debolezza del territorio. Il terzo, infine, la stesura di un piano per la costituzione di una società o fondazione a capitale pubblico o misto che abbia funzioni di Agenzia di sviluppo. A suggellare, con il suo contributo concreto in 12 mila euro (tanto per iniziare) era presente il direttore della Navigli Lombardi Emanuele Errico. Che ha sottolineato l’opportunità di accordi di questo tipo e si è detto “piacevolmente sorpreso” per l’intraprendenza dei sindaci.

I quali, a loro volta, hanno tutti sottolineato la svolta storica nella forma dell’accordo. Isomma loro ci provano a invertire la tendenza di Villettopoli. Anche se, beninteso, non sarà facile. Spiccava, ad esempio, l’assenza di Borgarello. Comune anch’esso all’interno dell’area individuata. Il cui sogno, come è noto, è il centro commerciale. “Il nostro tavolo non vuole escludere nessuno e tutti possono partecipare” ha diplomaticamente sottolineato Chiodini. Il quale non si è voluto nascondere dietro un dito di fronte all’evidente propensione delle amministrazioni di puntare quasi esclusivamente a una politica edilizia.

Non solo in passato, ma anche in futuro, visto il proliferare delle nuove costruzioni. “Questo – ha detto il sindaco di Giussago – è il frutto di una programmazione vecchia appunto di 10-15 anni che si sta esaurendo con i vecchi Prg. In alcuni casi poi, i tempi di attuazione si sono ravvicinati, dando l’impressione di un’aggressione selvaggia al territorio. In ogni caso è proprio adesso il momento di invertire la tendenza”.

Il Comune capofila sarà Giussago che già da tempo, e non solo nelle intenzioni, ha avviato un programma amministrativo improntato al rispetto dell’ambiente e del territorio.

Nota: i problemi di quest’area erano già stati in parte accennati su Eddyburg anni fa, proprio per il “caso” nazionale del Centro Commerciale di Borgarello con un articolo che ora è diventato con poche modifiche il capitolo introduttivo di Nuovi Territori del Commercio (f.b.)

Le ville in costa Smeralda sono tra le più care al mondo. Lo certifica l’agenzia inglese Knight Frank che si occupa dell’andamento del mercato immobiliare destinato ai ricchi, e che ha redatto il documento “Wealth Report 2007”.

Lo sapevamo dalle informazioni che ogni estate ci danno i giornali su vendite di case a prezzi inimmaginabili e che non si spiegano. Il costo di costruzione di queste case lussuose non è diverso da quello che si può riscontrare in altri luoghi del Paese. Anche a immaginare l’impiego di materiali preziosissimi (escludendo ragionevolmente i metalli nobili ) il costo di un metro quadro finito di un fabbricato si può aggirare, esagerando un po’, sui 2000-2500 euro.

Il resto del valore – per arrivare a 24mila euro a mq – è dato certamente dalla incantata condizione del contesto.

Una bella differenza, pure con un notevole giardino di pertinenza e accessori, un’impareggiabile vista sul mare (che non è merito dell’impresa), vicini di casa che vedi nelle riviste patinate, eccetera.

Nessun giudizio di tipo morale. Così è per queste merci e ogni considerazione nel nome dei meno abbienti e della parsimonia, è del tutto superfluo. Si può osservare, ma si fa per dire, che una decina di ettari terreno agricolo a mezzora di macchina dal mare vale pochissimo e non si vende neppure con l’aggiunta di un buon gregge di pecore lattifere garantite.

Qui si vuole solo segnalare che di queste ricchezze, prodotte senza rischi d’impresa, con notevole danno ai paesaggi sardi, non resta quasi nulla alle popolazioni locali. Spiccioli ai manutentori, giardinieri e l’Ici che, come è facile intuire, è del tutto scriteriata in questi casi. Se si lasciasse al buon cuore ci sarebbe da guadagnare.

Niente insomma torna alla collettività che concede questi paesaggi che sono il vero valore ; troppo poco il compiacimento della presenza di tanta bella gente da queste parti ( “ajò a vedere le ville dei ricchi in Costa …”).

L’ alterazione irreversibile dei connotati di spiagge e scogliere, la chiusura degli accessi al mare, la preclusione di un uso produttivo di vaste aree, procurano grandi vantaggi a pochi, che spesso neppure sanno dove sono le case preziose che possiedono. Sarà per questo che qualcuno ha inventato “ la tassa sul lusso”?

Leggo ancora che c’è chi sostiene che l’incremento dei prezzi delle case esistenti nelle coste sarebbe favorito dalla linea di contenimento delle trasformazioni ambientali – il Piano paesaggistico – uno scandalo per i liberisti. Così – è il suggerimento sottinteso – per non avvantaggiare gli immobiliaristi spazio ai costruttori. Come se per impedire l’incremento di valore di residenze esclusive nel centro di Roma, per ampliare l’offerta si lasciasse via libera ai palazzinari di lottizzare Villa Borghese. (S.R.)

Dal sito del Centro studi urbani dell’Università degli studi di Sassari

La costituzione di un sistema di parchi in Val di Cornia deriva dalle scelte urbanistiche compiute tra il 1975 e il 1980, quando i comuni di Piombino, Campiglia Marittima, San Vincenzo e Suvereto diedero avvio ad una delle più interessanti e felici esperienze di pianificazione intercomunale.

Una volta stabilita la decisione di sottrarre all’urbanizzazione e alle lottizzazioni turistiche alcuni lembi costieri di straordinaria bellezza, e una volta definite le aree dei cinque parchi della Val di Cornia, si è posto il problema della gestione di un comprensorio così vasto. Nel 1993, con la partecipazione di tutti i Comuni della Val di Cornia e di imprese private, è stata costituita la Parchi Val di Cornia spa alla quale è stato affidato il compito statutario di realizzare e gestire le strutture e i servizi necessari per promuovere la tutela e la valorizzazione sotto il profilo sociale, economico e territoriale delle aree in questione.

La storia di successo della Parchi Val di Cornia dimostra come sia stato possibile tradurre in una realtà concreta l’intuizione tecnico-politica contenuta nei piani redatti all’inizio degli anni settanta. Possibile e necessario al contempo: se i parchi non fossero tuttora un modello di gestione, un soggetto economico e un protagonista attivo sulla scena locale, è del tutto probabile che le stesse scelte di pianificazione potrebbero facilmente essere messe nuovamente in discussione. (m.b.)

Chi volesse conoscere più da vicino la storia e le attività della società Parchi Val di Cornia, può scaricare l’intervento che il presidente, Massimo Zucconi, ha tenuto nell’edizione 2005 della Scuola estiva di pianificazione di eddyburg.

In eddyburg, due interventi giornalistici, di Giovanni Valentini e di Francesco Erbani spiegano perché la Parchi val di Cornia spa possa essere annoverata tra i pochi difensori del paesaggio e dell’ambiente italiano, e un esempio di come si possa concepire uno sviluppo diverso dalla mera crescita quantitativa.

La Sardegna dopo tanti anni anni è di nuovo dotata di un piano paesaggistico, il primo in applicazione del Codice Urbani. E' riuscito il presidente Soru nel suo intento, seppure con qualche difficoltà dentro la maggioranza, e si tratta di una buona notizia che dovremmo festeggiare, perché di buone notizie non ce ne sono poi tante sui temi del governo del territorio in questo Paese. Per la Sardegna, in balia delle pulsioni del centrodestra fino allo scorso anno, e anche delle indecisioni di passati governi di centrosinistra, è il segno che una brutta fase è già alle spalle; e che ora si può guardare alle cose da fare, per valorizzarlo il territorio e non per vendere le parti migliori.

E' un'altra storia: emerge subito la distanza dall'altra stagione politica quando prevaleva il rito delle distribuzione mercanteggiata dei volumi.

Quando i piani dei comuni erano le riproduzioni fedeli dei propositi delle imprese di strafare qui o lì, nei luoghi più belli, in genere case da vendere e non alberghi.

Quando i ragionevoli principi, contenuti nell'ultima legge e nei vecchi strumenti, venivano piegati per condiscendenza della stessa legge con previsione di varchi per favorire importanti imprenditori dell'edilizia (non operatori turistici che investono in attrezzature ricettive, ma costruttori).

Il paesaggio come bene comune, il senso profondo dei luoghi, è al centro del progetto e le trasformazioni eventuali sono pochissime. I territori che non hanno subito modifiche - per fortuna sono tanti - saranno conservati. Perché si vuole dare la certezza di ritrovarla integra quella spiaggia, quella scogliera, quella campagna. Sono previsti progetti estesi di riordino urbanistico per provare a rimediare a forme di degrado che non mancano; e l'idea di fondo è quella di valorizzare e potenziare gli insediamenti esistenti - soprattutto quelli veri, vissuti tutto l'ann - che sono in grado di dare ospitalità molto meglio dei villaggi frontemare.

Il processo decisionale ha alla base il metodo delle informazioni condivise ed è rilevante che tutte le fasi siano in rete, nel sito della Regione, e che nessuno detenga documenti riservati da distribuire per favore agli amici. Tutti possono già in questa fase accedere agevolmente agli atti e farsi un'opinione.

Vedremo nei prossimi mesi, luogo per luogo, il grado di consenso attorno al progetto da parte dei sardi e di tutti quelli che, dovunque stiano, hanno mostrato interesse al programma di tutela della Sardegna che va oltre il piano paesaggistico. E' un aspetto importante: i detrattori sono al lavoro e la tenuta del piano dipende da questo. Vedremo le reazioni dei comuni nel merito e le modalità attraverso cui costruiranno le proposte di pianificazione. Sarà una fase delicata, un laboratorio per consegnare alle generazioni future un'isola bellissima che non può più consentirsi sprechi.

Caro Eddyburg, Soru ha fatto fare una brutta figura a Briatore che ha comprato pagine di giornali per contestare la tassa “sul lusso” (che in realtà è sull’uso del paesaggio). E chissà quanto gli è costato scendere a quel livello, ma forse era necessario perché la replica dura ha funzionato e il modello sardo è oggi addirittura esportabile. Pensa che alcuni anni fa in Costa Smeralda – a Ferragosto – si organizzavano le cene per Lula, un paese poverissimo dell’interno. Una delle icone del malessere della Sardegna lontana dal mare, che accettava (sob!) l’elemosina dei ricchi vacanzieri in costa. Sindaco berlusconiano compiaciuto (grazie! con gli avanzi delle vostre feste billionaire faremo quel che si può, meglio del parco del Gennargentu). Poche reazioni tranne le solite, e comunque non proprio in linea con la leggendaria fierezza del popolo sardo.

In Sardegna, è bene non illudersi, non si è spento del tutto il tifo per i villaggivacanze sulla spiaggia. Ma molte comunità locali hanno cambiato idea. L’ inganno è durato, ma si sa che a volte la politica alimenta illusioni che durano, se non sarebbe troppo facile. Si è capito tardi che non serve a nulla fare case sulla battigia: per l’economia del luogo cioè per i tanti disoccupati tutto più o meno come prima; il danno ambientale è irrimediabile, ma c’è chi ha tratto vantaggi enormi. Spiccioli per la Sardegna nonostante il vorticoso giro di denaro.

Il piano paesaggistico sardo – evviva – dice stop al modello consumista delle case da vendere. Fino a qualche anno fa progetti da quattro-cinque milioni di metri cubi erano continuamente avanzati, sindaci di tutti i colori consenzienti (benvenuti imprenditori-benefattori, prego scegliete le viste migliori!).Oggi, gli stessi imprenditori che li presentavano, li considerano inammissibili. Progetti come quello per Crotone – ne ha scritto di recente la Repubblica – una nuova città sul mare che la Calabria povera immagina come panacea dei suoi mali, in Sardegna non sono più possibili e neppure proponibili. Neppure torri firmate o cose simili.

Un’ occhiata alle trasformazioni suggerisce di fare pagare qualcosa a chi ha tratto, trae utili dalla splendida location per case tutto sommato normali (alcune decine di milioni di euro il prezzo di un immobile che il costo di costruzione non spiega e il cui valore dipende appunto dalla bellezza impareggiabile del luogo).

Il richiamo alla centralità del paesaggio assume nella tassa “sul lusso” (su case, barche sopra i 14 metri, aerei dei non residenti) un significato al di là del ritorno economico che dovrebbe produrre (il 75% dell’introito è destinato per le zone interne, più dignitoso delle questue estive, direi).

Le barche come le case godono di paesaggi unici al mondo. Alcuni sindaci strepitano per questo provvedimento che terrebbe lontani i diportisti in transito, arrabbiati per la tassa: un migliaio di euro annue, più o meno il costo per tenerla in acqua un giorno una barchetta da 15 metri o per una festa tra amici senza aragosta.

C’è qualcosa che non torna in questa reclamizzata rinuncia a usare gli approdi sardi che qualcuno dovrebbe spiegare. I dati sembrano incongrui e ci piacerebbe vederle le liste ufficiali dei movimenti nelle banchine sarde che dovrebbero essere pubbliche visto che i porti sono stati realizzati con risorse pubbliche, con concessioni demaniali ecc. Perché alcune notizie sembrano smentire e di molto questa presunta tendenza al ribasso. Più 30% di presenze negli alberghi sfarzosi di Gallura che più alzano i prezzi più fanno il pieno. Più 10% di barche a Porto Cervo dove non c’è un posto libero fino a settembre. Record di arrivi a Teulada. Più presenze dappertutto. Allora: una ripicca contro Soru localizzata in alcuni porti dell’isola? O goffa, molto goffa propaganda che ha come vero obiettivo la norma sul paesaggio che impedisce le speculazioni edilizie nelle coste? Non so se la tassa abbia gravi difetti costituzionali, non so neppure dire se sia una cosa di sinistra. Ma è certo che appartiene a quella civile tradizione di fare pagare le tasse a chi trae vantaggi e benessere dall’uso di beni comuni. (A questo proposito: scopro che già alla fine del ‘500 si imponevano speciali gabelle ai forestieri altolocati che frequentavano le terme della Val d’Orcia per ripagare i lavori di manutenzione). Stasera, 14 agosto 2006, al Billionaire si parla d’altro, una bottiglia di champagne servita con fuochi d’artificio (così lo vedono tutti) circa mille euro al pezzo. Stasera a Lula se qualcuno fa festa nessuno se ne accorge.

Quello che piace della politica di Soru e della sua giunta è che c'è coerenza tra i diversi provvedimenti: tutelare la costa con un piano del paesaggio, far pagare a chi la usa e pagare può, liberarla dalle servitù militari, utilizzare al meglio le costruzioni esistenti invece che farne di nuovo, sono tessere d'un mosaico di cui conta la bellezza d'insieme. Poi magari c'è qualche ombra, ma si può correggere.

Fiumi da tutelare come monumenti, boschi da salvaguardare al pari dei centri storici. Un approccio innovativo, portato avanti quando parlare di «cultura ambientale» in Italia era ancora affare per pochi. È quello del Piano paesistico regionale, che compie vent’anni ma non li dimostra, pronto a raccogliere nuove sfide. Come spiega una dei suoi artefici, l’architetto Felicia Bottino allora assessore all’Urbanistica: «I fulcri dello sviluppo regionale del futuro? I fiumi, che devono tornare a essere la porta di accesso alle città, e l’Appennino».

Professore, tutto cominciò con la legge nazionale Galasso che nell’85 introdusse per la prima volta l’idea di tutela e di salvaguardia dell’identità e degli aspetti naturalistici del territorio.

Ma rimase in sostanza lettera morta. L’Emilia-Romagna fu la prima a recepirla, seguita credo solo dalla Liguria. Scegliemmo la strada di un Piano, che attraverso norme o direttive poteva intervenire su tutto il complesso del territorio, e a cui quindi tutti i soggetti, privati o Comuni che fossero, dovevano adeguarsi. Una scelta molto forte e innovativa.

Ma anche contestata?

Sì, ricordo soprattutto il divieto di escavazione nel Po e negli altri fiumi che andava a incidere sulle attività di cava, tra le più remunerative, la Regione pose il vincolo ben oltre i 150 metri dai parchi fluviali. I fiumi e la costa furono senz’altro il teatro delle attività di salvaguardia più significative. Ma penso anche a molti enti locali, risentiti perché vedevano invasa la loro capacità di pianificazione.

Un esempio?

Quello era il periodo in cui la Riviera fu invasa dalla mucillagine. Gli operatori turistici, preoccupatissimi, volevano costruire piscine sulla spiaggia per non perdere clienti: sulla base dei singoli piani regolatori comunali magari avrebbero anche potuto riuscirci, il nostro Piano lo vietava. Per la sinistra fu un’operazione coraggiosa portare avanti questa battaglia: servì a creare una cultura ambientale che oggi diamo per scontata ma che allora non c’era. Anche se nella nostra regione i vincoli ambientali erano già una tradizione in molti Comuni.

La soddisfazione più grande?

Quando ho incontrato sindaci che dopo anni mi hanno dato ragione. Ma anche vedere che la Convenzione europea del 2000 andava nella direzione da noi già intrapresa. La Regione poi mi ha fatto un vero regalo di compleanno: con assessori e tecnici di Regione, Provincia e comuni dovrò redigere il documento con le linee di azione del nuovo Piano paesistico regionale, per recepire proprio la Convenzione europea.

Quali sono le nuove sfide da raccogliere?

Si tratta di spostarsi dalla tutela, ormai un dato acquisito, a progetti specifici di riqualificazione e recupero di paesaggi degradati. Oggi con la globalizzazione c’è una forte competizione territoriale, in Italia, allora dobbiamo investire sul Bel Paese, non a caso nel programma del nuovo governo si punta sul turismo culturale e sullo sviluppo della qualità urbana.

E per quel che riguarda la Riviera Adriatica?

Intanto a 20 anni dal Piano paesistico si deve decidere cosa fare delle colonie. Senza massacrarle e senza speculazione, penso al modello dei castelli in Trentino riconvertiti in Bed&Breakfast o in beauty farm. Insomma bisognerà unire un progetto paesaggistico a uno di gestione economica. Le colonie sono un grande patrimonio che può portare al rilancio del turismo. Poi occorrono incentivi per la riqualificazione di alberghi e di alcune aree cittadine.

Altre linee d’azione future?

Creare finalmente dei parchi fluviali che siano veramente tali. L’Emilia-Romagna è un pettine: il dorso è l'appennino, con i fiumi che “affondano” nel territorio. I piani regolatori comunali hanno sempre voltato loro le spalle, occorre una riqualificazione che ne faccia le vere porte di accesso alle città. L’Appennino e i fiumi sono la nostra risorsa ambientale, da valorizzare e rendere fruibili in un’unica rete ecologico-ambientale. Perché, per dirla con una battuta, non si può andare sulla costa tutti i fine settimana.

Cosa pensa del ricorso del WWf contro il campo da golf sulla collina bolognese?

Non ne conosco il dettaglio, vedo che si contesta il campo come «urbanizzazione privata»: in effetti, se è a pagamento non si può in alcun modo definire pubblico. Ma il vero punto è capire se questo campo è un’attività compatibile con la “migliore fruizione del bene da tutelare”, cioè la collina.

Insomma una questione di interpretazione?

Per la giunta comunale evidentemente il campo scuola garantisce questa migliore fruizione, io lo trovo molto discutibile. L’unico modo per facilitare l’accesso alla collina è predisporre pulmini pubblici, chioschi e gazebo gestiti dalle associazioni nei parchi esistenti, come al Cavaioni, per incentivare trekking e passeggiate. Così invece c’è il rischio che, se il campo da golf fallisce, la costruzione venga trasformata in una villa privata: bisogna capire qual è la volontà della proprietà, la giunta deve vigilare.

Postilla

La rilettura di uno strumento, il PTPR della Regione Emilia Romagna divenuto quasi un simbolo di una ideologia di pianificazione che, benchè indulga all'autocelebrazione, è quasi interamente condivisibile (ma che la tutela sia un dato ormai unanimemente acquisito è affermazione pericolosamente ottimistica e metodologicamente errata: la tutela non è un elemento statico, ma un processo che si evolve).

Il PTPR ha rappresentato certamente un punto di innovazione e di avanzamento della cultura ambientalista in Italia e come tale fu ampiamente apprezzato, fra gli altri, da Antonio Cederna, anche perchè fu il risultato di uno sforzo interno di un'amministrazione pubblica. All'epoca, Felicia Bottino, era la lungimirante assessora all'urbanistica di una regione che si faceva carico dei propri ruoli di pianificazione e gestione del territorio. Adesso, il nuovo incarico finalizzato all'adeguamento del PTPR viene dato alla presidente di una società esterna...(m.p.g.)

L'obiettivo del seminario è stato indicato da tempo ed è noto a tutti i partecipanti: proseguire un percorso già avviato con il seminario dell'autunno 2004 volto ad elaborare un nostro autonomo punto di vista sulla qualità dello sviluppo della nostra provincia, ragionando sulla qualità dell’abitare, dei servizi, degli insediamenti produttivi e commerciali, della mobilità delle merci e delle persone.

Al nostro maestro, l'urbanista Eduardo Salzano, sono piaciute tre cose della nostra iniziativa: il titolo, il taglio, la continuità.

Il titolo “più piazze e meno mattoni” (ma avremmo potuto dire meno cemento e meno asfalto) perché esprime molto sinteticamente l'obiettivo che vogliamo proporci: restituire le nostre città e paesi alla società, ridurre l'edificazione allo stretto indispensabile per allargare lo spazio destinato alla fruizione di tutti cittadini.

Il taglio di questa giornata di studio, con l'ausilio dei nostri relatori, ci consentirà di dare un primo sguardo alle carte tecniche delle scelte sul territorio per valutarle nell'interesse dei lavoratori e dei pensionati.

Studiare per comprendere, comprendere per cambiare com'è stato in tutta la nostra centenaria storia. La continuità dell'impegno intorno ad una materia fondamentale per riportare l'attenzione del sindacato sul territorio programmando successivi approfondimenti, zona per zona, con l'obiettivo di aprire un cantiere finalizzato all'avvio della contrattazione sociale territoriale.

La qualità urbana insieme alla qualità sociale costituiscono infatti un pezzo rilevante della strategia che abbiamo definito nel nostro recente congresso.

Abbiamo detto che non si controlla il processo lavorativo se l'azione sindacale non ricomprende tutta la filiera delle esternalizzazioni, delle terziarizzazioni, degli appalti, se cioè non si ridefinisce il perimetro della catena lunga e diffusa della produzione di una merce o di un servizio.

È NECESSARIO UN SALTO CULTURALE

Quello che ci si richiede è un salto culturale, politico e organizzativo per connettere la contrattazione di secondo livello con la contrattazione sociale nel territorio.

Una contrattazione questa capace di assumere il territorio in quanto spazio fisico interconnesso con le dinamiche produttive. Essa è indispensabile perché la contrattazione nel luogo di lavoro possa disporre di un'iniziativa esterna in materia di qualità delle zone industriali e commerciali, della logistica, dei trasporti, della politica industriale, della formazione e della ricerca.

Un contrattazione che sappia assumere il territorio come luogo del vivere e dell'abitare. L’obiettivo è quello di accompagnare la contrattazione del salario con una contrattazione sociale territoriale in grado di ottenere risultati dai servizi (dagli asili nido ai servizi di assistenza degli anziani), la sanità, la casa, i trasporti, i beni comuni prodotti dai servizi pubblici locali (acqua, ambiente, energia), l'integrazione dei migranti, la vivibilità urbana.

E’ una scelta di allargamento del campo d'azione del nostro lavoro sindacale che vogliamo affidare ai costituendi consigli di zona per tenere insieme il luogo di lavoro e la sua inscindibile relazione con il contesto territoriale, nei suoi diversi aspetti di organizzazione e pianificazione dello spazio urbano, di equilibrio ambientale, di qualità ed efficacia del welfare locale. E ’ sul primo aspetto che oggi vogliamo concentrarci. Una mutazione gigantesca, formata dalla somma di trasformazioni diffuse e capillari, ha investito negli ultimi decenni la nostra provincia. Un diluvio di cemento che ha deturpato uno dei paesaggi più belli d'Europa.

Con mirabile capacità di sintesi scrive il vicentino Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera: "Un blocco di cemento di 1070 metri cubi: è questa la dote portata alla provincia di Vicenza da ogni abitante in più dagli anni 90. Crescita demografica:più 52 mila abitanti pari al 3%.Crescita edilizia: 56 milioni di metri cubi, pari a un capannone largo 10 metri, alto 10 e lungo 560 km.

Ne valeva la pena? Valeva la pena di insultare ciò che resta delle campagne care a Meneghello con giganteschi scheletri di calcestruzzo tirati su spesso solo per fare un investimento” incentivato dalle varie leggi Tremonti e oggi tappezzati di cartelli "affittasi capannoni”?

TUTTO QUESTO CEMENTO NE VALEVA LA PENA?

Di capannoni, nel migliore dei casi, pensati per produzioni povere realizzate con tecnologie semplici, non più in grado di reggere la competizione internazionale.

L'ing. Natalino Sottani ci spiega che nell'ultimo mezzo secolo la popolazione della nostra provincia è cresciuta del 32% , mentre la superficie urbanizzata ha subito l'impennata del 324%: 10 volte di più. Di converso, ovviamente, registriamo un crollo di terreni destinati all'agricoltura.

Un consumo di territorio abnorme, disordinato, sprecone, indifferente a tutti i rischi. Esso ha generato:

1) una mobilità multidirezionale delle merci e delle persone, quasi sempre su mezzi privati, che congestiona il traffico, avvelena l'aria e soffoca la nostra esistenza;

2) una crescita urbana senza forma che ha impermeabilizzato il territorio, rallentato la ricarica delle falde e nel contempo provoca frequenti esondazioni dei corsi d'acqua;

3) Un modello di urbanizzazione costoso in termini di distruzione di suolo agricolo, di aumento di spese di energia e di tempo nonché insostenibile da un punto di vista ambientale e scarsamente competitivo rispetto ad altri modelli territoriali;

4) Si tratta della dispersione insediativa per la quale gli americani coniarono il termine “sprawl town” letteralmente: città sdraiata sguaiatamente.

L’AMBIENTE COME UNA MARMELLATA

In sostanza, un ambiente urbano a marmellata sempre più privo di forma e memoria dei luoghi e vissuto come alienante dalle nuove generazioni;

Questo fenomeno di “sprawl”, cioè di una città cresciuta in modo anarchico, senza forma, priva di regole ovvero con il metodo "fai-da-te" la si può riconoscere con qualche approssimazione osservando in particolare cinque aree: - la prima: La strada mercato Montebello Vicenza - la seconda: la conurbazione lineare della Valle del Chianpo - la terza: la bassa Valle dell' Agno - la quarta: la conurbazione multicentrica dell’Alto Vicentino tra Thiene e Schio - la quinta: il Bassanese Il documento preliminare della Provincia analizza criticamente il modello di sviluppo sin qui praticato, ne certifica la crisi e si propone di perseguire "una nuova qualità urbana, territoriale, ambientale e paesistica" . Ne siamo felici!

GLI OTTO OBBIETTIVI DEL PIANO

Così come non possiamo non esprimere il nostro consenso rispetto all’obiettivo dichiarato dalla Provincia di “sviluppare un progetto di territorio che risponda ai seguenti obiettivi:

a) Tutela e valorizzazione del patrimonio territoriale, nelle sue molteplici dimensioni identitarie, paesistiche, ambientali, socio-economiche e culturali, come base essenziale per un nuovo sviluppo locale autosostenibile.

b) Blocco dell’ulteriore espansione della città diffusa e avvio di una sua riqualificazione in forma di sistema policentrico organizzato per nodi, ciascuno dei quali dotato di adeguati spazi, funzioni di eccellenza in rete e servizi di interesse collettivo.

c) Qualificazione dei progetti infrastrutturali in funzione del progetto complessivo di territorio e delle sue qualità.

d) Razionalizzazione delle aree per insediamenti produttivi, oggi ridondanti, anche attraverso la rilocalizzazione delle attività nelle aree ecologicamente attrezzabili.

e) Valorizzazione del ruolo multifunzionale dell’agricoltura in campo culturale, ambientale, paesistico, economico, turistico.

f) Difesa e riqualificazione del piccolo commercio e delle reti corte di commercializzazione dei prodotti locali disincentivando le grandi superfici di vendita e promuovendo i centri commerciali naturali.

g) Riequilibrio ecologico e difesa della biodiversità mediante la messa in rete delle aree a più elevata naturalità e delle matrici ambientali potenziali attraverso corridoi ecologici, e la previsione di azioni di mitigazione delle aree a maggiore criticità.

h) Qualificazione del ruolo del territorio vicentino nel sistema metropolitano veneto a partire dalle proprie eccellenze multisettoriali e dalla loro valorizzazione in filiere integrate, radicate nel territorio e fondate sui patrimoni territoriali specifici.

Tra gli otto obiettivi indicati i primi due sono i meno scontati e quindi in particolare riscuotono il nostro interesse e la nostra approvazione: la tutela dell'identità paesistica ed ambientale e il blocco dell'ulteriore espansione della città dispersa.

PRIORITÀ ALLA SALVAGUARDIA

Tuttavia questi condivisibili obiettivi sembrano essere contraddetti dal pesante impatto dei grandi progetti infrastrutturali che il piano prevede. La tutela dell'ambiente, "l'idea di uno sviluppo basato sull'amore per il territorio e sulla valorizzazione delle risorse ambientali e storico architettoniche" non può essere considerato infatti un obiettivo tra gli altri bensì l'obiettivo a cui subordinare tutti gli altri.

Un esempio di scelte contraddittorie con l'assunto della tutela ambientale è la previsione di realizzare la Valdastico sud e nord. La dotta citazione di Carlo Cattaneo usata dalla presidente Emanuela Dal Lago per giustificare l'opera, è davvero bizzarra e impropria: come si può sostenere che l'utilità dell'opera è motivata dalla scelta "strategica" di favorire "l'accessibilità dei beni ambientali e culturali " del Basso vicentino?

Non basta certo un'operazione di cosmesi che ribattezza la famigerata Pirubi in “autostrada delle ville" per attenuarne l’impatto ambientale. Peraltro non possiamo non condividere quelle che sembrano essere anche le preoccupazioni della presidente della provincia quando, qualche pagina prima, afferma che la nostra provincia “si trova in un crocevia altamente problematico", a causa della previsione di altre due infrastrutture: l'alta capacità ferroviaria, l'asse autostradale pedemontano. “Quest’ultima si scontra, in particolare nel Bassanese, con le preesistenze del modello insediativo diffuso".

Ma anche, aggiungo io, con il pesante impatto che quest'ultima avrebbe in particolare a Montecchio Maggiore, interessata da entrambe le infrastrutture. Valdastico sud, autostrada pedemontana, alta capacità ferroviaria e, con tempi più lunghi, Valdastico nord, sono tutte infrastrutture progettate per "collegamenti internazionali, nazionali e di area vasta" come finisce per ammettere il preliminare al piano. Altro che autostrada delle ville.

Nessuna di queste infrastrutture è pensata e progettata al servizio del territorio, ovvero per alleggerire la congestione del traffico nella nostra provincia.

TRASPORTO PUBBLICO DOVE SONO I PROGETTI?

La realizzazione del sistema ferroviario metropolitano infatti è una prospettiva molto lontana nel tempo e il condivisibile obiettivo di potenziare il trasporto pubblico locale su rotaia non è supportato da alcun progetto concreto. La concreta pratica amministrativa della provincia evidenzia la più completa inerzia anche rispetto alla proposta più volte avanzata da Cgil-Cisl-Uil di razionalizzare e potenziare il trasporto pubblico su gomma attraverso la fusione tra Ftv e Aim e l'integrazione con il trasporto su rotaia.

Mi sia consentito di rilevare che in questa battaglia il sindacato non ha ancora avuto quel sostegno che sarebbe stato necessario da parte dei comuni. L’obiettivo è quello di creare un’unica azienda provinciale del Trasporto pubblico locale, trasformando linea ferroviaria di Trenitalia a metropolitana di superficie gestita dagli enti locali e riconvertendo il ruolo degli autobus Ftv in adduttori di traffico verso le stazioni della stessa metropolitana.

E ancora, è proprio utopistico prendere in considerazione la possibilità di rimettere in funzione la vecchia linea Valdagno, Montecchio, Vicenza riprogettandola come moderna linea tranviaria in uno dei territori più congestionati della provincia a causa del traffico automobilistico? In assenza di una decisa svolta in tema di mobilità, fondata sul trasporto pubblico su rotaia al servizio del territorio, non sarà possibile risolvere il problema della congestione del traffico.

È pia illusione pensare che le grandi infrastrutture progettate possano portare un contributo in questo senso; anzi, questa volta ha proprio ragione Emanuela Dal Lago quando afferma che la pedemontana e l'alta capacità (ma farebbe bene ad aggiungere anche la Va l d a s t i c o ) "rischiano di considerare il vicentino più uno spazio di transito ricco di impacci che di un territorio da servire ricco di opportunità".

Il secondo obiettivo condiviso è il blocco dell'ulteriore espansione della città dispersa ovvero quello che abbiamo chiamato lo “sprawl”. L'obiettivo è quello di costruire un nuovo policentrismo organizzato per nodi, ciascuno dei quali dotato di adeguati spazi, funzioni di eccellenza in rete e servizi di interesse collettivo. Proviamo ad esaminare più da vicino questo fenomeno di “sprawl” osservando le già citate quattro/cinque grandi aree:

LA STRADA MERCATO MONTEBELLO – VICENZA

Lungo la statale 11 è cresciuta una del più vaste strade mercato del Veneto: un continuum di case, capannoni, piazzali, ipermercati, negozi, strutture commerciali che ignorano i confini comunali, cancellando la campagna, distruggendo paesaggi, provocando l'annullamento di un'autentica vita sociale della città. Un' area questa sottoposta a processi di terziarizzazione strisciante, priva di un governo delle trasformazioni e nella quale sono stati censiti centinaia di abusi nelle destinazioni d'uso, particolarmente nella zona industriale ovest, che favoriscono processi di deindustrializzazione e premiano la rendita immobiliare.

IL SISTEMADELLE VALLI

Il sistema delle valli, con particolare riferimento alla valle del Chiampo e a quella dell'Agno, interseca la strada mercato Montebello – Vicenza contribuendo ad aggravare, congestionando, ilnodo Alte-Montecchio. La conurbazione lineare della valle del Chiampo con insediamenti a nastro lungo la strada provinciale e nella tratta verso Montebello si configura come una strada mercato con un'elevata concentrazione di attività inquinanti. Nonostante alcuni risultati raggiunti con il progetto "Giada" la valle si trova ancora in una situazione di grave dissesto ambientale.

La conurbazione lineare della valle dell'Agno presenta significative differenze tra l'alta valle (Valdagno e Recoaro) e la bassa valle. È quest'ultima in particolare, tra Cornedo e Castelgomberto, con Brogliano e Trissino a presentare il più accentuati fenomeni di sprawl urbano.

Valdagno invece si presenta sempre più come una città bifronte alla ricerca di una propria identità posta in crisi dai processi di delocalizzazione della Marzotto. Da un lato guarda ancora verso Montecchio, soprattutto in materia di mercato del lavoro, dall'altro ricerca sempre più una propria identità all'interno dell'alto vicentino.

Abbiamo già visto come il tema dell'accessibilità, o meglio, della mobilità di questi territori, sia fondamentale. La variante alla 276 potrà contribuirvi, a mio parere, in modo limitato. La gestione del tunnel da parte degli enti locali potrà contribuirvi.

Il chiaro e netto No alla centrale termoelettrica di Montecchio non può che essere riconfermato considerando quanto congestionato e compromesso sia quel territorio. Al solo scopo di provocare il dibattito tra i tanti problemi dell'area, mi permetto di indicarne tre:

1) per Valdagno, il ruolo della Marzotto;

2) per la valle del Chiampo e Montecchio il tema della sostenibilità ambientale dello sviluppo;

3) per la valle del Chiampo e Montecchio il tema dell'integrazione dei lavoratori stranieri che sempre meno possiamo considerare migranti ma popolazione stabile senza diritti di cittadinanza.

LA CONURBAZIONE MULTICENTRICA DELL'ALTO VICENTINO TRA THIENE E SCHIO

È questo un territorio che negli ultimi decenni ha avuto uno sviluppo produttivo-residenziale di notevoli dimensioni soprattutto lungo le fasce pedemontane e nell'area interclusa tra i due centri di riferimento di Schio e Thiene.

Tale espansione è stata talmente pervasiva che l'urbanizzazione dei singoli comuni è andata a saldarsi con quella dei comuni contermini, come nel caso di Thiene con Zanè, ponendo una molteplicità di problemi. Oggi siamo però in presenza di una inedita volontà delle amministrazioni comunali di “stare in rete”.

Da un lato le iniziative promosse dalla Fondazione Festari, che fanno perno su Schio, Thiene e Valdagno, indicano la volontà di questi enti locali di progettare un futuro comune. Dall'altro la gestione comune dei servizi pubblici locali ci dice che la strada è percorribile a beneficio dei cittadini. Anche noi vogliamo contribuire a sciogliere alcuni nodi irrisolti.

Mi limito ad indicarne tre. Sul piano la ferrovia, ho già detto. Il secondo riguarda la scelta di sostenere l'amministrazione comunale di Schio in materia di sanità, onde impedire che, attraverso il progettato nuovo ospedale in projet financing, si finisca da un lato per favorire una privatizzazione surrettizia di pezzi di sanità e dall'altro di ipotecare per molti anni rilevanti risorse di quella Ulss per operazioni immobiliari, quando invece è certamente più utile e necessario impegnarle per migliorare la qualità di servizi.

Sul terzo, la variante alla strada provinciale 349 T h i e n e - G a r z i e r e - Schio non ho un'opinione precisa. So che esiste il nodo critico delle Garziere. Ma le domande che pongo sono le seguenti: è proprio necessario occupare altro suolo agricolo?

E qualora la risposta fosse purtroppo affermativa: come impedire che lungo il nuovo asse stradale nascano nuovi insediamenti compromettendo così le poche aree agricole rimaste nelle zona?

IL BASSANESE

Rappresenta certamente uno dei casi più emblematici di sprawl urbano a livello italiano. Basti pensare che Bassano conta circa 40.000 abitanti, ma se si considera la città di Bassano oltre i confini comunali, allora essa conta circa 100.000 abitanti. Esistono, in tutta evidenza, quartieri bassanesi ricadenti al di fuori del confine comunale che hanno in qualche modo contribuito ad uno sviluppo della città privo di forma e razionalità, ad un bilancio di servizi deficitario, ad uno sviluppo urbano talmente frazionato da rendere estremamente difficile la pianificazione unitaria. L'espansione ha seguito per decenni un processo del tutto ingovernato o, meglio, ha seguito logiche puramente immobiliaristiche, riempiendo tutte le strade radiali e costruendo un sistema insediativo del tutto privo di gerarchie.

L’esempio bassanese dimostra che la pianificazione non può essere limitata al singolo livello comunale ma deve al contrario coinvolgere un livello d'area vasta e tenere conto del bacino di influenza e interazione. Anche dal punto di vista ambientale questo territorio si presenta molto fragile. Il Brenta e i suoi a ffluenti, le numerose cave, la fascia delle sorgive, sono elementi che necessitano di un intervento decisivo rivolto alla riqualificazione ambientale.

La drammatica vicenda dell'avvelenamento delle acque con cromo esavalente prodotto a Tezze sul Brenta dalla Tricom Industrie Galvaniche non chiama in causa solo un imprenditore senza scrupoli ma è anche un atto d'accusa contro trent'anni di sviluppo produttivo senza regole e senza controlli.

Un danno ambientale enorme calcolato dall'avvocato dello Stato in 160 milioni di euro. Un danno per la salute dei cittadini colpiti che non ha prezzo. Forse, dopo Porto Marghera, è il più grave disastro ecologico della nostra regione che interroga anche noi e il nostro ruolo di sindacato dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. Per questo abbiamo invitato qui oggi alcuni rappresentanti del comitato che si è costituito a S.Pietro ringraziandoli per il contributo che vorranno darci.

In questo quadro diventa di fondamentale importanza la valutazione reale dell'impatto sul territorio del progetto della nuova pedemontana: ci si chiede se essa possa concorrere realmente al riassetto del territorio o se invece aumenti ancora di più la fragilità di quest'area.

Al di fuori di questo quadro alquanto critico, rimangono, poi, aree del vicentino che essendo marg i n a l i non sono state aggredite così ferocemente dallo sprawl urbano. Si tratta dell'altopiano di Asiago e del Basso vicentino.

Per l'Altopiano già da parecchi anni esistono politiche mirate alla riqualificazione e al rilancio del territorio considerato un bene in grado di produrre ricchezza attraverso interventi diretti a salvaguardare le montagne di prodotti locali, ad offrire le strutture per un turismo più responsabile sostenibile, come ad esempio la realizzazione di una rete di percorsi ciclo pedonali. Rimangono tuttavia problemi legati all'abbandono della montagna da parte di giovani, la carenza sempre maggiore di servizi a persona (si veda la chiusura della struttura riabilitativa di Mezzaselva). Il Basso vicentino, tradizionalmente agricolo, con la presenza non poco rilevante di numerose ville venete, oggi è seriamente messo in pericolo dall'eventuale realizzazione della Valdastico sud. La realizzazione della nuova autostrada non porterebbe sensibili benefici da un punto di vista viabilistico e comprometterebbe invece certamente il paesaggio agricolo e le ville venete.

Risulterebbe così in controtendenza con le idee che pian piano stanno prendendo piede in tutta Europa e che chiedono di considerare la qualità del territorio, della città e dell'ambiente come valore economico e vedono nelle risorse non rinnovabili (acqua, aria, ma anche paesaggio agricolo...) beni da difendere dai quali trarne beneficio in termini di qualità della vita.Infine Vicenza. La città capoluogo sembra essere aggredita dalle lobbies della rendita immobiliare. Dopo qualche anno di silenzio è tornato Crocioni il cui piano, costato un paio di miliardi di vecchie lire era finito in un cassetto.

IL RITORNO DEL PIANO CROCIONI

Nel frattempo l'amministrazione Hullwech ha adattato gli strumenti urbanistici alle pretese di vari operatori privati interessati ad edificare molte migliaia di metri cubi. E così nascono dietro sigle astruse, come i Piruea, almeno un milione di metri quadrati di nuova edificazione. Una follia per una città di poco più di 100.000 abitanti.

Il nostro auspicio è quello che le forze democratiche della città siano in grado di ottenere la loro decadenza ed impegnino invece l’ amministrazione cittadina città all'elaborazione del PATI cioè di uno strumento di pianificazione su scala sovracomunale capace di riconnettere i comuni della cintura con la città capoluogo, di puntare sul recupero e la riqualificazione anziché sull'espansione affermando il diritto all'ambiente, alla mobilità, alla casa, al lavoro, alla salute, all'istruzione e poi anche di off r i r e opportunità formative e culturali.

Ciò è tanto più necessario se si considera che a Vicenza la popolazione è diminuita nel cuore antico della città. La città si è allargata perché tanti vicentini sono andati a vivere nei comuni della cintura alla ricerca di una qualità della vita urbana migliore. Ma spesso le vere ragioni vanno ricercate nell'abnorme aumento dei canoni d'affitto.

Negli ultimi anni la diminuzione del costo dei mutui ha favorito l'accesso al credito ma la crescita del prezzo degli immobili ha comportato l'indebitamento delle famiglie. Sono aumentati proprietari di case, ma anche in misura consistente le famiglie che non ce la fanno pagare il canone d'affitto, sulle quali specula la giunta Hullwech, discriminando i migranti e i non vicentini tra quanti possono accedere alle case popolari. Un bell'esempio di politica dell'integrazione!

CONCLUSIONI

Vicenza continua a consumare i suoi suoli, e quindi il suo futuro, con vorace e irresponsabile accanimento. Occorre dire basta all'espansione e dedicarsi alla riqualificazione: questo è l'obiettivo. Compito della pianificazione urbanistica è quello di creare città più vivibili e di contribuire alla maturazione di una coscienza civile.

Noi ci riconosciamo in quello che ha scritto, con grande efficacia, il professor Salzano: “Ricostruire una città umana significa eliminare la congestione, restituire alle piazze la loro funzione originaria di luogo di incontro, di scambio di esperienze, significa rendere accessibile per i deboli, come per i forti, i luoghi della vita collettiva e i luoghi della vita privata, significa fare della città il luogo nel quale i differenti ceti, i differenti mestieri, funzioni sociali, differenti etnie, abitudini, culture si mescolano e si scambiano reciproci insegnamenti”. La visione è un invito alla socialità, se possibile alla socievolezza, la città come luogo della libertà e della crescita personale.

Se un'altra idea di città stenta ad affermarsi è perchè ad essa si contrappone un altro punto di vista: quello della rendita immobiliare. Essa concepisce il territorio come un insieme di proprietà ciascuna delle quali deve tendere alla massima valorizzazione economica, mediante la sua trasformazione in edifici, piazzali e strade. E per ottenere questo obiettivo si mobilita e preme su chi ha il potere di decidere e spesso riesce ad influenzare anche chi non avrebbe alcun interesse per farlo.

Il nostro punto di vista considera invece il territorio come una risorsa dell'umanità e la casa della società. Per affermare il nostro punto di vista occorre che le forze sociali, a partire dal sindacato, sappiano porre all'attenzione dei pubblici poteri i problemi reali e le soluzioni giuste e possibili perché sia praticato un rigoroso governo pubblico delle trasformazioni del territorio finalizzato all'interesse collettivo e all'impiego parsimonioso delle risorse.

E’ questo che ci attendiamo dalla redazione del piano territoriale provinciale di coordinamento. Noi che rappresentiamo uno dei più importanti soggetti della società civile vicentina ci proponiamo di portare il nostro contributo di idee, di capacità, di competenze, di conoscenza del territorio.

L'articolo di presentazione del convegno, di Oscar Mancini, su Vicenza Lavoro n. 21

“Va bene, allora grazie di essere venuti, forse può essere utile spiegare con maggior dettaglio quello che sta accadendo attorno al centro commerciale di Sestu. Intanto vale la pena ricordare che non sono gli assessori o il presidente della Regione a fare atti amministrativi, sono i dirigenti della Regione, nella loro indipendenza, da questo punto di vista. In questo caso col nostro pieno sostegno e con la nostra piena approvazione per quanto stanno facendo.

Che cosa è accaduto? Siamo arrivati alla fine di un processo lungo, che noi abbiamo iniziato da tempo. Abbiamo cercato di capire, anche con la precedente amministrazione comunale, e abbiamo approfondito anche con la nuova amministrazione comunale. Informalmente anche da prima, con delle riunioni, ma poi, formalmente, con una nota del maggio del 2005, abbiamo chiesto spiegazioni su quello che stava accadendo: abbiamo chiesto di capire meglio il progetto, perché ormai a Sestu stava emergendo la possibilità o il pericolo che si stesse portando a compimento un progetto molto diverso rispetto a quello originariamente proposto.

Un progetto appunto non di un centro commerciale di 5.000 metri quadri, ma un progetto di un centro commerciale, unitario, di oltre 50.000 metri quadri, di 60.000 metri quadri. Quindi abbiamo iniziato a chiedere dettagli, spiegazioni, su che cosa sta accadendo. Si tratta di una semplice lottizzazione commerciale? Dove ci sono tante attività separate? O non si tratta per caso di un progetto unitario? Con servizi unitari? Collegato funzionalmente, pensato in maniera unitaria? Promosso in maniera unitaria? Commercializzato in maniera unitaria? Con impianti unitari?

Abbiamo chiesto questi dettagli, che sono tutti quei dettagli che qualificano un centro commerciale. Abbiamo assistito ad una resistenza strana di tutte le parti interessate, soprattutto dal Comune che non ci dava dei documenti. Li abbiamo chiesti il 31 maggio, è passato giugno, è passato luglio, il 4 agosto glieli abbiamo sollecitati, solamente un mese dopo ci hanno dato qualche informazione, a settembre, cioè con 4 mesi di ritardo, e questo segnala anche una carenza del potere di controllo della Regione in questo momento, una storia che occorrerà forse riprendere in altri momenti. Sono stati aboliti gli organismi di controllo e in questo momento la Regione non ha nemmeno la possibilità di controllare gli atti di un Comune.

Tale provvedimento si rendeva indispensabile, allora l’8 settembre, visto che continuavano a non mandarci i documenti, gli abbiamo detto che sospendevamo il parere rilasciato dalla Regione. Solamente dopo questo, il 29 settembre, quindi dopo 5 mesi, l’ufficio urbanistica del Comune di Sestu invia alla Regione una documentazione in parte attinente a quanto richiesto: una documentazione totalmente insufficiente. Pur da questa documentazione insufficiente risultava, poi è stata chiesta un’ispezione all’ufficio di vigilanza ed urbanistica. Risultato? Quel piano di lottizzazione originariamente approvato era stato assolutamente variato, o meglio, i lavori erano stati totalmente, di molto variati rispetto ai piani della lottizzazione approvata. E queste differenze determinavano un quadro di riferimento gravemente alterato, rispetto a quello esistente alla data della conferenza di servizio del dicembre del 2001, ed evidenziavano che di fatto si stava facendo un unico grande centro commerciale.

Qui siamo a fine settembre 2005, e quindi invitavamo il Comune di Sestu a tutti gli atti conseguenti. In realtà gli dicevamo: ‘Stai attento che questo è un unico centro commerciale. Il nulla osta che avevamo precedentemente dato era per 5.000 mq, poiché ne state facendo uno di 60.000 mq quel nulla osta è sospeso e viene avviato un procedimento per farlo decadere’.

Quindi si sta facendo un centro commerciale totalmente fuori dalla programmazione e dall’autorizzazione regionale. Se questo è vero, come la Regione ritiene sia vero, il Comune di Sestu deve adottare gli atti conseguenti e annullare le concessioni, le autorizzazioni amministrative, e prendere anche dei provvedimenti sulle concessioni edilizie.

Il Comune di Sestu ci ha risposto che a suo avviso non doveva far nulla, con una lettera che vi diamo in cartella, perché, spiega il Comune di Sestu che cosa è un centro commerciale. Dice… vi prego di leggerla perché vale più di qualsiasi mio parere. Dice, nel terzo capoverso: ‘…ad avviso di questo Comune le concessioni e autorizzazioni commerciali, rilasciate nell’agglomerato commerciale in argomento, non possono definirsi non conformi al dettato normativo. A norma della vigente legislazione in materia non può essere condiviso l’assunto che ci troviamo davanti a un'unica grande superficie di vendita’.

Qui, secondo il decreto legislativo del 1998, la cosiddetta legge Bersani, dice, definisce cos’è un centro commerciale: ‘…perchè una pluralità di attività commerciali possa essere identificata quale grande, unica struttura di vendita, occorre che congiuntamente più esercizi commerciali siano inseriti in una struttura a destinazione specifica, fruiscano di infrastrutture comuni, abbiano spazi gestiti unitariamente, abbiano spazi di servizi gestiti unitariamente. Quindi, perché sia un centro commerciale, una grande struttura di vendita, occorre che congiuntamente più esercizi commerciali siano inseriti in una struttura a destinazione specifica, fruiscano di infrastrutture comuni, abbiano spazi di servizi gestiti unitariamente’.

Poi, siccome non basta la legge Bersani, dice: ‘…in questo senso, anche la citata decisione del Consiglio di Stato del 2004, punto’. Questo è quello che dice la Legge Bersani e questo è quello che conferma il Consiglio di Stato nel 2004. Poi dice: ‘…nulla di tutto questo è presente nelle strutture commerciali in argomento. Ci troviamo di fronte a più esercizi commerciali, non solo formalmente, ma materialmente e di fatto assolutamente distinti tra loro’. E allora io dico che qualsiasi persona di buon senso può andare lì e vedere se ci troviamo davanti a strutture commerciali, non solo formalmente, ma materialmente e di fatto assolutamente distinte tra loro.

Io credo che lì, insomma, siano non solo formalmente assieme, ma di fatto e in tutte le maniere possibili. E come questo? Intanto, basta vedere la pubblicità che fanno: dal 7 aprile, usano dei nomi strani, shopping al nuovo centro dell’isola, la ‘Corte del Sole’, poi sotto, la ‘Corte del Sole’ è citata come centro commerciale, quindi, di fatto è un grande centro commerciale e mi sembra che sono tutti assieme, non mi sembra che si siano presentati da soli.

Poi abbiamo un po’ di spazi comuni: parcheggi, percorsi, gallerie, impianti di aria condizionata, impianti elettrici, servizi di tutti i tipi e un’unica infrastruttura. Non solo, le persone più indicate per dirci se è un progetto in comune o no sono quelle della la stessa impresa che l’ha sviluppato: il gruppo Policentro. Basta andare nel suo sito e c’è scritto: la ‘Corte del Sole: data di apertura 7 aprile’. E dicono ‘superficie’, non è che dicono: la ‘Corte del Sole è il supermercato di 5.000 mq’. No dicono: ‘Superficie 120.000 mq; posti auto: 3.000’. Non è che dice ‘quel signore ne ha dieci, io ne ho tre, quell’altro ne ha 7…., ma dicono: posti auto 3.000’. Numero attività? Non le distingue. Ci sono tutte queste attività: centro commerciale, 41 negozi, 107 negozi, Iperpan, Semeraro mobili, numero di ingressi… lo presentano assolutamente come un posto comune, un villaggio comune.

Non solo, presentano anche questa roba qui, che vi consiglio a tutti di vedere, non è che presentino cose separate. Che cos’è questo? Mi pare che sia un centro commerciale. Poi le chiamano: un pezzo ‘Shopping Center’, un pezzo ‘Ritey Park’, un pezzo ‘Factory Outlet’, però di fatto è un centro commerciale. Non solo, qui stesso loro scrivono: ‘completezza dell’offerta’, c’è tutto. E dicono: ‘Sestu Center è in grado di allargare il potenziale bacino di utenza a tutta la regione, quindi dicono loro stessi che stanno facendo una cosa regionale, che non riguarda Sestu, riguarda tutta la regione.

Ma la regione la programma la Regione, non il Comune di Sestu. Poi dentro, vedrete che ci sono le piantine di tutte queste cose, e naturalmente le presenta in maniera unitaria. Spazi comuni, parcheggi, percorsi, poi qualcuno cerca di dire adesso che le gallerie sono vie pubbliche. Io vie pubbliche di fatto coperte… non le ho mai viste insomma, o le piazze col tetto non le ho ancora viste in Italia, queste sono una novità… vabbè, quindi basta vedere queste robe qui.

Non solo, queste cose sono depliant che risulta siano stati presentati anche a una recente fiera internazionale di grandi operazioni immobiliari, fuori dall’Italia addirittura. Com’è che dice? ‘Esercizi commerciali non solo formalmente, ma unitariamente, di fatto, assolutamente distinti tra loro’. Non mi pare che i commercianti di Sestu si siano trovati per caso fuori dall’Italia a presentare, ognuno per proprio conto, un pezzo di attività commerciale di fatto assolutamente distinta tra loro. E’ evidente che è un unico progetto. Questi progetti qui si chiamano, come l’ha spiegato bene il Comune di Sestu: centri commerciali. E l’avrei detto anche al Consiglio di Stato. E i centri commerciali sono all’interno delle grandi strutture di vendita, all’interno della programmazione regionale. E la programmazione regionale, già nel 2001, aveva indicato per questo tipo di attività 5.000 mq e loro a quello si dovevano attenere.

Quindi non c’è nessuna attività persecutoria, però c’è unitamente la volontà di far rispettare le regole in questa Regione, perché se non si rispettano le regole allora ognuno va avanti per conto proprio. E scusatemi, noi, la Regione deve essere in grado di far rispettare le regole con i chioschi del Poetto o con il piccolo operatore commerciale o con il piccolo bar, al quale spesso magari mettiamo delle multe o gli facciamo chissà che cosa perché non rispetta le regole. Ma deve essere anche in grado di far rispettare le regole anche davanti ai grandi operatori.

Non è che se una infrazione diventa grande – e perché è grande - deve essere accettata. Le regole devono essere rispettate dai piccoli e dai grandi. E siccome glielo stiamo dicendo da maggio del 2005, è evidente che loro hanno voluto metter tutti quanti davanti al fatto compiuto. E dispiace che un comune abbia impiegato 5 mesi per dare delle indicazione alla Regione, per restituire un pezzo di carta.”

Mario Mossa (Rai):

“Presidente, mi scusi, quale é la situazione a questo punto? Perché per esempio loro dicono che la Regione non deve metter il naso in questa faccenda perché non le riguarda. Cosa accade se loro aprono?”

Presidente Soru:

“Io non so chi dica queste cose. Non lo so. In Italia ci sono dei tribunali. Ieri i dirigenti della Regione hanno emesso due provvedimenti che oggi sono stati notificati. Ho sentito parlare che qualcuno diceva: ‘Non facciamoci trovare; non ce li notificano, si notificano nella casa comunale’. Sarebbe alquanto irriguardoso che il sindaco di un comune si faccia notificare le cose nell’albo pretorio del comune, come fosse uno sconosciuto qualsiasi. Sarebbe un po’ assurdo e spero che questo non accada. Ci sono delle leggi in Italia: e le leggi in Italia si applicano e si rispettano. E se non c’è qualcuno che non rispetta le leggi, il 7 Aprile ci sarà qualcuno che le farà rispettare. Volevo dire una cosa: attualmente ci sono due procedimenti in corso: c’è il nulla osta regionale per le attività commerciali legate alle grandi strutture di vendita, che è in sospeso, e c’è il procedimento di revoca di quel nulla osta che è in corso. La revoca si potrà fare dal 7/8 aprile perché devono passare 15 giorni. In questo momento è aperto il procedimento di revoca del nulla osta regionale; nel frattempo sono sospese. In questo momento è aperto anche il procedimento di annullamento delle concezioni edilizie. Significa che nel frattempo sono sospesi i lavori: nel frattempo non si può più piantare un chiodo. E questo viene notificato al comune, all’impresa, al direttore dei lavori.”

Mario Mossa (Rai):

“Sta avvenendo in queste ore l’opera di notificazione?”

Presidente Soru:

“Credo di sì, non ci vogliono ore per notificare.”

Roberto Paracchini (La Nuova Sardegna):

“I lavori sono già terminati, nel senso che lì hanno già costruito.”

Presidente Soru:

“Mi scusi, noi avremmo fatto questa cosa prima, se avessimo avuto le risposte prima; però ci avevano detto che si trattava di lavori che potevano essere sanati. C’è stata presentata una variante di lottizzazione il 20 marzo. E abbiamo verificato che si tratta di lavori totalmente in difformità. E per questo motivo, ai sensi della legge regionale sull’urbanistica, la dirigenza regionale ha esercitato i poteri sostitutivi e ha avviato il procedimento di avviamento di annullamento alla concessione edilizia, ha sospeso i lavori. Sospendere i lavori significa che i lavori che sono stati fatti sono fatti, i lavori che devono essere ancora fatti non possono essere più fatti - compresi i lavori di ultimazione, di collaudo, di agibilità -.”

Giorgio Greco (Ansa):

“Dal punto di vista dell’iter significa che la Regione, dopo aver ricevuto il 16 gennaio questa risposta, ha dato corso ad un’attività che ha portato al 20 marzo, giusto?”

Assessore Sanna:

“No, come diceva il presidente c’è stata una difficoltà di accesso agli atti, più volte richiesta da noi, e mai ottenute nei termini fissati dalla legge. Dopodiché hanno attivato la vigilanza urbanistica, che è andata a fare i sopraluoghi e ha acquisito presso la sede comunale gli atti relativi all’intervento. Per cui era chiaro che quelle concessioni si configuravano all’interno di una variante che avevano valutato. La variante era difforme alla realizzazione e noi abbiamo notificato al comune che le concessioni si configuravano difformi rispetto alla variante.”

Presidente Soru:

“Quindi in palese contrasto con quello che diceva che si tratta di attività non solo formalmente… ”

Assessore Sanna:

“La prima variante era conforme all’autorizzazione regionale, cioè ottemperava al rispetto dei canoni fissati dalla legge Bersani. L’hanno realizzata difformemente, poi hanno presentato una variante cercando di sanare urbanisticamente le cose. Urbanisticamente non erano sanabili in quanto hanno violato i parametri della legge commerciale che individua le due categorie di autorizzazioni diverse: le competenze comunali e le competenze regionali. Non ci può essere sanatoria in continuità perché questa è una disciplina mista amministrativo-commerciale e urbanistica e la disciplina commerciale individua in un parametro urbanistico la distinzione delle competenze, e quindi si applica contemporaneamente.”

Presidente Soru:

“Forse dobbiamo chiarire che c’è una complessità in questa cosa. Attraverso la legge Bersani ad un certo punto la disciplina delle autorizzazioni commerciali, la disciplina delle concessioni edilizie e la disciplina dell’urbanistica si incontrano; per cui di fatto si dà contemporaneamente una concessione edilizia e una autorizzazione amministrativa convergenti in modo da dare certezza al diritto e alle imprese. Nel momento in cui cade il presupposto dell’attività commerciale, cade anche il presupposto per le concessioni edilizie. Poi non è detto che quei fabbricati in futuro non possano essere considerati apposto dal punto di vista meramente edilizio. Non possono essere considerati apposto dal punto di vista della legge commerciale.”

Valerio Vargiu (Videolina):

“Quindi si esclude che possa essere la Punta Perotti della Sardegna?”

Presidente Soru:

“Non c’è necessità di questo. Escludo che possa essere un centro commerciale fuori da ogni legge. Vorrei suggerire una chiave di lettura interessante: tutta questa cosa come nasce? Dal cercare di trovare degli escamotage attraverso le pieghe della legge. La legge dice, come ha ricordato il sindaco, che le grandi strutture di vendita vanno approvate dalla Regione. La Regione aveva una sua pianificazione, ce l’aveva allora e ce l’ha tuttora; sulla base della pianificazione regionale è stato concesso il nulla osta per una grande struttura di vendita di circa 5000 mq. Poi loro dicono ‘Benissimo: questi 5000 mq mi vanno bene. Però ci aggiungo una media superficie di 2500 mq perché questa la può autorizzare il comune di Sestu'. Poi, anziché aggiungerne una, ne aggiungono 10. Tutte lo stesso momento, una appresso a l’altra. Ma un centro commerciale più un altro negozio, che cosa sono? Un centro commerciale più un altro negozio o un centro commerciale più grande? Un centro commerciale più 10 negozi non sono un centro commerciale più 10 negozi, sono un centro commerciale più grande. Soprattutto se si costruiscono assieme, se sono all’interno dello stesso edificio, se vengono presentati assieme, se hanno servizi comuni, se fanno parte di un progetto unitario, se hanno servizi comuni – compresi quelli di marketing comuni – e in più se fanno anche parte di un unico condominio. E qui è evidente che hanno anche accordi condominiali.”

Roberto Paracchini (La Nuova Sardegna):

“Loro sostengono che c’era un modus vivendi in precedenza accettato. Ad esempio anche Le Vele è stato fatto in questo modo.”

Presidente Soru:

“E’ possibile. Se qualche volta c’è stato un modus vivendi diverso, io non lo so. Noi abbiamo il modus vivendi di far rispettare le cose.”

Assessore Depau:

“Io ho da aggiungere qualcosa sull’inizio di questa procedura. Il primo incontro con il sindaco Taccori, il precedente sindaco di Sestu, è stato fatto nell’estate del 2004, quindi poco dopo il nostro insediamento. Lui è venuto in assessorato, con i suoi dirigenti, ha precisato che era una vicenda del comune, ha assicurato che le carte erano in regola, da lì abbiamo iniziato un’interlocuzione perché l’assessorato ha chiesto l’accesso alle carte ecc., e infine siamo arrivati fino al nuovo sindaco proprio perché noi avevamo di fronte un comune e abbiamo iniziato a trovare un modo di poter controllare una vicenda che già si identificava come ‘pesante’: c’erano già le denuncia degli altri commercianti, che venivano a lamentarsi di questa vicenda - per cui è un processo che è iniziato da subito dopo il nostro insediamento -. Poi con il nuovo sindaco, dopo che abbiamo visto che non arrivavano le carte, abbiamo incominciato a scrivere.”

Presidente Soru:

“Abbiamo iniziato a scrivere e ci hanno risposto dopo 5 mesi.”

Roberta Secci (Agenzia Italia):

“Questo ricorso al Tar, invece, questo è un ricorso contro il comune.”

Presidente Soru:

"Si è un ricorso che serviva contro la risposta del 16 gennaio che diceva che era tutto apposto e che non era obbligato agli atti conseguenti, alla revoca. Io voglio concludere. Per noi la cosa più importante è questa qui: non ci sono, non ci possono essere modus vivendi. L’unico modus vivendi è quello delle regole, è quello del puntale rispetto delle leggi. E noi abbiamo l’obbligo di farle rispettare a tutti. E le facciamo rispettare a tutti i piccoli operatori commerciali: agli ambulanti, ai chioschi sulle spiagge. E qualche volta siamo severi, a volte, perché la legge è qualche volta netta e severa con i piccoli commercianti. E dobbiamo essere netti e severi anche con le grandi imprese e non farci scoraggiare e intimidire. Io credo che la grande distribuzione, che è arrivata fino adesso, sia arrivata all’interno delle leggi: c’era una panificazione commerciale, c’erano dei metri quadri per le superficie di vendita e sono stati dati; ad un certo punto non ce n’erano più : ne erano rimasti 5000. E bisognava utilizzare quei 5000 e non inventarsene degli altri. Per fare una cosa che loro stessi dicono nel sito - e che raccontano nel loro materiale - non essere nemmeno provinciale. Per loro il bacino d’utenza è tutta la regione. Ma questo si può fare al di fuori di ogni regola? Vi volevo dire una cosa: la Regione sta facendo tutto il possibile per evitare lo spopolamento dei comuni, per rafforzare la crescita e la possibilità di vita dei piccoli comuni. È evidente che ciò che agisce sul bacino d’utenza regionale è del tutto contrario a questo tipo di interessi. Siamo interessati a far crescere la città; siamo interessati a far crescere la vivibilità e l’attrattiva turistica di Cagliari; siamo interessati a promuovere la crescita dei nostri piccoli operatori commerciali. Come sapete la nuova legge regionale, ma anche la legge finanziaria, mette a disposizione quasi 10 milioni di euro per i centri commerciali naturali. Quindi è vero che la politica regionale va assolutamente in senso opposto a questo tipo di strutture che sono un grande trasferimento di valori di immobiliari dal centro della città alle periferie. Sono tanti a perdere valore immobiliare e sono pochissimi quelli a guadagnare, in pochissime settimane, delle cifre molto importanti. Oltre a ciò il danno sociale che si fa nei piccoli comuni, nella città di Cagliari e ai tanti operatori commerciali. Un fatto emblematico: un negozio di via Garibaldi, che è stato fotografato, ha già un cartello: ‘Trasferito a Sestu’. Non se ne inventano altri, si chiude a Cagliari e si apre a Sestu. E noi non siamo interessati a svuotare la città.

Nota: a proposito di questo discusso progetto, qui su Mall si vedano anche gli interventi inediti di Sandro Roggio e Antonietta Mazzette, del Centro Studi Urbani dell'Università di Sassari (f.b.)

Vietato tutelare le coste. Il governo contro Soru

COSTANTINO COSSU

In Sardegna la Casa delle libertà apre la sua campagna elettorale di opposizione usando l'artiglieria pesante, quella del governo nazionale. Ieri il consiglio dei ministri ha impugnato la legge regionale che per un anno vieta qualsiasi costruzione sulle coste in una fascia di due chilometri dal mare. Berlusconi e soci sono ricorsi all'articolo 127 di quella stessa Costituzione che stanno alacremente lavorando a smantellare; articolo che dà all'esecutivo, quando ritenga che una legge approvata da un consiglio regionale ecceda la competenza della Regione o contrasti con gli interessi nazionali, di rinviare il testo allo stesso consiglio regionale. E visto che c'era, il governo impugna anche il blocco, votato dall'assemblea sarda, dei cantieri per la costruzione di centrali eoliche.

Il presidente della giunta sarda, Renato Soru, risponde con una nota dai toni molto duri: «Dalla lettura delle motivazioni non si capisce che cosa vuole dire il governo. La Regione tutela troppo o troppo poco il suo territorio? Può disporre di una delle sue risorse fondamentali, l'ambiente, oppure non deve farlo perché il governo pensa di poterne fare una tutela migliore? E in attesa che lo faccia, dobbiamo assistere impotenti alla distruzione definitiva di questo bene?».

Soru rivendica l'autonomia della Regione: «Mettono in discussione i poteri e la nostra autonomia speciale in maniera anacronistica, quando una Regione a statuto ordinario, la Toscana, solo pochi giorni fa ha avuto riconosciute le competenze in materia di tutela del patrimonio artistico e culturale, e ha ottenuto questo risultato nonostante l'opposizione del governo. Questo ci incoraggia nella rivendicazione del nostro diritto di programmare responsabilmente l'uso delle nostre risorse in funzione dello sviluppo».

Forte del sostegno della sua maggioranza, che va dall'Udeur a Rifondazione comunista, Soru dice che lui non mollerà: «Credo che siamo dalla parte giusta. E a leggere le motivazioni non mi viene nessun dubbio su quello che abbiamo fatto nei mesi scorsi. Il ricorso è così singolare in quella prima parte, che spinge a pensare che l'intento del governo sia quello di bloccare la norma che impedisce che la Sardegna diventi la piattaforma eolica del Mediterraneo. La Sardegna sta già facendo abbondantemente la sua parte e non può essere obbligata a fornire da sola la quasi totalità della produzione di energia eolica italiana.

Questo, in realtà, stava accadendo. Dopo le servitù militari non può esserci imposta anche la servitù eolica nazionale. E dopo, cos'altro?». Ieri a Cagliari c'era Fausto Bertinotti, che partecipava ad un'assemblea precongressuale di Rifondazione. Dal segretario del Prc è venuta una dichiarazione di sostegno alla giunta Soru: «Siamo in presenza di un tentativo di rivincita del partito del condono. Sono davvero curiosi questi federalisti, che non trovano di meglio», osserva il segretario del Prc, «che intervenire centralisticamente contro i pronunciamenti democratici di una comunità che difende l'integrità del suo territorio. In realtà non sarebbero intervenuti se i sardi avessero deciso di devastare le coste con la speculazione».

Sul fronte delle associazioni ambientalistiche, Legambiente si è fatta sentire con il segretario nazionale, Roberto Della Seta, e con il segretario sardo, Vincenzo Tiana: «E' l'ennesima dimostrazione di come il governo non abbia minimamente a cuore la tutela del paesaggio e del territorio della Sardegna ed è vergognoso che dopo aver reso possibile la sanatoria degli abusi edilizi, abbia il coraggio di impugnare l'unica legge in grado di tutelare il paesaggio e l'ambiente della regione. E' un atto grave e per di più paradossale, perché la legge regionale assume come riferimento per il piano paesistico della Sardegna proprio il codice Urbani, redatto da questo stesso Consiglio dei ministri».

BERLUSCONI

Uno stop interessato

SANDRO ROGGIO

Le questioni che riguardano le autonomie regionali sono materia delicata che non può essere trattata secondo gli interessi in gioco. Ma ormai è chiaro che la devolution funziona per il governo come meglio conviene, e se conviene ci si può contraddire quante volte serve. Tocca ora alla Sardegna subire l'ultimo tentativo di prevaricazione e su un aspetto delicato appunto. Se ne parlava da tempo e non stupisce, che il Consiglio dei ministri abbia deciso di impugnare per aspetti di legittimità costituzionale la legge regionale sulla tutela del territorio costiero in vigore dal novembre scorso.

Una legge importante per la Sardegna. La maggioranza che sostiene il presidente Soru ha dato con questo atto il primo segno concreto di cambiamento: ponendo un vincolo provvisorio per una fascia di due km dal mare, in attesa di un piano paesistico adeguato al valore dei paesaggi litoranei.

Un atto di grande civiltà, salutato da molti, anche fuori della Sardegna, con soddisfazione: un provvedimento che decide finalmente l'inclusione delle straordinarie coste isolane tra i grandi beni culturali del paese. E che consente di immaginare un uso turistico fondato sulla valorizzazione e non sul consumo di risorse limitate. Ma sono le argomentazioni dei vari detrattori di questa linea, tutti molto interessati a lasciare le cose com'erano, che spiegano la giustezza della misura. L'attacco del centrodestra, in prima fila i sindaci galluresi è nel nome dell'«autonomia comunale violata» da un provvedimento che, si dice, è «contro lo sviluppo». Una linea arretrata che i sardi che non hanno interessi da difendere hanno dimostrato di non condividere in questi mesi ( il programma elettorale di Soru - vincente - metteva ai primi punti e con evidenza questo argomento). Dopo avere perso al Tar i sindaci dei comuni costieri del centrodestra hanno chiesto aiuto a Berlusconi che di buon grado ha schierato il governo.

Avrebbe dovuto lasciar perdere. Sia per rispettare la decisione di una Regione (la cui autonomia ha più di cinquant'anni) e che è frutto di un dibattito faticoso e partecipato. Sia perché ancora una volta risalta e stride il suo conflitto d'interessi. La famiglia Berlusconi detiene, come tutti sanno, la proprietà di quella vasta area in comune di Olbia dove era previsto, molto vicino alla linea di battigia, un intervento edilizio di notevoli dimensioni che la nuova legge regionale sospende e che dovrà attendere al pari di altri progetti l'approvazione del piano paesistico. Lo statuto sardo prevede i poteri nelle materie dell'urbanistica e del governo del territorio. Me è bene non azzardare un'ipotesi sulla decisione della Corte che dovrà dire se il Consiglio regionale sia andato al di là delle proprie competenze invadendo quelle statali. E' il minimo dire però che anche questa volta il presidente Berlusconi non è stato elegante.

E' davvero singolare che la storia in qualche modo si ripeta. Nel 1989 il governo De Mita, sollecitato dalle proteste di alcuni imprenditori edili, rinviava con cinque rilievi la prima legge urbanistica che conteneva importanti norme per la tutela del territorio obbligando il Consiglio regionale ad apportare alcune modifiche non sostanziali. Una caso clamoroso, con reazioni di sdegno in Sardegna e prese di posizione fuori dall'isola tra cui quella di Antonio Cederna che denunciava la mentalità incolta e reazionaria del governo dell'epoca e degli imprenditori che avevano fatto pressioni. I lettori di questo giornale non faranno fatica a individuare almeno uno di quegli imprenditori.

DALLA PARTE DEL MATTONE

La mossa di Pisanu per riprendersi l'isola

CO. COS.

Tra pochi mesi in Sardegna si voterà per le amministrative. La Casa delle libertà, sconfitta nelle elezioni regionali del giugno 2004 da una coalizione di centrosinistra allargata a Rifondazione e ai movimenti, è in forte difficoltà. I sondaggi più recenti confermano la popolarità della giunta di centrosinistra e di Renato Soru, stabile nei livelli di consenso altissimo che gli hanno consentito di sconfiggere Mauro Pili, il candidato di Forza Italia. E' evidente che l'iniziativa politica del centrodestra a Cagliari, in Consiglio regionale, contro la maggioranza non ha sortito grandi effetti. Da giorni il tam tam delle indiscrezioni dava per sicuro ciò che poi è effettivamente accaduto. I dirigenti sardi di Forza Italia hanno fatto pressing su Silvio Berlusconi per ottenere una clamorosa bocciatura della legge salvacoste da utilizzare in campagna elettorale. Il calcolo della Casa della libertà, e di Forza Italia in particolare, è il seguente: in molte zone dell'isola la legge salvacoste solleva una fortissima opposizione, che bisogna cavalcare per tradurla in termini di consenso elettorale. Il partito della cementificazione ha ramificazioni vaste nella società sarda, muove interessi trasversali e compra sostegni. Su questo - anche su questo - punta il centrodestra sardo per recuperare voti. Uno dei tramiti della manovra di pressione della Cdl sarda verso il governo è il ministro dell'Interno, Beppe Pisanu. Ma un ruolo importante svolgono anche l'ex candidato governatore alle regionali, Mauro Pili, che ha rapporti personali strettissimi col Cavaliere, e il sindaco forzaitaliota di Olbia, Settimio Nizzi, che dalla legge sul blocco delle costruzioni si è visto annullare progetti urbanistici che avrebbero deturpato un vastissimo tratto di costa. Tra i piani di cementificazione approvati dalla maggioranza di centrodestra c'è anche quello di Costa Turchese, a sud di Olbia, un mega-villaggio turistico che doveva essere costruito da una società di cui è presidente Marina Berlusconi. Quindi, la legge impugnata dal governo affonda un progetto imprenditoriale di una impresa diretta dalla figlia del capo dell'esecutivo. Ma questo piccolo dettaglio sembra interessare poco e nulla Forza Italia e alleati. La legge che fissa a due chilometri dal mare il limite per nuovi insediamenti è stata approvata dall'assemblea sarda il 24 novembre 2004 dopo una maratona di un mese, tra mille polemiche e una battaglia dell'opposizione all'insegna di un duro ostruzionismo. Sindaci e amministratori del centrodestra, da subito in prima linea contro il provvedimento di salvaguardia varato a maggioranza dal Consiglio regionale, l'altro ieri hanno preso carta e penna e hanno scritto a Silvio Berlusconi: «La legge salvacoste è incostituzionale e arreca un grave pregiudizio economico-finanziario agli enti locali che perderanno svariati milioni di euro di entrate Bucalossi e Ici».

E' la riproposizione di un modello di sviluppo turistico di rapina, che devasta il territorio senza creare alcuna prospettiva stabile di crescita economica. La stessa filosofia che porta il centrodestra ad opporsi, dappertutto in Sardegna, all'istituzione di parchi e di aree protette. Due giorni fa il ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, ha annunciato che il governo cancellerà il parco del Gennargentu. Un altro spot elettorale della Casa delle libertà. Forza Italia ieri si è fatta sentire con Enrico La Loggia, ministro per gli Affari regionali, che ha bollato come «polemiche strumentali e becere» le contestazioni dell'opposizione. Perché il governo non poteva fare diversamente lo spiega bene il Verde Marco Lion, capogruppo alla Camera in commissione Ambiente: «Con questa decisione la Cdl si schiera dalla parte degli speculatori. E' gravissimo che questo governo, dopo aver impugnato cinque leggi regionali che cercavano di ridurre i danni dello sciagurato condono edilizio voluto dal centrodestra, aggredisca ora una norma di gestione del territorio capace di garantire prospettive di sviluppo in Sardegna».

IL CASO VILLA CERTOSA

Costruita proprio sul mare, in località Punta Lada (non proprio in Costa Smeralda ma quasi) ampliata grazie all'acquisto di 40 ettari di terreno, Villa la Certosa è la casa al mare dove Silvio Berlusconi riceve i suoi ospiti, presidenti e capi di stato. E' all'interno di una zona protetta eppure è sottoposta a lavori pesantissimi, gallerie sotterranee ma anche un anfiteatro, sui quali è calato il silenzio. Segreto di stato per esigenze di sicurezza del primo ministro: la Certosa, è stato detto ai magistrati di Tempio Pausania, deve considerarsi sede del governo. Una sanatoria ad hoc è prevista nella delega ambientale, approvata con la fiducia.

MA QUALE DEVOLUTION

«E' assurdo che un governo che parla tanto di devolution e autonomie locali si comporti in questo modo ogni volta che una regione mette in atto la propria indipendenza in maniera positiva». E' il commento di Italia Nostra alla decisione del governo di impugnare la legge salva coste della regione Sardegna. «Siamo indignati, è campata in aria la motivazione secondo cui la legge bloccherebbe il turismo, visto il recente calo di visitatori sull'isola non si capisce il bisogno di nuove strutture».

SMENTISCONO CIAMPI

«La legge sarda dava finalmente una risposta ferma e precisa, nel nome dell'interesse pubblico, a una miriade di piccoli e grandi progetti speculativi», dice il Wwf. Secondo l'associazione impugnando la legge il governo è in contrasto «con l'appello alla legalità lanciato poco fa dal presidente Ciampi».

CON GLI SPECULATORI

«Dopo aver impugnato 5 leggi regionali che cercavano di ridurre i danni del condono edilizio, il governo si schiera con gli speculatori e aggredisce una norma capace di garantire tutela e prospettive di sviluppo alla Sardegna».

«POLEMICHE BECERE»

Tante critiche fanno arrabbiare il ministro agli affari regionali Enrico La Loggia, l'unico del governo a reagire: «Polemiche becere e strumentali».

sull'argomento anche:

Eddytoriale 60 (17.12.2004)

Eddytoriale 55 (28.9.2004)

Eddyytoriale 53 (28.8.2004)

Sintesi della conclusione

Nove anni di applicazione della legge regionale 5 del 1995 sono sufficienti per tentare di tracciare alcune parziali conclusioni.

1. Grande mobilitazione amministrativa e politica

Il primo punto conclusivo è legato all’attenzione pubblica su un nuovo modo di governare che la legge ha portato nell’agorà del dibattito e della gestione del territorio: 255 comuni su 287, cioè l’89% dei comuni della Toscana, che avviano il procedimento con le nuove norme di legge portano ad una incredibile mobilitazione delle coscienze, del dibattito politico, della gestione dei fatti amministrativi, dell’esigenza del governo pubblico del territorio, che io definisco un vero e proprio successo amministrativo e politico della Regione Toscana e del sistema delle autonomie.

2. Tempi contenuti in un mandato amministrativo

Di questi 255 piani avviati, ben 136 cioè il 47% dei comuni della Toscana (interessanti il 40% della superficie e il 55% della popolazione) sono giunti all’adozione e ben 93 (interessanti il 26% della superficie e il 37% della popolazione) all’approvazione finale in tempi assolutamente contenuti: una media di 775 giorni per la costruzione del piano (dall’avvio all’adozione), quindi poco più di 2 anni, cui si aggiungono i tempi per l’approvazione: una media di altri 392 giorni, poco più di un altro anno. Quindi in circa 1.167 giorni (3 anni e 2 mesi) con le norme della 5/95 l’intenzionalità politica fatta all’avvio del procedimento si trasforma in governo del territorio.

Se poi aggiungiamo anche i tempi globali che servono per portare all’approvazione anche del Regolamento Urbanistico, a una media di 592 giorni (tra avvio, adozione, approvazione), cioè altri 18 mesi, possiamo dire che in un tempo medio di 4 anni e mezzo, quindi all’interno di un mandato amministrativo è possibile formalizzare un piano pubblico e dunque dare corso ai progetti pubblici e privati.

Questo lo chiamo successo politico e nuova intelligenza procedurale che ha portato ad una grande mobilitazione pubblica. Mai nella storia di questa Regione una legge sulla pianificazione aveva destato tanto interesse e applicazione.

La novità di questa mobilitazione è anche legata alla trasparenza della intenzionalità politica locale. Prima della Lr 5/95 non era possibile conoscere i tempi della discussione. Quando si diceva che un vecchio piano regolatore generale impiegava 7-8-9 anni per completare la procedura, i tempi erano calcolati dopo l’adozione del piano: l’unico tempo certo conosciuto.

Certo ci sono criticità che non vanno nascoste: ancora troppi comuni che hanno avviato il procedimento e non lo hanno concluso; come altri pur avendo approvato un piano strutturale non hanno dato corso al successivo Regolamento urbanistico.

3. Deciso freno all’espansione dell’urbanizzato

La ricerca dell’IRPET ha un grande merito: aver analizzato non un campione di Piani Strutturali, ma tutti i Piani strutturali che hanno concluso l’iter procedurale. Sono 93, la maggior parte dei quali ricadenti nelle aree più dinamiche della Regione: il valdarno e la costa settentrionale.

La 5 ha introdotto concetti e temi nuovi, tra cui il concetto di «carico massimo ammissibile»calcolato in funzione delle risorse territoriali.

Il concetto non sempre è stato declinato in modo innovativo. Molti professionisti lo hanno inteso come il vecchio e tradizionale «fabbisogno». Non è così, la 5 è più avanti e pone sfide di sostenibilità dello sviluppo del tutto nuove: sfide di censimento e riconoscibilità delle risorse; sfide di sostenibilità dello sviluppo; sfide di giustificazione della crescita; sfide di miglioramento delle condizioni di vivibilità per territori e per città; sfide di migliori alternative possibili e di priorità definite attraverso un sistema di valutazioni.

Dalla ricerca emerge che il cammino è ancora lungo, ma la sfida più forte da vincere: quella di un freno all’espansione dell’urbanizzato sembra evidente.

Il carico massimo ammissibile nei 93 Piani strutturali studiati è il 12% di incremento rispetto al patrimonio abitativo e il 13,7% rispetto alla popolazione al 2001.

Non bisogna dimenticare che si sta parlando di Piani strutturali, che per legge hanno tempi di validità indefiniti, e che hanno lo scopo specifico di tracciare le linee strategiche di lungo periodo, partendo dalle specificazioni strutturali del territorio.

Attenzione, fatto 100 il carico massimo ammissibile, ben il 25% (con punte del 36,7% nella Toscana dell’Arno) è rappresentato dal residuo di previsione urbanistica previste dai vecchi piani regolatori vigenti prima dell’entrata in vigore della 5.

La frenata dell’impegno di suoli è più evidente nei comuni con più di 40.000 abitanti, rispetto agli altri. Questo è un segno assai positivo.

Se andiamo a rivedere i tassi medi di crescita nei decenni precedenti e nei piani prima della 5, la distanza è netta, evidente e lampante. Nei casi in cui ciò è possibile: come a Prato dove il vecchio PRG era dimensionato per 386.000 abitanti teorici al 1987 (il comune, secondo il censimento del 2001 ha una popolazione di 172.000 abitanti). Il Piano strutturale di Prato ha un dimensionamento di 194.600 abitanti teorici, con un incremento rispetto ai dati del 2001 di appena il 12,8%.

Questi sono dati che non possono essere sottovalutati. L’incremento del 12% (che comunque si trascina dietro il residuo dei vecchi PRG) è utile e si spiega con le profonde trasformazioni socio-economiche (si pensi all’ampiezza media delle famiglie) che impongono nuove modalità residenziali che non sempre possono essere soddisfate all’interno del tessuto edilizio esistente.

4. Il Regolamento urbanistico è uno strumento operativo a tempo

Un punto ancora da rafforzare è il secondo segmento del nuovo piano regolatore della Toscana. I Comuni che hanno anche approvato il Regolamento urbanistico sono 57 (cioè il 61% di quelli che hanno approvato il Piano strutturale).

Il passaggio dal Piano strutturale all’approvazione del Regolamento urbanistico è un punto di criticità: è troppo lento una media di 592 giorni deve essere compattato.

Questa considerazione, tuttavia, mi porta ad affermare che se esiste una percezione diffusa che la legge 5 ha riavviato l’edilizia in Toscana, questa percezione non è legabile alla Pianificazione strutturale, né al Regolamento urbanistico, quanto ai residui dei vecchi piani regolatori vigenti avvalendosi delle nuove procedure dell’art. 40.

Un punto di ulteriore criticità è il prevalente utilizzo del carico massimo ammissibile nel primo Regolamento urbanistico. Non è sbagliato in assoluto, è forse inopportuno, perché le sue previsioni pubbliche decadono dopo cinque anni dall’approvazione. E’ dunque auspicabile che la quota di carico ammissibile del Regolamento segua e sia armoniosa con le previsioni pubbliche.

5. Le strategie vanno nella direzione di uno sviluppo attento alle risorse

Elemento di rilievo è il grande sforzo argomentativo che tutti i Piani strutturali tendono ad avere. Questo significa che ci si interroga molto e che i quadri conoscitivi tendono ad avere delle letture ampie.

Anche i temi prevalenti vanno in questa direzione, seppur emerge ancora una certa dispersione delle strategie locali in un numero alto di temi e di obiettivi. Ma la Toscana è ricca di localismi e di particolarità, e non ha bisogno di omologazioni.

6. I punti del Modello Toscana

Il modello Toscana di governo del territorio che è contenuto nella riforma della legge 5 e nei suoi sviluppi evolutivi ha questi punti:

- Il territorio è patrimonio collettivo indivisibile

- Nessuna risorsa del territorio può essere ridotta in modo significativo e irreversibile

- Sviluppo e qualità: valorizzazione delle diverse identità

- Superamento delle pianificazioni separate: il procedimento deve riunificare soggetti e competenze

- Stato, Regioni, Province, Comuni: sussidiarietà e pari dignità

- La valutazione a sostegno della responsabilità, la partecipazione a garanzia di trasparenza

- Tutti gli strumenti della pianificazione hanno un contenuto statutario e uno strategico

- Compete alle istituzioni definire preventivamente valori comuni non negoziabili

- Piano pubblico, progetti pubblico-privati: verso un piano capace di generare progetti

- Coincidenza tra programmazione generale dello sviluppo e strategie della pianificazione territoriale

- Ogni livello di piano contiene lo Statuto del territorio

- Lo Statuto del territorio proietta nel futuro regole non negoziabili e indirizzi per l’evoluzione del paesaggio

- La Toscana della qualità: il governo del territorio per una società coesa e solidale.

PIANO PAESAGGISTICO REGIONALE: CONFERENZA STAMPA

CAGLIARI, GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 2006, ASSESSORATO ENTI LOCALI.

Assessore Sanna:

''Allora, cominciamo, grazie della vostra presenza. Abbiamo convocato un incontro con voi perché abbiamo appena ultimato il primo ciclo di conferenze che hanno avviato la co-pianificazione. Abbiamo tenuto complessivamente 24 conferenze, di cui 22 che hanno riguardato gli ambiti paesaggistici, che come voi sapete sono 27, e abbiamo aggiunto una conferenza esclusivamente attinente alle problematiche delle province.

Abbiamo incontrato le province l’altro giorno e ieri abbiamo concluso con tutte le associazioni degli industriali della cooperazione, del commercio e dell’artigianato, cercando di affrontare con loro le problematiche specifiche che riguardano quelle organizzazioni. I comuni interessati in questa fase sono stati 72, della fascia costiera, e hanno partecipato complessivamente alle conferenze 93 comuni. Ci sono stati una ventina di comuni che, per interesse e per conoscenza, si sono aggiunti ai 72. Alle 24 conferenze hanno partecipato circa 1.000 persone registrate, oltre quelle che ovviamente hanno partecipato a titolo personale e quindi non sono state registrate: una media di 70 persone a conferenza. Di queste persone, circa 300 erano amministratori comunali e provinciali, in rappresentanza delle 8 province e dei 93 comuni appunto. Hanno partecipato 160 dirigenti, tra funzionari, e funzionari tra comunali e provinciali, 30 consulenti dei comuni, 130 rappresentanti di enti e associazioni e società, 200 liberi professionisti e numerosi cittadini e studenti universitari.

Le conferenze hanno avuto una durata complessiva di circa 90 ore di lavoro e ci sono stati, da parte dei partecipanti, circa 320 interventi e depositi di altrettante memorie con le prime indicazioni sulle osservazioni e le precisazioni che hanno inteso portare. Nel corso delle conferenze tutti i partecipanti hanno sottolineato l’importanza di questo provvedimento: dell’esigenza che la Regione si doti di strumenti di tutela e soprattutto di certezza di diritto sull’uso del territorio; e tutti si sono impegnati a una collaborazione che porti a una migliore stesura, sia degli elaborati che degli elementi normativi. Per cui, a partire dalla conclusione delle conferenze, i responsabili delle singole conferenze che hanno appunto la funzione di raccordo con ogni singola amministrazione comunale e provinciale, stanno già cominciando a canalizzare - ne abbiamo già alcuni programmati - i singoli incontri che le strutture comunali e provinciali faranno con gli uffici del piano e con l’Assessorato. Questo perché, entrando nel merito specifico delle singole problematiche, si possa perfezionare la conoscenza, i dubbi interpretativi e le esigenze informative per quanto riguarda tutta la documentazione e la banca dati che noi, solo in parte, abbiamo potuto far vedere nel corso delle conferenze, ma che fanno parte del patrimonio conoscitivo abbastanza vasto che deteniamo nell’ufficio. Quindi, da ora e per i prossimi tre mesi, come abbiamo sempre detto in tutte le conferenze, affronteremo, Comune per Comune, tutti i passaggi singoli.

E’ stata fatta anche richiesta, da parte di Associazioni, ma anche di organizzazioni dell’Impresa (le ultime appunto le abbiamo avute ieri), richieste specifiche di incontri settoriali per affrontare, anche con le organizzazioni imprenditoriali, gli aspetti più di merito che riguardano le problematiche connesse al piano paesaggistico. E’ stata molto apprezzato il ciclo di conferenze, come si può desumere dai verbali, di cui noi abbiamo una parte, perché abbiamo inteso rendere trasparente questa procedura - e quindi sul sito Internet si trovano tutti i verbali che vedete lì e tutti li potranno leggere. E tutti i comuni hanno manifestato appunto l’apprezzamento per questa iniziativa che è servita certamente, rispetto alle informazioni molto episodiche e frammentate di cui disponevano, a entrare proprio nella conoscenza, in maggior dettaglio, del piano paesaggistico.

Il piano paesaggistico, come abbiamo detto nel corso delle conferenze, induce un cambiamento metodologico e anche culturale nell’approccio dell’uso del territorio, che non è una scelta, diciamo così, episodica, della Regione, ma il governo regionale ha inteso dare seguito coerente a quello che è un indirizzo, ormai internazionale, europeo, sull’adeguamento della strumentazione dell’uso del territorio, con riguardo ai caratteri dello sviluppo sostenibile.

Abbiamo anche preso atto che siamo la prima Regione che avanza una proposta compiuta di piano paesaggistico, e proprio per questo ci sentiamo impegnati a fare un lavoro che sia anche produttivo di un confronto positivo, anche con le esperienze che seguiranno nelle altre regioni. E’ un processo culturale che inizia e che cambia la visione nell’uso del territorio e tutti hanno rilevato, come per esempio, dentro il piano paesaggistico, sia molto importante questa scelta, che noi induciamo, di una visione sia del paesaggio, ma anche del ruolo che i comuni, che i centri urbani, anche non costieri, immediatamente costieri, devono svolgere nel processo di valorizzazione turistica. Un ruolo combinato, fra mare e interno, con la rivalutazione dei centri storici, con la ottimizzazione di questo immenso patrimonio di case vuote - che purtroppo abbiamo e che sono considerevoli: stiamo parlando di circa 208.000 abitazioni su 800.000 complessive in tutta la Sardegna - che non è un dato dal quale la Regione può sfuggire.

E’ un dato macroscopico sul quale si motiva e si sostanzia anche, la strategia che già a partire da questa finanziaria, come abbiamo detto, la Regione intende perseguire e che, complessivamente, tra fondi regionali, fondi comunitari, bandi e la legge 29, stiamo mettendo in campo già a partire da questo anno. Stiamo parlando di circa 150 milioni di euro, che è una cifra considerevole - credo mai messa a disposizione per un intervento così mirato nei confronti dei comuni nella loro totalità - perché ci sono azioni mirate a comuni di dimensione demografica elevata, quindi aree metropolitane, e interventi ancora più mirati per i piccoli comuni. Proprio perché lì riteniamo che debba essere fatto un forte investimento, proprio per creare le prerogative di un ripopolamento, perlomeno di un arresto di questo processo di ripopolamento e di connessione funzionale dei processi di sviluppo.

Mi sembra che possiamo dire che, anche a detta dei partecipanti, il bilancio sia positivo. E’ solo l’avvio. Abbiamo spiegato che le conferenze di co-pianificazione non fanno la co-pianificazione, ma avviano la co-pianificazione, nel senso che per poterla fare è indispensabile la conoscenza puntuale di ciò di cui si parla, in termini corretti, per poter poi da lì partire, come faremo nei prossimi tre mesi in un confronto chiaro, leale, disponibile, tra l’altro con l’ammissione dei limiti che tutti dobbiamo sempre dare al nostro lavoro.

Il piano paesaggistico è fatto in un anno di grandi sacrifici e di grande lavoro, ma sappiamo anche che possiamo produrre errori, imprecisioni, e il confronto lo riteniamo assolutamente indispensabile perché, non solo si bada al miglior prodotto possibile, ma anche perché è nostro preciso intendimento raggiungere il processo di condivisione più ampia di questo piano. Un piano paesaggistico che non sovverte assolutamente i principi di autonomia di tutti gli enti locali che vi partecipano, ma li riordina, secondo un processo di condivisione e di cooperazione, perché la concertazione, o la concertazione istituzionale, non può essere e non è un sistema nel quale si confondono le responsabilità. Ognuno ha assegnato dalla legge un suo compito, lo deve esercitare nel miglior modo possibile e questa volta dialogando l’uno con l’altro.

Voi pensate il lavoro immane che noi abbiamo dovuto fare solo per ricostruire lo stato di fatto dello sviluppo costiero, dal momento che era invalsa l’abitudine che i piani attuativi dei comuni non venivano neppure trasmessi alla Regione per le opportune documentazioni e conoscenze. Noi invertiamo questo, ci vuole trasparenza, conoscenza e capacità di tenere a governo tutto. Questo non toglie ai comuni la prerogativa di progettare, di ideare, di proporre, e quindi di esercitare compiutamente il loro ruolo alla luce di un piano paesaggistico che, intanto, produrrà come primo effetto - cosa che mi sembra stia già producendo - l’idea di un’attenzione certamente nazionale e internazionale su questo processo, che è ancora più motivato in una Sardegna che è ritenuta da tutti un bene naturale prezioso e sul quale dobbiamo investire.

Abbiamo avuto anche riconoscimento, da parte delle organizzazioni degli imprenditori, che hanno forse affrontato in maniera più precisa i contenuti del piano, avendo la consapevolezza che questo è un piano che non significa solo vincolo, ma significa l’uso corretto del vincolo per mettere in evidenza anche le buone pratiche che si possono e si devono realizzare. Quindi è un piano che dà una regolazione di funzionamento e viene usato questo esempio: se a Cagliari non funzionassero, non esistessero i semafori, alle otto del mattino, quando la gente entra per andare a lavorare, ci sarebbe un caos e i cittadini sarebbero certamente meno sicuri delle condizioni dove, invece, un elemento crea una regolazione, un ordine, un funzionamento armonico. Il piano paesaggistico è una sorta di semaforo che agisce all’interno dell’uso del territorio, imponendo dei vincoli, dando dei lasciapassare e indicando anche delle prudenze, degli atteggiamenti cautelativi nell’uso di un bene che non è di ciascuno, ancor meno dei comuni, ancor meno della Regione, ma è della collettività, in quanto - è stato ricordato anche dal decreto Urbani - che stiamo assolvendo a una delega di carattere costituzionale, compiuta nelle indicazioni che questo comporta. Io mi fermerei qua.

Filippo Peretti (La Nuova Sardegna):

''Su alcuni rilievi politici, che sono stati fatti, anche da settori della maggioranza, uno riguarda i comuni, il rischio cioè che i comuni possano, come è successo per i piani paesistici, alla fine ottenere l'annullamento del Piano paesaggistico, del piano regionale. Il secondo rilievo invece è, diciamo, sulla trasparenza e sulle volumetrie, sulle zone dove è possibile costruire. Cioè, evidentemente, per evitare speculazioni, così è stato detto, sarebbe opportuno conoscere già la situazione, in modo da rendere tutto già ancora più trasparente, anche sotto questo profilo degli acquisti, delle vendite, delle plusvalenze, eccetera, eccetera''.



Presidente Soru:

''La domanda sembra ben posta, interessante. Io credo che le polemiche nascano da una non puntuale conoscenza di quello che è il piano paesaggistico regionale e delle sue norme di attuazione e di quello che si sta facendo: ho riscontrato, insieme all’assessore, che tutte le volte che si è parlato, le persone sono andate via più consapevoli, più tranquille, e direi anche più convinte della bontà di questo processo in atto. Per questo non mi aspetto una grossa quantità di ricorsi dei comuni. Peraltro, erano stati già minacciati durante la discussione della legge 8. Qualcuno, motivato forse da appartenenze politiche piuttosto che da considerazioni di merito, ha presentato ricorsi, ha promosso la presentazione di ricorsi, e il risultato di quei ricorsi lo sappiamo tutti com’è andato, con una solenne dichiarazione da parte della Corte costituzionale, circa le prerogative della Regione e le sue responsabilità, con una sentenza talmente solenne, appunto, che incoraggia la nostra regione ad andare avanti, non solo in tema di tutela, non solo in campo urbanistico, ma in campo di tutela dei Beni culturali, e altri ancora.

Quindi, di fatto, è stata un’esperienza molto positiva, questo ricorso, che si è conclusa con la sottolineatura di tutti i diritti e tutti i doveri di questa nostra regione. E’ come una sollecitazione ad andare avanti, oltre a non trascurare le nostre responsabilità. Molto opportunamente, avviene in un momento in cui il Consiglio regionale sta per approvare la Consulta statutaria, in cui si parla di Statuto, in cui nei prossimi mesi come sapete, questa assemblea regionale vuole approvare una nuova proposta di Statuto dell’autonomia. I precedenti piani paesaggistici regionali sono decaduti, non perché eccessivamente severi, ma perché poco severi, e sono decaduti non per eccesso di tutela, ma sulla base di troppe deroghe alla tutela, o poche severità in alcune fasi. Quindi, non è un accostamento giusto quello dei precedenti piani paesaggistici, e noi stiamo cercando di essere appunto più attenti, e più severi, più conseguenti sulle cose che abbiamo detto, cercando di non inserire nelle norme del piano, dei meccanismi per cui alla fine si trovano le modalità per farle fuori.

Quindi non credo che ci saranno ricorsi da parte delle associazioni ambientaliste, che sono quelle che hanno fatto decadere i precedenti piani, e non credo nemmeno che ci saranno ricorsi da parte dei comuni, quantomeno non credo che ci saranno ricorsi motivati da parte dei comuni. Per questo motivo: perché non stiamo espropriando le competenze dei comuni, in alcun modo. A qualcuno può venir facile, tirare fuori questo slogan, siamo anche vicini alla campagna elettorale, sollecitare il malumore dei sindaci, o di amici dei sindaci. Ma in realtà non c’è nessuna espropriazione di prerogative da parte dei comuni.

Il Piano paesaggistico regionale si può riassumere in poche parole, per come la vedo io: ha definito una fascia costiera, la legge 8 nel momento in cui ha fatto una tutela temporanea questa fascia l’ha definita in due chilometri dalla costa ora più opportunamente, dopo un anno di lavoro, questa fascia abbiamo detto è come una sinusoide, si avvicina e si allontana dalla costa a seconda della natura del terreno, del paesaggio, dei dati storici, a seconda quindi della situazione particolare. C’è una linea che si avvicina e che si allontana dalla costa, forse mediamente è intorno ai due chilometri, ma qualche volta è di meno e qualche volta è di più. Questo è quello che chiamiamo l’ambito paesaggistico costiero e abbiamo detto che quello lì è un bene che non appartiene a nessuno, che appartiene a tutta la regione. E’ un bene che non appartiene ai proprietari dei terreni, non appartiene al singolo comune, appartiene a tutta la collettività regionale, e tutto quello che si fa lì dentro, deve essere fatto in considerazione degli interessi dell’intera collettività regionale, non negli interessi di un singolo privato, di una singola società, o di un singolo comune, ma in considerazione degli interessi di tutta la collettività regionale.

E abbiamo detto una cosa: in questo Ambito paesaggistico costiero non ci sono più le zone F, quelle che venivano considerate ‘le cubature’. Le cubature in zone F non ci sono più. Non è che ce ne sono di meno, ne sono state cancellate venti, ne rimangono quindici chissà dove. La risposta alla sua domanda è molto semplice: ne rimangono zero, da nessuna parte. Non ce ne sono, quindi non è che gli dobbiamo dire dove saranno. Questo è abbastanza chiaro: non c’è la lista delle cubature che rimangono, perché di cubature non ne rimangono nell’ambito costiero. Ce n’erano 45milioni, circa 15 milioni sono stati realizzati, 15 milioni erano ancora lì da utilizzare per chi li voleva utilizzare, quindi riguardavano progetti speculativi eccetera, che sono stati cancellati del tutto e altri 15 riguardano un po’ di cose, per cui alcune cubature che sono state fatte salve dalla legge 8, laddove appunto erano stati iniziati gli interventi di lottizzazione, erano state fatte: modifiche irreversibili dei luoghi, del reticolo stradale e così via.

Tutto il resto, quello che non è stato bloccato dalla legge 8 non esiste più. E non c’è nessuna discrezionalità, da parte della Regione o di qualsiasi ufficio regionale o di qualsiasi organo regionale, di dire in questo pezzo di territorio, prevediamo, mille o diecimila metri cubi. Non esiste, sono stati tutti cancellati.

Che cosa si fa nell’Ambito costiero, è scritto chiarissimo nel Piano paesaggistico, per chi lo vuole leggere, per quello che è, senza pregiudizi. Per quello che è, perché nel Piano paesaggistico, le norme di attuazione sono esattamente quello che c’è scritto lì. Nell’ambito costiero si possono fare solamente progetti di riqualificazione. Li abbiamo chiamati ‘a regia regionale’, per dire che c’è una visione complessiva da parte della Regione, che non vuol dire che la Regione comanda e impone quello che ci sarà. Ci dice che ci saranno conferenze di co-pianificazione coordinate dalla Regione. Per i motivi che dicevamo prima, perchè è un Ambito complessivo e anche dove entra nel particolare di un singolo territorio, lo fa comunque nell’interesse complessivo della collettività. Allora queste conferenze di co-pianificazione decideranno, loro, che tipo di riqualificazione si può fare: modificare un villaggio, risistemarlo, ristrutturarlo, magari dargli un premio di cubatura, perché trasforma seconde case in un albergo, oppure dargli un aiuto perché da un albergo di seconda categoria si fa un albergo di quattro o cinque stelle aperto tutto l’anno, ma lo decideranno le conferenze di co-pianificazione. Un altro punto determinante di questa conferenza, che evidentemente non è stato compreso, è che queste conferenze non decideranno per alzata di mano, per cui la Regione ha cinque voti e il Comune ha un solo voto; queste conferenze dovranno decidere assieme come si farà quell’intervento di riqualificazione. Quindi non ci sarà nessuna imposizione della Regione che dirà: ‘Lì si fa così e lì imponiamo un certo numero di cubature’. Insieme, d’intesa si deciderà su quella riqualificazione. Quindi aldilà dei numeri dei componenti, aldilà del fatto che magari c’è il Comune, c’è la Provincia, c’è la Regione, aldilà di questo il principio che noi vogliamo portare in queste conferenze di co-pianificazione è l’intesa: ecco perché non c’è nessun esproprio, né più né meno dello stesso principio che la Regione ha già adottato in materia di cave.

La Regione può dire che una cava può insistere in un certo territorio, ma se il Comune non la vuole, quella cava non si farà. Viceversa, un Comune può dire che vuole una cava nel suo territorio, ma se la Regione dice che quel territorio è soggetto a un vincolo paesaggistico, quella cava non si farà. Si fa solamente se c’è l’intesa, lo stesso varrà per gli interventi di riqualificazione urbana. Quindi: nessun esproprio perché sul dettaglio si va assieme, nessun mistero sull’elenco delle cubature semplicemente perché di cubature non ce ne sono.

Approfitto, per dire che la Giunta regionale non ha ricevuto nessuna lettera, non ne ricevuto neanche l’assessore e credo che non sia nemmeno mai stata spedita una lettera di questo genere''.

Giuseppe Mereu (L’Obiettivo):

''Tornando alle conferenze di co-pianificazione e a questo metodo dell’intesa a cui ha appena accennato, io ho avuto modo di vedere il disegno di legge urbanistica della Giunta, lì se non vado errando si parla esplicitamente di decisioni prese con un voto di maggioranza in cui in caso di parità il presidente della Giunta vale doppio''.

Presidente Soru:

''Quello è un disegno di legge, che naturalmente ora andrà in commissione e verrà discusso. Io l’ho detto, l’orientamento della Giunta è quello di fare in modo che non ci sia esproprio nel governo di un territorio e che ci sia l’intesa, perché, come dicevo prima, l’Ambito paesaggistico costiero appartiene a tutta la Regione. Lo dobbiamo trattare con cura e devono essere presenti tutti gli interessi: gli interessi dei privati, gli interessi dell’intera comunità e gli interessi della comunità regionale. E d’intesa riusciremo a salvaguardare tutti questi interessi.

Poi, è chiaro, una possibilità, per concludere, ci deve essere sempre. Il principio dell’intesa vale anche sulla nomina delle Autorità portuali, oppure sulla nomina dei presidenti dei parchi nazionali, per cui c’è un intesa e si prova e si riprova fintanto che non si raggiunge. Occorre anche salvaguardarsi dall’immobilismo e quindi qualche possibilità deve essere immaginata e deve essere studiata''.

Jacopo Onnis (Rai3):

''Molti dei giornalisti presenti a questa conferenza stampa, stanno venendo da un’altra conferenza stampa tenuta da tutta la Commissione urbanistica, presieduta dall’onorevole Pirisi che ci ha detto: ‘Ci apprestiamo a fare una serie di audizioni con gli enti locali, ci sposteremo in tutte le otto province, non saranno delle contro conferenze di co-pianificazione che sta portando avanti la Giunta’. Ha rimarcato però con molta decisione il ruolo del Consiglio. ‘Spetta al Consiglio – ha detto - fare le leggi, non siamo una camera di compensazione, non faremo inutili minuetti, perché procederanno tra l’altro, loro, con uno stralcio, collegato alla finanziaria, recante norme urbanistiche, che serve come copertura legislativa, supporto legislativo, al Piano paesaggistico regionale’. In questa delicata materia dell’urbanistica, qual è il ruolo della Giunta? E qual è il ruolo del Consiglio? Poiché traspare una certa sottolineatura polemica di competenze. E’ una Giunta anche che, chiedo all’assessore Gian Valerio Sanna, ci ha detto l’onorevole Pirisi: ‘Abbiamo letto alcuni verbali delle conferenze di co-pianificazione e mi è parso di rilevare alcune espressioni irriguardose nei confronti della Commissione e nei confronti del Consiglio. Inviteremo a una maggiore ottemperanza verbale nei confronti dell’assemblea regionale’. Tutto qui, la cronaca è sin qui''.

Presidente Soru:

''E’ chiaro che è un tema importante, dove ci sono gli interessi di semplici cittadini, che vogliono una Regione che cresca, che sia capace di creare sviluppo, lavoro; semplici cittadini che vogliono vivere in un ambiente non devastato, che vogliono mantenere alta la loro qualità della vita, anche vivendo in un ambiente bellissimo, come quello che abbiamo, gli interessi delle amministrazioni comunali, ma anche gli interessi di chi vuole fare tanti soldi. Purtroppo in un’economia molto povera come la nostra, in cui in pochissimi hanno fatto industria e in cui in tanti hanno fatto gli immobiliaristi, togliere un settore in cui in molti si sono arricchiti facilmente, crea qualche perplessità. E quindi ci sono un po’ di nervi scoperti.

Su chi faccia le leggi non c’è alcun dubbio. La Giunta applica le leggi che fa il Consiglio quindi non occorre nemmeno ribadirlo. Noi abbiamo fatto il nostro lavoro e faremo un disegno di legge e di proporlo al Consiglio per la discussione e per l’approvazione. Per la discussione, per il miglioramento, per l’approvazione.

Poi io mi ricordo anche che questa Giunta non è che sia calata da Marte; questa Giunta è l’espressione della maggioranza, della maggioranza in Consiglio regionale, della maggioranza nella commissione urbanistica. L’Assessore è un signore che ha avuto autorevoli responsabilità politiche, nel suo partito; io rappresento quella maggioranza di centrosinistra che è stata eletta alle scorse elezioni. Quindi siamo due pezzi della stessa maggioranza che vogliono lavorare assieme per fare la migliore legge possibile. Ognuno col suo ruolo, ognuno con le sue capacità e dobbiamo lavorare assieme, e aldilà delle tensioni, aldilà delle battute, aldilà delle cose, il dato di fatto è che stiamo andando avanti molto bene. Il dato di fatto è che pochi giorni fa abbiamo approvato la legge finanziaria, abbiamo messo l’elenco dei collegati alla legge finanziaria. Nell’elenco dei collegati c’è anche la norma, la legge urbanistica per quel tanto che serve ad approvare speditamente il Piano paesaggistico regionale. Ed è stato votato quell’ordine del giorno con otto votazioni segrete: in otto votazioni segrete non abbiamo perso neanche un voto. Non è che non abbiamo perso una votazione, non abbiamo perso neanche un voto in otto votazioni segrete.

Questo è lo stato della maggioranza sul piano paesaggistico regionale, perché in quella stessa giornata la maggioranza ha discusso se la legge urbanistica doveva andare dentro o doveva andare fuori e io mi sono ritrovato tutta la Giunta.. ci siamo ritrovati pienamente a condividere la decisione di approvare come legge, come collegato la parte necessaria per approvare immediatamente il Piano paesaggistico regionale avendolo operativo. Prevedendo la possibilità di discutere maggiormente il resto delle norme che regolano il territorio regionale. La legge urbanistica. La nuova legge 45 sono felice di discuterla più a lungo. Perché sarà un tema su cui la maggioranza si confronterà, potrà essere creativa, potrà essere innovativa rispetto al passato, rispetto anche a quello che accade nelle altre regioni italiane. Ci sarà un momento in cui potranno essere richiamati dei principi importanti; essere conseguenti rispetto alla legge Bucalossi, ormai di molti decenni fa, che aveva iniziato a separare tra diritto di proprietà e diritto di edificabilità. Forse questa maggioranza di centrosinistra può iniziare a dire qualcosa, che c’è una specie di diritto imprescindibile delle persone alla casa e quando la casa non gliela possiamo costruire, forse una specie di diritto imprescindibile ad avere una cubatura e legare il diritto alla cubatura più alle persone che ai proprietari di terreni, ad esempio. Ci sono delle cose che posso essere affrontate, discusse; per cui siamo tutti più contenti di discutere più a lungo la nuova legge 45.

Così come ringrazio ancora una volta, l’ho fatto l’altro giorno in Consiglio regionale, questa maggioranza che pure su argomenti così importanti, così delicati, alla fine ha votato otto volte a scrutinio segreto e non ha perso neanche un voto. Anche sulla legge urbanistica”.

Assessore Sanna:

''Ma se posso aggiungere, ne approfitto perché ricordo quello che ho detto e se sono apparso irriguardoso ne approfitterò per chiarirlo e per scusarmi eventualmente. Io ho molto chiaro, ho alle spalle un pochino di esperienza per capire che il processo di governo è un processo complicato e faticoso e che ha bisogno di tutti, non di una parte. E io ho solamente fatto riferimento al fatto che era assolutamente legittimo che la Commissione facesse le sue attività, nella distinzione delle competenze, nel senso che noi abbiamo un mandato di legge approvato da quel Consiglio regionale a fare quello che stiamo facendo, né più e né meno. Stiamo cercando di ottemperare con fatica anche alle tempistiche, che non sono facili, e che al Consiglio regionale spettano anche altre cose. Infatti ho comunicato, Presidente, che io parteciperò come rappresentante della Giunta a queste loro attività, così come io in Consiglio regionale a dicembre in sede di discussione della mozione del piano paesaggistico ho formalmente invitato tutto il Consiglio nella sua interezza a partecipare alle conferenze. Molti consiglieri regionali l’hanno fatto, anche più volte. Siamo stati lieti di averli tra noi: il rapporto è questo, e non mi sembra che si debba accentuare di più un tono che è solo quello che deve portare al rispetto dei ruoli reciproci, sapendo che ci sono dei punti sui quali noi dobbiamo assolutamente collaborare.

Abbiamo presentato un disegno di legge pensando che forse la strumentazione necessaria per far funzionare il Piano paesaggistico potesse anche dare l’idea attraverso una legge che non facesse riferimento alla 45, a una nuova fase dell’urbanistica, abbiamo accolto l’idea che forse la riflessione più generale ha bisogno di più tempo, questo però non toglie che gli strumenti che sono necessari a dare compiutezza a questo processo devono essere.

Io l’altro giorno sono stato in Commissione, abbiamo parlato di questo, affronteremo prima la discussione generale e poi io proporrò per conto della Giunta una proposta di sintesi a quel disegno di legge col quale ci confronteremo con la Commissione per vedere qual è la sintesi di quello''.

Giuseppe Meloni (Unione Sarda):

''Presidente, lei ha difeso molto chiaramente i principi del Piano. Alcuni ambienti della maggioranza, non solo i Ds, dicevano: ‘Nessuno discute la filosofia generale del Piano, magari sul rapporto con i comuni, su queste cose, ci sarà bisogno di qualche correzione’. Lei ritiene che questo sia possibile o che vada sostanzialmente bene già così com’è il rapporto delineato dal Piano paesaggistico?''.

Presidente Soru:

''No. Ho detto che alcune cose possono essere sicuramente migliorate, per esempio le regole di funzionamento delle conferenze di co-pianificazione possono essere chiarite. Possiamo chiarire che ci sarà un rapporto reciproco, un rapporto dove si cerca l’intesa innanzitutto, secondo il principio di reciprocità. La Regione non imporrà nulla ai comuni e i comuni non imporranno nulla alla pubblica ...” .

Assessore Sanna:

“Posso aggiungere una cosa Presidente… Su questo punto, si vedrà da qui a poco quando approveremo lo stralcio, proprio il livello di continuità che c’è tra il nuovo regime e il ruolo dei comuni e delle province. I soggetti della pianificazione contenuti nella legge 45 sono i comuni, la Provincia e la Regione. Gli strumenti della pianificazione territoriale contenuti nella 45 sono quelli segnati nella 45 e noi siamo in condizioni di poter dire che nella nuova dimensione sia i soggetti che gli strumenti rimangono inalterati.

Però qualcuno nella ricerca costante del ruolo dei comuni deve fare uno sforzo per capire quale è il ruolo della Regione. Credo che il Presidente l’abbia spiegato bene, limitatamente a quella che è la verifica e la salvaguardia degli interessi collettivi demandati da una legge dello Stato alle funzioni della Regione, la Regione li assolverà d’intesa con i comuni ai quali è chiesto un di più di partecipazione, di condivisione delle scelte che fino a oggi sono state fatte. Per esempio tra comuni, io credo che sia un vantaggio per tutti. Nella migliore delle ipotesi, quella che poteva essere una lottizzazione in una zona marina, fino a ieri poteva essere noto alla comunità di quel comune alla sua amministrazione e al soggetto interessato. La comunità regionale non ne era a conoscenza. Io credo che intervenendo in un’area di appartenenza, e la Corte costituzionale dice sempre che i diritti collettivi prevalgono e vengono prima dei diritti individuali, io credo che sia un’azione di trasparenza, di arricchimento complessivo che questo elemento diventi di dominio pubblico attraverso delle procedure che siano note e che di per sé garantiscano pari opportunità e pari diritti da parte di tutti”.

Presidente Soru:

''Volevo ricordare una cosa brevissima. Esiste un ufficio del Piano che ha fatto il Piano paesaggistico regionale; l’ha fatto con grande competenza e con capacità di usare tutti gli strumenti di conoscenza, tecnologia. Io credo che sia utile per tutti quanti che questo ufficio del Piano continui a essere utilizzato anche nella pianificazione territoriale di dettaglio del singolo comune. Io sento solamente sindaci che si lamentano di avere un solo geometra nell’ufficio tecnico, o sindaci di città importanti che dicono di avere un solo ingegnere nell’ufficio tecnico; ne vogliamo tener conto. La norma costituzionale parla del principio di sussidiarietà ma anche di quello di adeguatezza, di efficacia. Io credo che sia più adeguato che ci lavoriamo assieme ai progetti di riqualificazione urbana. Ci lavoriamo assieme, ognuno con le sue competenze, e assieme produrremo i progetti migliori per la comunità comunale e per la comunità regionale''.

Fabbricati agricoli che diventavano ville con tanto di sauna e lavanderia. Succede anche questo a Capalbio. Il Comune della cittadina maremmana, in accordo con la Regione Toscana, ha deciso di stoppare queste speculazioni edilizie attraverso l’adozione di nuove regole in materia di costruzioni agricole. Le speculazioni in questione, come hanno spiegato ieri a Firenze il sindaco Lucia Biagi (eletta con una lista civica nel giugno 2004) e l'assessore regionale all’urbanistica Riccardo Conti, si sono verificate per un'applicazione di comodo della legge regionale 64 del 1995 che regolava le costruzioni rurali. La legge era stata emanata per permettere agli agricoltori di costruire opere per migliorare il proprio fondo agricolo, consentendo agli agricoltori e alle loro famiglie di proseguire la loro attività.

In realtà, come ha spiegato il sindaco Biagi, molti imprenditori avrebbero chiesto di edificare ville in zone di pregio, spacciandole per ristrutturazioni agricole. Secondo la legge regionale bastava possedere tre ettari di terreno coltivato o avere un impianto floro-vivaistico per costruire un’abitazione.

Per porre fine a questi abusi edilizi l’amministrazione capalbiese ha quindi approvato nuove regole in materia. Che prevedono il divieto di costruire nuovi fabbricati nel centro storico o in altre aree di particolare pregio paesaggistico come zona della grande uliveta o la zona di Poggio Capriolo. Le nuove norme vietano anche la costruzione di nuovi impianti floro-vivaistici. Il provvedimento del Comune è passato con i voti della lista civica che comprende anche esponenti di centro-destra, ma non sono mancate sorprese politiche. Infatti il centro-sinistra a Capalbio è spaccato perché alcuni esponenti come Luigi Bellumori sostengono la giunta, i Ds e la Margherita sono all'opposizione. I consiglieri di centro-sinistra al momento del voto sono usciti dall'aula; perché, pur condividendo l'obiettivo del provvedimento, contestano il metodo scelto dal primo cittadino. «Con questo provvedimento - spiega il sindaco - Capalbio ha messo delle regole certe contro una gestione un po’ anarchica del territorio. Noi non siamo contro gli agricoltori ma contro coloro che vogliano speculare nel nostro comune». «La Regione sostiene questa iniziativa del comune maremmano - dice l’assessore Conti - perché dobbiamo fermare l'edilizia selvaggia in Toscana. Deve esser chiaro che qui non esiste nessun territorio senza limiti dove i privati possono costruire dove vogliono. Siamo per la collaborazione tra pubblico e privato ma con regole certe».

CAGLIARI. La giunta Soru ha istituito la Conservatoria delle coste. Un organismo sul modello del National Trust inglese e del Conservatoire du littoral francese che ha il compito di promuovere acquisizioni di terreni lungo i 1.850 chilometri di costa anche attraverso sottoscrizioni, lasciti, permute, da privati e da altri enti, e di tutelare questo patrimonio dai rischi ai quali è sottoposto.

Naturalmente l'istituzione del «conservatore» delle coste da solo così non è sufficiente e pertanto, per l'attuazione pratica, servirà una legge organica che sarà fatta a breve scadenza. Secondo la delibera della giunta regionale, la Conservatoria delle coste sarde potrà agire su più livelli. Gestirà i beni immobili costieri di rilevante interesse paesaggistico e ambientale facenti già parte del patrimonio e del demanio regionale, ma potrà anche acquisire i territori costieri più fragili o a rischio di degrado e compromissione: sia attraverso accordi con Stato, enti e amministrazioni locali, sia attraverso donazioni, sia attraverso l'acquisto mediante sottoscrizioni pubbliche. Nel caso di

donazioni o lasciti, i terreni verranno acquisiti al demanio regionale con specifico vincolo di destinazione alla Conservatoria. Dopo l'acquisizione, la Conservatoria potrà attuare i lavori di ripristino naturale delle località e poi predisporre i piani di gestione, che saranno successivamente affidati a enti e comunità locali, a cooperative, società o associazioni ambientaliste che assicureranno l'accesso al pubblico.

Coerentemente con la linea dell'amministrazione — si legge nella deliberazione della giunta — la Conservatoria non sarà un nuovo ente, ma avrà una struttura agile che vedrà nel presidente della Regione il garante del coordinamento delle politiche paesaggistiche e ambientali.

Il Comitato d'indirizzo, con competenze politiche e programmatiche, sarà formato dallo stesso presidente della Regione, dagli assessori dei Beni culturali, degli Enti locali, della Difesa dell'Ambiente, della Programmazione, del Turismo, affiancati da tre esperti che saranno nominati dalla giunta con incarico triennale. La struttura tecnica e operativa verterà su un nuovo servizio interassessoriale che verrà istituito nella presidenza della Regione e che si avvarrà di risorse degli assessorati interessati. Questo secondo livello si occuperà dell'attività giuridico-amministrativa (ad esempio acquisizione delle aree, istruttorie, predisposizione delle sottoscrizioni pubbliche); curerà e attuerà i piani di gestione delle aree costiere; predisporrà i monitoraggi paesaggistici, ambientali e naturalistici; curerà le campagne di informazione e di educazione su paesaggio e ambiente; promuoverà il turismo sostenibile nelle aree interessate. Per proteggere e valorizzare i 1.850 chilometri costieri della Sardegna, la Conservatoria dovrà raccordarsi con uffici di tutela del paesaggio, Corpo Forestale, con l'agenzia per l'ambiente, l'Arpas, e, più in generale, con tutte le strutture regionali competenti in materia di ambiente e paesaggio.

Un piano nel mirino

Sandro Roggio

Prende forma il progetto del presidente Soru per una più rigorosa tutela dei paesaggi della Sardegna, specie di quelli costieri. La proposta di piano paesistico, completata nei giorni scorsi, entra nella fase del confronto con gli enti locali. Ed è davvero un'altra storia quella che si annuncia. Come sa chi ha visto la prima puntata, quella conclusa nel `93 tra tante omissioni e contraddizioni che hanno contribuito all'annullamento degli strumenti approvati. Il procedimento si caratterizza per l'accesso facile e senza mediazioni alle informazioni ( il lavoro è già consultabile in rete e non è sempre così). Ma soprattutto c'è da dire, e con forza, che nell'era delle leggi personalizzate - per stare al tema, di leggi molto accondiscendenti verso la rendita edilizia (come la legge Lupi approvata di recente dalla Camera)-, questo modello è davvero in controtendenza.

E non c'è dubbio che sarà un buon esempio per le altre Regioni.

Il cambiamento è profondo e richiede un approccio adeguato: è la struttura stessa di questo progetto che non ammette una lettura secondo le logiche di un'altra stagione politica, quando prevaleva il rito delle distribuzione patteggiata dei volumi. Quando i piani - specie quelli comunali- erano ratifiche di volontà manifestate dalle imprese di fare, qui o lì, - in genere nei luoghi più belli e accessibili - ciò che chiedeva il mercato. Quando i buoni principi contenuti nella vecchia legge, erano indeboliti dalle eccezioni previste nelle stesse disposizioni per favorire alcuni importanti imprenditori.

Il complesso delle regole proposte contraddice ogni cedimento discrezionale (tutti uguali di fronte alla necessità di entrare nella globalizzazione del mercato turistico «con la schiena dritta», come ha detto l'assessore all'urbanistica Gianvalerio Sanna presentando il piano). Cosa peraltro molto conveniente: non solo perché il turista si è fatto più esigente, e chiede di conoscere luoghi veri e non villaggivacanze di cartapesta. Ancora prima perché i sardi hanno iniziato a riconoscere la necessità di non svendere i luoghi preziosi dell'identità.

Il paesaggio- valore costituzionale- è nel progetto protagonista, presupposto per ogni scelta per cui le trasformazioni ammesse sono prevalentemente volte alla riqualificazione. I luoghi che sono stati risparmiati dall'assalto speculativo degli ultimi 30 anni saranno puntigliosamente conservati. E si prevedono programmi estesi di riordino urbanistico (perché ci sono molte brutte cose sparse da rimediare) e l'idea di fondo è quella di valorizzare e potenziare gli insediamenti esistenti - quelli abitati tutto l'anno - che con pochi adattamenti potrebbero essere in grado di offrire un'eccellente ospitalità. Insomma un altro modello di sviluppo.

La fase del confronto nei prossimi mesi sarà molto impegnativa: sono previste una ventina di istruttorie pubbliche che Soru stesso, si dice, presiederà.

Sarà un percorso difficile perché c'è da attendersi- già ce ne sono- organizzate reazioni alle previsioni che contraddicono ipotesi di intervento un tempo superprotette, ritenute oggi inammissibili. Per questo serve che la discussione, che non dovrà essere limitata ai comuni costieri, e neppure alla sola Sardegna, rinforzi il consenso attorno all'idea del governo regionale che si è rivelato più vasto di quanto ci sia aspettasse.

Solo da un profondo cambio di mentalità, normalmente lento su questi temi, la proposta potrà essere non solo approvata ma messa al riparo. Oggi, non è una novità, chi ha interessi - e fa politica- sta già preparano le mosse per una controriforma.

Renato Soru ridisegna la Sardegna

Coistantino Cossu

Salvacoste atto secondo: la giunta Soru ha approvato nei giorni scorsi il piano paesaggistico regionale. Vengono confermati i principi di salvaguardia, compreso il divieto di costruire entro i due chilometri dal mare, stabiliti dalla legge dell'agosto dell'anno scorso, ma si potrà riprendere l'attività edilizia negli insediamenti esistenti, quelli degli anni Cinquanta e quelli successivi, anche i più recenti. Qui, però, si potrà intervenire, prevalentemente, per riqualificare ciò che già esiste, con attenzione al recupero del degrado, alle ristrutturazioni, alla cancellazione graduale degli interventi più dissennati. Si potranno costruire anche nuove cubature, ma solo per interventi limitati legati all'attività turistica alberghiera di qualità, niente villaggi alveare o seconde case L'obiettivo è di evitare quanto più possibile nuove costruzioni e di migliorare quelle esistenti, riconvertirle. «Con la vecchia normativa - spiega l'assessore all'urbanistica Gian Valerio Sanna - prevalevano i piani urbanistici comunali e tutti attendevano di sapere quale cubatura poter utilizzare per le costruzioni. Ora il criterio è capovolto: si potrà costruire o modificare solo se c'è aderenza con il paesaggio circostante e se questa corrispondenza migliora l'utilizzo del territorio ed è funzionale al suo sviluppo». «Nelle campagne - aggiunge Soru - blocchiamo le lottizzazioni abusive vietando ogni nuova costruzione all'interno di appezzamenti inferiori ai dieci ettari. Si potrà costruire solo per la produzione, in caso di attività produttive agricole o legate all'agricoltura».

Che cosa Renato Soru esattamente abbia in mente lo si vede bene nel caso delle coste del Sulcis. Qui la chiusura delle ormai improduttive miniere di carbone e di zinco ha lasciato libera una cubatura enorme. Vecchi edifici abbandonati, case di minatori, uffici delle compagnie minerarie, impianti di superficie per lo stoccaggio e la pulitura dei materiali estratti dalle gallerie: per riqualificare tutto ciò la giunta Soru ha lanciato un bando internazionale aperto alle multinazionali del settore turistico.

Insomma, neppure un metro cubo in più in una delle zone e più belle della costa orientale della Sardegna, ma riqualificazione: villaggi di minatori trasformati in centri residenziali e in alberghi ad alto target. Non si costruisce niente in più, è vero; ma è altrettanto vero che la zona delle miniere, dopo l'intervento dei «soggetti qualificati», cambierà aspetto in maniera radicale; diventerà un comprensorio turistico di rilievo internazionale, capace di attrarre una domanda molto superiore rispetto a quanto accade ora. E infatti per il concorso bandito da Soru nella zona delle miniere hanno già manifestato interesse la Real Estate del gruppo Tronchetti Provera e la Colony Capital di Tom Barrack, il miliardario texano proprietario della Costa Smeralda.

Proprio la Costa Smeralda sarà un altro importante banco di prova del piano approvato dalla giunta regionale sarda. Lo scorso novembre è stato presentato in consiglio comunale ad Arzachena (la cittadina nei cui confini è compreso il villaggio creato dal principe Karim Aga Khan negli anni Sessanta) un progetto della Sardegna Resort (controllata dalla Colony Capital di Barrack) che prevede nuove volumetrie per circa 170 mila metri cubi, con un investimento complessivo di 180 milioni di euro, spalmati in sette anni di intervento. Una vera e propria colata di cemento vecchio stile. Soru e Barrack si sono incontrati. L'imprenditore americano ha detto che i suoi progetti di sviluppo rispettano l'ambiente. Come andrà a finire? Barrack sarà autorizzato a costruire visto che fa turismo di qualità? Oppure si dovrà accontentare di restaurare ciò che ha già? Per ora si sa solo che Soru ha invitato il successore dell'Aga Khan a dirottare gli investimenti sul progetto di recupero turistico delle miniere del Sulcis.

Proprio il caso del Sulcis, però, dimostra che riqualificazione può anche significare modificare radicalmente lo stato delle cose in un intero territorio. Barrack o Tronchetti Provera dovranno restaurare case cadenti e trasformarle in alberghi di lusso, ma bisognerà anche costruire infrastrutture, provvedere a servizi essenziali che ora mancano; aumenterà la pressione antropica su due gioielli naturalistici come le spiagge di Scivu e di Piscinas e su svariati ettari di dune sabbiose che sono uniche nel Mediterraneo; un sistema che ha equilibri delicatissimi. Tutta la zona è inserita all'interno di un'area protetta, il «Parco geominerario del Sulcis-Iglesiente», che non a caso sinora è rimasto solo sulle carte dei decreti istitutivi. A Piscinas come a Porto Cervo? «Il recupero dei siti minerari dovrà avvenire - sta scritto nel piano - senza snaturare il paesaggio minerario reinterpretandolo in falsa chiave turistica o in termini di rinnovo avulso dal contesto». E' un punto sul quale bisognerà fare molta attenzione che alle dichiarazioni d'intenti seguano i fatti. Come per tutto il piano approvato dalla giunta Soru.

Postilla

Il territorio costiero soggetto a particolare tutela come bene d'insieme di rilevanza regionale non è costituito, come si afferma nell'articolo, da una fascia di 2000 metri, ma da un'area a profondità variabile - ove superiore ove inferiore ai 2 km - delimitata sulla base di una specifica analisi delle caratteristiche strutturali del territorio. Le "sciabolate" geometriche (tot metri lineari) transitoriamente poste dalle leggi di salvaguardia sono uno strumento provvisorio che la pianificazione è chiamata a superare con più rigorose determinazioni, legate alle specifiche caratteristiche dei siti e della loro dinamica: lo fece Galasso nel 1985, lo ha fatto Soru nel 2004.

La Sardegna ha da oggi, martedì 13 dicembre, lo strumento urbanistico che programma l'uso del territorio regionale, la salvaguardia ambientale e del paesaggio agrario, e prevede interventi negli insediamenti lungo la costa, per le attività economiche, nei centri abitati.

Cagliari, 13 dicembre 2005 - La Giunta regionale ha approvato qualche minuto dopo le 19 la delibera che vara il Piano. Che da oggi comincia un percorso che lo porta al confronto con le amministrazioni locali, attraverso una serie di conferenze nei 27 territori, o ambiti, nei quali lo strumento divide l'Isola.

La salvaguardia della costa della Sardegna, per i due chilometri stabiliti dalla legge salvacoste dell'anno scorso, e in qualche caso anche oltre, resta rigorosa, ma si potrà riprendere l'attività edilizia negli insediamenti esistenti, quelli degli anni 50 e quelli successivi, anche più recenti. Dove si potrà intervenire per riqualificare, con attenzione al recupero del degrado, alla costruzione di una qualità architettonica spesso sconosciuta, alle ristrutturazioni, alla cancellazione graduale degli interventi più dissennati. Si potranno costruire anche nuove cubature, per interventi legati all'attività turistico alberghiera di qualità, e si farà un discorso particolare per le isole e i centri abitati come La Maddalena e Carloforte.

Salvaguardia del paesaggio costiero anche in profondità rispetto alla costa dove si è salvato nel corso di questi decenni, nelle aree diventate di enorme pregio ambientale, simboli della Sardegna più affascinante, attraente.

Prime politiche di salvaguardia nelle campagne: le architetture tradizionali del paesaggio rurale dell'Isola, dagli stazzi al reticolo dei muretti a secco, la vegetazione spontanea e autoctona, la compattezza dei villaggi dell'interno. C'è nel Piano Paesaggistico una fortissima spinta alla salvezza della campagna sarda da un assalto diventato molto minaccioso di una residenzialità non legata alle attività agricole, che divora territorio e lo sottrae agli usi collettivi tradizionali, rende esosa la fornitura di servizi a un'area sempre più vasta, ed è contro la lunga storia del popolamento della Sardegna, la sua organizzazione urbana per villaggi, interrotta solo dalla colonizzazione settecentesca della Gallura.

Qui tutti i documenti della proposta di Piano paesaggistico regionale

Niente più cemento sulle coste sarde. In controtendenza rispetto al parlamento nazionale, che ha appena approvato il condono per gli abusi edilizii compiuti sulle zone costiere vincolate, il consiglio regionale della Sardegna ha dato il via libera alla legge salvacoste che impone il divieto di edificare sui litorali entro due chilometri dal mare e blocca la costruzione di nuovi impianti eolici nell'isola. Una partita, quest'ultima, sulla quale la giunta regionale di centrosinistra ha al suo fianco le associazioni ambientaliste, preoccupate per gli scempi al paesaggio che un ricorso indiscriminato all'eolico sta provocando in molte zone della Sardegna. Contro la legge salvacoste (più esattamente contro il decreto legislativo della giunta che anticipava i vincoli in attesa della legge) il centrodestra è ricorso anche all'arma del Tribunale amministrativo regionale. Ma proprio ieri mattina, a poche ore dall'approvazione del provvedimento da parte del consiglio, il Tar ha rigettato il ricorso presentato dai sindaci di tre città governate dal centrodestra: Olbia, Alghero e Arzachena. «La legge», ha sentenziato il Tar, «è tale da far ritenere non sussistente un danno irreparabile per i soggetti interessati, comuni e privati». I giudici del Tar non sono entrati nel merito, ma hanno per ora respinto l'istanza cautelare dei ricorrenti. Questi, oltre alla richiesta di annullamento del decreto della giunta, avevano sollecitato, infatti, la sospensione del provvedimento.

La legge è passata dopo un lungo braccio di ferro tra maggioranza e opposizione. Il centrodestra ha presentato più di duemila emendamenti e ha attuato un ostruzionismo durissimo (interventi ripetuti nel dibattito, su ogni emendamento, per dichiarazione di voto) per cercare di ritardare al massimo l'approvazione. L'altro ieri, poi, l'opposizione ha cercato di dilatare i tempi, confidando in un pronunciamento favorevole del Tar. Si puntava sull'accoglimento della richiesta di sospensiva prima dell'approvazione della legge, in modo da porre le premesse giuridiche per chiedere la non promulgazione del provvedimento. Ma il calcolo si è rivelato sbagliato.

La legge ha provocato tensioni anche all'interno della maggioranza. Settori dei Democratici di sinistra, lo Sdi e l'Udeur hanno cercato di far passare deroghe alla normativa anticemento che avrebbero reso i divieti molto più flessibili. Anche alcuni sindaci di paesi costieri della Gallura governati dal centrosinistra hanno fatto pressione per allentare i vincoli. Tentativi che si sono infranti contro il no secco di Renato Soru, presidente della giunta.

Sostegno pieno arriva, invece, dalle associazioni ambientaliste. «Il rispetto del territorio e del paesaggio», dice Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente, «è parte essenziale nella scommessa della Sardegna su uno sviluppo duraturo e a misura d'uomo. Tutelare le ricchezze naturali, il patrimonio paesaggistico e le bellezze dell'isola è un imperativo inappellabile. La legge salvacoste, e in particolare la norma di garanzia dei due chilometri, vanno in questa direzione. Perciò l'approvazione in Consiglio regionale e la risposta negativa del Tar alla richiesta di sospensiva sono due segnali importanti e incoraggianti, non solo per la Sardegna ma per il paese intero». E anche il Wwf si fa sentire: «Finalmente, dopo anni di immobilismo, la legge passata in Sardegna provvede a salvaguardare le coste e il paesaggio. Un patrimonio che ha subito danni incalcolabili, con complessi edilizi di fortissimo impatto che ne hanno alterato le caratteristiche. Ora la Sardegna potrà contare su uno sviluppo basato su una più corretta gestione del patrimonio ambientale e paesaggistico. Una linea, quella sulla quale si muove la Sardegna, che è un punto di riferimento importante anche a livello nazionale».

Per il centrodestra una sconfitta che brucia due volte: perché manda all'aria i piani di cementificazione e perché viene incassata in Sardegna, l'isola dove sorge Villa Certosa, simbolo di come l'interesse generale possa essere piegato, con assoluta protervia, agli affari privati.

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