La mappa è una normale mappa catastale. Ma fuori dal suo codice burocratico sembra un giochino di quelli che compaiono sulla Settimana Enigmistica: tanti quadratini, circa duemila, e dentro i quadratini un numeretto. «Questa era la lottizzazione della Sterpaia, ogni quadratino un lotto, ogni lotto una villetta, una baracca, un prefabbricato. D’estate arrivavano alla Sterpaia diecimila persone. Avevano costruito strade e portato l’acqua. Ma era tutto abusivo. Forse il più grande abuso mai compiuto da queste parti».
La voce di Massimo Zucconi è rotonda. Moderata l’inflessione toscana. Siamo sull’arenile bianco e di polvere sottile del golfo fra Piombino e Follonica e nell’aria aleggia la minaccia di un nuovo condono edilizio, il terzo nella triste storia delle sanatorie italiane (il secondo patrocinato da Silvio Berlusconi). Di fronte, nell’evanescenza della foschia, si scorge l’Elba che sovrasta il mare colore del cobalto. In lontananza le ciminiere, il più vistoso lascito della grande speranza industriale di questo lembo della Maremma - erano 12 mila gli operai una decina di anni fa, adesso sono 3 mila.
Zucconi è architetto ed è il presidente della società che gestisce i sei parchi della Val di Cornia, quello archeologico di Baratti e Populonia, quello archeominerario di San Silvestro, quelli naturali di Montioni e di Poggio Neri e quelli costieri di Rimigliano e, appunto, della Sterpaia. Per molti anni Zucconi ha diretto il dipartimento di Urbanistica del Comune di Piombino ed è stato l’artefice di un evento che, in quelle dimensioni e per la data in cui prese le mosse - il 1983 - , era un esordio nella storia d’Italia: la demolizione di tutti i manufatti abusivi, le duemila casette allineate in quella mappa. A partire da allora, e terminati gli abbattimenti a metà degli anni Novanta, Zucconi ha preso ad occuparsi del risanamento dei milleottocento ettari della Sterpaia, un bosco popolato da aceri campestri e aceri trilobi, da frassini, olmi e ornielle e da maestose querce, presenti in varie specie - farnie, cerro e roverella - e molte delle quali «capitozzate», cioè tagliate a un’altezza fra i due e i tre metri in modo che la pianta potesse crescere più in larghezza che in altezza.
Adesso la Sterpaia fronteggia una spiaggia sinuosa e lucente. E con essa forma un sistema ambientale complesso, composto dalle dune, dalle aree umide che si assiepano dietro di esse, da radure agricole e da aree boscate. Pochi gli stabilimenti balneari, alcune aree di parcheggio, piccoli chioschi, qualche ristorante, lunghissimo l’arenile libero: il bosco della Sterpaia è stato restituito a un turismo rispettoso e sobrio. Ma dietro la sua serenità si cela una storia di travagli umani e politici.
Fin dal Medioevo la pianura attraversata dal fiume Cornia era dominata dalle paludi che si alternavano a boschi e a qualche sparuto appezzamento coltivato. E le paludi, infestate dalla malaria, tenevano lontani gli uomini e le loro attività. Il paesaggio era quello scoraggiante e selvatico di una landa, segnata solo dalle torri di avvistamento contro le incursioni saracene e da qualche raro ricovero di pastori. I primi interventi di bonifica risalgono alla fine del Cinquecento, ma la sistemazione idraulica su larga scala fu avviata, come in tutta la Maremma, negli anni Venti dell’Ottocento dal granduca Leopoldo II. Il lago di Rimigliano e le paludi interne vennero prosciugate dirottando l’acqua in numerosi canali di scolo, mentre l’acquitrinio di Piombino venne interrato con materiali trascinati dal Cornia che formarono una vastissima colmata.
La storia più recente della Sterpaia (una storia che viene rievocata in un libro curato per Legambiente da Edoardo Zanchini e pubblicato da Franco Angeli: Dall’abusivismo al parco) inizia trent’anni fa. Nel 1971 un’agenzia immobiliare di Piombino rilevò i centottanta ettari della Sterpaia dall’ultimo dei suoi proprietari, il barone Ostini. Sul bosco il Comune di Piombino aveva imposto, negli anni Sessanta, un divieto assoluto di edificabilità, rinforzato da un vincolo paesaggistico del ministero della Pubblica Istruzione. Per la verità il piano regolatore di Piombino prevedeva insediamenti turistici che avrebbero chiuso in gabbia la Sterpaia, lasciando che fosse circondata da un mare di cemento. Fu il ministero dei Lavori Pubblici, nel '71, a esigere la tutela anche delle aree a Est e a Ovest del bosco (e fu sempre il ministero, alla cui direzione generale dell’Urbanistica sedeva un intransigente galantuomo, Michele Martuscelli, a sventare uno sciagurato villaggio di quasi due milioni di metri cubi nientemeno che sul promontorio di Populonia, a ridosso della necropoli etrusca).
Il divieto di costruire era stato confermato da un piano urbanistico redatto dall’architetto Carlo Melograni per tutti i quattro comuni dell’area (oltre a Piombino, San Vincenzo, Campiglia Marittima e Suvereto). Ma nonostante i vincoli, l’agenzia immobiliare che aveva comprato la Sterpaia divise la proprietà in piccoli lotti da 500, 1.000 e 2.000 metri quadrati e, così frazionata, la vendita non poteva che preludere a un’imponente speculazione: il terreno, acquistato a poche centinaia di lire al metro quadrato, veniva ceduto a quindici, anche ventimila. I compratori non erano benestanti: la gran parte proveniva da ceti medio-bassi, quando non proprio operai dell’acciaieria, che realizzavano il sogno della casetta per la villeggiatura.
Poco dopo aver messo piede nell’Ufficio abusivismo del Comune, Zucconi aprì un armadio e trovò decine di delibere con le quali l’amministrazione ordinava la demolizione degli illeciti. Era il 1983, ma nessuna ruspa si era mai avventurata alla Sterpaia, che nel frattempo era diventata una fungaia di cemento. «Mi dissero che non si era proceduto perché i proprietari erano ricorsi al Tar e che il Tar non si era ancora pronunciato. Risposi che si poteva comunque demolire. Mi ribatterono che il Comune non voleva accollarsi i danni patrimoniali casomai il Tar gli avesse dato torto».
Era la verità. Ma era vero anche che una parte del Pci, da sempre al governo di Piombino, non era insensibile agli interessi di chi aveva costruito alla Sterpaia. Una delegazione di abusivi si era fatta persino ricevere da Enrico Berlinguer (ma il segretario del Pci non assicurò nessun appoggio). In un estremo tentativo conciliatorio il Comune aveva offerto a chi avesse demolito l’abuso una casa in due villaggi turistici ai bordi del bosco. Ma accettarono solo 190 proprietari («e fu una fortuna», commenta ora Zucconi, «altrimenti si sarebbe generalizzato il principio che un abuso possa essere sì abbattuto, ma poi indennizzato»).
Non fu semplice per Zucconi forzare la mano. Ma convinto a demolire era anche il nuovo sindaco di Piombino, Paolo Benesperi (che adesso è assessore regionale), e le ruspe si misero in movimento a dicembre dell’83 proprio mentre il Tar cominciava a dar ragione al Comune. A casa di Zucconi arrivarono un paio di lettere contenenti un proiettile. Ma si andò avanti lo stesso. E anzi la giunta diede incarico a Italo Insolera di redigere un piano particolareggiato del parco, che fu pronto nel 1985. Un gruppo di lottisti si presentò dal ministro dell’Ambiente Alfredo Biondi. «Subito dopo andammo anche noi dal ministro», racconta Zucconi. «Ci ricevette dicendo che aveva appena parlato con "quelli di Piombino": credo che non gli fosse sufficientemente chiara la differenza fra noi e loro».
I terreni liberati dalle case furono riacquistati dal Comune. Ma non più come se fossero edificabili, bensì a prezzo agricolo (furono di fatto espropriati). Nuovo ricorso dei proprietari alla giustizia amministrativa. Nuova vittoria del Comune. E così le ultime case furono abbattute dagli stessi abusivi, che evitarono altri addebiti di spesa. La Sterpaia tornava a respirare. Ma altri anni di lavoro furono necessari per ripristinare la qualità della sua vegetazione, la densità delle piante. Le querce sono tornate a dominare con le loro chiome ultracentenarie e in alcune zone si è deciso di imporre un regime da riserva integrale (vale a dire che non sono frequentabili se non con un permesso del parco e con la guida).
Accanto alle querce – Zucconi le mostra con contenuto orgoglio – spuntano piante non autoctone – filari di tamerici, pitosfori ed eucalipti, ma anche palme di vario genere e dimensione. Sono sistemati su brevi segmenti, poi disegnano un angolo retto, un altro ancora e infine si chiudono a quadrato. «Erano le recinzioni dei lotti abusivi, abbiamo deciso di lasciarle perché attestano la storia naturale di questo bosco e delle sue traversie».
(3 - continua)