loader
menu
© 2024 Eddyburg

Fiorentino Sullo è una figura tragica ed emblematica della vicenda urbanistica italiana che ha determinato anche la sua biografia personale e politica. Nato a Paternopoli (Avellino) il 29 marzo 1921 è morto a Salerno il 3 luglio del 2000. Laureato in giurisprudenza e in lettere. Deputato per 41 anni, dalla I alla XI legislatura. È stato il più giovane deputato all’Assemblea costituente. Uno dei capi storici della Democrazia cristiana, fondatore della corrente di Base. Più volte sottosegretario, ministro dei Trasporti nel governo Tambroni del 1960, si dimise quando quel governo ottenne la fiducia con i voti determinanti del Movimento sociale italiano. Il suo nome resta però legato alla proposta di riforma urbanistica, basata sull’esproprio preventivo delle aree fabbricabili, presentata quando era ministro dei Lavori pubblici nel quarto governo Fanfani (1962-1963) e nel successivo governo Leone (1963). Sconfessato dal suo partito, fu ancora ministro per la Pubblica istruzione (1968-1969), per la Ricerca scientifica (1972) e per l’Attuazione delle regioni (1972-1973), ma lentamente e progressivamente emarginato dalla vita politica che abbandonò definitivamente nel 1987.

La proposta di riforma urbanistica che porta il nome di Fiorentino Sullo e la cronaca della sua clamorosa bocciatura sono illustrate nei documenti che seguono. Qui interessa soprattutto mettere in luce la “lunga durata” della sua dannazione. Ancora oggi non mancano politici e amministratori che di fronte a scelte urbanistiche coraggiose si tirano indietro sostenendo che non intendono fare la fine del ministro Sullo. Tant’è che penso di poter motivatamente sostenere che nel 1963 fu compromessa per sempre la possibilità di dotare il nostro paese di una legislazione moderna in materia di urbanistica.

La prima inquietante dimostrazione della forza di chi si opponeva alla riforma fu il tentato colpo di stato da parte di esponenti delle forze armate nell’estate del 1964 al tempo della formazione del secondo governo Moro (1964-1966). Nel dicembre dell’anno prima, nelle dichiarazioni programmatiche alla Camera del dicembre 1963, in occasione del primo governo Moro (1963-1964), lo statista dedicò molto spazio alla nuova legislazione sui suoli, che riprendeva in larga misura le linee della proposta Sullo. Moro dichiarò infatti, tra l’altro, che tra gli obiettivi da perseguire era compresa:

l’avocazione alla collettività nella misura massima possibile delle plusvalenze comunque determinatesi e la creazione di un meccanismo che eviti la formazione di nuove rendite per il futuro. Il governo ritiene che la strumentazione atta al raggiungimento dei fini della politica economica e sociale che coinvolgano l’utilizzazione del territorio debba trovare il suo fondamento nel regime pubblicistico del mercato della aree fabbricabili.

Nel programma del secondo governo Moro (luglio 1964), la riforma urbanistica è invece del tutto cancellata. Che era successo? Quarant’anni dopo, all’inizio del 2004, polemizzando con Paolo Mieli che riteneva infondata l’ipotesi del colpo di stato del luglio 1964, Eugenio Scalfari scrisse che il complotto c’era stato: “Il business italiano, già colpito dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica, tremava al pensiero che i socialisti volessero attuare la nazionalizzazione dei suoli edificabili, che avrebbe spezzato la speculazione sulle aree ed avrebbe impresso un corso diverso allo sviluppo delle città, delle coste, insomma del Paese”. L’analisi di Scalfari non è una novità. Nella Storia e cronaca del centro-sinistra di Giuseppe Tamburrano si legge che “la nazionalizzazione dell’industria elettrica non suscitò le ostilità degli ambienti economici che incontrò invece la riforma urbanistica”. Lo stesso Tamburrano ricorda quanto scrisse Pietro Nenni nel suo diario a proposito degli interminabili incontri con la Dc nel luglio 1964: “La bomba scoppiò quando Moro disse, col suo solito tono distaccato, che il presidente della repubblica non avrebbe mai firmato una legge la quale comportasse l’esproprio generalizzato dei suoli urbani”. Nenni intravide un “balenar di sciabole” e indusse i socialisti a ripiegare.

Un altro episodio, ancor più tragico e tenebroso, addebitabile agli oppositori della riforma furono le bombe di Milano e Roma del 12 dicembre1969 che misero in moto la strategia della tensione. Attenti osservatori (per primo Antonio Cederna) videro in essa il tentativo di ostacolare, innanzi tutto, le ipotesi di riforma urbanistica e dell’intervento pubblico in edilizia che erano state imposte dalla possente manifestazione sindacale che si svolse in occasione dello sciopero nazionale del 19 novembre del 1969.

La nuova legge urbanistica sembrò realizzata nel 1977, per merito di un altro importante ministro riformatore, il repubblicano Pietro Bucalossi. Ma tre anni dopo, all’inizio del 1980, la prima di una serie di sentenze della Corte costituzionale obliterò non solo i contenuti innovativi della legge Bucalossi ma anche le norme che agevolavano il ricorso all’esproprio per pubblica utilità del 1971. Comincia così, con gli anni Ottanta, la lunga stagione della controriforma urbanistica, che non finisce mai. I portatori degli interessi fondiari e speculativi hanno ormai vinto, le intimidazioni e le trame eversive non sono state inutili.

I nostri lettori sanno che nel 2005, alla fine della XIV legislatura, quella del secondo governo Berlusconi, la Camera dei deputati ha approvato (con il voto favorevole di 32 deputati del centro sinistra) il cosiddetto disegno di legge Lupi, dal nome del deputato di Forza Italia Maurizio Lupi, che intendeva sancire definitivamente la privatizzazione dell’urbanistica, rendendo addirittura obbligatoria l’intesa con la proprietà per qualsivoglia trasformazione urbanistica. Siamo esattamente agli antipodi della proposta Sullo. L’approvazione del testo Lupi da parte del Senato, che era data per scontata, fu scongiurata anche (e forse soprattutto) grazie alla mobilitazione organizzata da eddyburg.

I testi proposti dall’antologia in questa Pagina di Storia



Il Discorso al Senato con cui il ministro dei Lavori pubblici sottolinea come la riforma urbanistica sarà nelle sue intenzioni uno dei pilastri: dell’azione ministeriale e di quella complessiva del governo. Da Edilizia Popolare , maggio-giugno 1962.



Tre diversi articoli, tutti estratti da Urbanistica n. 36-37, 1962, a partire dall’ampia introduzione al progetto di legge di Giovanni Astengo dal titolo Urbanistica in Parlamento, poi la Relazione illustrativa della proposta di legge, così come elaborata dalla Commissione presieduta da Sullo, e infine l’articolato del Progetto di Legge urbanistica, così come elaborato nel giugno 1962 e proposto all’attenzione del CNEL.



Un piccolo gruppo di note, dalla stampa di partito dell’aprile 1963, che documentano come la Democrazia Cristiana si dissocia dal suo ministro, iniziando a ufficializzarne l’emarginazione, prima politica e poi, gradualmente, anche personale (estratti dal volume di documenti a cura dello stesso Sullo, Lo scandalo Urbanistico , Vallecchi 1964).

Un altro estratto da Lo Scandalo Urbanistico, in cui Sullo argomenta (presumibilmente col senno di poi) la sua idea di Interesse pubblico e privato nei piani regolatori.



Due articoli dal periodico “ideologico” del PCI, Rinascita. Uno di Lucio Magri, del 24 agosto 1963, intitolato Una legge per le Città, in cui si confrontano le intenzioni di Sullo, gli equilibri nel suo partito, le posizioni della sinistra e gli interessi reali del paese. Uno di Aldo Natoli, del 25 aprile 1964, Parabola di Sullo, in cui la recensione dell’appena pubblicato Lo Scandalo Urbanistico diventa occasione per riflettere sulla contingenza politica italiana che ha determinato la radicalizzazione dello scontro e il naufragio della legge urbanistica.



Un estratto da Fondamenti di Urbanistica , di Edoardo Salzano, Laterza 2003 (2° ed. accresciuta) in cui si riassumono in una prospettiva storica La proposta di Fiorentino Sullo e la sua sconfitta.

L’on. Fiorentino Sullo, ministro dei Lavori pubblici nel primo governo di centro-sinistra, diretto dall’on. Fanfani, ha raccolto nel volume Lo Scandalo Urbanistico (Firenze, Vallecchi 1964) la documentazione del sorgere e del tramontare in seno alla DC delle illusioni riformatrici nel campo dell’urbanistica. È una parabola che inizia dal congresso di Napoli e dalla successiva formazione del governo Fanfani, che ha il suo corso più rapido e ascendente durante l’estate del 1962, raggiunge il punto più elevato alla fine di settembre, al Congresso ideologico della Democrazia cristiana a San Pellegrino e, subito dopo, inverte la propria direzione e precipita miseramente insieme, del resto, a tutto il castello programmatico del primo governo di centrosinistra.

Il 30 settembre 1962 l’on. Sullo, parlando a San Pellegrino non lesinava l’audacia delle sue affermazioni: “La legge urbanistica sarebbe più rivoluzionaria, non dirò della legge di nazionalizzazione dell’industria elettrica, che è proprio nulla rispetto a una seria legge urbanistica, ma persino della legge di riforma agraria”, ed individuando possibile una prossima soluzione aggiungeva: “Sarebbe veramente una grande vittoria per la Democrazia cristiana se non aspettasse altre legislature per porre a fuoco questo problema sotto la pressione di altre forze politiche”.

Non sappiamo fino a che punto l’on. Sullo, pronunciando queste parole, si cullasse nelle sue generose illusioni, ovvero intendesse, così, di esercitare una pressione sulle potenti forze che già si erano messe in movimento (e lui lo sapeva) per insabbiare lo schema di una nuova legge urbanistica che, durante l’estate, era stato approntato dalla Commissione di studio da lui stesso nominata. Questo schema costituiva allora, senza dubbio, il punto più avanzato cui era giunta l’elaborazione della cultura urbanistica, partita alla fine del ’60, dalla impostazione del “Codice dell’Urbanistica” del X Congresso dell’INU. Nel quadro dell’ordinamento regionale e integrata con la programmazione economica, la nuova disciplina dello sviluppo urbano era fondata su tre punti essenziali, annunziatori di una vera e propria riforma dell’assetto proprietario del suolo urbano: l’esproprio generalizzato, l’agganciamento delle indennità di espropriazione al prezzo dei terreni agricoli, l’introduzione del diritto di superficie. Sembra probabile che Sullo – le sue parole di San Pellegrino lo indicano – pensasse di giungere attraverso l’instaurazione del regime pubblicistico del suolo urbano e di un titolo di possesso precario di esso, ad una sorta di nazionalizzazione del settore. Dalla lettura attenta della sua prefazione e dal riscontro dei documenti raccolti nel volume risulta però in modo inoppugnabile che, mentre egli pronunciava le parole che abbiamo sopra riportate, aveva già rinunciato a parte del suo programma ed aveva avuto anche numerose occasioni di registrare segni non equivoci di resistenza ed opposizioni insuperabili. Anzitutto Moro, allora segretario della DC, si era opposto all’introduzione del diritto di superficie. Sullo, sia pure riluttante, aveva accettato di rinunziarvi. Ma ciò non era bastato. Come si sa, lo schema di legge non fu mai discusso dal Consiglio dei ministri: Fanfani si diceva d’accordo con il testo studiato e infatti le osservazioni tecniche della presidenza del Consiglio, riportate nel volume, non riguardano che minori questioni di dettaglio, senza toccare la struttura dello schema. Fanfani, a quel che dice Sullo, fece sempre riferimento ad una opposizione più generale di Moro, che funzionò come un vero e proprio veto e che colse come risultato il dirottamento dello schema di legge al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, dove esso doveva rimanere definitivamente insabbiato.

Invero – scrive Sullo a p. 15 della prefazione – nell’ottobre 1962 avevo ancora qualche illusione sull’iter della legge. Mi sembrava che convenisse al governo Fanfani almeno approvare in Consiglio dei ministri il disegno di legge. Certo, il Parlamento non avrebbe avuto il tempo per discutere il testo. E la legge sarebbe stata rinviata alla ventura legislatura. Nondimeno in sede governativa, si sarebbe potuto precisare sul piano politico il punto di vista del governo”.

Curiosa e patetica confessione. Dunque erano bastati pochi giorni dal convegno di San Pellegrino (30 settembre) perché Sullo fosse costretto ad abbandonare l’illusione che “ la Democrazia cristiana non aspettasse altre legislature per porre a fuoco il problema”. Ciò malgrado, egli si illudeva ancora che lo schema innovatore di legge urbanistica potesse diventare elemento qualificante del programma del governo e della politica di centro-sinistra, anche, è evidente, in viste delle elezioni ormai prossime.

Al Consiglio nazionale della DC, il 12 novembre 1962, Sullo aveva cercato di contrastare l’attacco doroteo condotto da Rumor, Colombo e Piccoli, diretto a bloccare il programma del governo relativo all’approvazione delle leggi per l’ordinamento regionale. Non mancò anche di fare un cenno alla legge urbanistica: “ Vi è sul tappeto una proposta di legge urbanistica. La DC la accetta? La rigetta? La emenda? Se manca la nostra iniziativa, gli altri colmeranno il vuoto” (dal resoconto del Popolo, 12 dicembre 1962).

Nessuna risposta ebbero questi angosciosi interrogativi. L’anno e mezzo trascorso da allora ci permette, stando nella favorevole posizione di chi non ha che da ricapitolare avvenimenti recenti, di constatare come le speranze dell’on. Sullo fossero completamente ingiustificate e potessero essere formulate solo perché egli non si rendeva conto di essere del tutto isolato all’interno del suo partito.

Egli non aveva ancora avvertito che il colpo d’arresto alla politica e “avanzata” del centro-sinistra, era stato già deciso e veniva solo consacrato in quel Consiglio nazionale per condurre alla liquidazione del programma del governo nel gennaio 1963 e ad una campagna elettorale nella quale la politica del centro-sinistra era ormai ridotta ad un nome vano. Era dunque fatale che, durante quella campagna elettorale, la DC nella fretta di sbarazzarsi di zavorra progressista, per ritrovare la grande massa dei suoi elettori di destra, gettasse a mare il ministro dei Lavori pubblici, per darlo in pasto agli squali della speculazione edilizia, schierati con il partito liberale. Raramente è capitato di vedere un caso come questo, di spregiudicato, meglio sarebbe dire cinico linciaggio di un uomo politico. Obbediente alle direttive di Moro, Sullo, nella seduta della Camera dei deputati del 23 ottobre 1962, aveva pur chiarito che il diritto di superficie “ poteva essere omesso” dalla legge. Ma ciò non bastò, perché la DC e il suo segretario Moro sentissero se non il dovere, almeno il bisogno di difendere e sostenere il ministro dei Lavori pubblici del governo in carica di fronte all’attacco furioso e demagogico della speculazione. Al contrario, egli fu pubblicamente sconfessato. Non si può fare a meno di fare un confronto con la condotta seguita dalla DC nei confronti di altri suoi esponenti, da Togni a Colombo a Jervolino, coinvolti e corresponsabili in gravissimi episodi di disordine amministrativo e tuttavia strenuamente difesi, e mantenuti a galla, costi quel che costi.

Ma Sullo, nel 1962, agli occhi del segretario dc, era colpevole di ben altro: leader di una corrente della sinistra dc, aveva avuto il torto di credere ingenuamente al contenuto rinnovatore del Congresso di Napoli e del programma del governo Fanfani; aveva voluto realizzare nel settore urbanistico una riforma al cui confronto, la stessa nazionalizzazione dell’energia elettrica sarebbe apparsa “proprio nulla” e ciò proprio nel momento in cui le forze moderate, neocentriste della DC, erano già passate al contrattacco, lanciando lo slogan “mai più nazionalizzazioni”. Sullo, sorpreso in contropiede, non poteva che finire in fuorigioco. Ciò era inevitabile, soprattutto per il modo con cui egli era giunto a farsi assertore della riforma urbanistica. La DC, come partito di governo del paese e della maggioranza dei comuni, aveva sempre dimostrato la più completa e opaca sordità di fronte ai problemi dello sviluppo urbano. Al contrario, più volte era apparsa direttamente compromessa, o addirittura protagonista degli scandali clamorosi della speculazione. Esemplare, il caso del comune di Roma. Tutta l’azione per la riforma urbanistica era stata condotta, per un decennio, dalle sinistre, comunisti in prima fila. Fu soltanto nel 1961 che l’on. Zaccagnini, ministro dei Lavori pubblici nel governo Fanfani “delle convergenze”, iniziò per la prima volta lo studio della riforma urbanistica. Ma tale studio si concluse con la redazione di un progetto di legge che era un passo indietro rispetto allo schema presentato alla fine del 1960 al congresso dell’INU. Esso fu seppellito senza cerimonie nella primavera del 1962, quando l’on. Fanfani presentò al Parlamento il programma del governo di centro-sinistra. A questo punto entrava in scena Sullo, neofita ed entusiasta di fronte ai problemi urbanistici. L’errore, il vero, grave errore di Sullo consisté, e consiste, nell’aver creduto di poter varare la riforma solo grazie all’aiuto di una commissione di saggi, di tecnici, di illuminati. Abbiamo già dato un giudizio positivo sul lavoro di quella commissione. Ma come poteva sperare Sullo che una riforma così complessa, che investiva il rinnovamento della struttura statale attraverso l’attuazione delle regioni; che presupponeva il varo della programmazione; che colpiva frontalmente gli interessi parassitari della proprietà fondiaria urbana – così intimamente collegata con certi gruppi dirigenti del partito dc e, soprattutto, con l’amministrazione di potenti istituti religiosi e della stessa S. Sede - , come poteva Sullo illudersi che una riforma simile sarebbe passata senza una dura lotta politica nel seno stesso del suo partito e del governo; senza una inevitabile scelta delle forze politiche capaci di sostenerla, prima ancora che nel Parlamento, nel pese!

Nelle 500 pagine del volume si cercherebbe invano un solo indizio che un barlume di tale consapevolezza abbia mai fugacemente illuminato i ragionamenti e l’azione politica dell’on. Sullo. Per questo, nell’autunno del 1962, egli non riusciva a capire le “ obiezioni teoretiche” di Moro e le esitazioni di Fanfani: per questo, nella campagna elettorale del 1963, lo sfrenato attacco scatenato contro di lui dalle “ grandi immobiliari” gli appare come una “ allucinazione generale”, che gli fa vivere la vita di ogni giorno in un “ tragico clima pirandelliano”.

In realtà egli, ingenuo apprenti sorcier, non poteva che divenire il capro espiatorio nel momento del riflusso centrista che scuoteva la DC. Con gelido cinismo, Moro, che pure aveva già ottenuto da lui la rinuncia al famigerato diritto di superficie, disponeva la pubblica dissociazione delle responsabilità della DC da quelle del suo ministro dei Lavori pubblici. Dopo il 26 aprile, a conclusione della vicenda, lo stesso Moro, nel compromesso della Camilluccia, proponeva a Nenni (che accettava) l’abbandono delle velleità riformatrici di Sullo e la rinuncia ad ogni azione innovatrice nel settore urbanistico.

La vicenda che risulta dalla documentazione raccolta da Sullo e dalla prefazione che la precede, in quanto espressione degli orientamenti politici prevalenti del gruppo dirigente della DC, alla luce degli avvenimenti che hanno portato alla costituzione del governo Moro-Nenni e all’esperienza dei cinque mesi, da allora trascorsi, non può che portare a preoccupanti considerazioni circa gli sbocchi della crisi attualmente in corso. Sintomatico e sconcertante in vista del Congresso della DC deve essere considerato l’ingresso dello stesso Sullo nella corrente unificata moro-dorotea, dove sono raccolti tutti i più convinti avversari della riforma urbanistica, cui si sono contemporaneamente associati uomini come Pella e Andreotti. Con questo passo si direbbe che Sullo abbia tratto dalla amara esperienza degli anni 1962-1963 la lezione peggiore, quella che toglie valore di protesta morale e politica alla sua denuncia e tende a ridurla a un mero espediente tattico nella lotta per il potere all’interno della DC.

Ciò segna anche l’inizio del suo tramonto come capo politico, forte di un certo margine di autonoma determinazione, e lo incammina sulla melanconica strada di quei notabili, di cui è così ricca la provincia democristiana.

La proposta del ministro Sullo

Autore della proposta che risolve alla radice il problema della rendita fondiaria urbana è Fiorentino Sullo ministro democristiano dei Lavori pubblici dal febbraio del 1962. Preso atto che “la stragrande maggioranza degli urbanisti non si dichiarava d’accordo” con lo schema elaborato dalla commissione insediata da Zaccagnini, ricostituisce la stessa commissione, integrandola con giuristi, economisti, sociologi[1].

Il disegno di legge Sullo è pronto nel giugno 1962. La riforma è impostata su basi completamente nuove ed originali. Per quanto riguarda i rapporti tra programmazione economica e pianificazione urbanistica, il progetto stabilisce che l’indirizzo e il coordinamento della pianificazione urbanistica debbono attuarsi nel quadro della programmazione economica nazionale ed in riferimento agli obiettivi fissati da questa. In attesa della costituzione degli organi che saranno preposti all’attuazione del piano economico è prevista l’istituzione di uno speciale comitato di ministri che provvede ad impartire le direttive.

La pianificazione urbanistica si articola, sia nella fase regionale che statale, agli stessi livelli e con gli stessi dispositivi previsti dal progetto Zaccagnini: piano regionale, piano comprensoriale, piano regolatore comunale e piano particolareggiato.

Il piano regolatore generale e quello comprensoriale - quando questo ha valore di piano generale - sono obbligatoriamente attuati per mezzo di piani particolareggiati, le cui prescrizioni hanno valore a tempo indeterminato e nel cui ambito il comune promuove l’espropriazione di tutte le aree inedificate (fatta eccezione per quelle demaniali) e delle aree già utilizzate per costruzioni se l’utilizzazione in atto sia sensibilmente difforme rispetto a quella prevista dal piano particolareggiato, nonché delle aree che successivamente all’approvazione del piano particolareggiato vengano a rendersi edificabili per qualsiasi causa.

Acquisite le aree, il comune provvede alle opere di urbanizzazione primaria e cede, con il mezzo dell’asta pubblica, il diritto di superficie sulle aree destinate ad edilizia residenziale, che restano di proprietà del comune. A base d’asta viene assunto un prezzo pari all’indennità di esproprio maggiorata del costo delle opere di urbanizzazione e di una quota per spese generali. Quando si tratta di aree richieste da enti pubblici operanti nel settore edilizio, da società cooperative aventi gli stessi fini, ovvero nel caso in cui le aree siano adibite ad utilizzazioni industriali, la cessione avviene a trattativa privata.

L’indennità di espropriazione è determinata, per i terreni non edificati e non aventi destinazione urbana prima dell’approvazione del piano, in base al prezzo agricolo; per i terreni non edificati, ma aventi già destinazione urbana, in base al prezzo dei più vicini terreni di nuova urbanizzazione, aumentato della rendita differenziale di posizione in misura non superiore ad un coefficiente massimo fissato dal comitato dei ministri, e infine, per i terreni edificati, in base al valore di mercato della costruzione.

In sintesi, lo schema Sullo modifica profondamente il regime proprietario delle aree: di proprietà privata resta soltanto una parte delle aree edificate, le altre aree - edificate o edificabili - passano gradualmente in proprietà dei comuni, che cedono ai privati il diritto di superficie per le utilizzazioni previste dai piani.

Il 14 luglio del 1962, la presidenza del Consiglio dei ministri - a cui Sullo aveva trasmesso il disegno di legge - comunica di “condividere in linea di massima i criteri informatori della nuova disciplina urbanistica” e muove solo osservazioni di natura tecnica. Del suo disegno di legge Sullo parla pubblicamente in più occasioni: al convegno ideologico della DC a San Pellegrino, nel settembre. a chiusura del dibattito parlamentare sul bilancio del Ministero dei Lavori Pubblici, in ottobre; ed al IX congresso dell’Inu, a Milano, nel novembre. Nessuna particolare reazione viene suscitata dalla pubblicità che gli urbanisti, e lo stesso Sullo, organizzano intorno alla proposta di riforma.

In attesa di un parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), il Consiglio dei ministri, però, rinvia l’esame del provvedimento[2]. Ci si avvicina così alla scadenza della legislatura ed alle elezioni politiche della primavera del 1963.

La sconfitta del 1963

È nell’aprile del 1963 (le elezioni sono fissate per il 28 aprile) che si scatena “lo scandalo urbanistico”: una furibonda campagna di stampa (in primo luogo“Il Tempo”, di Roma) contro il Ministro dei lavori pubblici accusato di voler togliere la casa agli italiani. È lo stesso Sullo che racconta:

“A casa mia, con un senso di sgomento e di smarrimento più che di curiosità, miei parenti stretti mi chiesero, anche essi, se volessi togliere loro davvero la casa. […] Ed io, confesso, non sapevo più come difendermi da una allucinazione generale: non bastava a difendermi il tentativo di spiegare gli errori giuridici degli oppositori, né il rammentare che in Parlamento, nell’ottobre 1962, avevo dichiarato che del diritto di superficie. Si sarebbe potuto fare a meno. Non c’era che una strada: spiegare al video a milioni di telespettatori la realtà e la fantasia. Ma questo non mi fu permesso. Invece, senza affatto consultarmi, mentre ero assente dalla capitale e con una comunicazione postuma alla mia segreteria di Roma, venne una doccia fredda; la dissociazione delle responsabilità del mio partito dalle mie. Fui sbalordito per l’oggettiva ingiustizia morale verso di me”[3].

Con una “dolorosa nota” del 13 aprile “Il Popolo” comunica che la DC dissocia la propria responsabilità dall’operato del ministro Sullo. “Se i lavoratori - commenta Sullo - non erano sufficientemente mobilitati a favore della legge, la mobilitazione dei proprietari di case era invece massiccia”

“Le grandi immobiliari trovarono terreno fertile nella primavera del 1963. E lo trovano ancora. La sociologia ci aiuta a individuare i loro alleati, che non sono immaginari. L’invenzione del pericolo della proprietà della casa fu l’arma più forte, ma non la sola. A parte l’allucinazione sulla pretesa rivoluzione del diritto di proprietà, bisogna riconoscere che il clima del “miracolo economico” aveva (ed ha) creato aspettative in tutti i proprietari potenziali di aree, anche periferiche e suburbane, soprattutto i più piccoli. E questi hanno reagito. Ora non c’è nulla di peggio che un sogno infranto. Ho ricevuto lettere, in questi mesi, che sono rivelatrici di un diffuso stato d’animo. Dalla Romagna, un cittadino si lagnava perché la legge urbanistica gli avrebbe “confiscato” un ettaro di terreno sul quale aveva sperato di costruire la dote delle figliole! Non ci si rende conto che il moltiplicarsi di questi “sogni ad occhi aperti” dei piccoli proprietari terrieri suburbani è incompatibile con altre richieste che gli stessi proprietari fanno allo Stato democratico, in quanto cittadini che aspirano, ad esempio, al diffondersi della scuola ed ad un più razionale sistema di sicurezza sociale. I “sognatori ad occhi aperti” sono tuttavia lottatori furibondi per la realizzazione del sogno, mentre i lavoratori che hanno bisogno dell’area a basso prezzo sembrano rassegnati all’attesa. E lottano debolmente per la legge urbanistica”[4].

Sullo resta ministro dei Lavori pubblici nel “governo ponte” presieduto da Leone nell’estate del 1963, ma alla costituzione del primo governo organico di centro sinistra viene sostituito dal socialista Pieraccini[5]. Negli accordi tra i partiti per la formazione del governo Moro, viene concordato che la riforma urbanistica deve assicurare la preminenza dell’interesse pubblico, attraverso l’acquisizione alla collettività delle plusvalenze fondiarie e la posizione di “indifferenza” dei proprietari rispetto alle scelte di piano. Su queste basi viene elaborato il disegno di legge Pieraccini: si conserva il principio dell’esproprio generalizzato, l’indennizzo però non è pari al prezzo agricolo ma è rapportato al valore di mercato del 1958. Il diritto di superficie è abolito e sono esonerati dall’esproprio le aree interessate da progetti presentati prima del 12 dicembre 1963. Mentre la proposta di legge cadeva insieme al governo, in tutta Italia vengono rilasciate una valanga di licenze edilizie.

Nella vicenda della riforma urbanistica aveva vinto in definitiva quello che Valentino Parlato, qualche anno dopo, definirà “il blocco edilizio”: un blocco sociale ed economico nel quale, attorno agli stati maggiori della proprietà fondiaria urbana, della grande proprietà immobiliare e del capitale imprenditoriale e finanziario (volta a volta alleati alle forze della rendita o in timido conflitto con loro), si aggregano le “fanterie” dei piccoli proprietari di case o aspiranti tali, dei risparmiatori, degli artigiani e dei lavoratori legati alla produzione edilizia[6].

[1] La commissione, presieduta dall’on. Sullo è costituita dal presidente di sezione del Consiglio di stato Roehrssen (vice presidente), dai giuristi Benvenuti, Giannini, Savarese e Rubino, dagli urbanisti Astengo, Piccinato e Samonà, dai sociologi Ardigò e Compagna, dai funzionari ministeriali Valle e Spanò. Segretari sono Mario D’Erme e Aurelio Prestianni. Cfr. F. Sullo, Lo scandalo urbanistico, Firenze, 1964, p. 287.

[2] “Sa Iddio come avvenne, invece, che in Consiglio dei ministri il testo del disegno di legge non giungesse mai. Io posso attestare che, in numerosi colloqui con me, Fanfani si dichiarò sempre personalmente favorevole al testo studiato, ma ogni volta concludeva esortandomi a convincere Moro, segretario politico del partito di maggioranza relativa, a fare opera di persuasione su Moro! Ed io rispondevo che avevo già accolto da Moro l’invito a rinunciare al diritto di superficie. E che altre obiezioni di fondo (prima del 28 aprile 1963) non c’erano state, da parte di Moro. Vincendo le mie esitazioni, Fanfani dispose l’invio del progetto al Cnel. Molti oppositori vollero vedere in questa disposizione un tentativo di affossamento. Espressi, nell’ambito parlamentare, opinioni opposte: si voleva spianare la strada al progetto evitando errori tecnici e soprattutto rassicurando implicitamente l’opinione pubblica che non si sarebbe ripetuto il dibattito-lampo (o dibattito-fulmine) della nazionalizzazione dell’energia elettrica. Rimase in me il dubbio sui “lunghi tempi” che furono consentiti al Cnel, me nolente, e sulla decisione (che neppure fu mia) di non discutere (anche a fine gennaio) il disegno di legge in Consiglio dei ministri con che si sarebbe lasciato, come Campilli suggeriva, al Cnel di fornire direttamente, come fu fatto per i disegni di legge agricoli, il parere alle Camere” (F. Sullo, cit., pp. 15-16). Il parere del Cnel, successivamente predisposto da Petrilli e Senin, è favorevole ai princìpi della proposta Sullo. Ivi, pp. 383-439.

[3] Ivi, pp. 17-18.

[4] Ivi, p. 21.

[5] “Avevo desiderio di rimanere ministro dei lavori pubblici per fare la legge urbanistica e per provare che le paure della primavera del 1963 erano grossolane: che si viveva in un clima rovente di passioni e di allucinazioni. Credevo di aver diritto a dimostrare non solo la buona fede, ma il mio realismo. E tuttavia, avrei cercato di non affossare i princìpi fondamentali della riforma. Altri non ha apprezzato sufficientemente gli aspetti morali di questa mia richiesta e le cose sono andate diversamente!” (Ivi, p. 24).

[6] Valentino Parlato, Il blocco edilizio, in “il manifesto”, nn.3-4, 1970. Ripubblicato in: “Lo spreco edilizio”, a cura di F. Indovina, Marsilio, Padova 1972.

Nota de Il Popolo, 13 aprile 1963.

In relazione alle polemiche circa io schema di legislazione urbanistica, negli ambienti responsabili della Democrazia Cristiana, si fa rilevare che il documento, il quale ha fornito occasione a vari rilievi, è il frutto del lavoro di una commissione di studio costituita presso il ministero dei Lavori Pubblici. Lo schema così formulato è stato inviato direttamente dal ministro competente per l'esame al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, prima di sottoporlo all'approvazione del Consiglio dei ministri. Pertanto, per quanto siano apprezzabili talune disposizioni, è chiaro che nello schema non è in alcun modo impegnata la responsabilità della Democrazia cristiana. Questo partito, come è detto chiaramente nel suo programma, persegue l'obbiettivo di dare la casa in proprietà a tutti gli italiani senza limitazione alcuna nella tradizionale configurazione di questo diritto. Anche nella legislazione urbanistica saranno pienamente rispettati per quanto riguarda la DC i principi costituzionali e i diritti dei cittadini.

Una nota pubblicata ieri dall'agenzia «Italia», ha reso noto, inoltre, che in merito alle conclusioni della commissione di studio dei piani urbanistici, il governo si è comportato con estrema cautela, subordinando ogni inizio di discussione collegiale alla conoscenza del richiesto parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Di solito la procedura è quella inversa: si procede, cioè, all'esame consiliare ed in questa sede si delibera la richiesta del parere del CNEL. Questa volta il ministro, prima di sottoporre l'esito degli studi dell'apposita commissione urbanistica alla discussione collegiale del Consiglio dei ministri, ha voluto sentire il CNEL per averne un orientamento. Il fatto che il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro stia da mesi approfondendo la questione, dimostra con quale senso di prudenza nelle sfere responsabili si sia voluto premettere un tale esame a qualsiasi iniziale discussione di quei progetti.

Nota de Il Popolo, 13 aprile 1963.

L’ Avanti! si impegna sempre più, mano amano che ci si avvicina al traguardo elettorale, nella polemica nei confronti della DC. Tra l'altro si sofferma sui tenebrosi retroscena delle cosiddette inadempienze programmatiche della Democrazia cristiana. Il nucleo del discorso è naturalmente nella denuncia dell'ipoteca di destra gravante sulla DC, della incapacità di questo partito di operare efficacemente e coerentemente sul terreno della libertà e del progresso. È la solita artificiosa visione di una DC divisa internamente, frenata dagli uni, spinta dagli altri, suscettibile di essere adoperata come strumento di difesa di interessi conservatori o di essere utilizzata per fini di progresso sotto il pungolo di un forte partito socialista.

La DC ha la sua più libera ed intensa dialettica interna (la quale peraltro non può essere schematizzata in posizioni conservatrici e posizioni progressiste), ma trova sempre nella sua libertà e responsabilità, una giusta via unitaria che corrisponde alle richieste del suo vastissimo elettorato popolare ed agli interessi del paese. Essa non può essere piegata da temo partecipa con ricco apporto di idee. Riserve, pur nell'apprezzamento di taluni principi e disposizioni, sullo schema di legislazione urbanistica, elaborato da una Commissione di studio, sono state fatte presenti da tempo in forma discreta, contribuendo ad avviare l'utilissimo esame sollecitato dal presidente del Consiglio e dal ministro dei Lavori Pubblici, di un organismo altamente qualificato, quale è il CNEL, sulla delicata materia. E non è mancata, di fronte a rilievi mossi con amichevole e scrupolosa obiettività, la volonterosa ed attenta considerazione del ministro.

Non c'è bisogno di dire poi, che noi deploriamo la grossolana speculazione politica e non politica, su questo tema. La responsabilità politica dei partiti è fondata su decisioni statutarie collegiali le quali, soprattutto nel momento elettorale, si concentrano sul programma presentato agli elettori. E su questo programma, elaborato e reso noto prima delle recenti polemiche, si è attirata l'attenzione degli elettori anche in materia urbanistica, riconfermando le direttive di fondo della DC su questa materia. Per queste linee essenziali, enunciate nel programma, può essere assunta oggi la piena responsabilità della DC. Dai principi poi la DC trarrà una linea di azione equilibrata e costruttiva che i suoi organi direttivi, politici e parlamentari, con approfondito e sereno dibattito, sapranno definire.

Nota dell'Agenzia Radar (15 aprile 1963) sul discorso dell'on. Sullo a Bagnoli Irpino.

Il ministro Sullo, parlando a Bagnoli Irpino alla festa della «Matricola del Voto», organizzata dalla DC di Avellino, ha dichiarato di assumere tutte le responsabilità che gli competono per aver promosso, nel pieno rispetto delle procedure costituzionali ed in conformità degli impegni assunti dal presidente del Consiglio alle Camere in occasione della presentazione del governo di centro sinistra, la redazione di uno schema di moderna legge urbanistica atta anche a stroncare la speculazione sulle aree fabbricabili.

Una campagna di stampa ben orchestrata vuole incutere spavento dappertutto diffondendo preoccupazioni assolutamente fuori posto.

Si sono posti in allarme gli attuali proprietari di case - ha proseguito l'on. Sullo - mentre dovrebbe essere noto che gli attuali proprietari non sono affatto toccati dal progetto elaborato.

Si è inventato che il progetto di legge impedirebbe ad altri milioni di cittadini di diventare in futuro proprietari di case, quando invece - ha osservato l'oratore - solo rendendo più basso il costo delle aree nei comuni più importanti d'Italia un maggior numero di persone potranno diventare proprietari di casa a basso costo.

Si è voluta continuare una polemica inutile sul diritto di superficie quando sarebbe bastato prendere lealmente atto che fino da sei mesi fa il ministro Sullo aveva alla Camera dichiarato che era disposto ad eliminare dal progetto il diritto di superficie.

E anche su questo particolare del progetto si è voluto capovolgerne la portata e le finalità, dal momento che doveva essere chiaro che esso avrebbe sempre avuto carattere di concessione perpetua e irrevocabile, subordinata soltanto alle prescrizioni dei piani regolatori, al fine di evitare che, ad onta dei medesimi, pullulassero sostanzialmente impunite costruzioni abusive.

Attraverso la polemica e la distorsione della verità non si è avuto scrupolo di fomentare il panico di milioni di cittadini italiani, che hanno tutto da guadagnare da una nuova legge urbanistica. Questo si è fatto solo per tutelare gli interessi fondiari - sproporzionatamente aumentati per effetto dello sviluppo economico del Paese - di poche migliaia di persone.

Il ministro Sullo ha formulato il voto che si possa trovare il modo, prima o dopo il 28 aprile, di organizzare un dibattito televisivo che consenta al grande pubblico di rendersi conto di tutti gli aspetti del complesso problema.

Quanto a me - ha detto Sullo - non ho certo mancato di agevolare la più ampia e libera discussione del progetto, che non voleva essere, e non è, un modello di perfezione esente da critiche, ma solo una onesta base di esame.

Ed ho ampiamente informato il Parlamento illustrando il progetto al Senato sommariamente il 28 giugno 1962 e più analiticamente alla Camera il 23 ottobre 1962.

Perché gli oppositori non si servirono della tribuna parlamentare? Perché hanno atteso la campagna elettorale per diffondere notizie fantasiose e per distorcere il significato delle parole?

Ho aderito alla richiesta della presidenza del Consiglio di inviare al CNEL il disegno di legge (e al presidente Campilli ho dichiarato che non avrei insistito sull'introduzione del diritto di superficie) proprio perché sono persuaso che leggi fondamentali come l'urbanistica devono essere profondamente meditate e che perciò il parere di un organismo nel quale sono ad alto livello rappresentate le categorie del mondo del lavoro e della produzione sarebbe stato assai proficuo.

Qual che sia il ruolo che mi riserveranno le vicende politiche - ha dichiarato Sullo - io continuerò a battermi nei miei modesti limiti, perché una moderna legge urbanistica elimini o riduca il caos costruttivo delle grandi città, elimini o riduca la speculazione delle aree.

Le battaglie politiche sono lunghe ed hanno bisogno di anni; ma se sono giuste si vincono, alla fine.

Nel 1956, al Congresso di Trento, fummo derisi per aver chiesto che si prendesse in serio esame l'ipotesi di un governo di centro-sinistra. Anzi coniarono per noi il termine di «comunistelli». Il tempo ci ha dato ragione.

Nel 1963, abbiamo la sola preoccupazione di voler combattere la speculazione di centinaia di miliardi sui suoli e si inventa la bugia che vogliamo espropriare i proprietari di case.

Anche per questo il tempo darà ragione alle persone in buona fede alle quali crediamo di appartenere.

La legge urbanistica

La legge più importante sarà la legge urbanistica, sulla quale vi sono tante attese nel Paese, e che, a mio avviso, vale quanto una riforma di struttura. Abbiamo avuto un rigoglio imprevisto di alcune nostre città; abbiamo un trasferimento continuo di gente che dalla campagna si addensa in grandi metropoli. La legge urbanistica del 1942 è giunta a vecchiezza senza essere giunta a giovinezza. Ha cominciato ad essere applicata negli anni 1953-1955 ed allora era già come un abito stretto per la struttura demografica del Paese. La legge urbanistica è studiata prima da una Commissione nominata dal mio predecessore onorevole Zaccagnini. Ho dovuto però, utilizzando in parte gli elementi di quella Commissione ed in parte immettendone i nuovi, far studiare di bel nuovo il problema alla luce di criteri nuovi da una nuova Commissione. Debbo ringraziare da questo banco tutti i valorosi docenti universitari, gli uomini pratici del diritto, della tecnica e dell'economia che hanno partecipato con tanta passione ai lavori della Commissione: in particolare i tre architetti che già facevano parte della precedente Commissione, Astengo, Piccinato e Samonà; l'economista Lombardini; i sociologi Compagna e Ardigò; i giuristi Giannini e Guarino. A tutti debbo rivolgere il più vivo ringraziamento, senza escludere naturalmente i valorosissimi funzionari e ausiliari dell' Amministrazione, come il Consigliere di Stato Roehrssen, l'avvocato dello Stato Savarese, il Presidente di Sezione Valle. Come il senatore D'Albora ha ricordato, la legge urbanistica in primo luogo deve essere configurata come una legge quadro nei confronti delle Regioni. É una necessità. Se è giusto che le Regioni abbiano il compito di definire la politica urbanistica, non si può consentire che tale compito . possa snaturarsi con lo stabilire un sistema di espropriazioni e di vincoli terrieri diverso dalla Sicilia alla Toscana e alla Lombardia. Il costituente, decentrando l'urbanistica, non ha inteso attribuire poteri che riguardano diritti costituzionali che non possono che essere uguali per tutti i cittadini italiani. Questi aspetti debbono essere chiariti nell'ambito di una legge-quadro a carattere unitario. Ma noi, senatore D'Albora - dico noi perchè come Presidente della Commissione, anche se l'ho presieduta soltanto all'inizio e alla fine, credo di avere avuto una parte nei lavori della Commissione - non abbiamo lavorato intorno a una legge la quale badi soltanto al futuro. Vi è una parte della legge che verrà attuata immediatamente a prescindere dalla istituzione delle Regioni. La legge dovrà funzionare dal momento in cui sarà approvata dal Parlamento: sia prima che le Regioni abbiano deliberato in materia, sia successivamente, quando le Regioni abbiano finalmente deliberato. Vi è una parte che ha carattere transitorio. Bisognerà fare in modo che si eviti la speculazione terriera e nello stesso tempo attenui la sperequazione tra i proprietari. Oggi un proprietario vincolato deve pagare le imposte e un proprietario non vincolato tende a costruire fino a livelli impossibili per ottenere la massima valorizzazione del suolo. Questo è elemento di perturbazione ai fini di un'articolazione razionale della città. Fino a quando ci sarà la corsa di chi vuole utilizzare il suolo per ottenere il massimo in contrasto con chi invece si trova ad essere sfortunato perchè vincolato, la città non si potrà costruire organicamente. O si adotta il sistema del comparto, che però occupa determinati aspetti negativi, o si adotta il sistema proposto dalla Commissione per cui i Comuni comprano, lottizzano, urbanizzano e poi vendono all'asta anche a privati.

Non voglio anticipare una discussione. Desidero soltanto assicurare che la legge è stata studiata con accuratezza, e non con intenti oppressivi nei confronti di questa o quella classe, di questa o quella categoria, ma con la visione realistica di chi vuole che le città si accrescano in maniera organica e la corsa alla speculazione cessi. Una armonica crescita delle città veramente tutti desideriamo. Il Parlamento italiano voglia favorirla con una politica urbanistica coerente.

Lo schema predisposto consta di 87 articoli suddivisi in 5 titoli.

Alcune norme, quelle di carattere generale, stabiliscono i rapporti tra la programmazione economica nazionale e la pianificazione urbanistica, affermando il principio della preminenza della programmazione economica nazionale e della necessità che la pianificazione e l'attività urbanistica si adeguino a tutto ciò che forma oggetto del programma economico. Fino a quando non sarà stato costituito apposito organo di programmazione, le direttive saranno formulale da un Comitato di Ministri presieduto dal Presidente del Consiglio.

La pianificazione urbanistica viene distinta in 4 gradi dipendenti l'uno dall'altro e cioè: piani regionali, piani comprensori, piani regolatori generali comunali e piani particolareggiati.

Tale suddivisione, pur non discostandosi gran che dalla ripartizione attuale, si differenzia sostanzialmente da essa sia perchè il contenuto e l'efficacia dei vari piani sono profondamente aggiornati, sia perché, per taluni di essi, l'adozione diventa obbligatoria.

Naturalmente, diversi sono gli organi preposti all'attuazione ed all'approvazione dei quattro tipi di piano a seconda che essi vengano adottati prima o dopo l'attuazione delle regioni e la emanazione, da parte di queste, delle relative leggi urbanistiche.

Si è previsto, in ogni caso, che i piani regionali, i quali hanno indubbiamente un contenuto che supera quello meramente urbanistico e si permea di notevoli addentellati economici, vengano approvati con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il parere del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, su deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Per la disciplina delle aree fabbricabili nelle zone di espansione urbana e della conseguente attività edilizia, lo schema prevede nell'ambito di ciascun piano particolareggiato, obbligatorio per i Comuni espressamente individuati in sede di piano comprensoriale, l'espropriazione di tutte le aree edificabili da parte del Comune, il quale è tenuto ad attuare sulle stesse, prima di devolverle all'utilizzazione edilizia, le opere di urbanizzazione primaria. Successivamente il Comune procede alla vendita all'asta dello ius ad aedificandum sulle aree urbanizzate: con possibilità, peraltro, di cessione diretta di tale diritto ad Enti che operano nel settore dell'edilizia economica e popolare.

Il problema finanziario connesso a tale disciplina è risolto col sistema del pagamento dell'indennità di espropriazione, che, al pari della materiale apprensione dei beni, può essere differito entro un anno; tale termine appare sufficiente per mettere in moto un meccanismo di rotazione delle somme occorrenti ai Comuni.

L’attuazione del sistema è altresì garantita da una speciale gestione urbanistica prevista per i Comuni, i quali dovranno farvi affluire ed attingervi, rispettivamente, i prezzi di vendita ed i prezzi di acquisto dei suoli.

Infine, altre norme fondamentali previste nel progetto riguardano l'esclusione di qualsiasi deroga in materia edilizia rispetto ai piani approvati ed ai regolamenti edilizi comunali; nonché una più drastica normativa sanzionatoria per l'ipotesi di violazione alle concesse autorizzazioni a costruire, la quale può arrivare sino alla confisca delle parti costruite in difformità. Il disegno di legge dovrà essere discusso con i competenti Ministeri e portato allo esame del Consiglio dei Ministri. In questa fase ogni suggerimento ed ogni critica, anche della stampa e degli organismi specializzati e delle associazioni interessati, saranno attentamente vagliati.

Il secondo semestre del ‘62 è caratterizzato, per quanto riguarda l’urbanistica nel nostro Paese, da due fatti fondamentali: l’entrata in vigore della legge 18 aprile 1962, n. 167, e la ultimazione del progetto per la nuova legge urbanistica.. compilato dalla commissione nominata e presieduta dal Ministro Sullo.. e sottoposto in questi mesi al parere del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.

La legge 167 sull’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare rappresenta 10 sbocco, in vero assai tardivo.. di un disegno di legge che, presentato dapprima dal Ministro Romita, quindi riportato in Parlamento dal Ministro Togni, ha impiegato sette anni per superare il vaglio di due legislature e di varie commissioni parlamentari. Confrontando il testo finale con quello iniziale c’è da domandarsi se gli emendamenti apportati durante il lungo iter costituiscano effettivi e sostanziali benefici per il pubblico interesse, tali da giustificare la lentissima gestazione, o se non sarebbe stato assai più efficace, per la finalità stessa della legge, approvare celermente il testo primitivo.

Non si deve infatti dimenticare che la proposta di legge è uscita originariamente dal Ministero dei Lavori Pubblici quando i Comuni già si trovavano in difficoltà per il reperimento di aree a basso costo, in quantità ed ubicazione adeguata, per l’edilizia statale promossa, a getti discontinui e sovrapposti, dalle numerose leggi allora operanti, quando l’INA-Casa, esaurito il programma del primo settennio, stava ormai impostando quello per il secondo periodo settennale, quando l’esigenza del coordinamento operativo dell’edilizia statale e sovvenzionata aveva già trovato una sua embrionale espressione con la formazione del CEP (1954), quando, cioè, era facilmente constatabile che la legge stessa, anche se resa immediatamente operante, sarebbe giunta in ritardo, tenuto conto dei tempi tecnici di attuazione, rispetto al momento di massima piena degli stanziamenti statali.

La stessa durata ristretta del piano e la procedura d’urgenza, istituita per la sua redazione, pubblicazione ed approvazione, erano misure eccezionali, rispondenti a questa esigenza di bruciare le tappe, di ricuperare il tempo perso, di stimolare indirettamente la formazione dei piani comunali generali, per garantire ai vari stanziamenti statali, sia pure nella loro fase discendente e finale, una possibilità di corretto impianto urbanistico a costi ragionevoli.

L’appoggio dell’INU al disegno di legge Romita volle allora significare il consenso ad uno strumento semplificativo delle procedure normali, adeguato a situazioni contingenti, e che, se pure imperfetto (basti ricordare la clausola della variante automatica dei piani regolatori per mezzo del piano settoriale dell’edilizia popolare, fin dall’inizio denunciata come inaccettabile) poteva tuttavia servire di innesco per la redazione dei primi piani particolareggiati, facilitandoli con la riduzione del temuto piano finanziario ad una semplice previsione di spesa, e per la formazione di una prima rata di demanio comunale, con procedura abbreviata rispetto all’art. 18 della legge urbanistica.

Queste prospettive sono cadute nel nulla a causa, come è noto, dell’infausto abbinamento, in sede parlamentare, fra una legge elementare, come quella a favore dell’acquisizione delle aree fabbricabili per l’edilizia popolare, ed una complessa e controversa come quella per l’imposta sulle aree fabbricali, abbinamento che, anziché a favore, si è in definitiva risolto tutto a danno della prima.

L’aver richiamato le situazioni di partenza e d’arrivo della legge 167, che nasce, come era del resto prevedibile, scompagnata dalla sua gemella adottiva, ci è parso utile non tanto come motivo di rimpianto, quanto per cercare di capire quale possa essere oggi la funzione di questa legge nel quadro della mutata situazione odierna: ad esaurimento di quegli stessi fondi, per il più razionale e spedito utilizzo dei quali era stata predisposta, ma anche alla vigilia di un nuovo programma decennale, ancora in elaborazione, di investimenti statali nel settore dell’edilizia).

Si può cosi amaramente constatare che la 167 giunge talmente in ritardo rispetto ai programmi di edilizia statale e sovvenzionata degli anni ‘50, da essere per lo meno in anticipo rispetto a quelli degli anni ‘60.

A parziale compenso del tempo e delle occasioni perdute abbiamo oggi una formulazione indubbiamente più estensiva di quella originaria, nella finalità e nei mezzi della legge. Due sono le innovazioni sostanziali: la estensione della applicazione alla edilizia economica, sia sovvenzionata che di libera iniziativa, ed il riferimento, per l’indennità di espropriazione, al valore che / i terreni avevano due anni prima del piano, con la stabilizzazione dodecennale di tale valore.

Sull’utilità sociale della prima non vi possono essere dubbi: che a fruire dell’acquisto a prezzo di costo delle aree espropriate, pianificate ed urbanizzate, siano non solo gli Enti statali e parastatali, ma anche cooperative ed Enti statutariamente privi di scopo di lucro e che, inoltre, agli stessi benefici possano accedere, entro certe condizioni e misure, anche i privati è certo un fatto positivo, che apre e sviluppa te finalità stesse della legge ed incita le Amministrazioni locali a darsi un programma edilizio decennale.

Non si possono tuttavia tacere alcune perplessità sul blocco dodecennale del prezzo dei terreni ricadenti nel piano. Originato dal lodevole proposito di frenare l’ascesa dei prezzi delle aree edificabili, particolarmente acuta negli ultimi anni, e di garantire all’edilizia economica e popolare l’acquisto di aree scevre da rialzi speculativi, stabilizzando al tempo stesso i prezzi in modo da consentire una più tranquilla attuazione degli investimenti, il congegno escogitato appare tuttavia non immune da difetti e tale da creare situazioni di grave sperequazione. Basta infatti considerare che, quando il piano blocca terreni esterni non ancora rivalutati da operazioni speculative o da lottizzazioni, si determina all’istante una situazione di sperequazione fra terreni bloccati e terreni liberi, sperequazione che diventa particolarmente acuta ed evidente nel caso di proprietà contigue, l’una inserita nel piano (con utilizzazione rinviata magari agli ultimi elenchi annuali), e l’altra di libera utilizzazione, che fruirà, nel frattempo, degli incrementi di valore per le opere di urbanizzazione che il Comune è obbligato a provvedere a servizio dell’ area vicina.

Ne è da escludere, infine, il caso in cui il blocco dei prezzi giochi a sfavore della collettività, premiando paradossalmente gli alacri lottizzatori col garantir loro una stabilità di alti prezzi artificiosamente raggiunti; situazione, questa, tutt’altro che improbabile per i terreni siti nelle frangie semi-urbanizzate delle città, dove il gioco speculativo di questi ultimi anni ha ottenuto i massimi incrementi.

Infine, non sono da poco anche i motivi di perplessità di ordine strettamente operativo. Nei Comuni obbligati a redigere il piano per l’edilizia economica e popolare, e cioè in tutte le grandi città, la presentazione obbligatoria e simultanea, in limiti di tempo eccezionalmente brevi, di tutti i piani particolareggiati, relativi alle aree prescelte per una previsione decennale, non solo comporta comprensibili difficoltà redazionali, con tutti gli inconvenienti di una elaborazione affrettata ed eseguita per parti, ma anche il rischio di condizionare e di cristallizzare per un decennio le direttrici di espansione per l’intera città a mezzo di un piano settoriale troppo precipitosamente formato.

I prossimi mesi ci diranno se e quanto erano giustificate queste apprensioni: per intanto segnaliamo che al 15 di novembre, data di scadenza dei 180 giorni fissati dalla legge per la redazione dei piani ai Comuni con oltre 50.000 abitanti 0 capoluoghi di provincia, e che interessano in complesso circa 20 milioni di cittadini italiani, un numero limitatissimo di piani sembra giunto a compimento poiché la maggior parte dei Comuni ha chiesto la proroga.

Il fatto è che la 167, perso il primitivo carattere di legge congiunturale a tempi brevi in funzione di precisi stanziamenti per l’edilizia statale e sovvenzionata, ha oggi assunto una ben più impegnativa funzione di obbligatoria formazione di piani particolareggiati per una rilevante aliquota dell’espansione residenziale; senonché a questa nuova dimensione, mentre si pone come elemento di rottura dell’immobilismo amministrativo, essa rivela al tempo stesso una intima fragilità, ne si dimostra in grado di risolvere i problemi e le contraddizioni che essa stessa suscita.

In definitiva, la 167 fornisce una ulteriore testimonianza sulla insufficienza delle soluzioni settoriali ed un’altra prova della improrogabile esigenza di una visione globale, quale solo la nuova legge generale urbanistica è in grado di prospettare.

La presentazione ai Ministeri interessati ed al CNEL della proposta di legge urbanistica che porta la firma del Ministro Sullo ha dato esca ad accese discussioni, sollevando opposizioni e consensi: in articoli di giornali e di riviste [1] si è giunti a tacciare la proposta di inefficienza e di incostituzionalità., accusandola di condurre alla paralisi edilizia assoluta, di favorire la corruzione e la persecuzione politica e di mirare all’annientamento della proprietà. Privata.

Quanto queste accuse siano fondate e legittime, e se siano mosse da una effettiva e disinteressata preoccupazione del bene pubblico o non piuttosto dalla trasparente difesa di ben precisi interessi di parte, non è difficile constatare purché si esamini con il dovuto distacco il testo della proposta che pubblichiamo nella sua versione integrale [2].

Per comprendere il disegno nella sua interezza occorre intanto tener presente che la proposta costituisce, essa stessa, una revisione del testo elaborato dalla Commissione interministeriale insediata dal Ministro Zaccagnini [3], revisione resasi necessaria per gli impegni assunti dal Governo di centro-sinistra in relazione alla programmazione economica ed alla istituzione delle Regioni. Orientamento, questo, destinato ovviamente ad incidere fortemente ed in modo definitivo sul contenuto dei piani, sulle procedure di formazione e di attuazione e sugli organi ad esse preposti e che le recenti decisioni governative in materia regionale [4], fanno ormai ritenere di imminente attuazione, rendendo pertanto inattuali quelle soluzioni a carattere unicamente interlocutorio e compromissorio in materia regionale che avevano informato il testo della Commissione Zaccagnini.

La proposta della nuova legge urbanistica, conformata per espressa direttiva del Ministro Sullo come “legge cornice”, appare oggi, non solo perfettamente aderente ai più recenti sviluppi del programma del governo, ma anche cosi tempestiva da poter offrire immediatamente un primo e basilare contenuto per l’attività normativa ed amministrativa delle istituende Regioni. Anche la stretta correlazione fra pianificazione urbanistica e programmazione economica, esplicitamente affermata dalla proposta di legge e chiaramente individuata negli scopi e negli organi, non sotto specie di subordinazione dell’una all’altra forma di pianificazione, ma come atto continuo di intesa fra i responsabili della vita pubblica nazionale e regionale, pone il disegno di nuova legge urbanistica come uno degli strumenti più attuali e più espansivi dell’attività economica e dell’intervento pubblico. Cosicché i piani urbanistici ai vari livelli e, di conseguenza, i procedimenti per la loro formazione, approvazione ed attuazione assumono nel processo di ammodernamento dell’ordinamento statale, sempre più il carattere di strumento fondamentale per la scelta democratica degli interventi pubblici e privati e per la loro corretta e razionale organizzazione spazio-temporale, e si rivelano sempre più indispensabili, quanto più accelerato e complesso diventa il ritmo di sviluppo economico e quanto più si estende il decentramento responsabile sul terreno delle autonomie locali.

Su questo punto di partenza non dovrebbero ormai esservi dubbi, ma giova tenerlo ben presente, per comprendere le varie dosature del contenuto dei piani. In sede nazionale il contenuto economico è preminente, in sede regionale l’economico e l’urbanistico si equilibrano, in sede comprensoriale il contenuto urbanistico prevale su quello economico, pur ancora ben presente, in sede comunale l’urbanistico è decisamente dominante. Il contenuto economico prevale per sua natura al vertice, s’interseca a metà strada con l’urbanistico e si affievolisce alla base, perché le scelte economiche reclamano una ampiezza di prospettiva ed una visione globale che sfuoca e svanisce man mano che si scende alla localizzazione territoriale, dove le scelte economiche ammettono spesso ampi gradi di libertà, mentre le scelte urbanistiche traggono la loro ragione d’essere proprio dalle particolarità territoriali: sono acutamente a fuoco alla base, sul terreno, ma diventano via via più sfumate ed approssimate man mano che i territori considerati si ampliano, ammettendo alla scala regionale e nazionale un maggior numero di alternative. La esatta compenetrazione dei due contenuti ai vari livelli si presenta dunque come elemento innovatore della legislazione e come fattore chiarezza e di propulsione nel processo deliberato delle varie Amministrazioni pubbliche.

Passando ora alla materia più strettamente urbanistica e non potendo ovviamente toccare tutti gli aspetti, ci limiteremo a coglierne alcuni essenziali, sia di carattere procedimentale, sia di carattere sostanziale.

Tra i primi è da illustrare brevemente la portata dei piani comprensoriali, cosi come configurati dal disegno di legge.

L’organo per la pianificazione comprensoriale è definitivamente il Consorzio dei Comuni interessati, i quali possono demandare al Consorzio stesso alcune loro funzioni urbanistiche. Il piano comprensoriale, che è essenzialmente un piano territoriale, funge anche da piano regolatore generale nei territori dei Comuni non tenuti alla sua formazione: da esso è quindi possibile discendere direttamente alla formazione dei piani particolareggiati, anche in Comuni non dotati di P.R.G. Con questo accorgimento si potranno conseguire notevoli risultati di snellimento procedurale e di rapido intervento localizzato, particolarmente utili nei piccoli Comuni privi di attrezzatura tecnica; inoltre lo stesso esercizio collegiale dei poteri di pianificazione, garantendo il reciproco controllo, dovrebbe agire da stimolo per l’espansione delle responsabilità e per la rottura delle visioni campanilistiche.

Alla tendenza spontanea, centripeta e congestionatrice, delle aree metropolitane potrebbero, in questo clima di rinnovamento, contrapporsi, con concreta possibilità di successo, le nuove tendenze di proiezione dell’urbanizzazione in una campagna organizzata.

Venendo ora all’esame delle norme relative alle limitazioni dell’uso della proprietà del suolo urbano, che costituisce il problema di fondo di ogni legislazione urbanistica, occorre rilevare che la proposta di legge è orientata ad eliminare, ed in ogni caso attenuare, nel limite del possibile, il processo delle multiple e successive sperequazioni che ogni forma di piano, che definisca e prescriva destinazioni d’uso del suolo, necessariamente determina nei confronti delle singole proprietà.

Com’è noto, il processo avviene, concettualmente, per gradi: alla prima scelta delle determinazioni d’uso per grandi classi, che discrimina sostanzialmente aree cui sono attribuite, o no, utilizzazioni urbane, ne subentra una seconda, in cui le grandi classi si suddividono in sottoclassi: le zone residenziali si articolano per differente indice di edificabilità ( spesso con un ventaglio di valori estremamente ampio) , quelle infrastrutturali in una serie, assai varia, di usi, determinando situazioni di accentuata sperequazione non solo nei valori, ma anche nella disponibilità stessa delle aree.

A questa seconda serie di sperequazioni se ne aggiunge una terza, spesso trascurata ma non meno reale, che riguarda il computo dell’indennità per le aree destinate a scopi o servizi di utilità pubblica e per le quali è ammesso, dalle leggi operanti in materia, il procedimento di espropriazione con differenti criteri di determinazione e con procedure più o meno lunghe, faticose e farraginose, che creano difficoltà non indifferenti agli Enti esproprianti, e disparità di trattamento nei confronti degli espropriati: buon’ultima la 167.

La legge urbanistica vigente, in tema di sperequazioni si limita ad affermare genericamente la non indennizzabilità dei vincoli di zona. Il principio, se applicato alla prima operazione di classamento fra suolo urbano e non urbano, è evidentemente accettabile, perché tale discriminazione dovrebbe sempre rispondere ad esigenze e scelte di esclusivo carattere superindividuale; il terreno agricolo, non modificando in perdita la sua destinazione d’uso attuale (salvo i casi, ben rari, di una limitazione anche di tale uso), non è quindi suscettibile di indennizzo. Il principio è in definitiva pacifico e lo si ritrova in tutte le legislazioni estere.

Senonché se si ammette che l’uso’urbano sia fonte di lucro, con valori proporzionali all’uso e commisurabili con i parametri della destinazione dell’intensità di fabbricazione e della giacitura, è inevitabile che ai margini della città, sulla linea di demarcazione urbano-non urbano, si scatenino le lotte e che, secondo gli elementari e secolari principi di tattica, la lotta tenda a spostarsi dalla linea di demarcazione per esser portata il più estesamente e profondamente possibile nelle retrovie: le lottizzazioni extraurbane confermano ampiamente questo stato di cose. All’interno della linea di demarcazione urbana non sono da meno le lotte intestine per l’ aggiudicazione di una redditizia destinazione d’uso o per l’elevazione degli indici di edificabilità. È una situazione ben nota, che intorbida la redazione dei piani, esplode nelle osservazioni in sede di pubblicazione, e sfocia in pressioni di ogni genere. Contro queste aggressioni dall’esterno e dall’interno, le Amministrazioni pubbliche sono oggi impotenti per carenza di legge.

Si è più volte affermato nei congressi, che si sarebbe usciti da questa situazione solo quando si . fossero resi i proprietari indifferenti al piano; ma non facile si presentava la soluzione.

Le proposte avanzate in questo campo, alla ricerca di sistemi riequilibratori, basati a volte su imposizioni fiscali proporzionate agli incrementi conseguiti o contemplanti compensazioni monetarie fra plus e minus valori creati dal piano, o, ancora, impostati sulla perequazione dei volumi edificabili, quale quello proposto dal nostro Istituto [5] e che la Commissione Zaccagnini aveva accettato, hanno rivelato, ad un esame più approfondito, difficoltà pratiche che ne hanno consigliato l’ applicazione generalizzata.

Infatti, come ha recentemente detto il Ministro Sullo alla Camera parlando della proposta di legge in sede di approvazione del bilancio dei LL.PP., “ l’introduzione di una imposta sulle aree fabbricabili ha la caratteristica di ridurre le diversità, senza eliminarle, perché è intrinseco allo stesso concetto di imposta di non costituire una confisca[6]. La compensazione monetaria è applicata in paesi ( come nella Germania federale) in cui vige la denuncia annuale del valore delle aree e dove l’Amministrazione pubblica si riserva il diritto di prelazione delle aree al prezzo denunciato. La ‘perequazione dei volumi sarebbe un istituto nuovo applicabile solo in sede di piano particolareggiato, necessariamente planovolumetrico, che non risolverebbe quindi le situazioni di saldatura o di conflitto tra piano e piano e che richiederebbe inoltre la istituzione di complessi e costosi servizi amministrativi. Infine, nessuno di questi sistemi è in grado di risolvere anche e contemporaneamente il problema dell’acquisizione delle aree per i pubblici servizi, secondo un criterio equo ed unificato.

La soluzione prospettata tende a risolvere contemporaneamente tutti questi problemi. “I criteri ai quali si ispira il progetto di legge predisposto sotto la mia presidenza - ha dichiarato il Ministro - si possono cosi riassumere:

a)procurare la certezza che i compilatori dei piani urbanistici nell’assolvere questo delicatissimo compito abbiano di mira esclusivamente gli interessi pubblici; liberare le autorità amministrative ed i tecnici urbanistici dalle pressioni degli interessi privati settoriali; rendere possibile una pianificazione rapida, efficiente, che sia adeguatamente elastica e possa essere coordinata con le esigenze di sviluppo economico dell’intera collettività;

b)consentire che i Comuni ed i soggetti pubblici interessati acquisiscano ad un prezzo equo le aree che siano indispensabili per i servizi pubblici e sociali; liberare cioè i Comuni dalla schiavitù rappresentata dagli insostenibili oneri finanziari attuali;

c)porre tutti i proprietari, in relazione agli effetti della legislazione urbanistica, su un medesimo piano di parità; impedire che la costruzione della città si traduca per gli uni in un danno, per altri in un enorme vantaggio;

d)semplificare al massimo i servizi urbanistici e contenerne il costo di gestione”.

Il sistema adottato dall’acquisizione preventiva delle aree e della loro urbanizzazione è, d’altra parte, quello stesso dell’art. 18 della legge urbanistica, e quello della 167, entrambi generalizzati e migliorati per ciò che concerne il criterio di valutazione dell’indennità di esproprio.

Con la generalizzazione cadono le sperequazioni residue tra aree di piano ed aree marginali e con il criterio di valutazione unificato scompaiono le sperequazioni derivanti dagli scopi della espropriazione, oggi esistenti per la pluralità di leggi al riguardo e che costituiscono una vera distorsione giuridica; diventa superfluo il criterio del blocco dodecennale istituito dalla 167 e cade infine ogni discriminazione di trattamento a seconda della dimensione dei Comuni.

Se si riflette poi alla estensione che l’applicazione della I67 sta assumendo nelle periferie delle grandi città ci si rende conto che l’urgenza di ristabilire un criterio unico ed equitativo è ormai indilazionabile.

L’accettazione del principio generalizzato dell’ acquisizione ed urbanizzazione preventiva delle aree di espansione porta alla conseguenza fondamentale ed innovatrice di conferire al Comune il compito e la responsabilità diretta e democraticamente controllata del processo di urbanizzazione.

Con tale attribuzione di poteri ed oneri la espansione urbanistica non sarebbe più, come oggi accade, subita passivamente dai Comuni che, anche quando sono dotati di piano generale approvato, sono costretti a consentire l’edificazione ovunque sia proposta ed a correre quindi dietro a voleri, capricci ed artifici dei singoli, per dotare qua e là le varie aree con strade e servizi, con uno sparpagliamento di mezzi che rende sempre insufficiente l’intervento comunale. Cesserebbe quindi nelle grandi città ogni manovra, oggi impudentemente giocata, per attirare i servizi in questa o in quella zona, per ampliare o restringere l’offerta di aree, a seconda del maggior lucro che si può trarre dall’operazione: cesserebbe una impari lotta, in cui il Comune non può che essere soccombente di fronte all’astuzia dei singoli.

Cadrebbero pure, di conseguenza, le varie iniziative di lottizzazione, sia effettive, sia fittizie o di comodo, che compromettono ormai ogni razionale utilizzazione di suolo periferico o esterno alle città grandi e piccole. E cadrebbe anche definitivamente il sistema delle convenzioni, che noi stessi anni addietro, in carenza di norme di legge, abbiamo illustrato e caldeggiato, ma che all’atto pratico si è dimostrato uno strumento discontinuo e insufficiente e, in definitiva, inadatto ad una generalizzazione.

Discontinuo e insufficiente perché, in assenza di norme sulla dotazione di opere di urbanizzazione primaria, non vi è stata unicità di indirizzo nella attribuzione degli oneri e nella consistenza delle opere stesse, con pochi casi di esemplare adempimento contro una maggioranza di palesi inadempienze. È ben vero che la materia potrebbe essere disciplinata con norme che stabiliscano rigidamente la consistenza e i tempi di attuazione delle opere di urbanizzazione, come avviene, ad esempio, in Francia [7]; ma gli abusi che di questo istituto stanno oggi compiendosi in vari Comuni.. con la richiesta di contropartite in natura o addirittura in denaro, sconsigliano di proseguire oltre su questa via. La lottizzazione convenzionata, anche se regolata da norme generali, resterebbe pur sempre un’operazione privatistica, tendente a dilagare sul territorio ed a contrastare le scelte razionali dettate da considerazioni sopraindividuali, scoprendosi come una nuova, se pur intelligentemente mimetizzata, forma di pressione che verrebbe ad influenzare negativamente la distribuzione territoriale e l’entità delle opere di urbanizzazione generale.

La forma di acquisizione e di urbanizzazione preventiva, infine, si pone come l’unica seria garanzia che si possa avere sia nei riguardi delle pubbliche Amministrazioni, che solo con questo strumento saranno in grado di calibrare effettivamente le aree occorrenti per i vari usi residenziali.. infrastrutturali e di lavoro, istituendo una gestione autonoma ed in partita di giro, sia nei riguardi degli utenti che dai difensori ad oltranza degli interessi precostituiti vengono sistematicamente ignorati.

Né i sistemi vigenti di libero mercato delle aree edificabili dentro o fuori dei P.R., né il sistema, sia pure razionalizzato e codificato, della lottizzazione convenzionata sono infatti in grado di fornire una adeguata garanzia agli utenti, obbligati oggi ad accettare aree lottizzate, ma non servite, o servite tardi e male.

E poiché le città si dovrebbero costruire non per il lucro dei proprietari di aree, ma per essere usate dagli abitanti, parrebbe che, anche a parità di sacrifici e di vantaggi, sia pubblici che privati, dovrebbe pur sempre prevalere quel sistema che offra serie garanzie di efficienza per gli abitanti.

Non è possibile evidentemente illustrare ora tutti gli aspetti della proposta di legge, su cui avremo ancora occasione di tornare più d’una volta, seguendone le vicende parlamentari.

Ma non possiamo non segnalare all’attenzione dei lettori almeno quel gruppo di norme che riguarda le opere di risanamento.. che per la prima volta vengono sistematicamente proposte e che interessano una gran parte del patrimonio edilizio ed urbanistico nazionale; sarà sufficiente notare che per le operazioni di rinnovamento urbano e per quelle di risanamento conservativo dei centri storico-artistici ed ambientali è richiesta, in prima istanza.. l’azione diretta dei proprietari degli immobili.

La legge non si propone cioè una compressione o un annientamento della proprietà privata, ma.. al contrario, una espansione dell’intervento privato. Sgombrato il campo dagli ostacoli e dai freni dell’urbanizzazione, innalzati oggi dalle proprietà frantumate e dalle lottizzazioni estensive, inserito il Comune come interr1zediario fra i primitivi proprietari ed i cessionari, il terreno urbanizzato si presenta libero e predisposto per l’impresa edilizia e per l’accesso di chi aspira ad edificarsi la casa o ad erigere un impianto di lavoro.

Si apre cioè la possibilità per tutti, privati ed enti pubblici, di realizzare ordinatamente l’espansione ed il rinnovamento urbano e l’organizzazione civile della campagna.. in forme razionali e seno sibili, non più condizionate e compresse da moventi extraurbanistici.

Non è una prospettiva da poco ed il prossimo futuro ci dirà se il Paese è maturo per questasvolta decisiva.

[1]Fra i vari sono da citare: Giornale dei Costruttori, n. 37, 20 settembre 1962; Rivista Giuridica dell'Edilizia, luglio-agosto 1962.

[2]Il testo, pubblicato per la prima volta e senza autorizzazione, su Documentazione Italiana, conteneva infatti errori ed ommissioni.

[3]La prima commissione interministeriale per la riforma della legge urbanistica, nominata dal Ministro Togni ed insediata dal Ministro Zaccagnini il l0/12/1960, aveva ultimato i propri lavori nell'agosto del 1961 e formalmente consegnato il testo definitivo il 26 settembre 1961.

La seconda commissione per la riforma delle legge urbanistica, nominata e presieduta dal Ministro Sullo è stata insediata il 28 marzo 1962 ed ha presentato ufficialmente il testo finale il 12 giugno scorso.

Di entrambe hanno fatto parte, come membri dell'INU, i professori Giovanni Astengo, Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà.

[4]Approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, di quattro disegni di legge concernenti la costituzione delle Regioni a statuto ordinario: Roma, 16 novembre 1962.

[5]Art. 55 della “Proposta di legge generale per la pianificazione urbanistica”.

[6]Dal testo del discorso del Ministro Sullo stralciamo il seguente passo di importanza basilare perla comprensione della proposta di legge: “Nei confronti di istituti quali la perequazione dei volumi o la imposizione sulle aree fabbricabili sono poi da aggiungersi due critiche di fondo, che ne dimostrano la limitata utilità.

La prima è che gli istituti stessi, pur riducendola, lasciano tuttavia che continuino a sussistere in una sensibile misura la disparità di trattamento e, con essa, il conflitto di interessi. La perequazione, come si è detto, non elimina le differenze tra l'una e l'altra zona; l'imposta sui fabbricati assorbe solo una parte del plusvalore provocato dalle misure urbanistiche. Ancora più rilevante è il considerare che questi istituti operano non nel momento stesso in cui le determinazioni urbanistiche sono adottate, ma in un momento successivo; esse cioè intervengono solo quando queste determinazioni devono essere applicate, e si propongono, per l'appunto, di attenuarne gli effetti.

Questo significa che, nella fase della adozione dei piani che; come già si è visto, è la più importante dal punto di vista urbanistico, gli istituti in esame lasciano che sopravviva il conflitto di interessi con tutta la sua incidenza negativa sulla adozione delle norme. Anche se gli istituti in esame eguagliassero in modo completo le posizioni (il che non è ne può essere), essendo tale livellamento rinviato al futuro, la tendenza dei proprietari sarebbe non di disinteressarsi del contenuto del piano, ma al contrario di procurarsi vantaggi urbanistici e a capitalizzarsi subito, prima cioè dell'entrata in funzione del meccanismo perequatore. Non è da escludere che perequazioni dei compensi ed imposte sulle aree accrescano la tensione al momento della deliberazione del piano, anziché diminuirla. Il che conferma che questi istituti rispondono, sia pure in modo imperfetto, alla finalità di attenuare le disuguaglianze, ma non eliminano gli ostacoli che si presentano da un punto di vista propriamente urbanistico.

La soluzione rappresentata da compensi nei volumi e nella imposizione fiscale sulle aree e in secondo luogo contrastata dalla esigenza di acquisire al minor prezzo possibile le molte aree che sono indispensabili per i servizi pubblici e sociali. Si presentano al riguardo due possibilità: la prima è che i Comuni acquistino le aree agli stessi .prezzi ai quali le aree sarebbero cedute dai proprietari ai privati. Questa soluzione è però ingiusta ed inopportuna. Sembra infatti assurdo che il Comune debba pagare al proprietario il plusvalore che è determinato non dall'abilità o dall'attività dello stesso proprietario, ma esclusivamente dagli atti amministrativi adottati dal Comune. Se poi le aree dovessero essere acquisite a prezzo di mercato, non resterebbe al Comune altra possibilità fuor di quella di rinunciare a tutte le aree non strettamente indispensabili, e ciò per mancanza di mezzi finanziari. La situazione attuale che è rappresentata dalla assoluta insufficienza di aree aventi finalità sociali (parchi, palestre, scuole ed asili, circoli ricreativi per bambini) è da attribuirsi principalmente a queste difficoltà; e questa situazione si riprodurrebbe inevitabilmente anche in futuro se restasse in vigore il sistema vigente.

La seconda possibilità è che i Comuni siano autorizzati ad acquisire singole aree destinate a finalità pubbliche e sociali, a prezzo inferiore a quello di mercato. Il legislatore ha avvertito questa necessità fin dal 1885 prevedendo un metodo di determinazione dell'indennizzo che dà risultati inferiori a quelli comuni. Provocata originariamente da una esigenza di carattere territoriale (legge per Napoli), il metodo è stato poi di volta in volta applicato a fattispecie sempre più numerose (v. le leggi sui piani regolatori di Bologna, Catania, Palermo, Ancona; sulla istruzione elementare, sulla gestione INA-Casa; sulla edilizia popolare ed economica; sull'incremento delle costruzioni edilizie; sulla costruzione dei campi sportivi, sulla eliminazione di abitazioni malsane; sulle Ferrovie dello Stato etc.).

Da ultimo si è affermata una tendenza più radicale, consistente nello stabilire in modo più esplicito che l'indennizzo deve essere ragguagliato ai valori agricoli (art. 4, L. 4 febbraio 1958, n. 158).

Questi orientamenti suscitano tre osservazioni. La prima è che tutti i casi qui contemplati sfuggono ad ogni disciplina egualizzante e realizzano quindi delle ipotesi di disparità di trattamento che, applicando i principi oggi in vigore, restano ineliminabili. Il secondo rilievo è che queste normative speciali, che una volta avevano un carattere eccezionale, sono andate generalizzandosi e occupano oggi un posto molto importante nella disciplina delle espropriazioni. La terza ed ultima osservazione è che questi istituti aggravano la disparità di trattamento in quanto, mentre obbligano i proprietari di singole aree o zone a cedere i loro terreni al Comune e ad enti pubblici ai prezzi fissati con riferimento a date anteriori al piano regolatore, consentono che i proprietari circonvicini possano trarre un immediato vantaggio dalla urbanizzazione della zona contigua e raccogliere a suo tempo gli incrementi di valore progettati dal piano. Le decisioni amministrative in questa materia acquistano, per i proprietari colpiti, il carattere sostanziale di una sanzione e non è da escludere, purtroppo, in periodi elettorali o preelettorali, che l'esercizio dei relativi poteri venga influenzato dal desiderio di favorire amici e colpire i nemici.

L'analisi compiuta conferma che una legislazione urbanistica, per essere efficiente, deve non solo perfezionare gli strumenti normativi, ma anche rimuovere le cause alle quali soprattutto è da imputarsi il rendimento insoddisfacente degli ordinamenti in vigore, cause che qualora fossero lasciate sussistere pregiudicherebbero allo stesso modo l'applicazione dei nuovi istituti”.

[7]V. Urbanistica n. 31, pagg. 87-88 e n. 35, pag. 86.

La Commissione ha ricevuto la direttiva di elaborare un disegno di legge che attui il precetto costituzionale dell'art. 117, per quella parte in cui attribuisce alle Regioni potestà normativa in materia di “urbanistica”.

Pertanto la Commissione si è dovuta porre in primo luogo il problema di come formulare una di quelle che ormai anche nell'uso corrente si denominano “leggi cornice”, tenendo presenti i comuni insegnamenti della dottrina e della giurisprudenza della Corte costituzionale circa i limiti e il contenuto di tali leggi-cornice.

Il compito si è presentato di attuazione non facile. Va tenuto presente che la materia dell'urbanistica non è di quelle nelle quali predomina un profilo che potrebbe dirsi sostanziale, ma piuttosto predomina un profilo procedimentale. Nell’attività urbanistica infatti l’aspetto sostanziale, che può essere costituito dalla concezione della proprietà urbana, con tutto l’ordine delle limitazioni che ad essa si riferiscano o che da essa derivino, non si presta a delle enunciazioni di principio, come è dimostrato dal fatto che ne nella nostra tradizione legislativa, né nelle legislazioni straniere, anche le più progredite, è stato mai proceduto a siffatte enunciazioni. Esse invece si presentano piuttosto come il frutto di opere dell’interprete, e, sul piano normativo, sono soprattutto una conseguenza di un ordinamento di procedimenti amministrativi disposto dal legislatore. Nella misura in cui i procedimenti medesimi si presentino come più accurati, è possibile raggiungere il risultato di un contemperamento giusto dei molteplici interessi concorrenti nell’urbanistica, che sono gli interessi delle generazioni presenti e future, della comunità generale e delle singole comunità territoriali, delle sin. gole branche amministrative dello Stato e degli enti pubblici territoriali o nazionali, dei gruppi settoriali privati; quali quelli dei proprietari di immobili, degli imprenditori, degli agricoltori e degli industriali, non sempre convergenti e anzi molto spesso tra loro confliggenti.

Data questa realtà, al disegno di legge è stata applicata un’organizzazione che può apparire complessa, ma che è stata ritenuta la più rispondente agli scopi che si volevano raggiungere.

Le maggiori difficoltà da risolvere sono state incontrate proprio in ordine all’elaborazione di questa legge cornice. Ad una prima lettura essa può dare l’impressione di essere sovrabbondante. Ma ove ben si consideri la realtà che si doveva disciplinare, e si tenga presente soprattutto quanto si avvertiva dianzi circa la prevalenza del profilo procedimentale nella disciplina di questa materia, la prima impressione è destinata a mutarsi. Si è voluto, nella legge cornice, rappresentare alle regioni soprattutto il fatto che per ottenere un risultato giusto, occorre disciplinare i procedimenti di formazione dei piani regolatori, di adozione dei medesimi, nonché quelli di attuazione e di esecuzione, in termini di particolare accuratezza, si da permettere congiuntamente la presenza di tutti gli interessi, generali, collettivi e particolari, ai fini di una loro adeguata valutazione e da permettere altresì una pluralità di istanze tali da consentire la correzione di errori nei quali si possa incorrere.

Da un lato ci si è preoccupati che un eventuale carattere eccessivamente autoritativo che le leggi regionali potrebbero imprimere ai procedimenti amministrativi in materia urbanistica potrebbe conseguire risultati lesivi di diritti e interessi collettivi e particolari; ma dall’altro ci si è non meno vivamente preoccupati del possibile eccesso opposto, ossia che leggi regionali, con l’adozione di provvedimenti poco accurati o eccessivamente larghi, possano recare incentivi ad interessi settoriali, impersonati ormai in gruppi di pressione organizzati, i quali possano far sortire effetti diametralmente opposti, e quindi portino gli interessi pubblici generali a soccombere di fronte ad interessi di gruppo particolare.

... Notevolmente innovative sono, invece, le disposizioni contenute negli articoli 23 e seguenti, che hanno ad oggetto i mezzi per la attuazione del piani particolareggiati.

L’art. 23 fissa un principio di carattere generale e cioè: la espropriazione di tutte le zone inedificate comprese nell’ambito del piano particolareggiato nonché di quelle aree già utilizzate per costruzioni se la utilizzazione stessa sia sensibilmente difforme da quella prevista dal piano particolareggiato. É sembrato alla Commissione che in tal modo si possano risolvere adeguatamente ed anche con criteri di equità le non facili situazioni che possono verificarsi a seguito della adozione del piano particolareggiato, evitando altresì la possibilità di interventi e di pressioni estranee sulla esplicazione dell’attività delle Amministrazioni comunali, le quali devono, in. vece, avere di mira soltanto la possibilità di realizzare, legittimamente e convenientemente, le direttive e le prescrizioni urbanistiche del piano.

D’altro canto l’acquisizione al Comune delle aree edificabili dei piani regolatori particolareggiati vale anche a rendere più agevole e più semplice la successiva utilizzazione delle aree stesse, come a momenti si vedrà.

Ecco perché si è ritenuto che il sistema di trasferire in proprietà al Comune tutte le aree suddette sia la misura più opportuna anche se più radicale: ovviamente il diritto dei proprietari viene salvaguardato attraverso la cor. responsione del relativo indennizzo, a norma dell’art. 42 della carta costituzionale.

Va messo in luce che il primo comma dell’art. 23 consente al Comune di ripartire, proprio ai fini dell’espropriazione, tutto il territorio del piano particolareggiato in più zone e ciò allo scopo di evitare la possibilità per il Comune di accollarsi oneri finanziari eccessivi: il Comune ha, invece, la facoltà di graduare nel tempo le espropriazioni appunto attraverso la ripartizione del detto territorio in più zone.

La disciplina per il calcolo dell’indennità di espropriazione è contemplata dall’art. 24. In esso viene posta la fondamentale distinzione tra le aree che precedentemente al piano regolatore generale non avessero destinazione urbana e quelle già comprese in zone urbanizzate.

Per le prime, l’indennità ragguagliata al valore agricolo delle aree, dato che ogni eventuale ulteriore incremento di valore è legato esclusivamente al piano e non valutabile secondo il principio generale fissato dal quarto comma.

Per le altre, viene introdotto un criterio di valutazione comparativo coi terreni di nuova urbanizzazione, corretto con un parametro, stabilito dal Comitato dei Ministri, inerente alla diversa rendita differenziale di posizione.

Qualora tali aree siano coperte da costruzioni, la Commissione ha fissato il criterio di valutare il solo valore venale della costruzione che vi insiste. Infatti, l’utile effettivo del proprietario - e quindi il sacrificio operato dalla espropriazione - è dato solo dalla costruzione, non dalla redditività astratta dall’area sottostante. Potrebbe avvenire, peraltro, che il valore della sola area, calcolato col criterio comparativo e corretto col parametro dianzi menzionato, sia più alto; è disposto allora che, in tale ipotesi, l’indennità va determinata secondo il ricordato criterio comparativo.

I successivi commi dell’att. 24 introducono una notevole semplificazione nella procedura di esproprio. In sostanza, si è stabilito in conformità di quanto disposto da recenti leggi (L. 4 febbraio 1958 n. 158) che l’indennità è offerta dall’espropriante ed è pagata direttamente all’espropriato, in caso di accettazione, ovvero depositata, in caso di contestazione, entro termini che saranno stabiliti dalla legge regionale. Si elimina così la macchinosa e dispendiosa procedura peritale prevista dalla vigente legge sulle espropriazioni. Il decreto di espropriazione precede il pagamento o il deposito. Tale disposizione, che è conforme ad altri precedenti legislativi speciali (R.D.L. 16 settembre 1926 n. 1606 e D.L.L. 14 settembre 1944 n. 242 riguardanti le espropriazioni a favore dell’Opera Nazionale Combattenti) è da ritenere perfettamente costituzionale, perchè - come ritenuto dalla Cotte Suprema di Cassazione a proposito delle leggi richiamate (Sent. 15 marzo 1957 n. 903) - l’art. 42 della Costituzione prescrive solo la corresponsione di un indennizzo a favore del proprietario espropriato, ma non esige che esso sia pagato preventivamente o contestualmente al provvedimento di esproprio.

È appena il caso di osservare, poi, che è sempre salvo il diritto dell’espropriato di impugnare la misura dell’indennità offerta e non accettata nelle forme e nei termini stabiliti dall’art. 51 della legge sulle espropriazioni per pubblica utilità, richiamata dall’ultimo comma.

Notevole infine la disposizione secondo cui per il periodo intercorrente fra la consegna del bene ed il pagamento o il deposito dell’indennità di espropriazione, l’espropriante è tenuto al pagamento degli interessi al tasso legale...Senza indugiare su troppi dettagli, si pongono in luce talune modifiche essenziali introdotte nel progetto allegato:

1) allo scopo di stimolare i Comuni ad adottare i loro provvedimenti in un tempo ragionevole, evitando cos! i gravi inconvenienti cui dà sempre luogo la inerzia della pubblica Amministrazione, il secondo comma dall’art. 30 (richiamato dal successivo att. 31) stabilisce che il Comune, qualora provveda oltre i termini che saranno stabiliti dalle leggi regionali, è obbligato al risarcimento dei danni nella misura degli interessi legali. Sembra evidente la funzione stimolatrice di questa disposizione, soprattutto ove si tenga conto che il Comune potrà poi riversare l’onere i finanziario sul dipendente che sia in colpa;

2) il quinto comma dell’att. 30 (richiamato anche dall’art. 31) tende a risolvere un altro grave problema che di frequente si verifica, quello cioè che, a causa del mancato coordinamento delle leggi e delle operazioni amministrative, il cittadino il quale costruisca in base a licenza di costruzione rilasciata dal Comune può trovarsi esposto durante il corso della costruzione. ad interventi di altre autorità che ordinano la sospensione se non addirittura la demolizione delle opere già eseguite. È evidente la situazione di estremo disagio che in tal modo viene a crearsi e perciò il ripetuto 5° comma stabilisce chiaramente che una volta intervenuta la licenza di costruzione o l’approvazione del progetto, nessun’altra autorità amministrativa può in nessun modo intervenire in ordine alla costruzione;

3) il sesto ed il settimo comma dello stesso articolo 30 (anch’essi richiamati dall’art. 31) si sono preoccupati dei problemi che possono sorgere dai provvedimenti comunali che autorizzano la costruzione. Nel caso che il Comune rifiuti la costruzione, il cittadino che si senta leso può senz’altro adire i competenti organi costituzionali, ma nel caso di provvedimento favorevole al richiedente, le eventuali illegittimità anche gravi del provvedimento stesso possono essere fatte valere soltanto dai proprietari confinanti i quali, ovviamente, tenderanno a prospettare soltanto quelle illegittimità che possano arrecare danno alle loro proprietà ed ai loro interessi. In tal modo possono rimanere, e di regola rimangono, non tutelate quelle violazioni, spesso gravi, ai più importanti interessi pubblici. Ecco perché i citati commi hanno stabilito da un lato che copia dei provvedimenti autorizzativi deve essere affissa nell’albo comunale e che contro il provvedimento di autorizzazione o di approvazione del progetto è ammessa l’azione popolare dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.

L’art. 32 introduce, poi, il nuovo istituto della licenza di uso, attraverso il quale si vuole assicurare che non vengano utilizzate costruzioni le quali non rispondano a quei requisiti minimi indispensabili per un civile svolgimento della vita.

TITOLO I

Norme Generali

Art. 1 - Direttive programmatiche

L’indirizzo e il coordinamento nazionale della pianificazione urbanistica si attuano nel quadro della programmazione economica nazionale e in riferimento agli obiettivi fissati da questa, anche per quanto riguarda i programmi generali e di settore, dei servizi e delle opere pubbliche di interesse nazionale, interregionale e regionale.

Fino a quando non saranno in funzione gli organi di programmazione, al perseguimento delle finalità indicate nel comma precedente provvede un Comitato di Ministri, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, e composto dai Ministri per i lavori pubblici, che ne ha la vice presidenza, dell’interno, della difesa, del bilancio, dei trasporti, della pubblica istruzione, dell’agricoltura e foreste, dell’industria e commercio, del turismo e lo spettacolo e delle partecipazioni statali.

Il Comitato, a seconda delle materie da trattare, può essere integrato da altri Ministri. Ad esso, inoltre, possono essere invitati a partecipare i rappresentanti delle Regioni o di gruppi di Provincie o di Comuni.

Il Comitato, ai fini della priorità, con sua determinazione, stabilisce quali programmi di servizi o di opere pubbliche, o loro progetti di massima, debbano essere sottoposti al suo esame.

Per assicurare il funzionamento del Comitato, è costituito presso il Ministero dei LL.PP. un Segretariato Generale al quale possono essere addetti funzionari dell’Amministrazione statale e regionale, nonché esperti nelle materie attinenti all’indirizzo ed al coordinamento urbanistico, anche estranei all’Amministrazione statale.



Art. 2 - Zone di preminente interesse pubblico

Le autorità competenti all’adozione dei piani regionali o comprensoriali possono proporre al Comitato dei Ministri previsto dall’articolo precedente che zone le quali dai piani medesimi abbiano ricevuto una destinazione specifica, siano dichiarate di preminente interesse pubblico in ordine alla destinazione indicata.

Quando per una zona un interesse pubblico è dichiarato preminente le decisioni delle varie Autorità Amministrative si subordinano a quelle dell’Autorità competente a provvedere in ordine ad esso.

La determinazione del Comitato dei Ministri è vincolante ed è valida per l’intera durata del piano.



Art. 3 - Norme tecniche generali

Il Comitato dei Ministri può emanare direttive tecniche generali per la formazione dei piani e delle opere di urbanizzazione.

TITOLO II

Principi fondamentali della legislazione regionale

CAPO I



Art. 4 - Disposizioni generali

La Regione disciplina con propria legge i piani urbani. stici e l’attività edilizia secondo i principi della presente legge.

CAPO II

NORME CONCERNENTI L’ ATTIVITÀ URBANISTICA



Art. 5 - Piano regionale

Le Regioni sono tenute ad adottare il piano regolatore generale del proprio territorio.

Il piano è formato con la partecipazione dei rappresentanti delle Amministrazioni statali dei lavori pubblici, della pubblica istruzione, della difesa, dell’agricoltura e foreste, dell’industria e commercio, del lavoro e previdenza sociale e delle partecipazioni statali, delle Amministrazioni provinciali e comunali, nonché di esperti in materia di indirizzo e coordinamento urbanistico ed è adottato con atto amministrativo della Regione.

Nella fase preliminare del procedimento di formazione del piano regionale il progetto deve essere reso pubblico e sono ammesse osservazioni nel pubblico interesse.

Ai fini del coordinamento con i programmi economici nazionali e della tutela degli interessi dello Stato, il piano regionale è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per i Lavori Pubblici, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.

Art. 6 - Contenuto del piano regionale

Il piano regionale indica le grandi linee dell’assetto e della valorizzazione del territorio, in rapporto alla programmazione economica, ed in particolare deve:

a) indicare le zone di insediamento urbano, di sviluppo industriale, di valorizzazione turistica e paesistica e di specializzazione agraria;

b) indicare le comunicazioni e le altre infrastrutture principali ;

c) determinare la gradualità dei principali interventi pubblici ed il coordinamento delle fasi di attuazione anche in rapporto ai programmi di attuazione dei piani economici generali e di settore;

d) ripartire il territorio regionale in comprensori, indicando quelli per i quali è obbligatoria la formazione dei piani comprensoriali in relazione alle esigenze di sviluppo di determinate zone ed alle caratteristiche geografiche, ambientali ed urbanistiche in genere;

e) precisare l’ubicazione, l’estensione ed i caratteri dei principali interventi per lo sviluppo agricolo.

Il piano regionale ha vigore a tempo indeterminato. Esso è sottoposto a revisione ogni 10 anni; può essere modificato o integrato anche nel corso di un decennio per sopravvenuti rilevanti motivi di pubblico interesse.

Il piano regionale deve conformarsi ai piani ed ai pro- grammi nazionali ed è vincolante per tutte le pubbliche Amministrazioni.



Art. 7 - Piano comprensoriale

Per ogni comprensorio individuato in sede di piane regionale è redatto un piano comprensoriale.

La legge regionale deve prevedere la creazione di appositi Enti a carattere consorziale per la formazione, per l’adozione e per l’esecuzione del piano con la partecipazione delle Amministrazioni provinciali, di quelle comunali e degli enti pubblici interessati.

La legge regionale può stabilire particolari modalità per la delega ai consorzi delle attribuzioni spettanti ai Comuni che ne fanno parte.

Si applicano le disposizioni di cui all’art. 5, secondo e terzo comma.



Art. 8 - Contenuto del piano comprensoriale

Il piano comprensoriale prevede:

a) la destinazione di uso del territorio;

b) gli interventi per le principali localizzazioni residenziali turistiche, sportive, termali e balneari;

c) gli interventi di bonifica, di ricomposizione delle proprietà rurali, dei rimboschimenti;

d) gli interventi nelle aree di sviluppo industriale;

e) la viabilità, le ferrovie, i porti, i canali navigabili e gli aeroporti;

f) le altre importanti opere pubbliche;

g) le zone da assoggettare ai piani di rinnovamento;

h) gli interventi necessari nei Comuni che non sono tenuti al piano regolatore generale.

Il piano provvede ad assicurare la effettiva tutela delle zone assoggettate o da assoggettare a vincolo paesistico e delle cose disciplinate dalla legge 10 giugno 1939, n. 1089. Il piano prescrive le eventuali misure necessarie per attuare le dichiarazioni di zone di preminente interesse pubblico indicate dall’art. 2.

Il piano comprensoriale determina i Comuni di maggiore o di particolare importanza tenuti ad adottare il piano regolatore generale. Esso vale come piano regolatore generale per gli altri Comuni e stabilisce per quali tra loro sia necessaria l’adozione di piani regolatori particolareggiati.



Art. 9 - Durata ed effetti del piano comprensoriale

Il piano comprensoriale ha vigore a tempo indeterminato.

La legge regionale stabilisce i casi ed i limiti entro i quali si procede alla sua revisione.

Gli enti pubblici ed i privati sono tenuti ad osservare le prescrizioni ed i vincoli del piano stesso.



Art. 10 - Piano regolatore generale

Per i Comuni obbligati all’adozione del piano regolatore generale, la legge regionale stabilisce i termini per adottare il piano medesimo, o per sottoporlo a revisione generale.

I relativi provvedimenti sono pubblicati nel Bollettino Ufficiale della Regione e per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Decorso inutilmente il termine assegnato a norma del primo comma, è nominato, secondo le disposizioni della legge regionale, un progettista al quale è fissato il termine per la presentazione al Comune del progetto di piano.

Qualora il Comune non provveda entro sei mesi dalla data di ricevimento del progetto, è nominato un Commissario con l’incarico di provvedere alla adozione ed alla presentazione del piano all’Organo competente per l’approvazione.

Ogni intervento mediante concorso o contributo dello Stato e di altri enti pubblici per la esecuzione di opere pubbliche comunali è subordinato alla presentazione del piano regolatore generale nel termine fissato ai sensi del presente articolo.



Art. 11 - Contenuto del piano regolatore generale

Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.

Esso deve contenere in ogni caso:

l) la divisione in zone del territorio in rapporto alle varie destinazioni di uso, con la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;

2) la rete delle principali vie di comunicazioni stradali, ferroviarie, navigabili ed i relativi impianti;

3) la ubicazione dei porti, degli aeroporti e delle autostazioni;

4) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposti a speciali servitù;

5) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale ovvero la loro ubicazione;

6) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico ambientale o paesistico;

7) le aree nelle quali è vietata qualsiasi costruzione e nelle quali devono essere rispettate particolari limitazioni;

8) la ripartizione del territorio avente destinazione urbana e industriale per la formazione di piani particolareggiati;

9) la assegnazione di termini distinti per la formazione dei piani particolareggiati, per il compimento delle espropriazioni e per la esecuzione delle opere di urbanizzazione nelle singole zone di ciascun piano particolareggiato;

10) le parti nelle quali si deve provvedere alla formazione di comprensori aventi speciali funzioni di interesse pubblico;

11) le norme per l’attuazione del piano. Per le parti del territorio destinato a zone agricole non è obbligatoria la formazione del piano particolareggiato e il piano regolatore generale deve indicare l’indice di fabbricabilità e la tipologia dei fabbricati.



Art. 12 - Direttive fondamentali del piano regolatore generale

Le direttive fondamentali del piano regolato re generale sono predisposte dal Comune e sono sottoposte all’esame dell’Organo che sarà stabilito dalla legge regionale.

Ai fini del coordinamento con le previsioni del piano regionale e degli altri piani, e con le sistemazioni dei beni e di impianti di altre aIl1ministrazioni pubbliche, la legge regionale stabilisce, altresì, le modalità per una conferenza dei servizi, della quale debbono far parte i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche interessate.



Art. 13 - Adozione del piano regolatore generale

La legge regionale stabilisce le modalità di adozione del piano da parte del Comune, nonché quelle necessarie ad assicurare la pubblicità del piano e la facoltà di enti o privati di presentare osservazioni nel pubblico interesse, e del Comune di contro dedurre.



Art. 14 - Approvazione del piano regolatore generale

Il progetto del piano regolatore generale è trasmesso per l’approvazione all’Organo che sarà stabilito dalla legge regionale, il quale, accertata la sua rispondenza alle direttive generali e alle decisioni della conferenza dei servizi, apporta ad esso le modificazioni e le integrazioni necessarie all’osservanza di leggi, di regolamenti, del piano regionale e dei piani comprensoriali nonché quelle derivanti dall’accoglimento delle osservazioni che non incidano su aspetti sostanziali del piano stesso.

Qualora le osservazioni incidano su aspetti sostanziali l’Organo regionale rinvia il progetto di piano al Comune per il riesame, con le proprie osservazioni.

Il provvedimento di approvazione è pubblicato per estratto nel Bollettino Ufficiale della Regione e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica; il piano è depositato presso gli uffici comunali.

La Commissione di controllo, in caso di illegittimità o di contrasto con gli interessi dello Stato, può chiedere chiarimenti o elementi integrativi di giudizio all’Organo regionale.

In tal caso resta sospesa l’esecutività del provvedimento. Questo diviene esecutivo se la Commissione non ne pronuncia l’annullamento entro venti giorni dal ricevimento delle contro deduzioni dell’Organo regionale.

Il provvedimento di annullamento è definitivo.



Art. 15 - Valore del piano regolatore generale

Il piano regolatore generale del Comune ha valore a tempo indeterminato.

Gli enti pubblici ed i privati, sono tenuti ad osservare le prescrizioni ed i vincoli del piano stesso.



Art. 16 - Varianti al piano regolatore generale

Le varianti al piano regolatore generale sono approvate con la stessa procedura prescritta per il piano originario.

L’iniziativa delle varianti può essere assunta anche dalle Amministrazioni dello Stato, ove esse siano necessarie per la tutela dei loro interessi.



Art. 17 - Espropriazione e utilizzazione di aree

Il Comune obbligato a redigere il piano regolatore generale può espropriare aree non edificate e sulle quali insistano costruzioni a carattere provvisorio ed utilizzarle secondo le previsioni della presente legge.

La stessa facoltà può essere esercitata dopo l’approvazione del piano regolatore generale e fino all’approvazione dei piani particolareggiati.

Art. 18 - Piano regolatore particolareggiato

Il piano regolatore generale o il piano comprensoriale, nei casi in cui ha valore di piano regolatore generale o in cui prescriva l’adozione di piani particolareggiati, è obbligatoriamente attuato a mezzo di piani particolareggiati comprendenti un’area definita e continua e, nelle zone di espansione, adeguatamente ampia.

Il piano particolareggiato è compilato dal Comune in relazione al programma di graduale sviluppo del piano generale. Nel caso di inosservanza del termine indicato nell’art. 11 n. 9 viene fissato un ulteriore termine, decorso il quale si provvede a norma dell’art. 10, 4° comma.



Art. 19 - Adozione del piano particolareggiato

La legge regionale disciplina la procedura di adozione del piano particolareggiato da parte del Comune, nonché quelle necessarie ad assicurare la facoltà di enti o privati di presentare osservazioni e del Comune di controdedurre.



Art. 20 - Approvazione del piano particolareggiato

Il progetto di piano particolareggiato è trasmesso per l’approvazione all’Organo stabilito dalla legge regionale, il quale, al fine di assicurare la legittimità e la rispondenza al piano regolatore generale ed agli altri provvedimenti amministrativi vincolanti, apporta al piano le modificazioni e le integrazioni necessarie e decide sulle osservazioni.

In ogni caso può rinviare il progetto di piano particolareggiato al Comune per il riesame, con le proprie osservazioni. In caso di inerzia del Comune, si fa luogo alla nomina di Commissario.

Il provvedimento di approvazione è pubblicato per estratto nel Bollettino Ufficiale della Regione e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Il piano è depositato presso gli uffici comunali.



Art. 21 - Contenuto del piano particolareggiato

Il piano regolatore particolareggiato sviluppa le diretti ve ed i criteri tecnici stabiliti dal piano regolatore generale.

Esso contiene essenzialmente i seguenti elementi:

a) la rete stradale della zona, con la indicazione de- gli allineamenti e dei principali dati altimetrici esistenti e di progetto;

b) la destinazione degli isolati con la indicazione della tipologia edilizia e la suddivisione in lotti fabbricabili, nonché, se ritenuto opportuno, la ubicazione, la volumetria e l’uso dei singoli edifici;

c) la delimitazione degli spazi riservati ad opere ed impianti di interesse pubblico nonché a giardini pubblici, a parcheggi, a campi di gioco;

d) gli edifici destinati a demolizione, a ricostruzione, a risanamento, a restauro od a bonifica edilizia; in tal caso potrà essere prevista la costituzione di comparti fissando le opportune prescrizioni tecniche;

e) la massa e le altezze delle costruzioni lungo le più importanti o caratteristiche strade o piazze, coll’eventuale indicazione, per particolari ambienti, dei tipi architettonici da adottare;

f) la caratterizzazione plano-volumetrica delle zone direzionali e le modalità per la utilizzazione di aree edificatorie da trasformare per tale destinazione;

g) la profondità delle zone adiacenti ad opere pubbliche, la cui occupazione serva ad integrare le finalità delle opere stesse ed a soddisfare prevedibili esigenze future;

h) la indicazione delle opere di urbanizzazione primaria;

i) relazione illustrativa enorme urbanistico-edilizie per la esecuzione del piano;

l) programma di attuazione, con la indicazione sommaria delle spese occorrenti per le opere previste e dei modi per provvedervi.



Art. 22 - Valore dei piani particolareggiati

Le prescrizioni del piano particolareggiato hanno valore a tempo indeterminato.

Le opere, le attrezzature, gli impianti ed ogni altro intervento previsto per l’attuazione del piano regolatore generale e per il piano particolareggiato sono dichiarate di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti ad ogni effetto di legge.

Art. 23 – Espropriazioni

Nell'ambito del piano particolareggiato il Comune promuove l'espropriazione, anche per zone, secondo i tempi determinati dalle necessità delle fasi di attuazione:

a) di tutte le aree inedificate, comprese quelle facenti parte del patrimonio dello Stato e degli altri enti pubblici;

b) delle aree già utilizzate per costruzioni se l'utilizzazione in atto sia sensibilmente difforme rispetto a quella prevista dal piano particolareggiato.

Il Comune espropria anche quelle aree inespropriate che successivamente alla approvazione del piano particolareggiato vengono a rendersi edificabili per qualsiasi causa.

Art. 24 - Indennità di espropriazione

Per le aree che prima dell'approvazione del piano regolatore generale non avevano destinazione urbana secondo i piani approvati, l’indennità di espropriazione è determinata considerando il terreno come agricolo e libero da vincoli di contratti agrari.

Per le aree inedificate già comprese in zona urbanizzata, la indennità di espropriazione è stabilita in base al prezzo di cessione dei più vicini terreni di nuova urbanizzazione aumentato della rendita differenziale di posizione in misura non superiore ad un coefficiente massimo stabilito dal Comitato dei Ministri di cui all'art. 1.

Per le aree che prima dell'approvazione del piano regolatore generale avevano destinazione urbana ed erano coperte da costruzioni, l'indennità di espropriazione è ragguagliata al valore venale della costruzione. Si applica, tuttavia, il comma precedente qualora l'indennità in base ad esso calcolato risulti più favorevole al proprietario.

In ogni caso l'indennità è fissata prescindendo da qualsiasi incremento di valore che si sia verificato o possa verificarsi direttamente o indirettamente per effetto della progettazione, dell'adozione e dell'attuazione del piano regolatore generale.

Il Sindaco o il Presidente del Consorzio, nei casi di cui all'art. 7, terzo comma, pubblica l'elenco dei beni da espropriare indicando il prezzo offerto per ciascun bene.

Decorsi trenta giorni dalla pubblicazione, il Prefetto, su richiesta del Sindaco o del Presidente del Consorzio, ordina il pagamento o il deposito della somma offerta nel termine di cui al comma successivo e pronuncia l'espropriazione.

L'indennità di espropriazione, in caso di accordo tra le parti, deve essere pagata e, in caso di contestazione, deve essere depositata entro un termine da stabilirsi dalla legge regionale, decorrente dalla data di rilascio o di consegna del bene. L'espropriante, per il periodo intercorrente tra la data di rilascio o di consegna e quella del pagamento o del deposito dell'indennità, è tenuto a. corrispondere gli interessi legali sulle somme dovute.

Per quanto non diversamente previsto, si applicano le disposizioni della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e successive modificazioni.

Art. 25 - Consegna dei beni espropriati

I beni espropriati possono essere lasciati in comodato precario al precedente proprietario col suo consenso. Il Comune può conseguire la disponibilità del bene e l'espropriato può chiedere di effettuare la consegna nei termini stabiliti con legge regionale.

Art. 26 - Utilizzazione delle aree

Il Comune, acquisite le aree espropriate a norma degli artt. 17 e 23, provvede alle opere di urbanizzazione primaria.

Il Comune cede in proprietà allo Stato e agli altri enti territoriali, le aree destinate ad utilizzazione pubblica.

Il diritto di superficie sulle aree destinate a edilizia residenziale viene ceduto a mezzo di asta pubblica, salvo che le aree non vengano richieste per il perseguimento dei loro fini istituzionali, entro termine da stabilire con legge regionale, da enti pubblici che operano nel settore della edilizia e da società cooperative che abbiano per scopo la costruzione di alloggi economici o popolari per i propri soci e salvo che esse siano richieste per utilizzazione industriale.

Ai fini della determinazione del prezzo di cessione si sommano, per ogni zona preveduta dall'art. 23, 1° comma: le indennità di espropriazione dell'intera zona egli interessi relativi, il costo delle opere di urbanizzazione e di quelle per lo sviluppo dei servizi pubblici, da effettuarsi nel perimetro della zona, nonché una quota per spese generali. Il totale è ripartito sulla superficie delle aree destinate all'edificazione e il quoziente costituisce il prezzo della cessione o, in caso di asta, la base di questa.

CAPO III

NORME ATTINENTI ALL’ATTIVITÀ EDILIZIA

Art. 27 - Regolamenti edilizi

Tutti i Comuni devono essere dotati di regolamento edilizio.

In ogni caso le norme del regolamento edilizio difformi dalle prescrizioni dei piani regolatori sono sostituite di diritto dalle prescrizioni stesse.

Art. 28 - Divieto di utilizzazione edilizia

A partire dalla data di adozione del piano regolatore generale e fino all'approvazione dei piani particolareggiati la formazione dei quali sia obbligatoria, non è consentita utilizzazione edilizia.

Nelle zone a destinazione urbana e industriale è vietata ogni utilizzazione edilizia fino alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria.

Sono considerate opere di urbanizzazione primaria le strade occorrenti per assicurare l'accesso agli edifici ed i relativi parcheggi, le strade ed i passaggi pedonali, la rete di distribuzione idrica, le fognature e la illuminazione pubblica.

Art. 29 - Disposizione generale sulle costruzioni

Per costruire, modificare costruzioni, apportare ad esse ampliamenti o varianti, eseguire opere di trasformazione del terreno, è necessaria l'approvazione del progetto di costruzione prevista dall'articolo successivo, ovvero la licenza di costruzione prevista dall'art. 31.

Art. 30 - Progetti di costruzioni

Il cessionario delle aree di cui all'art. 26 deve presentare al Comune, per l'approvazione, il progetto di costruzione secondo le modalità ed i termini stabiliti dalla legge regionale.

La legge regionale stabilisce i termini entro i quali il Comune deve adottare le sue decisioni. Qualora le decisioni intervengano oltre tali termini il Comune è tenuto a pagare al cessionario, a titolo di risarcimento dei danni, gli interessi legali sulle somme pagate per la cessione dell'area.

I lavori devono essere iniziati e completati, a pena di decadenza, entro i termini stabiliti dal provvedimento di approvazione.

L'approvazione è data quando il progetto sia conforme alle leggi ed ai regolamenti, alle prescrizioni dei piani regolatori ed ai provvedimenti amministrativi vincolanti nonché alle clausole contenute negli atti relativi alla cessione dell'area. Accertata dal Comune la conformità del progetto al disposto di ogni provvedimento amministrativo che disciplini l'edificazione della zona, l'approvazione preclude qualsiasi altro intervento di organi di amministrazione attiva ai fini della costruzione.

Copia dell'approvazione è affissa nell'albo comunale per la durata di 15 giorni. Altra copia deve essere tenuta nel cantiere a libera visione del pubblico. Avverso il provvedimento di approvazione del progetto, chiunque può ricorrere al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.



Art. 31 - Licenza di costruzione

Nei casi nei quali in base alla presente legge l'area rimane oggetto di diritto di proprietà, la licenza di costruzione è richiesta al Sindaco del Comune competente per territorio, con domanda corredata da progetto redatto da tecnico abilitato a norma degli ordinamenti professionali.

La licenza è necessaria anche per le costruzioni, le opere e le trasformazioni da eseguire nelle aree demaniali, comprese quelle del demanio marittimo.

Si applicano i commi 2° e seguenti del precedente articolo.

Art. 32 - Licenza d'uso

Gli edifici di nuova costruzione o trasformati non possono essere comunque utilizzati prima che il Sindaco abbia rilasciato una licenza d 'uso, previo accertamento della rispondenza dei lavori eseguiti al progetto approvato o, per gli edifici isolati siti in zone rurali, prima che siano stati garantiti la provvista dell'acqua potabile e lo smaltimento igienico delle acque luride.

Il rilascio della licenza d'uso è in ogni caso subordinato agli accertamenti affidati all'ufficio comunale di igiene della legge sanitaria.

Art. 33 - Misure di salvaguardia

La legge regionale prescrive norme di salvaguardia per la esecuzione di opere che siano in contrasto con le previsioni dei piani regolatori o che possano pregiudicarne la futura attuazione.

Art. 34 - Salvaguardia di edifici

La legge regionale prescrive norme per la salvaguardia delle caratteristiche degli edifici esistenti in zone urbanizzate, per le quali manchino prescrizioni nei piani regolatori.



TITOLO III

Norme statali sull'attività urbanistica

CAPO I

DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ URBANISTICA

Art. 35 - Disposizioni generali

Fino a quando ciascuna regione non avrà emanato norme legislative sull'urbanistica in conformità dei principi stabiliti nel titolo n della presente legge e salva, in ogni caso, l'applicazione delle norme di cui ai titoli I e IV, si applicano nella Regione stessa le disposizioni del presente titolo.

Art. 36 - Comitato urbanistico regionale

Il progetto di piano regionale è redatto in conformità dell'art. 6 da un Comitato urbanistico regionale, nominato con decreto del Ministro per i lavori pubblici costituito presso il Provveditorato regionale alle OO.PP. e composto:

a) dal Provveditore regionale alle OO.PP. che presiede;

b) da due rappresentanti della Regione;

c) dai Presidenti delle Amministrazioni Provinciali;

d) dai Sindaci dei Comuni capoluoghi di Provincia;

e) dai Sovraintendenti ai monumenti;

f) dal capo del Compartimento dell'ANAS;

g) da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri che compongono il Comitato dei Ministri di cui all'art. l;

h) da 3 rappresentanti dei datori di lavoro, 3 dei lavoratori e 2 dei lavoratori autonomi;

i) da 5 esperti.

Il Vice Presidente del Comitato è eletto tra i rappresentanti della Regione o, in mancanza, delle Amministrazioni provinciali.

Il Comitato urbanistico regionale si avvale, per la predisposizione del progetto, di una giunta la cui composizione sarà determinata dal regolamento.

Qualora gli studi debbano essere estesi a territori appartenenti ad altre regioni, il Comitato urbanistico regionale è integrato con i rappresentati di tali territori.

Il Comitato urbanistico regionale provvede agli studi per il periodico aggiornamento del piano.

Art. 37 - Procedura del piano regionale

Il progetto del piano regionale è depositato, per la durata di 30 giorni consecutivi, presso il Provveditorato regionale alle opere pubbliche e del deposito è data notizia nel foglio annunzi legali delle Provincie interessate. Gli enti pubblici ed ogni altro ente aventi fini culturali, scientifici o tecnici possono prendere visione del progetto e presentare, nei 30 giorni successivi alla scadenza del periodo di deposito, osservazioni nel pubblico interesse.

Il piano regionale è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per i lavori pubblici previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Con lo stesso decreto sono decise le osservazioni presentate a norma del precedente comma e sono apportate al piano le modifiche occorrenti per renderlo conforme ai piani ed ai programmi nazionali.

Il decreto di approvazione è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Il piano regionale è vincolante per le Amministrazioni pubbliche.



Art. 38 - Piano comprensoriale

Per ogni comprensorio individuato in sede di piano regionale è redatto un piano comprensoriale al quale si applicano le disposizioni dell'art. 8.

Il progetto di piano è depositato per la durata di 30 giorni consecutivi presso il Provveditorato regionale alle opere pubbliche e del deposito è data notizia mediante pubblicazione nei fogli annunzi legali delle provincie interessate.

Entro i 30 giorni successivi alla scadenza del deposito le Amministrazioni pubbliche egli enti interessati possono presentare osservazioni.

Il piano è approvato con decreto del Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio Superiore dei lavori pubblici.

Con lo stesso decreto sono decise le osservazioni presentate a norma del precedente 3° comma.

Il decreto di approvazione è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Il piano comprensoriale ha vigore a tempo indeterminato.

Il piano comprensoriale è sottoposto a revisione in conseguenza degli aggiornamenti apportati al piano regionale ed in ogni altro caso nel quale se ne ravvisi l'opportunità. Si applica l'ultimo comma dell'art. 9.

Art. 39 - Consorzio per il piano comprensoriale

I Comuni compresi nel territorio del piano comprensoriale devono costituirsi in Consorzio per la formazione, l'adozione e l'esecuzione del piano stesso secondo le disposizioni della legge comunale e provinciale. Del Consorzio possono far parte le Amministrazioni provinciali ed altri enti pubblici.

Il Comitato urbanistico regionale può prendere l'iniziativa per la istituzione del Consorzio.

La maggiorana assoluta dei Comuni partecipanti al Consorzio può stabilire che siano devolute a quest'ultimo le attribuzioni spettanti ai Comuni.

Art. 40 - Attuazione del piano regionale e del piano comprensoriale

Il Comitato urbanistico regionale coordina l'azione delle pubbliche Amministrazioni nell'ambito del comprensorio, vigila sulla esecuzione dei piani regionali e comprensoriali e riferisce al Comitato dei Ministri, tramite il Ministro per i lavori pubblici, nei casi nei quali accerti che gli interventi e le opere di competenza delle predette Amministrazioni siano difformi dal piano.

Art. 41 - Piano regolatore generale

I Comuni obbligati ad adottare il piano regolatore generale devono presentare il piano stesso, per l'approvazione, all'autorità competente a norma dell'art. 47 entro due anni dalla data fissata dal piano comprensoriale, salvo proroga da concedersi dalla stessa autorità in caso di accertata necessità e per un periodo non superiore, comunque, a due anni.

Trascorso il termine indicato nel comma precedente, il Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro dell'interno, nomina i progettisti per la compilazione del piano fissando loro il termine per la presentazione del progetto al Comune. In tal caso, salvo il disposto dell'articolo successivo, l'autorità tutoria provvede alla iscrizione di ufficio della relativa spesa nel bilancio del Comune.

Qualora il Comune non provveda, entro 6 mesi dalla data di ricevimento del progetto, agli adempimenti di sua competenza ed alla presentazione del piano, il Prefetto nomina un commissario incaricato di provvedere alla adozione ed alla presentazione del piano.

Si applica l'ultimo comma dell'art. 10.

Art. 42 - Spese

Salvo il disposto delle leggi regionali, lo Stato può contribuire alla spesa per la redazione del piano regolatore generale a favore dei Comuni per i quali la redazione stesea è obbligatoria, eccettuati i Comuni capoluoghi di provincia.

La misura del contributo viene determinata, in relazione agli stanziamenti di bilancio, con decreto del Ministro per i lavori pubblici sentito il Consiglio Superiore dei lavori pubblici.

Art. 43 - Contenuto del piano regolatore generale

Il piano regolatore generale considera la totalità del territorio comunale, comprende tutti gli elementi indicati nell'articolo 11 ed è costituito anche dai seguenti elaborati:

a) una o più planimetrie in scala non inferiore a 1: 10.000 per l'intero territorio;

b) una o più planimetrie in scala non inferiore a l: 5.000 per le previsioni relative all'abitato esistente ed alle zone di immediato sviluppo;

c) una relazione illustrativa dei criteri informatori del piano.

Art. 44 - Direttive fondamentali del piano regolatore generale

Le direttive fondamentali del progetto di piano regolatore generale sono predisposte dalla Giunta municipale.

Le direttive, corredate da uno schema grafico contenente l'indicazione sommaria della rete delle principali vie di comunicazione, della zonizzazione e dei principali impianti pubblici, sono sottoposte all'esame del Comitato urbanistico regionale, che ne cura il coordinamento con le previsioni o con gli studi del piano regionale e del piano comprensoriale nonché con i programmi di attività e con le sistemazioni di beni e di impianti delle Amministrazioni statali nell'ambito regionale o comunale.

Per i Comuni obbligati a redigere il piano regolatore generale la trasmissione delle direttive al Comitato urbanistico regionale deve avvenire entro sei mesi dalla data fissata dal piano comprensoriale.

Art. 45 - Conferenza dei servizi

Ai fini del coordinamento di cui al secondo comma dell'articolo precedente, il Comitato urbanistico regionale indice una conferenza dei servizi alla quale partecipano:

a) il Provveditore regionale alle OO.PP. che la presiede;

b) il Vice Presidente del Comitato urbanistico regionale;

c) il Sindaco del Comune interessato o un suo delegato;

d) il progettista incaricato di redigere il piano;

e) il capo dell'ufficio tecnico comunale;

f) il capo dell’ufficio urbanistico del provveditorato alle OO.PP.;

g) il Sovraintendente ai monumenti;

h) il capo del Compartimento dell'ANAS;

i) il capo del Compartimento FF.SS.;

l) un rappresentante del Prefetto;

m) un rappresentante della Regione, della Provincia e del Consorzio;

n) un rappresentante dell’Istituto Nazionale di Urbanistica.

Possono essere chiamati a partecipare alla conferenza dei servizi i rappresentanti delle altre Amministrazioni interessate e possono essere invitati a parteciparvi, con voto consultivo, anche esperti.

Le pronuncie delle conferenze dei servizi sono vincolanti per le Amministrazioni pubbliche in essa rappresentate.

Art. 46 - Pubblicazione del progetto del piano regolatore generale

Il progetto di piano regolatore generale è adottato dal Comune con deliberazione consiliare, ed è depositato negli Uffici comunali per la durata di 30 giorni consecutivi, decorrenti dalla data di inserzione nel foglio annunzi legali dell'avviso previsto dal comma successivo e durante i quali chiunque può prendere visione del progetto. Nel termine di 30 giorni successivi alla scadenza del periodo di deposito chiunque ha facoltà di presentare al Comune osservazioni nel pubblico interesse.

L'effettuato deposito è reso noto al pubblico mediante avviso che viene affisso all'albo pretorio e contemporanea. mente inserito nel foglio degli annunzi legali della provincia. Del deposito si può inoltre dare notizia mediante comunicazione attraverso la stampa o altri mezzi di diffusione.

Art. 47 - Approvazione del piano regolatore generale. Valore e varianti

Il piano regolatore generale dei Comuni capoluoghi di provincia è approvato con decreto del Ministro per i lavori pubblici, sentiti i pareri del Consiglio Superiore dei lavori pubblici e del Consiglio di Stato.

Il piano regolatore generale degli altri Comuni è approvato con decreto del competente Provveditore Regionale alle OO.PP. sentito il Comitato tecnico-amministrativo. Il Ministro per i lavori pubblici ha facoltà di avocare a sé l'approvazione dei piani regolatori generali dei Comuni aventi particolare rilevanza.

Con il decreto di approvazione sono decise le osservazioni e possono essere apportate al piano le modificazioni e le integrazioni necessarie in conseguenza delle decisioni sulle osservazioni nonché quelle che siano riconosciute indispensabili per assicurare:

a) l'osservanza delle leggi e dei regolamenti nonché il rispetto delle direttive del piano regionale e del piano comprensoriale;

b) la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse esclusivo o prevalente dello Stato o di altri enti pubblici;

c) la tutela del patrimonio storico ed artistico nonché la protezione delle bellezze naturali, ai sensi delle leggi vigenti.

Un estratto del decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Il piano, insieme con una copia del decreto, è depositato negli uffici comunali a libera visione del pubblico. Il deposito è reso noto nei modi stabiliti dal 2° comma dell'articolo precedente.

Chiunque ha diritto di ottenere, a pagamento, copia del piano e dei suoi elaborati.

Si applicano le disposizioni degli artt. 15 e 16.

Art. 48 - Espropriazione e utilizzazione di aree

Il Comune obbligato a redigere il piano regolatore ge. nerale può procedere ad espropriazioni in conformità all'art.17.

Art. 49 - Piano regolatore particolareggiato

Per l'attuazione del piano regolatore generale si applicano le disposizioni dell'art. 18.

In caso di inosservanza del termine indicato nell'articolo 11, n. 9, il Prefetto, su richiesta del Provveditore regionale alle opere pubbliche, nomina un commissario.

Art. 50 - Elaborati del piano particolareggiato

Il piano regolatore particolareggiato sviluppa le direttive ed i criteri tecnici stabiliti dal piano regolatore generale, comprende tutti gli elementi indicati nell'art. 21 ed è costituito anche dai seguenti elaborati:

1) planimetria di insieme in scala non inferiore ad 1: 2000 disegnata su mappa catastale quotata altimetricamente;

2) grafici ed altri atti tecnici contenenti gli elementi indicati nell'art. 21;

3) gli elenchi catastali dei beni vincolati oda espropriare in base al piano e di quelli vincolati dal Ministero della pubblica istruzione ai fini della tutela dell'ambiente o del paesaggio.

Art. 51 - Pubblicazione di progetto di piano particolareggiato

Il progetto di piano regolatore particolareggiato è adottato con deliberazione del Consiglio comunale ed è depositato negli uffici comunali per un periodo di 30 giorni consecutivi decorrenti dalla data di inserzione nel foglio annunzi legali di un avviso ai sensi dell'art. 46, 2° comma, e durante i quali chiunque può prenderne visione. Nei 30 giorni successivi alla scadenza del periodo di deposito, chiunque può presentare al Comune osservazioni.

Art. 52 - Approvazione del piano particolareggiato

Il piano regolatore particolareggiato dei Comuni capoluoghi di provincia è approvato con decreto del Ministro dei LL.PP. sentiti il Consiglio Superiore dei LL.PP. e il Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti.

Il piano regolatore particolareggiato degli altri Comuni è approvato con decreto del competente Provveditore regionale alle opere pubbliche, previo parere del Sovrintendente ai Monumenti e del Comitato urbanistico regionale.

Il Ministro per i lavori pubblici può avo care a sé l'approvazione dei piani particolareggiati che abbiano speciale rilevanza.

Con il decreto di approvazione sono decise le osservazioni e possono essere apportate al piano le modificazioni e le integrazioni necessarie in conseguenza delle decisioni sulle osservazioni nonché quelle che siano indispensabili per assicurare l'osservanza del piano regolatore generale.

Il piano, insieme con una copia del decreto, è depositato negli uffici comunali a libera visione del pubblico.

Chiunque ha diritto di ottenere, a pagamento, copia del piano e dei suoi elaborati.

Si applicano le disposizioni contenute nell'art. 22. Le varianti sono approvate con la stessa procedura del piano originario.

Art. 53 - Espropriazione ed utilizzazione dei beni

Approvato il piano particolareggiato, si applicano gli artt. 23, 24 e 25, con le seguenti integrazioni.

L'indennità di espropriazione, in caso di accordo tra le parti, deve essere pagata o, in caso di contestazione, deve essere depositata dal Comune entro un anno dalla data di rilascio o di consegna del bene. Il Comune per il periodo intercorrente tra la data di rilascio e di consegna e quella del pagamento o del deposito dell'indennità, è tenuto a corrispondere gli interessi legali sulle somme dovute.

Il Comune, per conseguire il rilascio del bene, e l'espropriato, per effettuarne la consegna, debbono dare un preavviso di 120 giorni.

Per l’utilizzazione delle aree si applica l'art. 26.

CAPO II

NORME ATTINENTI ALL'ATTIVITÀ EDILIZIA

Art. 54 - Regolamenti edilizi

I Comuni debbono, con regolamento edilizio deliberato dal Consiglio comunale, provvedere, in conformità alle leggi ed ai piani regolatori, a dettare norme sulle seguenti materie:

l) formazione, attribuzione e funzionamento della commissione comunale di urbanistica ed edilizia; essa deve essere composta da non meno di 5 membri, rappresentativi degli interessi pubblici, particolarmente rilevanti nel Comune, ed è presieduta dal Sindaco oda un suo delegato. Più Comuni possono costituire una sola commissione urbanistico-edilizia; in tal caso fanno parte della commissione tutti i Sindaci dei Comuni interessati che ne assumano la presidenza in ordine agli affari di rispettiva competenza;

2) procedura per il rilascio delle licenze di costruzione e d'uso e per l'approvazione dei progetti;

3) compilazione e caratteristiche tecniche dei progetti di costruzione;

4) volumetria, tipologia, forma, altezze, distacchi degli edifici da progettare sulle aree di proprietà privata e su quelle in cessione;

5) caratteri esterni degli edifici e materiali da costruzione;

6) norme igieniche da osservare;

7) direzione dei lavori e regole da osservare nella costruzione e per garantire la pubblica incolumità;

8) vigilanza sulla esecuzione dei lavori;

9) disciplina sull'uso e sulla manutenzione degli edifici e delle aree scoperte;

10) ogni altra disposizione attinente alla materia edilizia e comunque opportuna per l'attuazione dei piani.

Il regolamento edilizio è approvato dalla Giunta Provinciale Amministrativa su conforme parere del Provveditore regionale alle opere pubbliche.

Art. 55 - Disposizione generale sulle costruzioni

Per costruire, demolire costruzioni, apportare ad esse modificazioni o ampliamenti, eseguire opere di trasformazione del terreno è necessaria l'approvazione del progetto di costruzione prevista dall’articolo successivo ovvero la licenza di costruzione preveduta dall'art. 57.

Si applica la disposizione contenuta nell'art. 28.



Art. 56 - Progetti di costruzione

Il cessionario delle aree di cui all'art. 26, entro sei mesi dalla cessione, deve presentare al Comune, per l'approvazione, il progetto di costruzione conforme alle prescrizioni del piano particolareggiato, del regolamento edilizio e del bando d'asta.

Il Sindaco adotta la decisione entro 90 giorni dalla presentazione delle domande, stabilendo i termini per l'inizio e per il completamento dei lavori.

Il provvedimento negativo è motivato e fissa un nuovo termine non inferiore a 90 giorni per la presentazione di un nuovo progetto.

I termini dettati per i cessionari possono essere pro- rogati per una sola volta per giustificati motivi. La loro inosservanza comporta la decadenza dalla cessione di pieno diritto.

Qualora le determinazioni del Comune siano adottate oltre i termini stabiliti dal comma 2° il Comune è tenuto a pagare al concessionario, a titolo di risarcimento dei danni, gli interessi legali sulle somme pagate per la cessione dell'area.

Si applicano le disposizioni contenute nell'art. 30, comma 4° e successivi.

Art. 57 - Licenza di costruzione

Per la licenza di costruzione si applicano le disposizioni dell'art. 31.

La licenza è rilasciata dal Sindaco, su parere conforme della commissione urbanistico-edilizia comunale, entro 90 giorni dalla data di ricevimento della domanda. Trascorso detto termine il silenzio dell’Amministrazione equivale a tutti gli effetti a rifiuto.



Art. 58 - Licenza d'uso

Agli edifici di nuova costruzione o trasformati si applica il disposto dell'art. 32.

Art. 59 - Misure di salvaguardia

Dalla data della deliberazione comunale di adozione del piano regolatore generale e particolareggiato e fino alla emanazione del relativo provvedimento di approvazione, il Sindaco non può rilasciare licenze per le opere sia di amministrazioni pubbliche sia di privati che, pur non comportando utilizzazione edilizia, siano in contrasto con le previsioni del piano adottato o che, comunque, possano pregiudicarne la futura attuazione.

Nello stesso periodo indicato nel primo comma, il Sindaco su parere conforme della commissione urbanistica ed edilizia comunale, può ordinare la sospensione di costruzioni o di lavori di trasformazione in corso che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l'attuazione del piano. La sospensione può essere protratta fino alla data di pubblicazione del provvedimento di approvazione del piano.

In caso di inerzia del Sindaco. i provvedimenti preveduti dal 2° comma sono adottati dal Prefetto a richiesta delle Amministrazioni interessate.

Art. 60 - Salvaguardia di edifici

Gli edifici esistenti nelle zone già urbanizzate e per le quali manchino prescrizioni nel piano regolatore generale e nel piano particolareggiato devono essere mantenuti con i loro caratteri.



Art. 61 - Vigilanza sulle costruzioni

Il Sindaco esercita la vigilanza sulle costruzioni che .i eseguono nel territorio del Comune per assicurarne la rispondenza alle norme della presente legge e del relativo regolamento nonché del regolamento edilizio, alle prescrizioni di piano regolatore ed alle modalità esecutive fissate nella licenza di costruzione o nel provvedimento di approvazione del progetto a termini dell'art. 56.

Qualora sia constatata l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità indicate nel comma precedente, il Sindaco ordina l'immediata sospensione dei lavori, con riserva dei provvedimenti che risulteranno necessari per la modifica delle costruzioni o per la restituzione in pristino. L'ordine di sospensione cessa di avere efficacia se entro 90 giorni dalla sua notificazione il Sindaco non abbia adottato e notificato i provvedimenti definitivi.

In caso di costruzione abusiva o di proseguimento dei lavori dopo l'ordinanza di sospensione, il Sindaco ordina la demolizione a spese della parte, senza pregiudizio delle sanzioni penali.

Al pagamento delle spese relative alla esecuzione in danno sono solidalmente obbligati il committente, il direttore dei lavori e chi ha eseguito i lavori.

L'appaltatore può essere cancellato dagli elenchi delle ditte ammesse agli appalti delle opere pubbliche.

In caso di inerzia del Sindaco il Ministro per i lavori pubblici lo invita a provvedere fissandogli un termine non superiore a 60 giorni, decorso inutilmente il quale egli si sostituisce per quanto necessario.



Art. 62 - Annullamento di ufficio.

I provvedimenti comunali che autorizzino opere non conformi alle norme della presente legge e del relativo regolamento, alle prescrizioni dei piani regolatori, ovvero alle norme del regolamento edilizio e che in qualsiasi modo costituiscano violazione delle norme e prescrizioni predette, possono essere in qualunque tempo annullati con decreto del Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio di Stato.

In pendenza della procedura di annullamento, il Ministro per i lavori pubblici può ordinare la sospensione dei lavori.

Art. 63 - Costruzioni di Amministrazioni Statali

Per le costruzioni dello Stato, il Comune, nei casi indicati nel 2° comma dell'art. 61, rimette gli atti al Ministro per i lavori pubblici, il quale provvede.

I progetti di costruzione delle opere indicate nel precedente comma devono essere preventivamente comunicati al Ministro per i lavori pubblici per il relativo nulla-osta.

TITOLO IV

Disposizioni comuni

CAPO I

DISPOSIZIONi GENERALI



Art. 64 - Progetti di opere pubbliche

I progetti delle costruzioni dello Stato e degli altri enti pubblici devono essere muniti di una esplicita dichiarazione con la quale il capo del servizio competente attesti che i progetti stessi sono stati redatti in conformità al piano regolatore.



Art. 65 - Oneri e vincoli non indennizzabili

Per i vincoli di zona, per le limitazioni, per gli oneri gravanti sulle costruzioni, per le destinazioni di uso comunque attribuite agli immobili dai piani regolatori non è dovuta alcuna indennità.



Art. 66 - Divieto di utilizzazione edilizia in deroga

I piani regolatori e i regolamenti comunali non possono consentire utilizzazioni edilizie in deroga alle relative norme e prescrizioni.

È abrogata ogni norma statale e comunale che disponga diversamente.

CAPO II

COMPARTI ED OPERE DI RISANAMENTO



Art. 67 - Delimitazione di centri

Nei piani regionali devono essere indicati i centri storico-artistici ed ambientali che devono essere mantenuti nella loro integrità, quelli che devono essere conservati previo risanamento, nonché i quartieri e nuclei abitati per i quali deve procedersi a risanamento igienico-sanitario.

Nel perimetro dei centri storico-artistici ed ambientali è vietata ogni trasformazione o mutamento dello stato dei luoghi fino all'approvazione dei piani particolareggiati, salva la facoltà del Sindaco, nei casi di accertata urgente necessità, di autorizzare l'esecuzione di opere straordinarie di manutenzione negli edifici, purché non diano luogo a trasformazioni pregiudizievoli.

Per l'attuazione del risanamento conservativo dei centri storico-artistici ed ambientali i Comuni procederanno mediante la costituzione di comparti obbligatori.



Art. 68 – Comparti

Il comparto comprende costruzioni da trasformare oda risanare secondo speciali prescrizioni ed aree inedificate. Esso costituisce una unità inscindibile, definita sia planimetricamente sia volumetricamente nei singoli elementi urbanistici ed edilizi e comprende anche le relative aree occorrenti per le strade, le piazze ed altri spazi di uso pubblico.

Il Comune procede alla formazione dei comparti in sede di piano particolareggiato.

La formazione dei comparti è disposta con deliberazione consiliare.

Per la procedura di formazione si applicano le disposizioni dell'art. 51. Il piano è approvato dal Provveditore regionale alle OO.PP. ed è depositato negli Uffici comunali ai sensi dell'art. 52, 5° comma.



Art. 69 - Partecipazione dei proprietari al comparto

I proprietari partecipano al comparto con una quota percentuale al valore dell'immobile conferito rispetto al valore dell'intero comparto secondo le destinazioni anteriori alle previsioni del piano regolatore generale.

Le quote sono stabilite mediante accordo fra gli interessati.



Art. 70 - Consorzi e opere del comparto

Formato il comparto, il Sindaco fissa ai proprietari un termine, non inferiore a 90 giorni e non superiore ai 180, entro il quale essi devono dichiarare se intendano procedere riuniti in consorzio alle opere per le quali il comparto è stato costituito.

Per la costituzione del consorzio è sufficiente il consenso dei proprietari rappresentanti i sei decimi del valore dei beni dell'intero comparto.

I consorzi conseguono la piena disponibilità del comparto mediante l'espropriazione dei beni e delle costruzioni appartenenti ai non aderenti.

Decorso inutilmente il termine stabilito dal Comune, questo promuove direttamente la espropriazione.

I lavori per la realizzazione del comparto sono dichiarati indifferibili ed urgenti.

L'indennità di espropriazione è calcolata a norma dell'articolo 24.



Art. 71 - Assegnazione del comparto

Il Comune indice, per l'assegnazione in tutto o in parte del comparto, una gara ai sensi dell'art. 26.

Gli acquirenti devono iniziare e ultimare i lavori per i quali il comparto è stato costituito, nei termini stabiliti dal Comune nel bando di gara.

Art. 72 - Progetto di comparto di risanamento

Il progetto di comparto di risanamento dei centri storico-artistici ed ambientali deve essere redatto sulla base di un rilievo particolareggiato di ogni singolo edificio e di ogni elemento di pregio architettonico o artistico contenuto nel comparto ed indica le opere di restauro e di risanamento, la destinazione degli edifici, l'eventuale rifusione particellare e la sistemazione degli spazi inedificati.

Negli interventi su edifici storico-artistici od ambientali saranno, di norma, ammesse trasformazioni che garantiscano l'integrità e l'inalterabilità dei prospetti e degli elementi architettonici autentici e non saranno consentiti aumenti di volume o di altezza.

CAPO III

DISPOSIZIONI FINANZIARIE E TRIBUTARIE



Art. 73 -Mutui

Per l'attuazione dei piani regolatori generali, particolareggiati e dei comparti, la Cassa DD.PP. è autorizzata a concedere mutui ai Comuni, anche in deroga ai limiti di cui all'art. 300 del T. U. 3 marzo 1934, n. 383.

Art. 74 - Gestione urbanistica

Presso ogni Comune è costituita una amministrazione separata per la gestione urbanistica. Sono imputati ad essa i proventi per la cessione delle aree e i contributi che il Comune riceve per fini di conservazione del patrimonio artistico, di risanamento edilizio, di edilizia popolare e per ogni altro fine connesso con l'aspetto urbanistico.

Il fondo della gestione di cui al precedente comma costituisce garanzia comune delle indennità di espropriazione dovute per l'attuazione dei piani indicati nell'articolo precedente.

Gli atti di cessione delle aree ai sensi dell'art. 53, ultimo comma, sono rogati dal segretario comunale.



Art. 75 - Agevolazioni tributarie

Salve le maggiori agevolazioni tributarie previste da speciali disposizioni di legge, gli atti di espropriazione e di cessione delle aree in applicazione della presente legge e delle leggi urbanistiche regionali sono sottoposti a registrazione a tassa fissa; le imposte ipotecarie a garanzia dei mutui contratti per l'acquisizione delle aree stesse, sono ridotte al quarto.

Gli immobili espropriati dai Comuni sono esenti da ogni imposta loro a/Ferente. Restano a carico dei comodatari precari dei beni espropriati le imposte inerenti alla attività agricola o industriale di cui venga continuato l'esercizio sui beni stessi.

I vincoli previsti dall'art. 65 comportano l'immediata revisione delle imposte afferenti agli immobili sui quali gravano.



Art. 76 -Finanziamenti

Nel bilancio del Ministero dei lavori pubblici sono annualmente stanziati i fondi occorrenti per concedere sovvenzioni ai Comuni che non siano in grado di provvedere alle opere di risanamento e restauro dei centri storico- artistici ed ambientali.

CAPO IV

SANZIONI



Art. 77 - Lavori ed utilizzazioni non autorizzati

Chiunque intraprende lavori di costruzione di nuovi edifici o di ricostruzione, di modifica o di ampliamento di edifici esistenti senza l'approvazione dei progetti di cui agli artt. 30 e 56 o senza la licenza di costruzione di cui agli artt. 31 e 57, ovvero li prosegue nonostante l'ordine di sospensione, è punito con la reclusione fino a tre mesi e con la multa fino a L. 1.000.000.

Chiunque utilizza gli edifici di nuova costruzione e trasformazione senza la licenza d'uso è punito con la multa fino a L. 1.000.000.



Art. 78 - Violazione delle prescrizioni di altezza e distanza

Chiunque, nella costruzione di nuovi edifici o nella ricostruzione, modifica o ampliamento di edifici esistenti, ecceda i vincoli di altezza o di distanza stabiliti nel piano regolatore generale o particolareggiato, o a questo equiparato, è punito con la reclusione fino a tre mesi e con la multa fino a L. 1.000.000.

La condanna importa confisca delle parti costruite in eccedenza.



Art. 79 - Decadenza da benefici tributari

Chiunque intraprende lavori preveduti nell'art. 77, primo comma, ovvero li prosegue nonostante l'ordine di sospensione, decade da ogni agevolazione tributaria inerente alla costruzione.



TITOLO V

Disposizioni transitorie e finali



Art. 80 -Obbligo di adozione del piano regolatore

Fino a quando non saranno stati approvati i piani comprensoriali restano fermi gli elenchi dei Comuni tenuti ad adottare il piano regolato re generale ai sensi dell'articolo 8 della legge 17 agosto 1942, n. 1150. La procedura per l'adozione e l'approvazione dei piani è disciplinata dalla presente legge.

Art. 81 - Piani regolatori in corso

I piani regolatori generali e particolareggiati già adottati prima dell'entrata in vigore della presente legge sono resi conformi alla nuova legge e successivamente approvati secondo le norme della legge stessa.



Art. 82 – Revisione dei piani vigenti

I piani regolatori vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge saranno revisionati entro due anni dalla approvazione dei piani comprensoriali.

Qualora il piano comprensoriale non sia stato approvato entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i piani indicati nel comma precedente sa. ranno revisionati allo scopo di essere messi in armonia con le disposizioni della legge stessa.

Art. 83 - Efficacia dei piani particolareggiati e di ricostruzione vigenti

I piani particolareggiati e i piani di ricostruzione vi- genti alla data di approvazione del piano comprensoriale o del piano regolatore generale successivo alla entrata in vigore della presente legge continuano ad avere vigore fino al momento della loro attuazione per le parti in cui non hanno ricevuto esecuzione semprechè non contrastino con le linee del nuovo piano.



Art. 84 - Lottizzazione di aree

Per le aree lottizzate a norma di legge e già edificate alla data di pubblicazione della presente legge, ma Don comprese in un piano particolareggiato approvato, l'onere relativo alle opere di urbanizzazione primaria, salvo che sia diversamente disposto da preesistenti convenzioni, è a carico dei proprietari, sempreché la destinazione delle aree sia confermata dal piano regolatore.

In caso di inadempienza da parte di questi, il Comune, previa diffida, provvede direttamente, recuperando le quote a carico di ciascun proprietario.

Le aree lottizzate ed inedificate alla data di pubblicazione della presente legge sono regolate dalle norme in questa contenute.



Art. 85 - Deroga al divieto di utilizzazione edilizia

I Comuni in possesso di piano regolatore generale già approvato alla data di entrata in vigore della presente legge hanno l'obbligo di adottare i relativi piani particolareggiati previsti per le zone di immediata espansione entro un anno dalla data stessa.

Durante tale periodo non si applica il disposto degli artt. 28 e 55, ferme restando le disposizioni della legge 17 agosto 1942, n. 1150.



Art. 86 - Piani per acquisizione di aree fabbricabili per l' edilizia economica e popolare

© 2024 Eddyburg